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Autore: __Stella Swan__    20/04/2012    3 recensioni
Il barista si bloccò davanti a me, fissandomi per qualche strano motivo. Forse per la maledetta somiglianza con le immagini della ragazza che avevano fatto vedere in televisione.
Tirai giù il cappuccio, continuando a bere la mia acqua tonica come se niente fosse. Rimassero tutti sbigottiti quando, al posto della chioma rossa che avevano descritto alla tv, videro un corto taglio corvino. Inarcai le labbra verso il barista, invitandolo a darmi altro da bere.
Meno male che avevo avuto la bella idea di cambiare un po’ il mio aspetto, prima di recarmi a Londra.
Non mi avrebbero trovata facilmente.
{Estratto dal Prologo}
Storia sospesa
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Primo giorno: Londra.


La metro arrivò puntuale, dopo due minuti dalla precedente. Da Holborn a Piccadilly Circus erano tre fermate, quindi non ci avrei messo molto. L’aria mi mosse leggermente i capelli, mentre le porte si aprirono. Intorno a me una massa di persone in ritorno dal lavoro o per chissà altro: facce stanche, pallide. Tutti umani, per ora.
Rimasi in piedi tutto il tempo, controllando che nessuno mi fissasse con aria circospetta: ero conciata in modo completamente differente rispetto alle immagini che avevano trasmesso al telegiornale, ma magari qualche occhio ben attento era in grado di cogliere stupidi particolari per identificarmi.
Per fortuna, nessuno si era nemmeno voltato per guardarmi mentre scendevo ed andavo verso le scale mobili.
Quando uscii dalla metro mi trovai di fronte a quegli enormi schermi di Piccadilly Circus, così simili ad una piazza di New York o Chicago. Erano imponenti ed illuminati, siccome erano le sei e mezza ed il sole era già calato. Quella giornata era stata splendida, senza una nuvola. Riuscivo già a contare le stelle alte nel cielo, mentre il primo quarto di luna risplendeva debolmente.
Passai per la piazza col cappuccio abbassato, mentre trascinavo la valigia dietro le mie spalle. La mia intenzione era controllare se avevano già mandato qualche guardia davanti alla casa di mio padre. L’aveva comprata diversi anni fa, quando non ero ancora nata. Anzi, in realtà molti, ma molti anni prima che nascessi: fine Ottocento, per l’esattezza. L’aveva intestata a mia madre, poco prima che nascessi; poi, dopo la sua morte, la lasciarono a me.
Agli occhi degli inglesi ero una perfetta turista: mi guardavo intorno meravigliata da tanta bellezza, ogni tanto sbagliavo ancora a dove guardare prima di attraversare la strada, controllavo la cartina. Anche se, in realtà, non avevo bisogno di tutto quello: sapevo esattamente che cosa ci fosse a Londra, sapevo di dover guardare nella direzione opposta siccome il senso di marcia era inverso rispetto agli altri paesi e conoscevo metro, bus e vie per quanto mi fosse sufficiente.
Intravidi due guardie di Scotland Yard davanti al portone in legno, fuori dal cancello. Ovviamente, mio padre si era preoccupato di sistemare la casa nel corso degli anni: non poteva certo lasciarla come se fossimo ancora nell’Ottocento, con interni signorili e le finestre cadenti. L’unica cosa che era rimasta della casa vecchia era il portone: imponente, ricoperto di borchie e con la maniglia tonda.
Le guardie si guardavano intorno, ogni tanto qualcuno si fermava per chiedere loro delle informazioni. Sembravano piuttosto giovani: entrambi uomini, età compresa tra i venti ed i trent’anni. Della SO12, più che sicuramente: il ramo speciale di Scotland Yard. Uno dei due – quello più giovane –  aveva i capelli corti, biondo cenere; l’altro neri come il carbone, cortissimi.
Sapevo che non sarei potuta andare in quella casa, ma avevo voluto tentare comunque.
Per quella notte avevo deciso di alloggiare in un hotel lì vicino, così avrei potuto controllare l’evolversi della situazione: finché non ci fossero stati vampiri sarebbe filato tutto liscio come l’olio.
Mi recai a piedi al Best Western Hotel di Piccadilly, non lontanissimo dalla piazza.
L’interno era piuttosto moderno: pareti azzurre e fuxia, il bancone della reception nero lucido, con una ragazza di colore che chiacchierava al telefono. Un ragazzo alto e giovane mi aprì la porta, chiedendomi se avessi bisogno di una mano con la valigia. Sorrisi e risposi che facevo da sola, perciò mi avvicinai alla ragazza dietro il bancone. Riattaccò il telefono e mi rivolse un sorriso solare.
«Benvenuta al Best Western, aveva prenotato?», chiese gentilmente.
«In realtà no, avete per caso una camera libera per tre notti?», risposi.
La ragazza controllò velocemente sul suo registro, mentre mi guardavo intorno: c’era un divano ad angolo poco più in là del bancone, marrone con quattro piccoli cuscini viola. Il tavolino era colmo di riviste settimanali e mensili ed un enorme specchio che occupava la parete lungo la quale era poggiato un lato del divano. «Certo signorina, una camera è libera per una settimana, ma ha il letto matrimoniale e verrebbe a costare qualcosina in più».
«Non è un problema, prendo quella allora». Presi il portafoglio e pagai subito il pernottamento di tre notti. I soldi non erano un problema per me, per fortuna; almeno su quello potevo ringraziare mio padre. Il leu romeno era una moneta debole contro la sterlina inglese, ma avevo cambiato una grossa quantità di soldi prima di partire per Londra.
La ragazza mi sorrise e segnò la prenotazione, augurandomi un buon soggiorno nell’hotel. Mi diede poi la chiave della camera: numero cinquantuno.
Presi l’ascensore e mi recai verso la mia stanza, notando che a quell’ora non c’era nessuno nei corridoi dell’hotel. Aprii la stanza ed entrai, lasciando la valigia davanti alla porta. Davanti a me c’era un enorme letto a baldacchino in legno scuro, le lenzuola bianche ed i cuscini viola. Un tavolino in vetro di fronte al letto con una bottiglia di spumante e una scatola di cioccolatini.
Tolsi la giacca e la lasciai cadere sopra la piccola poltrona beige che si trovava davanti al tavolino, poi andai di corsa in bagno. Gli occhi bruciavano, perciò tolsi le lenti a contatto e le buttai via. Le mie iridi non erano più color nocciola, ma quel solito grigio fumo che avevo preso da mia madre. O almeno, così diceva mio padre.
Da lei avevo preso tutto: gli occhi grigi, i capelli rossi ed il sorriso solare, mentre da mio padre il temperamento freddo verso gli sconosciuti, i modi rozzi di rispondere alle persone e tutto il peggio che avrei potuto ereditare. Anzi, per fortuna mi aveva risparmiato il peggio del peggio.
Sbuffando tolsi anche la parrucca e la lasciai cadere a terra. I miei capelli erano neri, ma lunghi fino alle spalle, leggermente mossi. Mi guardai allo specchio, sospirando. Se volevo restare a Londra avrei dovuto cambiare il mio aspetto ogni volta, muovermi da un hotel all’altro.
Lanciai un’occhiata alla vasca accanto a me, pensando che avrei potuto dedicarmi ad un bel bagno caldo e rilassante. Non avevo fame, perciò non sarei uscita per mangiare.
Tornai in camera e presi la valigia, poggiandola sul letto ed inserendo la combinazione. Le prime cose che vidi furono parrucche, di ogni colore e lunghezza, e scatole di lenti a contatto colorate. Subito sotto, un saccone nero con una zip. Lo tirai fuori e lo aprii, osservando attentamente il contenuto: paletti in frassino, pistole di diverso calibro, mitragliette e bombe di raggi ultravioletti. Armi che mi sarebbero potuti tornare utili contro i vampiri, nel caso si fossero fatti vivi.
Mio padre di sicuro avrebbe mandato, prima o poi, le sue guardie a cercarmi. Mi chiedevo perché avesse coinvolto degli umani, invece che mandare i suoi scagnozzi per il lavoro sporco.
Accesi la tele e buttai il telecomando sul divano, avvicinandomi alla finestra per controllare il panorama: Londra era perfettamente illuminata, alcune persone nei pressi dell’hotel passeggiavano per cercare un posto in cui cenare.
“Non ci sono novità sulla scomparsa della giovane diciottenne Amelia Drakul”, sentii al telegiornale. Chiusi le tende e mi voltai verso lo schermo. Alcune foto stavano mostrando la sede dello Scotland Yard e delle guardie che camminavano su e giù davanti alla porta d’ingresso. “Non sappiamo se si può parlare di fuga o di rapimento, ma la ragazza è scomparsa poco più di una settimana. Le forze francesi ed inglesi si stanno impegnando al massimo per trovarla. Il padre sostiene che, nel caso fosse scappata, si sia recata a Londra, dove una vecchia casa di famiglia – che si trova a Piccadilly Circus –  è intestata alla giovane. Per ora nessuno l’ha ancora vista, ma nel caso qualcuno dovesse vederla è pregato di recarsi alla stazione di polizia più vicina o allo Scotland Yard”. E mostrarono una mia foto di qualche anno prima, quando avevo sedici anni: i capelli rossi lunghi fino alle spalle lisci come seta, gli occhi grigi identici a quelli di mia madre.
Per un’ora rimasi assopita nella vasca da bagno, completamente ricoperta di schiuma che profumava di fragole e frutti di bosco. Era rilassante, maledettamente rilassante. Sapevo benissimo, però, che non avrei potuto permettermi quel benessere ogni giorno e a lungo: mi prospettavo ancora un paio di settimane di tranquillità, poi le armi mi sarebbero servite più che sicuramente.
Misi la vestaglia da notte e mi coricai sul letto, cambiando canale e cercando qualcosa da guardare.
Sarebbe stato divertente cambiare aspetto ogni giorno per non farmi riconoscere. Per il momento, avrei potuto concedermi qualche ora di sonno.
  
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