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Autore: unknown_girl    20/04/2012    1 recensioni
[...] Pronunciò quella frase osservando il paesaggio umido fuori dalla finestra. Il vetro appannato rendeva indefiniti i contorni delle auto e delle case all’esterno. I pochi suoni che si percepivano, il motore di un autobus, il gracchiare di un corvo solitario o lo sgocciolio delle tettoie, erano resi ancora più ovattati dal silenzio dell’alba inoltrata.
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Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Si potrebbe dire che in quella serata Francis Bonnefoy avesse giocato un po’ il ruolo dell’arbitro di gara, dando prova di eccellenti capacità di monitoraggio. Sicuramente ebbe un ruolo importante anche la maturità -o presunta tale- con la quale i due protagonisti si comportarono: Arthur sembrava essersi rinchiuso in una bolla di isolamento, senza spiccicare una parola se non strettamente necessario ed evitando con grande maestria di incontrare lo sguardo dell’amico americano che, da parte sua, era diventato ugualmente silenzioso e innaturalmente timido.

L’inglese e il francese si erano occupati della cena, mentre Alfred aveva vagato tra la cucina e il salone, osservando loro e di tanto in tanto concedendosi un po’ di zapping. Il pasto si era infine svolto nel più religioso dei silenzi; l’americano aveva giusto espresso un giudizio entusiasta riguardo la ricetta del francese, ma era subito tornato sulle sue. Ma la parte peggiore veniva adesso, nel dopocena: ancora tutti e tre seduti al tavolo della cucina, coi piatti vuoti davanti a sé, si osservavano l’un l’altro brevemente, come in una serie di istantanee fotografiche, e inaspettatamente fu proprio Arthur a spezzare il silenzio.

– Aiuta Francis a lavare i piatti. – Ovviamente il tono della sentenza -perché questo era- dava l’idea di non ammettere la minima replica, mentre lo sguardo gelido che rivolgeva al più giovane dei tre contribuiva ad accrescere la sua aura di minacciosità. Alfred apparve per un attimo a disagio, non tanto per l’ordine espresso dal ragazzo, quanto invece per il fatto che si fosse rivolto proprio a lui e attraverso quel tono scuro. Ricambiò lo sguardo, anche se decisamente più incerto e timoroso rispetto a quello inflessibile dell’inglese, e così come gli capitava sempre quando si trovava nell’imbarazzo, accennò un sorriso impacciato decidendo quindi di alzarsi con un leggero cenno di assenso del capo. Così fece pure il francese il quale, nell’alzarsi, prese con sé i piatti e le posate dando poi le spalle ad Arthur e dedicandosi invece alla cucina insieme ad Alfred che, nel frattempo, gli si era affiancato incuriosito, come un bambino a cui viene assegnato un compito per la prima volta e non sa cosa deve fare. Francis gli sorrise, parlandogli in tono pacato e amichevole, chiedendogli di passargli piatti e stoviglie sporche. In quei quindici minuti successivi soltanto i loro bisbigli si alternavano allo scroscio dell’acqua calda del lavello, come se avessero paura di disturbare Arthur il quale per tutto il tempo rimase seduto al suo posto, prima intento a giocare col legno del tavolo e poi con i fogli di una rivista a caso che era poggiata lì vicino sul ripiano. Non sembrava volersene andare, ma in compenso non mostrava la minima intenzione di voler partecipare al dialogo tra i due, per quanto scarno. Piuttosto, dava l’idea di essere una specie di sorvegliante che in silenzio osserva il lavoro dei due tirapiedi; o almeno, questa era la prima immagine che al francese era venuta in mente.

– Tu non puoi dormire in salone. – Si espresse finalmente l’inglese, un po’ come un fulmine a ciel sereno. Francis, che ormai si stava asciugando le mani, si voltò verso di lui non sapendo a chi si stesse riferendo.

– Io? – Domandò insicuro. – Non tu, lui. – Aggiunse Arthur indicando con un cenno della mano il ragazzo più giovane a fianco del francese. – Ci dorme Francis in salone, quindi ti devi trovare un’altra sistemazione. – Commentò laconico e crudo. L’americano diede un’occhiata prima al biondo col pizzetto, poi di nuovo ad Arthur. – Bè…c’è sempre camera tua, no? – A quell’interrogativa retorica l’inglese rispose con una smorfia suggestiva, ritirando leggermente indietro la testa per la sorpresa. – Come? – Alfred sembrò cominciare a trovarsi in difficoltà di fronte alla riluttanza così manifesta dell’amico. – Ahm, sì bè..ci dormiamo spesso insieme quando sono qui…no? – Cercava delle conferme alle proprie supposizioni da parte dell’amico, come se stesse cercando di rievocare in lui dei ricordi che sembrava aver dimenticato, oppure volutamente ignorato. – Il tuo letto è grande e…insomma, non sarà mica la prima volta, giusto? – Gli occhi di Alfred guizzavano da Arthur a Francis, a ricercarne un supporto morale forse, temendo che l’inglese l’avrebbe azzannato alla giugulare da un momento all’altro per quella proposta che a lui sembrava la più scontata del mondo. E in effetti lo sarebbe stata in una condizione normale, peccato che Alfred avesse dimenticato quel piccolo dettaglio che voleva che Arthur fosse furioso con lui, figuriamoci quanta voglia avrebbe avuto di dividerci il letto. Da parte sua Francis non se la sentì di intervenire e preferì attendere l’intervento del padrone di casa, il quale dopo aver squadrato con occhi carichi di rimprovero e astio la figura dell’americano gli rivolse delle parole dure: – Certo che tu hai proprio la faccia come il culo. –

Le dita dell’inglese adesso accartocciavano nervosamente l’angolo di una pagina della rivista che aveva di fronte, poggiata sul tavolo, e aveva l’aria di uno che stesse per esplodere da un momento all’altro. – Ma non ti vergogni di essere così stronzo? – Domandò con tono sempre più forte, sporgendosi verso il suo interlocutore, e fu qui che Francis decise per un’entrata a gamba tesa. Si staccò dalla cucina e pose la propria figura tra le altre due, cercando di alterarne se non altro il contatto visivo, proponendo: – Ma che importa adesso? Alla sistemazione dei letti possiamo pensarci dopo, dico bene? Perché invece adesso non andiamo in salone e ci rilassiamo? – Per quanto però l’intervento del francese fosse stato puntuale e pacifico non ebbe esattamente l’effetto desiderato. Arthur difatti chiuse con un gesto brusco la rivista, facendola sbattere con forza sul tavolo, e tirò indietro la sedia con uno stridente gracchiare sulle piastrelle della cucina, alzandosi poi in piedi e ignorando completamente l’intervento del ragazzo più grande. – Sai che c’è? Puoi dormire dove ti pare, tanto per me è come se non ci fossi; meriti solo di essere ignorato. –

E pronunciate queste parole nella più fredda delle intonazioni, si scostò dal tavolo e si diresse verso l’uscita della cucina, sennonché l’americano si sporse verso di lui per afferrargli con forza un polso, nel tentativo di fermarlo. – La vuoi smettere, Art? – Lo stringeva preoccupandosi di non avvolgerlo in una stretta troppo blanda e insicura ma al tempo stesso controllandone la forza, per evitare di essere troppo aggressivo: voleva mostrarsi risoluto e determinato, ma il timore di strafare e cadere in errore lo frenava. Evidentemente tutte queste remore e riflessioni furono del tutto inutili visto che l’inglese, ben lontano dal farsi ammansire, con uno scatto brusco e scortese del braccio si liberò dalla sua presa combattuta, fulminandolo con lo sguardo. – Non mi toccare. – E senza aggiungere altro né voltandosi di nuovo indietro, lasciò la cucina a passo svelto, salendo le scale e dirigendosi presumibilmente in camera. Come solo lui sapeva fare, aveva lasciato i due compagni a digerire un senso di amarezza e imbarazzo notevoli, soprattutto per l’americano. Il francese, ancora con il canovaccio in una mano, si affrettò a confortare l’altro ragazzo, vittima dell’ennesima aggressione verbale da parte del britannico dalla lingua tagliente.

– …tutto okay? – Domandò con un atteggiamento timido, sfiorando con una mano il braccio di Alfred. Il ragazzo sbuffò sonoramente, scuotendo la testa senza rispondere nell’immediato; quindi si scostò dal ripiano della cucina e fece qualche passo verso l’uscita per poi voltarsi e dire: – Mi prendo una mezzora e poi salgo su a dirgliene quattro. –

Era molto più presto di quando era solito coricarsi. Forse poco più tardi delle dieci, non ne era certo.

La stanza era buia, illuminata debolmente solo dalla tiepida luce della luna che filtrava dalla finestra. Non si era nemmeno preoccupato di abbassare la serranda; dettagli insignificanti, alla fine. Il cuscino poi gli sembrava meno comodo del solito, o magari erano i muscoli della sua cervicale che erano troppo tesi e gli impedivano il sonno. Aveva passato gli ultimi dieci minuti a rigirarsi nel letto come un ossesso, non riuscendo ad adeguarsi mentalmente all’idea di avere Alfred in casa, tanto più alla consapevolezza che prima o poi sarebbe salito in camera e si sarebbe infilato nel suo letto. Per come si presentava in quel momento la sua condizione interiore, un subbuglio di rabbia e frustrazione, quella imminente certezza gli appariva come una violenza psicologica, uno stupro della privacy, un oltraggio al proprio ego scalfito. La parte più fiera di sé bruciava come se gli stessero versando alcool sulle ferite aperte e scalciava interiormente allo stesso modo di come un bambino fa i capricci. Provava a controllare il respiro, magari se si fosse addormentato subito avrebbe evitato di vederlo entrare in camera e di addormentarsi al suo fianco. Ma come avrebbe fatto a rilassarsi a sufficienza per poter chiudere gli occhi e lasciarsi docilmente prendere dal sonno? Sarebbe stato più facile farsi pestare e tramortire, almeno sarebbe riuscito a lasciare quel mondo di veglia inquieta. Si pentì amaramente di non aver preso almeno una camomilla prima di coricarsi, ma se ripensava a come si era congedato dalla cucina, certo non sarebbe potuto tornare indietro a prepararsi un infuso.

Andata come era andata, ormai era troppo tardi: già sentiva dei passi sulle scale. Quante possibilità ci sarebbero potute essere che fosse Francis? Gli venne istintivo trattenere il respiro in quel momento, come se un suo minimo rumore avrebbe in qualche modo potuto cambiare la direzione di quei passi che invece entrarono piuttosto diretti nella sua camera. Il parquet scricchiolò sotto quei piedi incespicanti -forse per via del buio- mentre Arthur, con le coperte tirate su fino al naso, osservava quella nuova figura scura con la coda dell’occhio appena schiuso, fingendo di dormire. Ovvio che fosse lui, aver pensato il contrario era stato solo un infantile quanto improduttivo conforto passeggero. Lo vide esitare sulla soglia e poi chiudere la porta dietro sé. Poi finalmente lo osservò avanzare verso il letto, mentre l’inglese dal canto suo evitava anche il più piccolo movimento per rendere più credibile la sua recita. Riuscì a notare che Alfred teneva con sé una borsa piuttosto capiente, simile a quelle da palestra, e dei vestiti tra le braccia, probabilmente un pigiama. Se Arthur avesse potuto prevedere tutto questo si sarebbe di certo liberato di quell’ampio e comodo letto ad una piazza e mezzo che adesso invece lo stava costringendo a dormire insieme all’americano. Già sapeva che quella sarebbe stata una delle notti più lunghe della sua vita.

Tanto per contornare il tutto con altre piacevoli circostanze, Alfred non sembrava nemmeno fare troppo caso ad eventuali movimenti bruschi e soprattutto rumorosi: vinta l’incertezza iniziale, non si era più preoccupato di controllare i propri passi ed era giunto verso il letto con un incedere pesante, riuscendo anche a colpire un angolo del letto col ginocchio e inoltre, non pago di questo e dando ancora una volta prova della sua grande pigrizia, aveva lasciato cadere a terra la borsa senza accompagnarla, provocando un tonfo che rimbombò ben distinto nella stanza. Già questo sarebbe bastato all’inglese per cacciarlo a dormire sul pianerottolo, ma in questo particolare caso l’offesa subita gli impediva anche solo di rivolgergli la parola, fosse pure per un rimprovero. Era sdraiato su di un fianco, col viso rivolto verso la porta, mentre alle sue spalle sentiva le vesti dell’americano scivolare sulla pelle, poi un rumore di cinta: il tintinnio della fibbia e l’ardiglione che sfregava sul cuoio. Si stupì di quanto attentamente stesse seguendo nella mente i suoi movimenti e di come in ogni istante fosse certo di quale parte dell’abbigliamento l’altro stesse abbandonando. Alfred fu piuttosto lento, come suo solito, ma la parte peggiore fu quando sollevò le coperte in maniera così energica da far sì che una folata di aria fredda colpisse esattamente la schiena dell’inglese, facendolo gelare per un istante. Avrebbe voluto tirargli una tallonata in un fianco, ma sarebbe venuto meno al suo impegno di fingersi addormentato.

L’americano dedicò parecchio tempo a sistemarsi su quel materasso attraverso ampi movimenti, adagiandosi senza alcuna attenzione per il suo compagno di letto e impiegandoci all’incirca due minuti per riuscire a trovare una posizione adatta e che lo facesse stare finalmente fermo e quieto. Inutile dire che l’inglese fosse ormai saturo della sua maleducazione, tanto che gli balenò l’idea che lo stesse facendo apposta; forse Alfred si era accorto che non stava realmente dormendo? In ogni caso, anche se provato, Arthur a quel punto avrebbe volentieri accettato di concentrarsi per riuscire a dormire e ad ignorare la scomoda presenza dell’altro accanto a sé. Tuttavia i suoi buoni propositi furono cancellati con una sola frase.

- Arthur, lo so che sei sveglio. – La voce dell’americano gli suonò particolarmente matura in quel momento. Poco male, non si sarebbe certo lasciato abbindolare; per quanto lo riguardava poteva anche parlare da solo tutta la notte, non aveva intenzione di confrontarsi con lui. – Devi ascoltarmi adesso, e anche per bene, okay? Quindi girati, dai. – Insisteva il più giovane, mostrandosi il più cordiale possibile mentre alzava le braccia per incrociarle dietro la nuca, sopra il cuscino, tenendosi la testa leggermente rialzata e con la sguardo rivolto al soffitto chiaro. Forse sperava che qualche secondo di attesa avrebbe facilitato il processo di convincimento dell’inglese a collaborare, ma le sue previsioni erano state fin troppo ottimiste. Arthur difatti, per quanto avesse voglia di voltarsi e urlargli in faccia che non lo sopportava e voleva essere lasciato in pace, si sforzò di mantenere l’autocontrollo, senza accennare il più esile dei movimenti né alcun assenso alla sua proposta. Cadde quindi il silenzio, interrotto ad intervalli regolari dai sospiri dell’americano, il quale non si poteva certo dire fosse un tipo paziente. Ruotò quindi il viso verso l’altro, sfiorandone con lo sguardo i capelli biondi, l’unica cosa in grado di emergere da quell’avviluppo di lenzuola e coperte nel quale l’amico si era infagottato -o forse nascosto-

Alfred lo fissò a lungo, decidendo infine di allungare un braccio verso di lui per poggiare una mano sulla sua spalla, tirandolo con forza contenuta, temendo reazioni violente o inaspettate. Ma in effetti una brusca risposta era il minimo che potesse aspettarsi da lui, tant’è che a quel contatto l’inglese -che dovesse continuare a fingere di dormire o meno- ebbe l’impulso incontrollato di scostarsi con un colpo di spalla, respingendo la mano dell’altro e raggomitolandosi con maggiore smania tra le coperte, trattenendo commenti verbali. L’americano, anche se respinto, poteva almeno ritenersi soddisfatto di aver appurato con certezza il fatto che non stesse realmente dormendo. – Ehi, non ho mica la peste sai? – Rispose aggrottando le sopracciglia e gonfiando una guancia. – Insomma, smettila di fare l’immaturo e parliamone civilmente. – A quelle parole Arthur non poté più trattenersi e si lasciò andare ad un’amara quanto cinica risata. – Ahah, sentirti dare dell’immaturo a qualcuno è davvero ironico. E comunque non ho alcuna voglia di parlare con te adesso, lasciami in pace e dormi per conto tuo. – Il tono inflessibile avrebbe probabilmente fatto desistere chiunque dal ritentare un qualunque approccio, ma se c’era una cosa di cui Alfred F. Jones godeva in quantità illimitata era la testardaggine. Voleva essere ascoltato, e si sarebbe fatto ascoltare. Abbandonò quindi la sua posa e si voltò anch’egli su di un fianco, come l’altro, mettendosi ad osservare le pieghe irregolari delle lenzuola intorno alla figura dell’amico poco distante. Poggiò un gomito sul cuscino e pose sul palmo il mento, restando ancora qualche attimo in silenzio a fissarlo e basta. Infine, deciso nel suo proposito e riacquistata una maggiore sicurezza di sé, riprese a parlare.

– Forse la verità è che non sei in grado di confrontarti seriamente con me. O magari è perché sai che metà della colpa è tua visto che neanche hai mai letto i miei messaggi, le mie mail.. – Lasciò sfumare il tono seguendo una scala discendente, a voler lasciare la frase in sospeso nell’attesa di una reazione repentina da parte dell’altro. Arthur Kirkland sarà stato anche una personalità complessa e sotto certi aspetti misteriosa, ma per lui aveva ormai ben pochi segreti.

E difatti, come previsto, il suo intervento provocatorio servì se non altro a farlo voltare verso di sé, nonostante sapesse che non sarebbe stato con buone intenzioni. L’inglese ruotò velocemente tutto il corpo verso l’americano, giungendo finalmente a guardarlo negli occhi, sollevandosi leggermente dal materasso. – Oltre a idiota e insensibile sei anche arrogante e ipocrita! Come se potessi avere timore a confrontarmi con uno come te. – Come spesso Alfred era solito fare, reagì a quella risposta scontrosa dell’amico in maniera del tutto opposta; sapeva che questo genere di effetto sorpresa solitamente o lo disorientava, ammansendolo, oppure lo irritava maggiormente. Sperando quindi che sortisse soprattutto il primo dei due effetti esclamò con un sorriso: – Oooh! Finalmente ti sei girato! – E aggiunse all’esclamazione anche un gesto di accompagno della mano. – Sei davvero imbecille. Non abbiamo nulla da dirci, non mi interessa se adesso fai i capricci. Se proprio vuoi sfogarti con qualcuno consulta un buon analista. – E detto questo fece per tornare a dargli le spalle, ma Alfred aveva previsto anche questo, e con un puntuale scatto della mano che teneva libera andò ad afferrare un braccio dell’inglese, forzandolo a rimanere nella sua posizione.

– Non sei solo tu a decidere come concludere la questione. Io ho intenzione di scusarmi come si deve e subito dopo di spiegare come sono andate le cose, perché non credere che tu sia a conoscenza di tutto. –

– Peccato che io non sia interessato a conoscere ulteriori dettagli della vicenda, mi basta quello che so. Tanto per te è sufficiente sempre e solo chiedere scusa e pensi che tutto sia bello che risolto, comportandoti allo stesso modo nelle occasioni successive, facendo sempre gli stessi errori. Sei irrecuperabile, quindi se non puoi fare a meno di comportarti così io ti rispondo che mi sono stufato, cercati un altro amico, ne hai a bizzeffe tanto, no? – E con uno strattone cercò di liberarsi dalla presa, ma senza successo. Tornò a dare uno sguardo agli occhi del più giovane e li vide leggermente assottigliati in un’espressione contrita. – Perché parli così? Lo sai benissimo che gli altri miei amici non sono certo oggetto di paragone. Lo so che ho sbagliato, ma è proprio per questo che voglio scusarmi, quindi ascoltami! – Provò a dare una possibilità all’inglese, allentando notevolmente la presa che manteneva sul suo braccio. Ma, come temeva, Arthur sfruttò quell’occasione per scostarsi e ritirare l’arto, mostrando di nuovo l’intenzione si voltarsi dall’altra parte guidato dalla più totale indifferenza. – Eh no, eh. – Si lamentò l’americano, optando per la tattica “a mali estremi, estremi rimedi”; si slanciò quindi verso di lui per bloccarlo, cingendolo per il busto e le spalle per poi costringerlo ad atterrare con la schiena sul materasso.

- Ho detto ascoltami, cavolo! – Ripeté tenendolo saldo poco sotto di sé, mentre l’altro aveva già preso a lamentarsi e ad agitarsi, in un tentativo di ribellione. – Levati, non toccarm- – Ma questa volta fu il più giovane ad interromperlo. – E basta! Sta’ zitto un attimo adesso, devo parlare io! – E con un altro movimento veloce se lo avvicinò ancora, facendo attenzione che non si agitasse troppo come un pesce fuor d’acqua. – Il punto è che io ho realizzato di aver fatto un errore già dal giorno dopo in cui ti avevo spedito la lettera! Mi è bastato rifletterci su attentamente per capire che non era certo stata la mossa migliore. – Queste due frasi a primo impatto sembrarono zittire Arthur, il quale non rispose e si limitò a fissare l’americano negli occhi, vedendolo momentaneamente in sospeso nel continuare la sua spiegazione. – La verità è che è stato tutto un attimo: mi è arrivata una mail con delle offerte di vacanze nel periodo natalizio, le ho sfogliate, e ne ho vista una interessantissima. Sono un impulsivo, lo sai e non lo nego, quindi in quel momento mi sono precipitato a controllare che le date coincidessero con le vacanze universitarie e che Matthew fosse disponibile, dato che la vacanza era in Canada e serviva un’altra persona per soddisfare le condizioni del pacchetto. E…e se vuoi che sia completamente sincero in realtà ho anche sbagliato a leggere l’offerta, perché io pensavo fosse per una settimana, non per due. Pensavo che quest’anno avrei potuto fare solo sette giorni da te invece che le solite due settimane, quindi…ho compilato tutto e ho pagato subito. Ho fatto una cazzata, okay? Ma ero così entusiasta di andare a fare snowboard che non ho pensato a nient’altro; se solo mi fossi fermato dieci minuti a riflettere avrei capito da solo che come minimo mi sarei dovuto consultare prima con te.. – La sua voce si andava affievolendo, come se avesse esaurito tutto il fiato disponibile. L’inglese tuttavia rimaneva ancora immobile lì accanto a lui, senza dire una parola; se davvero voleva spiegarsi come diceva e si era imposto in modo tanto deciso per poterlo fare, allora avrebbe voluto sentire tutto quello che aveva da dire, tutte le eventuali idiozie che avrebbe montato, o le sicure scuse che avrebbe trovato per giustificarsi. Lo osservava, attentamente, adesso senza timore di incrociare i suoi occhi anzi, in questo frangente lo avrebbero aiutato a capire se fosse davvero sincero o meno. L’americano dunque, dopo quella breve pausa, riprese:

– È pure ironico. Io ti ho spedito quella lettera perché avevo pensato che magari una mail sarebbe stata troppo rapida e diretta. Magari con una spedizione postale che ad arrivare ci avrebbe messo alcuni giorni mi sarebbe potuto venire in mente qualcos’altro che forse non avevo calcolato nella fretta, così poi ti avrei contattato subito per ridefinire i termini magari…lo so, anche io se lo ripeto adesso mi sento un idiota ad aver fatto un ragionamento tanto stupido. Sono stato frettoloso e non ho pensato. L’ho capito che sono stato egoista, quindi puoi dirmelo quanto ti pare. Però, ecco.. – E nel riprendere il filo del discorso non si era neanche accorto che aveva cominciato spontaneamente a strofinare il palmo di una mano sulla spalla di Arthur, a carezzarlo; forse per prendere coraggio nell’imbarazzante momento dell’autocritica. – ..pensavo che avrei potuto aggiustare tutto, ma tu non mi hai mai risposto, fin dall’inizio. Quindi tutti i miei progetti di recupero sono crollati, non sapevo più come fare senza un minimo riscontro da parte tua. Ho cominciato ad inviarti decine di mail, a chiamarti venti volte al giorno, non mi importava niente se mi avrebbe sbancato, e poi anche i messaggi. E in ognuno di questi ti dicevo che mi dispiaceva tanto e che non mi importava niente della vacanza, l’avrei modificata, cancellata, l’importante era che almeno mi rispondessi. Però non è successo. Capisci che non avevo più idea di cosa fare? Come riuscire a contattarti? È stato frustrante, anche se so che me lo meritavo. Ho provato anche a rivolgermi a tua madre e le ho raccontato tutto per cercare di farmi aiutare, ma non è servito a molto alla fine. L’ultima possibilità rimasta era quella di venire direttamente qui. Presentandomi a casa tua non avresti avuto la possibilità di liquidarmi come nel caso di una chiamata al cellulare. Nonostante io sapessi bene che l’effetto sorpresa era vitale, mi è sembrato comunque più corretto avvertirti prima, anche perché magari ti saresti arrabbiato di più; quindi l’ultima mail e l’ultimo messaggio che ti ho spedito annunciavano la mia partenza, ma tanto so che non li hai mai neanche letti… – Ingoiò, facendo un’altra pausa, mentre quella mano si era fermata sulla spalla dell’altro. lo sguardo di Alfred in quel momento si abbassò, concentrandosi sulle lenzuola che ancora avvolgevano l’inglese, ad osservarne le pieghe e i chiaroscuri.

– Per cercare di recuperare e venire da te ho modificato all’ultimo il mio pacchetto, dimezzandolo e cambiando il biglietto aereo. Ho perso dei soldi e ne ho spesi degli altri, ma non mi è importato. Forse è stata anche una specie di giustizia divina, ma comunque…dovevo venire, capisci? Anche se solo per pochi giorni. Dai Art, non puoi dirmi che non mi dispiace, io mi sento un coglione per quello che è successo e lo so bene che è colpa mia. Però, ti prego, non odiarmi così, dai…mi perdoni? Mi dispiace davvero, lo sai. Non volevo. Dimmi qualcosa, Art.. –

Il ragazzo dagli occhi verdi continuava a fissarlo, un po’ stupito un po’ malinconico; in realtà sapeva che era dispiaciuto, era in grado di leggerlo sia nella sua voce che nel suo sguardo. Quello che gli bruciava era il fatto che dovesse sempre rovinare tutto per colpa della sua stupidità, che dovessero arrivare a simili livelli solo perché era un impulsivo infantile. Da parte sua, Arthur certo non aveva raggiunto un livello di autocritica tale da poter individuare in quella faccenda anche un minimo di colpa propria: forse se avesse letto i messaggi e fosse stato un po’ meno orgoglioso avrebbero potuto risolvere la cosa in tempi più rapidi; ma questo nella sua mente non era al momento contemplabile. Rimase ancora a lungo in silenzio, a riflettere, a pensare a come reagire, a cosa dirgli, pensare se cedere e nel caso quanto. – Che vuoi che ti dica? – Rispose in un sospiro. – Mi viene solo da dirti che sei un coglione, per l’appunto. – Alfred sorrise con un velo di malinconia a quelle parole. – Eheh, lo so, hai ragione…mi spiace tanto. – E la sua presa intorno all’inglese divenne sempre più docile e morbida. – Lo so che non mi crederai mai, però..io non volevo lasciarti solo. Okay, nella pratica ti ci ho costretto, ma davvero…scusa, non volevo. Ci ho pensato solo dopo e..sono idiota Art, mi dispiace. Se vuoi ti pago un volo e vieni con me in Canada, vuoi? Eh? Dai, lo faccio! Non ho problemi a spendere soldi per te! – Gli sorrise nella più sincera speranza che con quella spiegazione avrebbe potuto fare un passo in avanti verso la loro riappacificazione, non desiderando altro che l’amico lo perdonasse, anche se a poco a poco; gli sarebbe andato bene lo stesso.

– Lo sai che durante le vacanze di Natale preferisco rimanere in città per studiare. Sono gli ultimi esami e non voglio distrazioni; non verrei con te in Canada neanche gratis. – Arthur approfittò dello scioglimento della stretta da parte dell’americano per scostarsi un po’ da lui, e quindi aggiunse. – E non lo so se ti perdono. Non te lo meriti. – Tornò a voltarsi su di un fianco, dando le spalle all’amico e rannicchiandosi sotto le coperte. Poi si sentì avvolgere da qualcosa, un’altra presa forse? Eppure non sembrava costrittiva stavolta, anzi; assomigliava più a un caldo abbraccio.

Protese il viso all’indietro, osservando la testa di Alfred che andava a poggiarsi sulla sua spalla, mentre quelle braccia forti e sicure lo avevano agganciato per i fianchi. – Va bene.. – Sospirò debolmente il più giovane. – Magari allora…ci pensi un po’ su, no? Ricorda che puoi fare quello che vuoi per punirmi: puoi picchiarmi, puoi togliermi il cibo, sequestrarmi la playstation..tutto quello che vuoi. Se ti può essere d’aiuto mi va benissimo. Solo…mi perdonerai alla fine, vero? Non subito eh, ma tra un po’..? – Quel suo atteggiamento era uguale a quello di un bambino che non desidera altro che riappacificarsi con la madre arrabbiata a causa di un suo capriccio. Aveva un che di tenero e infantile, ma non abbastanza da far sciogliere Arthur come neve al sole. Avrebbe tirato la corda quanto l’avrebbe ritenuto necessario; per il resto avrebbe dato tempo al tempo.

Non fece gesti bruschi, ne rifiutò l’abbraccio dell’amico cacciandolo o mostrando ritrosia. Si limitò a rispondergli con voce pacata. – Vedremo Alfred, vedremo.. – E lasciò ricadere il viso sul cuscino, inspirando profondamente e socchiudendo gli occhi, lasciandosi poi avvolgere dal silenzio per alcuni lunghi istanti.

– Adesso fammi dormire però. – Aggiunse con lo stesso tono paziente di prima, sentendo le membra del proprio corpo farsi sempre più pesanti e affaticate. L’americano lo sciolse lentamente dall’abbraccio, liberandolo infine del tutto e, dandogli una piccola pacca sulla schiena, gli rispose. – Okay, Art. –

Si allontanò da lui il necessario per potersi comodamente sdraiare e posizionare nella sua metà del letto, sospirando e mettendosi a fissare il soffitto per un momento. – Buonanotte. – Disse andando poi a voltarsi anch’egli da un lato e dando a sua volta le spalle all’amico, per poi rintanare il viso nel cuscino e forzarsi a chiudere gli occhi, mentre Arthur rispose solo più tardi con un flebile tono che sfiorava la rassegnazione.

– Sì. Buonanotte. – E in quel momento niente gli sembrò più confortante del silenzio che cadde tra di loro e che andò ad avvolgere tutta la stanza e poi la casa, le strade, l’intero quartiere; tutto ciò che li circondava sembrava come avvolto in una dimensione estranea che li rendeva gli unici protagonisti di quella notte; due respiri a poco a poco sempre più regolari che avevano esaurito il momento delle parole. Ognuno coi propri pensieri e rammarichi, ognuno col le proprie colpe -ammesse o meno- e ognuno con le proprie aspettative. Entrambi entravano adesso nel regno del sonno, senza la minima idea di come il giorno seguente avrebbero guardato in faccia l’altro, senza sapere se sarebbero riusciti o meno a fare un passo avanti verso la riconciliazione, né sapendo se avessero davvero perso qualcosa di importante lungo la strada o spezzato un legame di fiducia ormai irrecuperabile. Per il momento, la regolarità dei loro respiri che si armonizzavano nella notte era una prospettiva più che soddisfacente.

   
 
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