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Autore: Eikochan    19/04/2012    1 recensioni
Tsunade è cresciuta segnata dalla tragedia più grande della sua vita; precipitata in un torpore emotivo e interiore non riesce a dare una svolta alla sua vita... finché un'evento non le darà questo opportunità. Ma non tutte le scelte sono giuste e alcune volte la serpe si nasconde proprio tra i tuoi amici. E' davvero necessario vendicarsi?
Dal primo capitolo:
“Pensi di essere una dura?”
Gli rispose con un sott’inteso, muto, cenno d’assenso.
“Allora dimmi cosa spinge una tredicenne a pestare a sangue due ragazzi.”
L’altra stette in silenzio per qualche minuto, sotto lo sguardo inquisitore del sovraintendente.
“Se una persona mi fa un torto, e chi deve punire essa non fa niente, non è forse lecito farmi giustizia da sola? Occhio per occhio, dente per dente”
Per Tsunade era sempre stato un vizio rispondere ad una domanda con un’altra domanda.

{Coppia principale: Tsunade/Orochimaru}
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jiraya, Orochimaru, Tsunade
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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Note Inizio Capitolo: Come sempre le parti in corsivo
indicano un flashback; il testo in formato normale, invece,
il presente.

 

 CAPITOLO III:

 

La pavimentazione irregolare del marciapiede la stava mettendo decisamente in difficoltà; si distrasse un attimo e subito inciampò in una piastrella più alta, barcollò leggermente sui tacchi e si aggrappò prontamente al lampione alla sua destra.
Si produsse in un’imprecazione biasciata.
“Tutto bene, Tsunade?”
Jiraya la seguiva a distanza di qualche passo, anche lui piuttosto provato dall’alcol.
“Si.” gli rispose leggermente superba raddrizzando la schiena e procedendo a passo un po’ più sicuro: odiava mostrarsi debole di fronte agli altri. “E comunque sono arrivata.”
Si appoggiò al portone del suo condominio, cercando le chiavi dell’appartamento che si era comprata da poco. Una volta trovate infilò la chiave nella serratura –non senza qualche difficoltà- e aprì l’uscio.
“A domani, Jiiraya.”
“Notte, Tsunade.” le rispose lui prima di voltarle le spalle e attraversare la strada.
Salì attentamente le scale, uno scalino alla volta, e finalmente arrivò al suo appartamento; entrò e accese le luci, poi buttò malamente la borsa sulla sedia vicino all’entrata e si diresse in camera.
“Maledetti tacchi.” inveì contro le sue stiletto ad alta voce e, a sentire la sua voce rimbombare per la stanza deserta, si produsse in un risolino decisamente poco sobrio: ora si metteva pure a parlare da sola? Stava decisamente peggiorando; poi anche la risata si spense nel silenzio e tornò seria.
Si girò verso il comò, posizionato sotto l’unica finestra della stanza, e si avvicinò per osservare da vicino le foto incorniciate: in prima fila –al posto d’onore- stava la sua preferita di Dan e Nawaki, leggermente spostata indietro c’era invece una foto che raffigurava lei insieme a Orochimaru, Jiiraya e al sovraintendente Sarutobi, tutti e quattro sorridenti. Le spostò leggermente per scoprirne un’altra, particolarmente nascosta, che la ritraeva –anni prima, come ne erano testimoni i capelli raccolti in una coda alta e sbarazzina- affianco a Orochimaru: era una foto strana; nessuno dei due accennava ad un sorriso e le loro posizioni erano piuttosto rigide… la teneva esposta solo perché era l’unica che raffigurasse solo loro due.
Sentì i ricordi del passato riaffiorare e perse un po’ la testa: in uno scatto d’ira lanciò la foto che si andò a schiantare contro la parete, spargendo frammenti di vetro e legno dappertutto. Senza fare una piega si liberò dei vestiti e si mise sotto le coperte tentando di prendere sonno e ignorare la voce di Orochimaru che le ronzava nelle orecchie.

 
Era seduta sull’autobus affollato, schiacciata tra un nerd in evidente sovrappeso e un’anziana signora che puzzava di minestrone di verdure. Se il buon giorno si vedeva dal mattino quella sarebbe stata di sicuro una giornata da dimenticare!  
Quella mattina si era dovuta auto-imporsi di scendere dal letto e vestirsi per andare al corso di polizia: era ancora piuttosto confusa e turbata dagli avvenimenti del giorno prima e trovarsi a stretto contatto con la causa del suo nervosismo l’agitava parecchio.
Nella sua mente si accavallavano disordinatamente pensieri e considerazioni: stava cercando la maniera migliore per affrontare Orochimaru una volta arrivata a destinazione. Era così concentrata che a momenti saltò la fermata ma, per fortuna –il cielo minaccioso prevedeva un acquazzone in poco tempo-, riuscì a scendere dal bus a forza di spintoni e a salvarsi da una camminata di un quarto d’ora 
Entrò in caserma con il passo di una condannata a morte e aprì la porta dell’aula; con suo sommo dispiacere l’unico occupante era il bel moro, seduto all’ultimo banco e immerso nella lettura di un libro. Si richiuse lentamente la porta alle spalle, cercando di non far rumore e di non farsi notare: non ci riuscì per niente. Al suono dell’impatto con lo stipite, Orochimaru alzò lo sguardo dal libro e, una volta che l’ebbe notata, le rivolse un leggero, neutrale, cenno del capo per poi tornare alla lettura del suo libro.
Interdetta rimase ferma in mezzo all’aula, a metà tra l’essere sollevata che Orochimaru non accennasse alla sera prima e la delusione –per non dire orgoglio ferito- della poca attenzione che il ragazzo dedicava all’avvenimento.
Si riscosse dai suoi pensieri quando la porta si aprì di nuovo per far entrare Jiraya, sorridente e casinista come al solito; ancora interdetta prese posto al primo banco, dalla parte opposta dell’aula rispetto alla posizione del moro.
Quella mattina non riuscì a concentrarsi nemmeno per un minuto, le lancette dell’orologio ticchettavano in sottofondo alla lezione di Ibiki Morino mentre lei tentava di dare un senso ai pensieri, di mettere ordine in quella cacofonia di emozioni e sentimenti contrastanti tra di loro. Iniziò ad avere mal di testa:  non vedeva l’ora che la lezione finisse; per di più aveva iniziato a piovere  e lei –
ovviamente- aveva lasciato l’ombrello a casa.

Dopo quella che le parve un’intera era geologica finalmente Ibiki sistemò le carte, li guardò con il suo solito sguardo severo e li congedò al lunedì  seguente. Lentamente si alzò dalla sedia e prese a riordinare gli appunti -ovvero un foglio bianco completamente intonso-, poi acchiappò la sua vecchia, logora, giacca e uscì dalla stazione di polizia. Nel frattempo aveva preso a diluviare; sconsolata si fermò un attimo sotto tettoia, poi emise un lungo sospiro irritato e fece per spiccare una corsa verso la pensilina della fermata. Stava per compiere il balzo iniziale quando una mano, esile e terribilmente fredda, le afferrò il polso per trattenerla; irritata si girò per insultare lo screanzato ma quando si trovo faccia a faccia con Orochimaru non potè che sbarrare gli occhi, sorpresa.
“Che vuoi?” gli chiese, una volta rinsavita dalla sorpresa, sostenendo il suo sguardo.
“Niente di che. Ti sei già dimenticata di giovedì sera?” La stava guardando con quell’espressione subdola e sicura, a tratti anche terrificante.
“No.”
“Stazione di Shibuya, nove e mezza, stasera.” Come al solito non chiedeva mai.
“No.” Continuava a sostenere il suo sguardo, fiera.
“Non ti è forse piaciuto? Perché non sembrava così, sai, l’altro giorno quando mi baciavi, quando ti sei sdraiata sotto di me… quando urlavi il mio nome.” le disse, aprendosi nel solito sorrisino.
Sentì le lacrime pizzicarle gli occhi e tentare di uscire. Le represse con rabbia: non voleva assolutamente piangere.
“Lasciami stare. Non succederà più…non posso” E diede un forte strattone al braccio ancora bloccato nella mano del ragazzo e, di risposta, sentì la stretta intorno al suo polso farsi più forte… quasi dolorosa.
“Non puoi o non vuoi?” le domandò lui, beffardo.
“Non posso… non voglio.. non posso..” prese a farfugliare, senza dare un senso alle parole che le uscivano di bocca, poi lui prese ad avvicinarsi al suo viso. Tentò di divincolarsi, ma Orochimaru le cinse la vita con l’altro braccio tentando di avvicinarla. Fece un ultimo, debole, tentativo di fuga ma poi sentì le labbra fini del ragazzo premere contro le sue e la sua lingua tentare di intrufolarsi nella sua bocca e non potè fare a meno di lasciar cadere tutte le difese e abbandonarsi al bacio, aggrappandosi alle spalle magre ma forti di Orochimaru e rispondere con foga. Dopo un paio di lunghi, interminabili, stupendi e terribili instanti sentì tornarle la volontà e spinse via, con violenza e rabbia, il ragazzo prima di girare sui tacchi e fuggire via a gambe levate.
Correva sotto la pioggia scrosciante, bagnata fradicia, urtando contro le persone che camminavano in strada, sprofondando con rumorosi “splash” nelle pozzanghere, piangendo a dirotto con la voce di Dan che le rimbombava nelle orecchie e si sovrapponeva alla sua voce interiore che le urlava insistentemente: “stupidastupidastupidastupidastupidastupidastupida”.

Ci era ricascata di nuovo.  

 
Giorno dopo giorno le cose peggioravano.
Arrivava a casa la sera e sentiva la voce di Dan, carica di rimprovero, che le domandava come potesse averlo tradito in quella maniera ma nel frattempo sentiva il cuore perdere qualche battito mentre sentiva il ricordo dei baci di Orochimaru. E non riusciva a dormire, prendeva a pungi il cuscino per sfogare la sua frustrazione… imprecava, lanciava il libro che aveva sul comodino e poi crollava sfinita nel letto.
Non si sapeva spiegare cosa le stesse accedendo. Lei era una ragazza forte, fin da bambina…; non aveva mai contato sull’aiuto di nessuno –le faccende preferiva sbrigarsele da sola, contando sulle sue forze-, possedeva una buona dose di orgoglio che molto spesso sfociava in presunzione. Era sicura di sé, tenace: riusciva sempre a rialzarsi dopo ogni caduta, dopo ogni sconfitta, dopo ogni dolore… perfino quelli da cui pensava non si sarebbe mai più ripresa –come la morte di Dan e Nawaki- ma ora sembrava una bambola di porcellana, una ragazzetta ingenua e sciocca che si faceva condizionare dagli altri: perché diavolo Orochimaru riusciva a scombussolarla in quella maniera? Ogni dannata volta distruggeva le sue difese e la rendeva vulnerabile, sempre con quel sorrisino strafottente stampato in viso... come cazzo ci riusciva?
Lei non voleva Orochimaru, non voleva trovarsi ogni mattina a risvegliarsi in quel letto –ormai così famigliare-, non voleva lasciarsi andare con lui… non voleva infangare la memoria del suo Dan in quella maniera.

O forse invece si? Forse, in realtà, voleva Orochimaru, desiderava quel corpo che si muoveva sopra di lei, cercava il contatto con le sue labbra, bramava quell’annebbiamento che la pervadeva ogni volta che incrociava il suo sguardo… forse erano solo i sensi di colpa che la bloccavano, che le mozzavano il respiro… lei voleva quel sorrisino beffardo e strafottente.
“Nononononononononononono!” prese a ripetersi tra se e se, le mani premute contro le tempie per il mal di testa che le sembrava spaccare il cervello in due. Frustata si girò e tirò un poderoso pugno al muro, aprendosi le nocche così che il sangue prese a sporcargli la mano e il dolore ad offuscarle la mente.

 
Annaspava affannosamente cercando di sopravvivere ad ogni giorno, cercando di non farsi abbattere dai ricordi di Dan e Nawaki –che le riaffioravano ogni volta che posava lo sguardo su qualunque oggetto-, tentando di sopravvivere ai sensi di colpa che la invadevano tutte le volte che incrociava gli occhi duri di Orochimaru, provando a studiare per ottenere la nomina a poliziotto -. Non ci stava riuscendo per niente… era ad un passo dall’affogare.
E poi arrivò la scialuppa di salvataggio, e lei ci si aggrappò con tutte le forze che aveva in corpo… come un naufrago che  tenta di mettere in salvo la propria vita con la volontà della disperazione; una  vecchia zia l’aveva invitata per due settimane a casa sua, dall’altra parte del Giappone, per aiutarla a traslocare in cambio di un po’ di soldi. Accettò senza tentennamenti.
Quello che le serviva era proprio cambiare aria per un po’; quindi comprò i biglietti, preparò la valigia, comunicò a Sarutobi che si sarebbe prese una piccola pausa e salutò i compagni di corso.
Infine, in quel pomeriggio di fine primavera, si imbarcò sull’aereo e volò verso le sua scialuppa di salvataggio.

 

SPAZIO AUTRICE:
Eccomi tornata con il nuovo capitolo! ^^ In realtà non ho molto da dire in questo caso… Quindi direi che possiamo anche chiuderlo questo ‘Spazio Autrice’ XD (‘perché mai l’hai aperto?’ vi starete domandando! Bè mi sembrava brutto non salutare i lettori… si, cose inutili rulez!)
Al prossimo capitolo!
Eikochan.

   
 
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