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Autore: JosephineGreen    17/04/2012    1 recensioni
Mi sono sempre chiesta come facesse a nascere un gruppo. Stavolta, invece di domandarmelo, ho deciso di crearlo io stessa :)
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Una tipica giornata californiana di metà giugno: un’afa indescrivibile, ragazzine che sfoggiano fiere i loro mini bikini per strada e accaldati anziani seduti fuori da qualche bar, sorseggiando una limonata giacciata. Nonostante volessero essere a rilassarsi sulla spiaggia o ad abbracciare il climatizzatore delle loro case, i funzionari della Signal Events di Los Angeles stavano svolgendo una riunione che sembrava non finisse mai, fino a che..
-Bene- esclamò il signor Stevenson, uno dei nuovi impiegati della compagnia- abbiamo sistemato gli spettacoli teatrali fino alla fine dell’estate e organizzato la fiera di fine giugno in modo così perfetto che se il nostro santo Messia potesse parteciparvi resusciterebbe sicuramente!-
Molti dei colleghi risero, tranne i più devoti, ma a Stevenson non importava, perchè sapeva benissimo che era sul capo che doveva fare colpo, e Macbell non era certo di il tipo di uomo che va in chiesa la domenica.
-Ci manca soltanto il concerto che si terrà il prossimo 3 Luglio al Viper Room.-
Macbell si sistemò un po’ sulla sedia sbuffando.
-Questi cazzo di inglesi non ci danno un attimo di tregua.- brontolò. Molti nella sala risero, nonostante non ci fosse assolutamente nessuna ironia nella frase. “Stupidi leccapiedi” penso l’uomo tra se e se ‘si metterebbero a ridere anche se li prendessi a calci pur di entrare nelle mie grazie’.
-Gia, gia, stupidi inglesi!- riprese Stevenson nervoso- Comunque, il locale è stato deciso, e per l’orario, i ragazzi hanno chiesto se potevano esibirsi verso le undici, potrebbe andare bene, signore?-
-Per me possono suonare anche alle quattro di notte, basta che non ci lascino a mani vuote: tutti i biglietti sono già stati venduti.-
-Certo, certo, ma, signore, avremo bisogno di almeno un’altra band per intrattenere il pubblico fino al loro arrivo!- aggiunse il giovane uomo, che stava cominciando a sudare in maniera a dir poco indecente, un po’ per il caldo, un po’ per la soggezzione che gli metteva addosso quell’uomo.
-Fate decidere a loro.-
-Ci avevo già pensato, ma i ragazzi hanno affermato di non avere nessuna preferenza e hanno lasciato il compito a noi.-
-Certo, figuriamoci se i piccoli lord si sporcano le mani per una cosetta del genere! Hai già qualcuno in mente? E se ce l’hai, fai che siano molto economici, questa faccenda ci ha già fatto investire un sacco di soldi!- aggiunse l’uomo accendendosi una sigaretta e prendendo una lunga boccata. Non si poteva fumare nell’edificio, ma nessun inserviente si permetteva mai di entrare in sala riunioni quando ce n’era una in corso, e nessuno di ‘quegli idioti’, come li definiva lui, si sarebbe permesso di dire nulla alla direzione, anche se in fondo, era lui la direzione.
-Beh, in effetti si. C’è questo gruppo che suona ogni tanto in un bar appena fuori dal centro, nella parte est della città. Fanno più che altro cover di un sacco di gruppi, ma l’ultima volta che le ho sentite suonare hanno fatto un pezzo loro, e devo ammettere che non era niente male!-
-Sono ragazze?- chiese l’uomo scettico.
-Si, tre ragazze.-
-Riusciresti a contattarle?-
-Beh, signore, non ho i loro numeri, ma ogni volta che le ho viste suonare erano in questo bar che le ho detto signore, il Black ship.-
-Suonano al Black ship?! E’ un locale da tossici e ubriaconi, dovrebbero chiamarlo Black shit!-
Altra risata generale.
-Gia, gia, certo signore, ma le assicuro che sono davvero brave, tre tesori!-
-Bene, allora vai.-
-Dove, signore?-
-A trovare questi ‘tre tesori’, e assicurati che ci chiedano poco. Sai almeno come si chiamano?-
-Il gruppo, signore?-
-No, i loro gatti; certo il gruppo!-
-Ah, certo! No, signore, non lo so.-
-Vabeh, tu trovale, possono chiamarsi come vogliono, ma se sono brave e chiedono poco sono nostre.-
Stevenson si alzò di velocemente dirigendosi verso la porta.
-Ah, Stevenson?-
-Si, signore?-
-Non siamo in marina, e tanto meno nell’esercito: chiamami di nuovo signore e ti mando a pulire i cessi a quel cavolo di Black ship, intesi?-
Stevenson annuì tremante e si catapultò fuori dalla stanza. Percorse i corridoi in fretta e furia per arrivare al suo ufficio, prendere la giacca e uscire alla ricerca di queste tre ragazze misteriose.
Dovevo chiamarti ‘bestia’, non signore, stupido idiota pomposo!”
 
Il Black ship quel giorno era completamente deserto, tranne che per il barista che sonnecchiava guardando una soap opera argentina alla tv. Non appena entrò, Stevenson avvertì un forte odore di alcol e tabacco, che si spiegò subito col fatto che il barista stava fumando mentre sorseggiava da un bicchiere pieno di ghiaccio e di un liquido trasparente, che, come gli diceva l’istinto, non doveva essere acqua. Il barista, non appea lo vide trasalì. Era un uomo sulla quarantina, non molto alto, stempiato e con un’abbondante massa di grasso sull pancia.
-E’ dell’ufficio sanitario?-
Stevenson mise su un sorriso per cercare di mettere l’uomo più a suo agio.
-Cielo, no! Il mio completo deve averla ingannata. Sono Richard Stevenson, lavoro Signal Events, un’agenzia che organizza eventi e festival.-
Il barista guardò l’uomo storto. Che diavolo voleva un’uomo in giacca e cravatta che lavorava in un’agenzia organizzatrice di eventi nel suo bar?
-Sono John, ma non sono iteressato a niente mi dispiace.-
-No, lei mi ha frainteso, io..-
-Ho detto niente pubblicità, amico!- sbotto John impazziente.
Stevenson indietreggiò impaurito. Ad aumentare il suo terrore fu un rumore di passi che scendevano una scala posta accanto al bar che non aveva notato fino a quel momento. Cielo, poteva essere qualche amico del barista che era venuto per suonargliele di santa ragione!
Ma non fu così, dalla scala emerse una ragazza di circa vent’anni,molto carina, che indossava una cannottiera e shots a vita alta. Aveva un volto molto gentile e calmo, un volto conosciuto.
Stevenson s’illuminò.
-Cielo, tu sei una delle ragazze del gruppo!-
-Come scusi?- chiese la ragazza con un marcato accento irlandese.
-Si, tu suoni, vero? In questo locale.-
La ragazza adesso sembrava quasi spaventata.
-Si, ma come lo sai lei? E’, non so, tipo uno stalker?-
-Cristo, no! Tutt’altro! Lavoro all’agenzia organizzatice di eventi Signal Events, e ho un lavoro da offrirle. A lei e alle altre componente del gruppo, si intende.-
John si irrigidì immediatamente, profondamente imbarazzato.
-Amico, mi dispiace, non credevo! Potevi dirlo subito, cazzo!-
-Ma io..-
-Si, si, non ti preoccupare, sei perdonato.-
Io sono perdonato?! Questo per poco non mi salta addosso e io sono perdonato!” pensò l’uomo incredulo, per poi tornare alla ragazza.
-Comunque dolcezza, perchè non chiami le tue amiche e non ne parliamo tutti assieme?-
-Posso chimarne soltanto una, l’altra e in spiaggia, dall’altra parte della città e non la vedremo fino a stasera. E’ davvero così urgente?-
-Beh, preferirei parlarne subito... Due su tre sono sempre meglio che una, no?-
La ragazza sorrise scettica: -Suppongo di si... Torno su a chamarla!-
John e Stevenson rimasero di nuovo sa soli.
-E quindi... Questo è il suo bar, eh?-
-Gia, sono anni che è della mia famiglia. Sa, prima non faceva così schifo, ma adesso, con tutti i nuovi baretti da liceali che stanno aprendo, gli affari non vanno così bene. Se non fosse per i miei clienti abituali probabilmente dovrei chiudere.-
-Capisco...-. Osservando le condzioni del bar, poteva solo immaginare quali fossero i suoi clienti abituali.
Dopo pochi secondi dei passi ritornarono a farsi sentire lungo le scale, da dove emersero due ragazze: una era quella che era scesa prima, e il viso dell’altra tornò familiare a Stevenson non appena la vide. Era la chitarrista. Erano entrambe carine, anche se molto diverse. Quella con cui aveva parlato aveva morbidi capelli lisci color miele, tagliati appena sopra le spalle, alta più o meno un metro e settanta, piuttosto magra e aveva una pelle pallida e fragile; l’altra era di uno o due centimetri più bassa di lei, un po’ più formosa, con la pelle segnata dall’abbronzatura e lunghi, mossi capelli castani, dai quali ogni tanto spuntava qualche ciocca più ramata, segno di un colore fatto tempo fa ma più ripetuto.
-Ciao cara, io sono Richard Stevenson, lavoro...-
-Non c’è bisogno- affermò la ragazza piattamente- Candy mi ha gia detto tutto.-
-Candy,- sospirò l’uomo- è perchè sei dolce come una caramellina?-
La ragazza emise un risolino acuto che fece fare una smorfia di disgusto all’altra.
-No, mi chiamo Candace.-
-Che nome fantastico...-
-Si, tutto ciò è davvero adorabile, ma hai interrotto il mio  momento artistico quotidiano, quindi se riuscissi a venire al sodo sarebbe davvero fantastico!- esclamò la ragazza con un falso sorriso stampato in faccia. Aveva uno strano accento, un misto tra inglese e...
-Sediamoci, venite. Tesoro, posso farti una domanda?-
-Se non mi chiamerai più tesoro puoi farmi anche un interrogatorio.-
-Il tuo nome?-
-Diciamo che mi chiamo Maddie.-
-Diciamo che ti chiami Maddie? Che cosa strana..-
-Singolare oserei dire.- sussurrò sarcastica Maddie mentre si alzava a prendere una birra al bancone, fermandosi a scambiare qualche parola sottovoce col barista.
-Devi scusarla, sai, non è un tipo estremamente socievole.-
-L’ho notato... Non è americana vero?-
Candy sorrise.
-E’ per il suo accento, vero? No, non è americana, ma, se te lo stai chiedendo, non è nemmeno inglese. E’ italiana, è venuta a stare qua a Los Angeles circa sei mesi fa, ha visnto un viaggio con un concorso di chitarra e ha deciso di trsferirsi qui definitivamente. Dividiamo l’appartamento.-
-E perchè l’accento inglese?-
-Dice sempre che quello americano le fa venire il volta stomaco, e poi è crescita ascoltando musica inglese, guardando film e serie tv in inglese, cose così-
In quel momento Maddie tornò al tavolo a sedersi.
-Allora, così ci proponi?-
-Di aprire un concerto! Sarebbe una bella occasione per un gruppo emergente come il vostro, o no?-
Le due ragazze sembravano al settimo cielo.
-Assolutamente!-
-Hey, aspetta, chi suona al concerto? Non voglio suonare al concerto di qualche boyband per la quale le ragazzine si strappano le mutande.-
-Beh, che per loro si strappano le mutande è vero, ma non li definirei prprio una boy band!-
Candy e Maddie si guardarono tese. L’uomo fece una pausa divertito, osservando le loro espressioni.
-Sapete, non so nemmeno come si chiama il vostro gruppo.-
Maddie si sporse in avanti in segno di sfida: Stevenson si accorse che aveva degli enormi occhi marroni.
-Tu dicci chi suona e noi ti diciamo il nostro nome.-
-Non è uno scambio alla parti! Voi mi dite il nome e io non solo vi dico il nome del gruppo, ma vi assicuro che sarete voi ad aprire il concerto.-
La ragazza si rilassò sulla sedia.
-The Stone Cross.-
-Davvero un bel nome, molto mistico...-
-Noi ti abbiamo detto il nome, adesso sta a te fare la tua parte.-
L’uomo si alzò sorridendo, passando davanti alle facce stupite e infuriate delle ragazze. Si stava dirigendo verso la porta quando Candy gridò arrabbiata :-Hey, così non vale! Lo facciamo o no questo concerto?-
-Certo che lo farete, e vi conviene portarvi un cappotto.-
Maddie lo guardò con ironia.
-E per cosa? Vuoi farci morire dal caldo?-
-No, ma sai, l’atmosfera potrebbe risultare un po’ artica...-
Candy lo guardò perplesso, senza capire, ma dalla faccia che Maddie aveva messo su, Stevenson capì che lei aveva afferrato il concetto.
-Mi stai prendendo per il culo?-
-Domani mattina alle 9 verrò qui per sentirvi di nuovo suonare, fatevi trovare fresche e riposate! Buona giornata.- e detto questo se ne andò.
Candy sbuffò, voltandosi verso l’amica.
-Non ho capito!-
Ma Maddie non la stava ascoltando, in realtà, non stava nemmeno respirando. Era ancora difficile da realizzare: loro tre avrebbero aperto il concerto degli Arctic Monkeys.

 
  
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