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Autore: Artemisia89    12/11/2006    4 recensioni
è la storia di una ragazza normale, una giornalista affermata. Finchè a causa di un'esplosione non perde la vista: com'è il mondo dei ciechi? ve lo siete mai chiesti? io si...e credo di aver capito l'importanza che le voci assumono per loro. Tutte le voci.
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono estremamente affezionata a questa shot: le sono debitrice.

Spero che possa colpire chiunque la leggerà.

Le voci

 

L’ultima cosa che ricordo fu il lampo accecante dello scoppio e il fragore che ne seguì.

Mi risvegliai giorni dopo e a darmi la notizia della mia cecità, ricordo che fu un giovane dottore dal tono molto professionale.

Sapevo che il mestiere della giornalista è uno dei più pericolosi al mondo, specie per chi, come me, sceglie di fare l’inviata speciale in tempo di guerra.

Ma non immaginavo che potesse succedermi una cosa tanto banale e contemporaneamente tanto incredibile quanto rimanere viva dopo un esplosione devastante come quella di Baghdad.

Ci furono 372 morti e 160 feriti. Tra i feriti vi ero io e il mio cameraman. Tra i morti vi era la mia traduttrice.

Non la conoscevo più di tanto. Il suo nome era Fatimah, e si era laureata in lingue anche senza il consenso dei suoi genitori. Voleva diventare la traduttrice dei politici, diceva, come una spia di cui non sapeva neanche il nome.

Per caso, qualche anno dopo, un amico mi descrisse delle foto di una rivista con alcuni buoni reportage sulla guerra in medio oriente. C’era una foto di lei, o almeno di quello che ne restava.

"Gli occhi spalancati – diceva il mio amico con la voce calma e leggera – di un verde dei più brillanti. La bocca come una rosa, i capelli color della terra"

Splendida anche nella morte, pensai. Sperai che il mio Dio avesse un posto di rispetto per lei nel cielo.

Che non vada sprecata tanta bellezza nelle fiamme dell’Inferno.

Quanto a me, l’Inferno cominciò quel giorno.

Non avevo mai messo in conto di diventare cieca a soli 21 anni e poco ci mancò che cadessi nel baratro più profondo della depressione.

La vista era uno degli elementi fondamentali del mio lavoro, della mia vita. Tutti i sensi lo erano e non riuscivo a sopportare l’idea di aver perso il più importante.

Il medico disse che nell’esplosione entrambi i nervi ottici si erano bruciati e che il danno era irreversibile, almeno per il momento.

Prima di uscire, sulla porta, lo sentì voltarsi e mi disse che anche l’iride era stato danneggiato.

Aveva perso il suo pigmento.

Allora, avevo gli occhi castani.

Ora chi mi fissa negli occhi può soltanto descrivere i miei occhi "bianchi".

Quando i cicli di flebo riuscirono a risanare il mio corpo malridotto, i medici mi permisero di cominciare l’istruzione visiva, la preparazione per riuscire a condurre una vita quantomeno normale, almeno indipendente per riuscire a conservare un minimo di dignità. E per far si che il mio incredibile orgoglio non ne risultasse incrinato, avrei dovuto metterci tutto l’impegno possibile.

Intanto, mentre ero ancora incatenata a quel letto così scomodo e così dannatamente inamidato al tatto, avevo capito quanto gli altri sensi cercassero di acuirsi il più possibile per supplire alla mancanza dell’altro.

L’udito e l’olfatto, ad esempio.

Avevo imparato a distinguere le infermiere e gli inservienti dal suono dei loro passi e riuscivo a capire cosa le cucine stessero preparando per l’ora di pranzo o di cena, benché quei locali fossero molto lontani dalla mia camera.

C’era un’infermiera, giovane per quanto la voce potesse dirmi, che aveva il passo che produceva lo stesso suono del battito d’ali d’una farfalla.

La sua voce e il suo tocco erano così gentili che mi ricordavano la mia piccola sorella in Italia.

La pelle delle mani delicata e la voce era come l’acqua di un torrente di montagna. Limpida e cristallina.

Era una gioia sentirla ridere, perché sembrava che tutta la stanza si riempisse di quel suono come l’acqua piovana fa nelle fontane dei giardini.

Tutto sommato, fu uno dei pochi ricordi piacevoli della degenza.

La prima volta che mi misero in mano il bastone bianco, lungo e dal largo manico, scoppiai a piangere senza controllo, come non facevo più da quando ero bambina.

Me ne vergognai così tanto che ci vollero due giorni prima che permettessi a qualcuno di metter piede nella mia stanza.

Era come se mi trovassi nella notte più nera della mia vita, soltanto che quella notte sarebbe diventata la mia vita e io non potevo reggere questo pensiero.

Come avrei fatto a scrivere?

E a fotografare?

E a scorgere negli occhi delle persone le loro bugie?

Come avrei fatto?

La sveglia aveva suonato le 7 di sera del mio tredicesimo giorno d’ospedale, quando nella mia vita entrò lui.

Non ebbi mai un’idea precisa di come fosse fatto, precisamente che aspetto avesse.

Ma quando una sera facemmo l’amore, gli toccai il viso e scoprì i suoi zigomi un po’ troppo sporgenti, le palpebre dalle corte ciglia, le labbra sottili. Quando feci scendere le mani sulla sua schiena, incontrai i suoi capelli raccolti e glieli sciolsi e godetti nel passare le mie dita tra i suoi lunghi capelli lisci, più di quanto una donna può godere quando il suo compagno entra in lei.

Il suo nome era Ismael e adoravo il suono della mia voce quando lo pronunciavo.

Quando lui chiamava me invece, lo pronunciava quasi come se fosse un nome greco.

Lui era il medico che si sarebbe occupato della mia riabilitazione. Era un medico, psicologo, presidente di non quale associazione di non vedenti e molto altro, ma oltre a molte cariche che lui mai mi disse era ricco di buone virtù.

La tenacia, la pazienza, e la capacità di riuscire a trapassare il mio orgoglio senza farmi alcun male. Anche se si divertiva molto nel vedermi imbarazzata e silenziosa.

Lui disse sempre che grazie all’orgoglio riuscì a tirarmi via dalla mia camera, ma non fu proprio la verità. Era stata la sua voce ad attirarmi, perché era una voce che parlava di promesse e di fiducia.

Una voce pericolosa certo…ma la voglia di rischiare non se ne era andata via con la vista. E la mia arroganza si era fatta sempre più pungente.

L’avrei schiacciato, oh si, l’avrei fatto.

Ma non avevo messo in conto il potere delle voci.

E fu la sua voce e le sue mani sul mio corpo a darmi nuova vita.

La sua voce, che era come l’unione di mille.

Il sussurro di due compagni di giochi sperduti per le vie di Alessandria, la voce squillante di un mercante di stoffe di Islamabad, la voce roca dell’amante più lascivo, la voce ispirata ed estatica del poeta che compone, l’urlo rabbioso di un padre che cerca vendetta, il canto di un uomo di notte per la propria sposa che si leva tra le mura dei palazzi di Istanbul, il fragore delle onde contro le scogliere di Algeri, il vento tra le palme di Sharm.

C’era tutto l’Oriente nella sua voce.

Nella sua voce c’erano tutte le voci del mondo.

E quando parlava io potevo vedere.

Io potevo vedere, immaginare, o forse solo ricordare quei posti che i miei occhi avrebbero mai più contemplato.

Quando imparai a muovermi con l’ausilio del bastone, del cane ( un adorabile collie che chiamai Uakhput, affinché mi guidasse attraverso le tenebre) e riuscì a leggere e scrivere perfettamente in Braille, Ismael mi disse che il suo compito era terminato.

In quella notte io mi donai a lui.

Non so se lo feci per la disperazione, per seguire qualche rituale nella mia testa o solo perché avevamo entrambi un asfissiante bisogno di noi stessi, ma quando l’indomani mi spostai sul letto e non lo trovai, non me ne meravigliai.

Mi aveva parlato con i sussurri del vento prima di addormentarsi, e io sapevo che le voci non mentono mai.

E lui, quella notte, mi fece un dono.

Proprio quel dono che a lui era stato fatto tempo prima.

Mi aveva donato la capacità di possedere le voci, la capacità di scorgere un guida anche nel mare più nero, di trovare il mistero, di trovare la strada, di trovare la via verso Est, di custodire ancora il segreto del suono della vita.

Mi aveva dato la voce più preziosa.

Quella della speranza.

 

Fine

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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