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Autore: Rei Hino    19/04/2012    3 recensioni
Pochi capitoli per la storia di come Kirk e McCoy si sono conosciuti, dieci anni prima della TOS. Anche se il vero protagonista sarà Gary Mitchell, personaggio che merita di essere qualcosa di più che un'ombra =)
Data la natura del soggetto e il mio amore spopositato per la coppia Jim/Bones, sapete di aspettarvi un alto livello di patetico fluff da latte alle ginocchia, vi avverto! All'ultimo comparirà anche Spock in qualche modo, perché mi sento male a dividere troppo questi tre *^*
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James T. Kirk, Leonard H. Bones McCoy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Vi giuro, di nuovo, che NON slasho Gary e Jim, nonostante ciò che sta per succedere, ve lo giuro ahahahahahahah X°DD  
Per il resto, boh, non chiedetemi, non ne ho idea, non lo so che ho scritto, boh! *espatria*

Credo saranno altri due capitoli e un epilogo, o un capitolo e un epilogo o forse è meglio che mi fermo qui prima di sparare altre min****te dato che sta sola sembra solo che peggiorare XD

3
 
Jim non riusciva a capire cosa fosse accaduto, perché Bones avesse reagito in quel modo, in quella sua logicamente immatura esperienza in quel campo che gli rendeva impossibile comprendere il tumulto che si agitava nel dottore, e continuava a chiedersi dove avesse sbagliato.
Eppure non aveva confuso nessun segnale e di sicuro quel meraviglioso bacio non se lo era dato da solo. Allora cosa era accaduto? Perché si ritrovava a tornare in ospedale, da solo e agitato invece di stare ancora con lui?
La mente impegnata in questi pensieri non gli fece rendere conto della mano di Gary sull’avambraccio che con forza lo fece sbattere contro il muro di uno dei tanti piccoli corridoietti della base stellare.
“Ahia! Sei impazzito?! Sono ancora convalescente!”
Ma Gary non rispose e si impossessò prepotentemente della bella bocca del suo amico, senza un reale motivo, guidato da puro istinto.
Gary non aveva mai avuto simili desideri per il compagno di sempre, non gli era mai venuto alla mente che potesse esserci anche solo una semplice attrazione fisica per lui. Eppure, dopo quello che aveva visto sul ponte d’osservazione, dopo aver visto Jim stretto tra le braccia di un altro uomo, in quel modo, come se gli appartenesse, non aveva avuto in mente altro che riappropriarsi di ciò che era suo, e che suo doveva rimanere. Come a voler pareggiare il conto e prendersi anche lui quello che Jim aveva concesso a un altro.
“Mmm… nghn…”
Jim mugugnò nella sua bocca, tentando di liberarsi dalla presa, ma la morsa di Gary gli teneva le braccia ancorate saldamente dietro la schiena e si sentiva soffocare da quell’abbraccio prepotente e costretto che lo schiacciava contro il freddo muro metallico.
Una mano di Gary si spostò sulla sua delicata mascella, tenendogli fermo il viso contro il suo, obbligandolo a ricambiare quel contatto sbagliato. Jim riuscì a spostare le labbra quanto occorreva per mordergli forte il labbro inferiore, e il dolore improvviso fece allentare la presa a Gary, Kirk ne approfittò per spingerlo via da sé
“Sei impazzito?! Che accidenti ti dice il cervello?!”
Sbraitò, pulendosi il labbro dal sangue di Gary, mentre l’amico faceva altrettanto, mantenendo lo sguardo basso. Entrambi avevano il respiro veloce e il viso arrossato, Jim sentiva il proprio cuore battergli forte in gola, si avvicinò lentamente al compagno, mantenendo la guardia alta, nonostante, di Gary, non aveva il benché minimo timore
“Ti ho fatto male?”
Chiese preoccupato, alzando una mano verso il suo viso, Mitchell si tirò indietro inconsciamente, quasi sentendosi indegno di quella carezza. Scosse la bruna testa
“Hai fatto bene…”
“Che ti è preso?”
“Io… non lo so… lui non… non lo so…”
Si ritrovò a mormorare, apparendo molto più miserabile di quanto avesse voluto, non riuscendo neppure a dar corpo ai suoi pensieri, ma Jim, che lo conosceva meglio di quanto conoscesse se stesso, comprese. Comprese e sorrise
“Sei uno scemo…”
Sussurrò con dolcezza e, nonostante la reticenza di Gary, riuscì a stringerlo in un abbraccio
“…nessuno può portarmi via da te…”
Gli sussurrò all’orecchio. Il ragazzo bruno socchiuse gli occhi, Jim aveva, semplicemente, capito, forse meglio di lui, forse anche prima, ciò che stava provando, grazie alla sua speciale empatia.
Lo strinse forte a sé, non percepiva alcuna rabbia, rancore o qualsivoglia paura provenire da Jamie, era sereno, affettuoso, come sempre, come sempre era, anche con coloro che non lo meritavano affatto.
 
**
 
-Diario personale del dottor McCoy. Data stellare 48… 8… 4898 punto… quattro…-
 
Bones sbuffò sonoramente non riuscendo a fare mente locale neppure per ricordarsi che giorno fosse, diede velocemente la colpa al lavoro, la stanchezza, ben sapendo che la sua mente era settata su tutt’altro.
 
-…il paziente numero… non me lo ricordo, Kirk, James T., si è ripreso molto bene e molto più in fretta di quanto credevo, non posso prendermi tutto il merito della sua guarigione, ha un fisico forte e una mente sveglia. Sono felice che stia ormai bene, è così giovane e di così belle speranze che…-
 
Sospirò ancora e spense quell’aggeggio infernale, aveva sperato che ‘mettere nero su bianco’ per così dire, i suoi pensieri e le sue emozioni, avrebbe potuto servire a qualcosa, se non altro a confrontarsi con se stesso, una volta oggettivati i suoi stessi turbamenti, ma non era possibile, non ancora. Non aveva ancora del resto capito, né tantomeno accettato quel che era naturalmente nato, così velocemente e quasi in sordina che non se n’era neppure reso conto.
Era qualcosa che non gli serviva, che non voleva, non più, perché sempre era stato solo causa di problemi. E si ritrovò a stringere forte nella mano la penna del padd e a chiedersi perché diavolo se quel qualcosa doveva tornare a tormentarlo avesse scelto proprio le vesti di quel giovane.
Quel giovane soldato che sarebbe presto ripartito e fin troppo presto lo avrebbe dimenticato, sarebbe scomparso da un momento all’altro, mentre lui sarebbe rimasto in quel maledetto e angusto angolo del Creato, ancora una volta da solo, ancora una volta sconfitto.
Si chiese per quanto ancora la vita aveva intenzione di prendersi gioco di lui e si chiese che cosa potesse fare per evitarlo.
 
**
 
Il dottor McCoy entrò mestamente nella camera della corsia dove si trovava il tenente Kirk, era passata una settimana dall’ultima volta che lo aveva visto, si teneva in costante informazione circa la sua salute e la sua ripresa, ma la totale confusione che aleggiava nella sua mente e soprattutto nel suo cuore gli intimava di tenersi lontano da quel ragazzo, nonostante non desiderasse altro che vederlo e accarezzarlo ogni istante della giornata, e quel maledetto bacio, e ciò che poteva seguirlo, erano ormai il suo costante pensiero.
Fu lieto di trovarlo addormentato, si avvicinò senza fare rumore, il ragazzo aveva un’espressione serena, accese il monitor dietro di lui e ne osservò i dati per qualche minuto, concentrandosi solo sul suo lavoro di medico al momento.
Il tenente si era ripreso più che bene, se solo osava pensare alle condizioni nelle quali era giunto da lui, come lo aveva visto la prima volta, gli tremavano le gambe, aveva rischiato di morirgli tra le braccia, e la cosa peggiore era che se così fosse stato non avrebbe conosciuto quella meravigliosa creatura che lo aveva completamente rapito riplasmandogli l’esistenza.
“Finalmente…”
Sentì Jim sussurrare con una voce assonnata, ma ne colse lo stesso il tono ferito e infuriato, al quale non poteva dar torto di sussistere
“Pensavo dormissi…”
“Io pensavo mi stessi evitando…”
“Sciocchezze…”
Si allontanò sedendosi alla piccola scrivania vicino al letto, fingendosi occupato e distratto nel trascrivere dati e dati sulla cartella di Jim. Il ragazzo sorrise e scosse la testa
“Dici? E’ da una settimana che ti cerco, che chiedo di te, niente… per favore non prendermi in giro almeno”
Si rigirò sotto le lenzuola dandogli le spalle, Bones deglutì pesantemente, non era quello che voleva, non voleva ferirlo, quel ragazzo non lo meritava
“Non è così Jim, sai che non è così…”
Il tenente esplose in un’amara risata e si alzò seduto sul materasso
“Già, certo! Allora dimmi che cavolo è successo! Che cavolo Bones, non mi pare di averti obbligato a baciarmi! Ed è da allora che non ti vedo più! Merito una maledettissima spiegazione, non ti pare?!”
Stringeva forte il lenzuolo bianco nella mano, e la cosa che più feriva il dottore era che quel ragazzo avesse perfettamente ragione, la sua frustrazione era del tutto giustificata. McCoy alzò le spalle
“Che vuoi che ti dica Jim? Che vuoi sentirti dire?”
“Mi stavi evitando?”
“Jim…”
“Dimmelo Bones, ammettilo!”
“Per l’amor del cielo…”
“Bones!”
“Sì! Ti stavo evitando!”
Sbraitò, fissandolo per interminabili secondi di assoluto silenzio, per poi distogliere ancora lo sguardo mentre il viso gli bruciava di dolorosa rassegnazione.
 
“Di che hai paura Bones?”
Mormorò il ragazzo scendendo dal letto e avvicinandosi a lui lentamente, McCoy sorrise e scosse la testa, dunque infine Jim era arrivato al nocciolo della questione
“E di cosa dovrei aver paura, illustre psicologo?”
Lo disse con una leggerissima punta di amaro sarcasmo non intenzionale. Jim alzò le spalle
“Hai amato, hai sofferto, e ora hai paura… è tutto qua, non riesci a vederlo?”
“Non parlare di queste cose Jim, tu non le conosci, non ne hai la più pallida idea, non conosci il significato della parola a…”
“Amore?”
Bones lo guardò, riacquistando baldanza e coraggio, tipica di quando si conosce perfettamente la materia della quale si discorre e si è sicuri al cento per cento delle proprie posizioni
“Sì Jim, non parlare di cose che non conosci, non a me”
Kirk sorrise sprezzante, con la medesima baldanza nello sguardo
“Credi di avere l’esclusiva sulla sofferenza e sulla conoscenza, Bones? Non è così! Non sei l’unico ad aver sofferto né l’unico a conoscere di cosa sta parlando maledizione!”
“Tornatene a letto Jim, è meglio che io me ne vada”
Fece per allontanarsi ma il ragazzo gli afferrò con forza un braccio, Jim non si rese neppure conto del suo movimento, del tutto istintivo
“Scappi di nuovo?”
“Non sto scappando…”
“Stai scappando invece… Io sarò anche uno stupido ragazzino immaturo ma accidenti a te so quello che provo! Non voglio che ti allontani da me! Non scappare da me, maledizione!”
 
La voce non era ferma e non occorreva guardarlo in viso per captare il suo sguardo lucido, di dolore e rabbia, da lui causate, e questo McCoy non lo sopportava. Jim era un ragazzo giovane, ingenuo, dedito ai piaceri, rincorreva i suoi sentimenti senza porsi particolari domande o dubbi, sul futuro, sulla natura delle sue emozioni, semplicemente le viveva. Con quell’entusiasmo tipico della sua giovane età e della sua totale inesperienza.
Non poteva andare a confondersi la vita con quel ragazzo, non poteva permettersi altri giochi di questo genere, non dopo quello che aveva passato. Di qualunque natura fosse quello strano legame che captava con quel giovane, era forte, gli faceva male, dunque doveva allontanarsi.
Ma allo stesso tempo, non sopportava che quel ragazzo ne soffrisse, non era il caso, non ne valeva la pena, non per lui. E non capiva come Jim potesse continuare a volerlo.
Non comprendeva perché quel giovane perdesse il suo tempo e le sue energie con un insulso medico di campagna. Perché non c’era altro da vedere in lui.
Ma Jim vi aveva visto invece la colonna, la forza, la sicurezza e la maturità che non trovava in se stesso, perché probabilmente in lui non vi era posto per quelle caratteristiche. Aveva visto questo e molto di più.
Aveva visto qualcosa che sapeva di lui, qualcosa di unico e insostituibile che avrebbe protetto, custodito e tenuto stretto per tutta la vita.
Bones non poté impedirsi di stringere a sé quel ragazzo, che non aveva ancora capito quanto fragile in realtà fosse dietro tutta quella strafottenza ostentata. Un abbraccio riparatore, offrendogli a quel modo, le sue tacite scuse e la sua colpa.
Jim affondò il viso sulla sua spalla, nel suo bianco camice e si avvinghiò forte con le dita alla sua schiena
“Non sei uno stupido ragazzino immaturo Jim… non ho mai pensato questo…”
Gli prese il bel volto tra le mani per osservare quegli occhi inquieti che non smettevano di brillare
“…sei semplicemente un ragazzo, con la sua vita e i suoi sogni da portare avanti, le sue avventure che lo attendono… Tra due settimane ripartirai, e io resterò qui… qualunque cosa sia, tra te e me, capisci che non ha futuro? Dimmi che lo capisci”
Jim respirò profondamente, si strinse a lui di più e gli prese le mani tra le sue
“Tu non riesci a vedere il tuo futuro, Bones… ma non vuol dire che questo non ci sia…”
Il dottore sorrise dolcemente e gli baciò la fronte e facendo appello a tutta la forza di volontà che possedeva, si allontanò da lui, pregando che non parlasse né lo fermasse, perché sapeva quanto gli sarebbe stato impossibile andarsene, e chiuse la porta dietro di sé.
 
**
 
-Diario del tenente Mitchell, data stellare 4849 punto sette.
I due mesi di obbligata licenza che siamo stati costretti a prendere sono quasi conclusi. Le riparazioni alla Ferragut sono ormai ultimate, nonostante la mancanza di alcuni pezzi di ricambio, data la posizione di questa base stellare, saremo benissimo in grado di giungere sul sistema di Centauri, dove riceveremo riparazioni più adeguate.
Questa è stata la decisione del capitano Garrovich, oramai del tutto inasprito da tale situazione. Il capitano ha più volte espresso a Starfleet la sua volontà di ripartire al più presto e riprendere la sua missione e ora che tutti i membri dell’equipaggio feriti si sono rimessi in salute, l’ammiragliato ha acconsentito.
Dal canto mio sono ben felice di ripartire e seguitare la missione che abbiamo dovuto bruscamente interrompere causa il nostro incidente e spero che tutto vada per il meglio…-
 
Non trovò decisamente opportuno aggiungere le sue personali angosce, nemmeno nel suo diario personale, perché più le ripeteva, più ci pensava, più apparivano così incredibilmente stupide da non voler neppure essere considerate.
Eppure, non era servito chissà quanto tempo per rendersi conto di quanto Jim stesse soffrendo in quel periodo, nonostante la sua solita ostentata spavalderia.
Gary conosceva Jim da troppi anni, avevano passato insieme quella che, in età così giovane, sembra quasi una vita intera, soprattutto alla luce di tutte le avventure e tutte le brutte e belle situazioni che avevano insieme affrontato e superato.
Lo conosceva bene, lo conosceva fin dentro l’animo perché condivideva con lui buona parte del suo carattere. Erano indissolubilmente simili e per questo si erano ritrovati ad essere così vicini, e per questo, eppure, non si capivano fino in fondo.
Balenò nella sua mente il pensiero che Jamie ricercasse qualcosa che non trovava in se stesso, e che quindi non trovava nemmeno in lui.
Quel qualcosa che Jim necessitava era tutto ciò che aveva trovato nel dottor McCoy.
 
**
 
I giorni continuavano a passare ognuno uguale al precedente, identici, nel silenzio e nella lontananza, in quell’indifferenza apparente e costretta, imposta, che non faceva altro che accrescere i sentimenti potenti e contrastanti che il dottore e il tenente sentivano.
Il tenente Kirk quella sera era riuscito a strappare a un’infermiera il permesso per uscire un paio d’ore da quelle bianche camere che tanto lo opprimevano, con la promessa di stare attento, di tornare presto. Promesse alle quali Jim aveva distrattamente annuito, non sentendo neanche una delle parole uscite dalle labbra rosse della ragazza, desideroso solo di uscire da quel posto, di fare due passi, da solo, con i suoi pensieri, cercando una minima distrazione, cercando solo di respirare e stare un po’ in pace con se stesso, dopo settimane che non ci riusciva.
Aveva seguito stretti cunicoli e corridoi, distrattamente, aveva deciso di scendere agli ultimi livelli della stazione, un po’ per la curiosità di vedere cosa ci fosse in quello strano e curioso mondo artificiale, un po’ perché sperava di trovare un po’ di solitudine.
Non aveva considerato che scendere ai livelli infimi di una colonia orbitante equivaleva a scendere nei quartieri malfamati di una qualsiasi città, di un qualsiasi pianeta, di un qualsiasi sistema solare.
Quartieri che seguono di pari passo il genere umano, che necessitano di nascondersi da sguardi indiscreti, perché la gente che vi si aggira non desidera essere vista. Zone che si tengono al nascosto e al riparo, al segreto, quelle zone delle quali si nega l’esistenza, che si tenta di estirpare e che eppure vengono costantemente tenute in vita dal bisogno intrinseco della loro funzione.
Serve ovunque una pattumiera…
Fu il primo pensiero che attraversò la mente del ragazzo non appena si ritrovò in quel freddo spiazzo metallico gremito di strani e differenti umanoidi, ognuno intento nelle proprie consuete e consumanti attività.
Il ragazzo biondo si strinse nelle spalle e proseguì fino a un piccolo interno dal quale proveniva una calda luce e un vociare indistinto, che altro non era che un semplice bar.
Le luci scure e l’atmosfera ovattata del locale erano opprimenti e soffocavano quasi l’aria, ma in quel momento quel buio era ciò che necessitava. Decise che era meglio evitare di guardarsi troppo intorno, lo spettacolo molto probabilmente non sarebbe stato edificante, e l’ultima cosa che voleva in quel momento era creare guai, quei guai che sembravano seguirlo di pari passo ovunque e che sempre l’avrebbero seguito.
Si avvicinò al bancone, dietro il quale un uomo, con strani lineamenti e caratteristiche aliene ereditate da chissà quale incrocio genetico, gli diede immediatamente un’occhiata curiosa, squadrandolo dalla testa ai piedi
“E tu che ci fai qua ragazzino? Sei scappato di casa?”
Jim sbuffò e si sedette su uno degli alti sgabelli, l’occhio gli cadde sul tizio accanto a lui che sembrava svenuto con la testa tra le mani
“Sì sono scappato di casa, ora posso bere qualcosa?”
Rispose con sufficienza, il barista sospirò e si girò per prendere una bottiglia
“Non che mi importi, ma credimi, non è un luogo adatto a uno come te...”
Il tenente non rispose in alcun modo, l’uomo non seppe neppure dire se avesse udito le sue parole.
 
Con il bicchiere tra le mani, e sorseggiando quella bevanda che non seppe identificare, non che gli importasse realmente di farlo, Jim si chiese dove diavolo fosse e che diavolo gli fosse accaduto per ridurlo in quelle condizioni. Perché il silenzio e la lontananza di Bones lo facessero soffrire così tanto, che senso aveva?
Forse Gary aveva ragione, l’unica spiegazione era che, infine, anche lui fosse capitolato all’amore, aveva una sua logica, se così si poteva chiamare. Gli era accaduto altre volte, ne era stato convinto, ma mai era stato così forte e improvviso, così lancinante, così maledettamente potente.
Perché lui? Perché adesso?
Per lui che l’amore non era mai stato nulla di essenziale, mai nulla di più di un incontro, mai nulla… Non lo voleva, non ne aveva bisogno, l’aveva sempre respinto laddove aveva rischiato di diventare qualcosa di pericoloso, era sempre scappato…
E non perché ne avesse paura, ma perché semplicemente quello non era il suo destino, non era la strada che aveva scelto, non voleva legami nella sua vita, non ne aveva il tempo, non ne aveva lo spazio.
Aveva altre priorità, il futuro che si era scelto, semplicemente, non lo prevedeva.
Forse anche Bones aveva ragione, è la vita a decidere per te e a sballottarti a destra e a manca… e la sua vita l’aveva adesso portato lì, a quell’uomo… distraendolo dal suo cammino predisposto, e ora lo stava consumando lentamente…
Alla volontà di mettere fine a tutto e riafferrare la vita per le corna si opponeva la terribile volontà di stringersi a lui, di sentirsi ancora protetto in quell’abbraccio, di sentire di nuovo quella completezza, quella perfezione, che aveva sentito unendo le proprie labbra alle sue…
 
“Ehi, bambino…”
Una voce roca e vagamente metallica, a pochi centimetri dal suo orecchio, lo fece destare. Jim girò il volto e trovò lo sgraziato viso di un uomo alto e ben piazzato, con lo sguardo vacuo e le guance arrossate, che lo fissava con un mezzo sgradevole sorriso
“Bel visetto…”
Continuò a blaterare quella voce maleodorante di alcol da quella pochissima distanza. Jim alzò gli occhi al soffitto, l’ultima cosa che voleva era scatenare una rissa… anche se forse, almeno lo avrebbe distratto dai suoi pensieri. Improvvisamente il pensiero di prendere a pugni qualcuno divenne stranamente attraente.
“Ti consiglio di lasciarmi stare, non è proprio giornata”
Ammonì l’uomo, che per tutta risposta sorrise ancora di più
“Ha anche un bel caratterino…”
Jim lo vide guardare davanti a sé, istintivamente girò il volto in quella direzione, e si accorse solo adesso di essere preso tra due fuochi. L’altro tizio aveva il medesimo insolente sorriso, sembrava più giovane e fisicamente debole, ma la stretta che subito mostrò, afferrando la sua delicata mascella, gli fece cambiare rapidamente opinione al riguardo
“Dovremo insegnargli modi migliori di usare questa bella bocca…”
Gracchiò passandogli un dito sulle labbra, Jim fece per sferrargli un colpo ma una terza voce alle sue spalle bloccò i due uomini
“Toglili quelle mani di dosso, Bob…”
La riconobbe subito, nonostante fosse leggermente contorta da quella che era facile individuare come una sbronza
“Buonasera, Doc”
Mormorò la voce dell’uomo identificato come ‘Bob’
“Mi hai sentito?”
Bones ripeté, si avvicinò e strattonò il braccio di Jim, tirando il ragazzo a sé
“Prova anche solo a guardarlo di nuovo e la prossima volta che finirai in ospedale avrò l’immenso piacere di pensare a te personalmente!”
Buttò fuori tutto d’un fiato, non smettendo di fissarlo con due occhi brillanti e furenti che lasciavano trasparire quella identificabile solo come l’immensa collera che si può provare davanti al più grande degli oltraggi.
I due uomini alzarono le spalle con noncuranza, abbozzando un sorriso innocente
“Si calmi Doc, non sapevamo fosse roba sua!”
“Beh ora lo sapete, levatevi di torno, subito!
I due ridacchiarono tra loro e si allontanarono dal bancone senza lasciarsi ripetere due volte il ‘cortese’ invito.
 
“Che diavolo sei venuto a fare qui?!”
Bones ringhiò all’orecchio di Jim strattonandolo ancora per il braccio
“Mi stai facendo male!”
“Cammina fuori!”
Lo spinse verso l’uscita non smettendo di stringergli forte le carni.
“E lasciami, maledizione!”
Esclamò Jim furioso liberandosi dalla presa dell’amico, una volta che furono entrambi fuori dal locale
“Che razza di postaccio è questo?! Non dovrebbe neppure esistere su una base stellare!”
Urlò indicando la bettola dalla quale erano appena usciti
“Sono ovunque questi posti, Jim…”
Borbottò il medico accasciandosi con la schiena sul muro di quella zona in ombra dello spiazzo silenzioso, ora che era rimasto semivuoto
“E tu li frequenti?!”
Esclamò ancora
“Andiamo, ti riporto nella tua camera”
Fece per afferrarlo di nuovo ma la sua postura sbilenca lo fece scontrare contro il muro, Jim sorrise amaramente
“Ma se sei completamente ubriaco…”
Mormorò tristemente, provava un certo fastidio nel vedere il dottore ridotto a quel modo, provava un certo malessere nel sapere che luoghi frequentasse. Ne provava un indubbio dolore, ma il fastidio era ad esso superiore, che fosse gelosia per ciò che il dottore poteva lì incontrare o frustrazione data dal non conoscere nulla di quella vita che tanto gli era cara, ancora non riuscì a capirlo.
Si avvicinò al medico allargando le braccia e indicandolo
“Ma guardati… perché ti riduci così? Non ha alcun senso, Bones…”
“Oh tu invece sai cosa ha senso, vero?”
“Bones…”
“Che diavolo vuoi da me, Jim?!”
Esclamò il dottore afferrandolo di nuovo per le spalle e incatenando gli occhi celesti e confusi nei suoi, vagamente intimoriti
“Io non ti ho mai chiesto nulla! Non ti ho mai chiesto di entrare nella mia vita e sconvolgermela così! Non ti ho mai chiesto di farmi provare questi sentimenti… di nuovo! Io stavo bene qui, con me stesso e me soltanto… Avevo chiuso quella pagina! Non ti ho chiesto di apparire e rimettere tutto in discussione!”
Gli gridava continuando a stringerlo, con il viso a pochi millimetri di distanza dal suo
“Maledizione Jim…”
Mormorò poggiando la fronte sulla sua e scuotendo freneticamente la testa
“…perché non riesco a toglierti dalla mente? Perché continuo a sognarmi le tue labbra, i tuoi occhi, il tuo profumo, questo dannato bellissimo sorriso con il quale mi guardi… Non ti ho mai chiesto nulla di tutto questo… Che diavolo vuoi da me?”
“Io… solo te…”
Dichiarò Jim con quella dolce espressione, carezzandogli il volto, con quell’ingenuità meravigliosa che McCoy non riusciva più a tollerare; la sua luce non faceva altro che rimarcare le tenebre nelle quali si era imposto di vivere.
 
Sorrise, un sorriso arcigno, crudele, che Jim non gli aveva mai visto
“Certo… Il cacciatore ha scelto la sua ennesima preda, vero?”
Jim aggrottò le sopracciglia
“Cosa? No, Bon…”
“Sono solo l’ultima conquista da mettere nell’elenco, un altro degli innumerevoli sfizi che vuoi soddisfare…”
“Ti giuro che non è que…”
“E una volta che ti sarai tolto la curiosità, ti metterai l’anima in pace, dico bene?”
“Perché ti rifiuti di ascoltarmi?”
Mormorò Jim, quasi fosse un pensiero tra sé, con la consapevolezza che Bones non avrebbe mai prestato attenzione alle sue parole, non si sarebbe mai fidato di lui.
“Allora togliamoci questo sfizio Jim, così mi lascerai in pace finalmente…”
Jim cercò di trattenere il respiro, ma l’odore dell’alcol nel soffio di Bones gli si era già insinuato fin dentro i polmoni, non fu difficile rendersi conto dell’eccitazione dell’amico, che sfregava in quel modo maledettamente osceno su di lui, addossati su quel muro, in quel pubblico spiazzo.
 
Kirk si rifiutò di focalizzare l’attenzione su quel dannato particolare riportando lo sguardo sul volto del dottore, era arrossato, e bollente, vagamente sudato.
Ma mentre i loro inguini continuavano a strofinarsi, pressati l’uno contro l’altro, l’unica cosa alla quale Jim riusciva a pensare era quel desiderio intossicante che si stava impadronendo di lui istante dopo istante, fino a fargli perdere completamente la ragione.
 
Jim non osava minimamente muoversi di un centimetro, sopraffatto dall’inquietudine e da una leggera angoscia, il dottore mosse le mani dalle sue spalle giungendo ad afferrargli la nuca e i capelli chiari, tirando il volto del ragazzo in avanti e verso l’alto. 
Sopraffatto dal profumo di Bones, dalla sensazione di quel viso sudato premuto contro il suo, la bocca di Jim si schiuse, lasciando il posto all'assalto, quasi famelico, di McCoy, e la lingua del dottore si lanciò immediatamente ad esplorare ogni centimetro di quella bellissima bocca che aveva appena violato. 
 
Pensare era diventato impossibile e senza importanza, come del resto respirare e le mani del ragazzo raggiunsero il petto dell’uomo, avvinghiandosi forte alla sua maglia scura.
La mano di Bones si spostò con un movimento veloce e improvviso all’inguine del tenente, premendo quell’erezione già accennata con il palmo e carezzandola con forza attraverso il tessuto dei jeans.
Il respiro di Jim si ruppe in rantoli e tutto il suo corpo rabbrividì, stretto contro quello dell’amico. Kirk doveva porre fine a tutto quello, c’era qualcosa di terribilmente sbagliato, non doveva andare così, non con Bones in quelle condizioni, non addossati contro quel muro, non con quell’impeto. Ma la mano del dottore che gli abbassava la cerniera dei pantaloni e l’altra che vagava sul suo petto, fattasi strada sotto la maglia, lo lasciavano del tutto inebetito e incapace di fare qualsiasi cosa, bramoso solo che quel meraviglioso contatto non smettesse.
“E’ solo questo vero? E’ questo ciò che cerchi da me, che cerchi da tutti…”
Mormorava il medico scandendo bene le parole, mentre la sua mano si era insinuata oltre i tessuti della biancheria, spingendo ulteriormente contro il ventre del ragazzo.
A Jim sfuggì un singhiozzo che non lo sorprese ma che non avrebbe mai voluto lasciar andare, ma il controllo non era una possibilità al momento. La mano di Bones era ora gentile, e carezzava su e giù la sua intera lunghezza, tenendola saldamente tra le dita, e Jim continuò a stringersi a lui e completamente in balia di quelle sensazioni, premette di più il bacino verso la sua mano, alla disperata ricerca di qualcosa di più.
 
Gli strinse le braccia al collo e si schiacciò ancora più verso di lui e verso quel tocco tanto sospirato che proseguiva nelle sue sfrontate carezze, e affondò il viso nella spalla dell’uomo, strinse forte la sua maglia tra le dita, mentre lottava per soffocare gemiti convulsi e delle stupide lacrime di frustrazione che pungevano agli angoli degli occhi. Spinse e spinse ancora con i fianchi, intrappolato in quella morsa, fino all’ultima spinta e all’ultimo soffocato uggiolio di liberazione.
 
Non si mosse di un millimetro, mentre il respiro tornava normale e la sua mente capace di mettere due parole in fila. Sentì le braccia di Bones muoversi, ma il corpo del dottore non si allontanava dal suo.
McCoy continuava a deglutire pesantemente, la mente ovattata e confusa dall’alcol, da Jim, da ciò che stava facendo e che era riuscito a fermare, per chissà quale miracolo.
Si pulì la mano con un fazzoletto che teneva in tasca e rivestì velocemente il ragazzo, lottò con tutto se stesso per non stringerlo forte tra le braccia, per non carezzarlo e ricoprire di baci quel bellissimo corpo che ancora tremava nel suo abbraccio.
Si allontanò, lo coprì con la sua giacca e lo trascinò via.
 
**
 
“E’ troppo tardi per riportarti in corsia…”
Mormorò quando furono entrati nel suo saloncino
“Fa come se fossi a casa tua… vado a dormire…”
Non attese alcuna risposta, non ebbe nemmeno il coraggio di alzare lo sguardo su di lui e si recò nella sua stanza.
Jim rimase qualche istante in assoluto silenzio, con la mente completamente vuota di ogni pensiero.
Il gesto di Bones lo aveva agitato, inutile negarlo, era stato azzardato e improvviso, e per quanto assolutamente piacevole, o per quanto avesse disperatamente sognato il suo tocco, quel modo lo aveva del tutto interdetto. Forse era lo stato d’animo nel quale si trovava Bones, o peggio, era il proprio stato d’animo… perché se non fosse stato altro che puro e superficiale desiderio, non si sarebbe trovato ora con quel magone nello stomaco e nel cuore.
Jim era ormai certo che fosse ben altro, o tutto quello non sarebbe stato minimamente importante…
Alzò il volto sulle scale del piccolo appartamento che davano alle due camere da letto, dove poco prima era salito il dottore. Forse inconsciamente, Jim si avviò a quei gradini.
Immaginava come potesse sentirsi McCoy, da quel che di lui aveva avuto l’onore di conoscere, probabile che il dottore si sentisse in qualche modo colpevole di ciò che aveva appena fatto, e nessuna parola sarebbe servita a convincerlo che non avesse fatto nulla di male o di non voluto.
 
Difatti lo trovò sul letto, steso supino con gli occhi spalancati e le braccia lungo i fianchi. Jim si sedette sul materasso, senza guardarlo, Bones si scostò facendogli un po’ di posto accanto a lui, il volto del ragazzo si illuminò, e finalmente gli tornò quel dolce sorriso felice che il dottore non riusciva a non ammirare.
“Non so cosa dire, Jim…”
Mormorò impercettibilmente McCoy, dopo qualche infinito secondo di assoluto silenzio, il ragazzo continuò a sorridere, e sdraiatogli accanto, gli strinse una mano
“Non dire niente, va tutto bene… dormiamo…”
Sussurrò girandosi su un lato, verso di lui. La tensione di McCoy si sciolse, senza riuscire a trovare una motivazione specifica, forse era la sua vicinanza, il suo sorriso, la sua voce serena, il suo animo quieto… o semplicemente il fatto che non lo temesse.
“Sì, sarà meglio…”
Con la testa pulsante a quel modo non ci mise molto a cadere profondamente addormentato.
   
 
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