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Autore: gattapelosa    17/04/2012    4 recensioni
Draco Malfoy è molto malato. Ha un problema al cuore e necessita di alcune trasfusioni, ma si è venuto a sapere che il suo è un gruppo sanguigno molto raro denominato HD Negativo.
Ecco che capita un colpo di fortuna: Hermione Granger è ricoverata in quello stesso ospedale, e, incredibile a dirsi, porta in corpo sangue HD Negativo.
Quindi Draco dovrà affrontare un dilemma amletico: morire o convivere per sempre con in corpo il sangue di una mezzosangue?
In più dovrà affrontare un nuovo problema: lei accetterebbe, ma in cambio ha bisogno di qualcosa, qualcosa che solo Draco può darle...
Allora, questa è la mia nuova fiction... ambientata non a Hogwarts, non al Manor, non da Voldemort, non nel settecento, non in un campo di battaglia, ma al San Mungo.
Che ne dite, è un po' originale come ambientazione? Mi ci sono scervellata!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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                                                         Come arrivò lei




Il San Mungo era un posto d’incredibile biancore. Sì, biancore, perché non c’era un solo angolo ombrato nell’intero edificio. E tutto quel bianco cominciava a darmi alla testa. 

Una passata di vernice, ecco cosa ci voleva. Tanta, tanta vernice verde. O rossa. O perfino rosa. Bianca no.  

Il bianco sapeva di innocenza, e per una casa di possibili morti dare idea di innocenza sembrava solo una grandissima presa per il culo. Qualcuno glielo doveva dire, a quelli là.

E poi tutto quel bianco mi faceva saltare in aria il cervello: aveva un ché di luminoso da far quasi immaginare a un paziente costretto a letto di star per crepare all’interno di una lampadina. 

Erano tredici giorni che me ne stavo nella mia lampadina privata, tredici giorni passati a guardare il soffitto, leggere giornali - Cavillo compreso!- e ingoiare cioccorane. Mi stava salendo la nausea.

Un mio colpo di tosse e avevo attorno decine di infermiere, come fossi agonizzante. Io stavo alla grande!

C’è stato un momento in cui credetti di aver vagamente esagerato. Stavo così bene! Come potevano dire che avevo un problema al cuore, io? Avrei potuto scalare il Monte Everest senza scopa. Tipo babbani. 

In più avevo una camera singola. Il ché era solo che un bene. Io ero nato per le camere singole, il rischio di mischiarsi con gente indegna era tanto pesante da obbligare decisamente il mio sangue puro a cercarsi un luogo consono. 

Solo che avrei voluto poter parlare con qualcuno che non portasse un camice bianco, di tanto in tanto. 

Certo, qualcuno di quei dottori era di piacevole compagnia — mi riferisco soprattutto a esemplari femmine con due belle gambe e una quarta di reggiseno— e a volte mi trattenevo a parlare con loro. Molte di queste erano comunque tremendamente professionali, soprattutto se tenute a vista da qualche collega maschio. O se con una bella fede al dito. 

E poi ammetto che era difficile fare colpo in pigiama, disteso su un letto e per la metà del tempo con due belle flebo attaccate al dito. Due flebo evidentemente inutili.

Intanto però, se di giorno facevo il cascamorto con le infermiere, di notte piangevo la terribile sfiga che mi perseguitava. Malato e impossibilitato a guarire.

Era possibile che nessuno avesse un gruppo sanguigno simile al mio? La mia purezza era davvero così perfetta? Nonostante tutto sapevo che quelle trasfusioni erano necessarie, e il non poter far nulla per salvaguardare la mia vita era straziante. 

C’era davvero qualcuno che si mobilitava per ritrovare un altro esemplare umano che portasse il mio stesso fardello? E poi, esisteva mai un qualcuno di simile? C’era speranza che io guarissi, o dovevo già rinunciare a morire nella lampadina bianca? 

Mia madre aveva detto che si erano tutti mobilitati. Stavano cercando un HD Negativo in tutto il mondo, ma ancora non si era ottenuto niente. E io avevo paura.

Ero così unico al mondo che per me non c’era speranza. Con la mia morte avrei privato l’universo di un’esemplare raro e ineguagliabile, come potevano permettere che accadesse una cosa simile? 

Scossi la testa. Erano degli incapaci, tutti quanti! 

— Signor Malfoy, i medici hanno convenuto che un po’ d’aria fresca potrebbe farle bene— e così fece Alison piombano nella mia stanza senza bussare. Alison era la più frivola delle infermiere, tra le giovani lavoratrici in erba. 

Ed era bella. Questo sì. 

Non fosse stata così maledettamente bella avrei strepitato come un’ossesso per la sua mancanza di buone maniere. Per Merlino, da quando è che si era persa l’usanza di annunciarsi prima di precipitare in stanze altrui? 

Però quella ragazza aveva tutto: ciocche bionde e mosse — i capelli lisci non mi avevano mai interessato quanto quelli un po’ più vivi—, due tette da paura, gambe slanciate ed eccessivamente provocanti, labbra carnose e attraenti. 

— Quindi finalmente mi lasciate uscire?— Alison annuì, iniziando a liberare le braccia da quei tubi biancastri. 

Alison mi porse un semplice paio di jeans e una camicetta ripugnante, ma che evidentemente era di suo gusto. Io odiavo le camicie. Preferivo quelle semplici ed eleganti magliette unicolore. Di marca, s’intende: opera dei migliori stilisti.

Del resto, non avevo di che lamentarmi, finché a vestirmi fosse stata lei.

E mi infilò la maglia con gesti abbastanza provocanti da farmi credere che forse esisteva un modo migliore per passare la giornata, che in quel giardino all’aria aperta.

Insomma, qualcos’altro della vita terrena mi mancava oltre che sole e alberi, perché l’essere così malato impedisce qualsiasi tipo di attività...impegnativa. O piacevole.

— Vuoi che ti accompagni a fare un giro?— domandò ancora Alison. Io scossi la testa: nella mia libertà non avrei voluto essere ancora seguito da qualcuno con il camice bianco. 

Così la lasciai nella mia stanza e a passo svelto percorsi le rampe di scale al San Mungo. Piano l’atmosfera mutò. Il mio sollievo dovuto alla possibilità di cambiare aria divenne angoscia nel momento in cui scontrai il mio sguardo con gli occhi dei pazienti.  

Quello era un covo di malati, non potevo credere che ero messo come certi agonizzanti nei corridoi. Non potevo credere che anche io fossi giunto nell’ospedale vomitando sangue.

Vedevo bambini in lacrime, vecchi cadaverici, uomini sanguinanti, persone pallide e stanche e tristi e morenti. Malati. 

Con raccapriccio constatai che presto avrei avuto un altro attacco, che sarei tornato a soffrire come durante la partita, che avrei dovuto essere imbottito di pozioni e che qualcuno avrebbe cercato di tenermi in vita perché possedevo un sangue troppo perfetto per poter realmente sperare di guarire.

E allora capii che io, così bello, in forze, euforico, sicuro di me, ero messo molto peggio di qualsiasi malato strisciante di quel corridoio. Loro avrebbero dovuto guarire. Io non avrei dovuto morire.

Nonostante tutto erano due concetti mortalmente differenti. 

Così, a capo chino per non dover ancora osservare quella sciagura, abbandonai il grande edificio bianco per passeggiare nel giardino. 

A conti fatti come giardino non era poi così male...forse un po’ assolato, ma sobrio e senza traccia di sostante impure tipo roba babbana. Certo, non era lontanamente paragonabile all’immenso parco del Manor e alle rose di Narcissa, ma certo non era completamente da snobbare. 

Mi piaceva il sentiero che passava poco distante dal lago. Mi piaceva il mini campo da Quidditch, mi piacevano perfino i tavoli e le panche, decisamente più ordinati e con uno stile abbastanza invidiabile.

Così, una volta allontanatomi a sufficienza dal grande portone del San Mungo, m’accomodai su un tavolo praticamente nascosto da due grandi Pioppi. 

Con una mano sulla fronte a reggermi il capo, la schiena incurvata sul tavolo come fossero banchi di scuola, l’aria fresca che mi soffiava sul volto, rendeva quel momento tanto rilassante da rischiare quasi di farmi addormentare.

Non troppo distante da me una coppia di sposini mangiava un po’ di quel disgustoso cibo ospedaliero, io potevo osservare loro, loro non sapevano che io fossi lì.

Mi persi nell’ascoltare discorsi futili e privi, se non lievemente, di riferimenti a malattie o disgrazie varie. 

Era un momento di quiete, uno di quelli che mi sognavo la notte. Se non facevo gli incubi. 

E, come ogni momento di quiete, venne precipitosamente rovinato.

Non mi accorsi di lei finché non mi fu alle spalle. Nel percepire l’oscura presenza, voltai il capo con uno scatto repentino.

Portava i capelli, tipici di quell’oscenità inimmaginabilmente ripugnante, raccolti in una treccia disordinata, ed essendo questi un ammasso informe di fili annodati straripavano da tutte le parti. E i suoi occhi erano piatti. Brutti. Castani. 

Non aveva forme, non aveva niente: era Hermione Granger. 

Sembrava un’incubo perseguitante! L’unica cosa buona nell’essere malato e ricoverato al San Mungo era non dovere affrontare l’orrore di osservare il suo miserabile volto ogni santo giorno.

— Che vuoi?— feci con sgarbo, rigirandomi.

— Sedermi al mio posto.— rispose lei, sedendomi di fronte, con le spalle al sole e lasciando scivolare tre libri di spessore micidiale sul tavolo.

— Chi ti dice che sia tuo?

— Il fatto che siedo qui da quasi una settimana, ogni giorno per ore e ore. Ma prego, se vuoi restare fa pure. Tanto lo so che adesso te ne andrai, imprecando contro il mio sangue sporco.— oh, ma io non ne avevo intenzione.

Sarebbe stata lei a lasciarmi, esasperata. 

— Esatto: sangue sporco. E sono sicuro che i tuoi germi mi stanno contagiando anche a questa distanza. 

— Che peccato— fece sarcastica, prendendo a leggere il più logoro dei tre mattoni. Mi ignorava.

Merlino, che rabbia!

— Era un invito a liberare il parco della tua miserabile presenza.— lei scrollò le spalle, senza darsi la minima pena di guardarmi negli occhi. Mi ignorava!

— Mi hai sentito? Vattene.— questa volta non fece assolutamente niente. Neanche a darmi un segno di vita.

— Mezzosangue, leva i battenti.

Niente.

— Eclissati.

Niente.

— Porta il tuo cespuglio da qualche altra parte.

Niente.

— Sei peggio di una zecca.

Niente.

— Di una piattola.

Niente.

— Puzzi, puzzi come tutti i mezzosangue.

Niente.

— Fai schifo.

Niente. 

— Fai così schifo che mi viene voglia di vomitare.

Niente.

— Il mio vomito è più pulito di te.

Niente.

— E della tua famiglia di babbani.

Niente.

— E della famiglia del rosso.

Niente.

— Cazzo, vattene! Vattene da qui!— e questo lo dissi gridando, spingendo tutti i libri giù dal tavolo. Questi sfracellarono al suolo, rovinandosi, ma la mezzosangue con un colpo di bacchetta li fece impilare sul tavolo. A quel punto mi incazzai sul serio.

Lei osava ignorare me! Me! L’avrei ammazzata. Merlino, era da ammazzare. Si meritava un bel fulmine in testa, sicuramente in tomba avrebbe avuto i capelli sistemati in maniera migliore che con quel groviglio informe. 

Un fulmine, sì, o un veleno. Uno di quelli che fanno perire atroci sofferenze.

Meglio, un rogo. Un tempo i babbani bruciavano le streghe, no? Oh no, ecco: tagliata pezzo per pezzo. Un orecchio, una gamba, il naso...

Io però avrei accettato pure qualche misero Avada Kedavra. Certo, l’idea di vederla soffrire allettava, ma almeno era alla mia portata. Azkaban? Era niente. Meglio dissenatori che Hermione Granger. 

Rovesciai per la seconda volta la pila di libri.

— Vattene! Ma mi senti, ho detto di andartene, via, via!
— Ti ho sentito. E come vedi ti ho ignorato. E ora taci, che ci guardano — con la coda dell’occhio constatai che, effettivamente, l’intero parco si era volto ad osservarci. Anche gli sposini di poco prima.

Rosso di vergogna mi girai e tagliai la corda in una ritirata strategica.

Che imbarazzo! Che scena miserabile! Che avranno pensato di me?

Un bambino viziato, sicuramente. Per loro sarò stato un bambino viziato nel corpo sedicenne di un giovane affascinante.

Tornai mogio mogio nell’ospedale, cercando di coprirmi la vista nella speranza di non dover incappare in sguardi moribondi.

Merlino, che imbarazzo, che imbarazzo!
Una volta rintanatomi nella mia lampadina, sbattei con forza la porta e mi nascosi sotto il cuscino.

Non avrei più voluto uscire.

Certo, sapevo che sarebbe passata, ma pensare che non solo la mezzosangue era riuscita ad umiliarmi davanti a tutti, ma si era pure aggiudicata il tavolino, mi metteva addosso una furia ceca. 

Restai disteso così, nel cercar di sbollire la rabbia, per almeno una ventina di minuti. Allo scoccare delle quattro sentii la porta spalancarsi e udii il delicato profumo di mia madre farsi sempre più vicino.

— Che ci fai con la testa sotto il cuscino?— la sentii chiedere.

— Attendo che tutto finisca presto.— risposi io.

Lei prese una sedia e si accomodò — gambe incrociate e collo allungato— a pochi centimetri dal materasso.

— A quanto pare, Draco, potrebbe finire presto. 

Merlino, era così grave? Stavo davvero per morire? Sentii un nodo allo stomaco e le prime lacrime, dettate dallo spavento, colare sulla federa.

I medici avevano dato un responso negativo a Narcissa? Quanto mancava, un anno, un mese, un giorno? 

— Hanno trovato una persona con gruppo sanguigno HD Negativo.— la sentii però proseguire e tutto il mio corpo divenne pietra.

Qualcuno col mio stesso, purissimo sangue? Qualcuno c’era? Potevo aver salva la vita? Potevo non morire?

Mi sollevai di colpo, con gli occhi ancora lucidi dall’emozione, un espressione di pura speranza stampata in volto e il cuore a mille.

Poi però incrociai lo sguardo cupo di Narcissa e il mondo mi si aprì sotto i piedi.

— Cosa?

— E’ così, è stato un colpo di fortuna. Questa persona è ricoverata all’interno di questo stesso ospedale. Altrimenti non l’avrebbero mai scoperta.

— Ma è perfetto!— dissi io, esaltato.

— Non lo è. Sinceramente, non so se tuo padre possa permetterlo.— adesso quegli stessi occhi divennero dal cupo al preoccupato, triste. Avvilito.

E io non capivo proprio: come poteva Lucius impedire che io sopravvivessi? Cosa poteva fermare un padre dal salvare suo figlio?
— Chi è questa persona?

Mia madre chinò il capo. Con un sospiro, pronunciò il suo nome.


 

Bacheca dell'autrice


Beh, ecco qui il primo vero capitolo di "HD Negativo". Fatemi sapere cosa ne pensate. Ah, scusate per i probabili errori di ortografia! Se trovo correggo, se trovate correggetemi. 
Grazie mille per tutte le recensioni, e grazie a chi ha messo la mia storia tra le seguite e le ricordate — nessun "preferite", ma c'è tempo— e per chi si è preso la briga di leggerla. Anche senza commentare. 

  
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