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Autore: Virgi Chris Salvatore    21/04/2012    1 recensioni
Christelle Hollister è una ragazza coraggiosa e testarda, con un passato da dimenticare e un futuro da scrivere. Si trasferisce a Mystic Falls cercando di ricominciare, tuttavia pezzi del suo passato torneranno a galla. Ma il suo principe dagli occhi di ghiaccio starà al suo fianco pronto ad aiutarla e difenderla.
[Dal capitolo nove:
"“Christelle, piantala di cantare!” mi urlò mamma, dopo l'ottava volta che ripetevo la ninna nanna che mi cantava sempre prima di andare a dormire.
“Io ti regalerò ogni singolo risveglio la mattina...” continuai senza darle ascolto.
“Christelle Jane Hollister, se non la smetti vengo io lì, papà sta guidando e non devi deconcentrarlo!” mi sgridò mamma, per l'ennesima volta.
“Non ti preoccupare cara, è solo una bambina.” disse, girandosi per sorridermi.
Una luce.
Un urlo. “Oddio, Paul!”
Fuoco, rumore, silenzio, lacrime, rabbia, ghiaccio. Un vortice di cose e emozioni che vedevo e provavo in quel momento.
“Papà!” un urlo strozzato di una bimba di quattro anni.
Sangue. Papà respirava piano, sfinito.
Mamma. Non la vedevo. Le lacrime scendevano copiose sul mio viso.
Un dolore alla gamba.
Un uomo. In piedi, davanti a papà. Mi guardava, e sorrideva.
“Papà.”sussurrai, mentre quell'uomo si avvicinava a lui, ormai morente.
“Addio, Paul.” disse l'uomo.
Buio.
Dolore.
Sangue.
Lacrime.
Fuoco.
Ghiaccio.
Rabbia.
Rancore.
Morte.
Mi sveglia di colpo.
Ero sola nel mio letto. Avevo la fronte bagnata di sudore freddo, e le guance bagnate dalle lacrime.
Mi alzai, scesi le scale e andai in cucina, dove presi un bicchiere d'acqua che bevvi tutto d'un sorso.
Mi appoggiai al muro della cucina, ripensando a quel sogno.
Era tutto così reale, così vero. Non era sfocato come i soliti sogni che facevo, sembrava di più... un ricordo.
Provai a rivedere quelle scene, così chiare e limpide, così dure e così follemente vere.
Non era possibile, non poteva essere. Non poteva essere vero, chi era quell'uomo?
Cos'era successo quel giorno di giugno di tredici anni fa?
Che cos'era successo ai miei genitori?
Che cosa voleva quell'uomo dai miei genitori?
Che cosa aveva fatto loro?
Perché io ero viva?
Qual era la verità?"]
[Dal capitolo 12:
“Non ci riesco...” balbettai, con le lacrime agli occhi.
“No Christelle. Tu ce la fai, ce l'hai sempre fatta e ce la farai anche adesso.”
Mi prese il viso tra le mani e incatenò i suoi lapislazzuli ai miei smeraldi. “Ci sono io con te, non sei sola.”
Presi un respiro profondo.
Lui era con me.
Ce l'avrei fatta.
Chiusi gli occhi e lasciai le dita scivolare sui tasti.
Era così semplice, sorrisi.
Mi ricordavo ancora le note della ninna che mi cantava mamma.
Non ricordo per quanto suonai.
Secondi, minuti, ore.
Mi ricordo solo quando smisi di suonare.
Ero felice.
Stavo bene.
Damon mi guardava e sorrideva.
Si avvicinò al mio viso e mi baciò lentamente, con dolcezza e passione.
Era mio, solo mio.
Lo sapevo.
E sapevo anche di appartenergli.
La parte più profonda di me era incatenata a lui.
Il mio cuore gli apparteneva.
Oggi, domani e per sempre.]
Spero vi piaccia, io ci ho messo corpo, anima e sangue.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Damon Salvatore, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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You Ever Love Me?


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4. The Dance.



Quella mattina qualcosa mi svegliò.
Un picchiettare insistente sul vetro della mia finestra. Mi alzai con le braccia di qualche centimetro, solo per riuscire a girare la faccia verso la finestra.
Ancora quel corvo.
Era diventato un maniaco! Uno stalker! Presi il cuscino e glielo lanciai addosso, era salvo solo grazie al vetro che lo aveva protetto dall'impatto.
Guardai la sveglia, erano le sei e quindici. Era presto, ma sapevo che quel corvo non mi avrebbe dato tregua. Mi alzai stiracchiandomi le braccia, e mi diressi verso la finestra, dove il corvo mi guardava con la testa inclinata.
Aprii la finestra: “Io ti lascio entrare, ma tu piantala di picchiettare su quel maledetto vetro! Okay? Mi sono appena svegliata e non ho voglia di litigare con te, mister. Presunzione!” dissi, ridendo. Mi tolsi il pigiama e andai in bagno.
Rimasi per una decina di minuti sotto il getto caldo della doccia, poi mi misi un asciugamano stretto sopra il seno e andai in camera a prendere la biancheria che mi misi in bagno, per nascondermi dagli occhi maliziosi di quel corvo. “ Non sarai mica un maniaco, vero?” urlai dal bagno ridendo. Tornai in camera in biancheria intima, con un asciugamano in mano con cui mi strofinavo i capelli.
Intanto il corvo era ancora lì, che mi fissava e ogni tanto gracchiava qualcosa come risposta. Presi un paio di jeans blu scuro stretti, una maglia larga bianca leggermente scollata, mi raccolsi i capelli in una coda alta e morbida con un nastro bianco, mi misi un po' di matita attorno agli occhi, presi la borsa e uscii.
Cavolo, il corvo! Me ne stavo quasi dimenticando! Rientrai in camera e gli dissi “Per oggi, basta, devo andare a scuola! Ci vediamo più tardi okay?” dissi sorridendogli, mentre lo guardavo volare via.
Scesi le scale, salutai il nonno, mi misi le mie converse, e uscii da casa.
Quel giorno c'era il sole, ne approfittai per indossare i miei amati Ray-Ban, e saltai in macchina, diretta alla mia nuova scuola.

Parcheggiai, mentre i soliti ragazzotti facevano i loro soliti commenti stupidi.
Scesi dalla macchina e un volto conosciuto mi sorrise “Ehi, buongiorno Chirstelle” Stefan Salvatore sfoggiava uno dei suoi migliori sorrisi “Buongiorno anche a te, Stefan” gli sorrisi anche io. Stefan, tuttavia, aveva l'aria di un bravo ragazzo, mi sarebbe piaciuto averlo come amico. “Volevo presentarti i miei amici, so che sei nuova, e insomma.. mi sembra una buona idea.” continuò lui, girandosi verso il solito gruppetto.
E' vero, erano simpatici e mi sarebbe piaciuto molto averli come amici, anche se ciò, nella mia vita, non mi era mai stato concesso. In ogni caso, c'era sempre quell'affascinante ragazzo quanto stronzo che mi tormentava con quegli occhi così... profondi.
“Non lo so Stefan, è molto gentile da parte tua, ma.. non sono abituata a fare “amicizia”- gesticolai con le mani- ma non fraintendermi, è molto carino da parte tua ma...”- “Dai, andiamo Chris, non preoccuparti, sono tutti impazienti di conoscerti!”mi interruppe Stefan, prendendomi per il braccio e trascinandomi verso il gruppo di amici “Non è il caso..” cercai di oppormi ma invano.
Ed eccomi lì, davanti a quei ragazzi che avevo visto chiacchierare insieme solo il giorno prima. “Ragazzi, lei è Christelle Hollister, si è trasferita da poco ed è nuova.” disse il moro “Christelle, loro sono Elena, la mia ragazza, Bonnie, Caroline, Jeremy, Matt e lui è Damon, mio fratello” aggiunse poi, indicandoli uno a uno.
Dopo nemmeno un secondo dimenticai già i nomi, ma poco importava. L'importante era non incrociare quegli occhi freddi di quel l'uomo dai capelli neri e il sorriso sarcastico, ovviamente, rivolto a me.
Sorrisi, cercando di non arrossire. “Da dove vieni, Christelle?” mi chiese la graziosa ragazza dai capelli bruni, Elena, mi sembra, la ragazza di Stefan. “Da Seattle. Mio nonno aveva degli affari in Virginia e sono stato costretta a seguirlo” dissi, sottolineando con la voce la parola costretta. “E perché mai? Non potevi rimanere con i tuoi?” mi chiese il corvino dagli occhi di ghiaccio. Diamine, mi girai verso di lui, cercando di non dar a vedere la mia emozione. Non sapevo cosa rispondere, non volevo di certo che la gente stesse con me solo perché le facevo pena. “I miei genitori, diciamo che... non hanno potuto” balbettai, cercando di non far tremare la voce “Ora devo andare, scusatemi.”dissi, voltandomi ed entrando nell'edificio, mentre riuscivo a sentire in lontananza solo qualche -Damon! Che hai fatto!-
-Ma cos'ho detto! Smettetela!-.

 

Le ore passavano, e di concentrarmi sulle parole del professore proprio non c'era verso.
Nell'ora di pranzo mi sdraiai sotto un albero del cortile della scuola, e iniziai a scarabocchiare un quadernetto che mi ero portata per gli appunti da casa, mentre addentavo una mela. “Ehi Chris” una ragazza bionda mi sorrise: Carmen? Ca... Ca.. Caroline, ecco.
“Ehi, Caroline”dissi, ricambiando il sorriso. “Scusa Damon per prima.. a volte può essere un po'.. insensibile.” continuò, sedendosi vicino a me “Non preoccuparti, sono cose che capitano” scrollai la testa e le sorrisi.
“Comunque.. stasera c'è un ballo a scuola e io sono la coordinatrice dei balli scolastici.. e, insomma, sei la benvenuta. E' un buon modo per iniziare, no?” aggiunse lei, fin troppo convinta. “Non lo so.. non conosco nessuno...” le risposi io, insicura.
“Non preoccuparti, ci siamo noi! Siamo tutti entusiasti di averti con noi, e stasera potresti venire a casa mia a prepararti, c'è anche Elena, poi andiamo al ballo insieme! Ti passo a prendere alle sei e trenta, abiti alla tredicesima di Brokelin Street, giusto?”
“Si, ma...” Non riuscì a finire la frase che ormai lei stava già sgambettando verso a delle altre ragazze che non conoscevo.

Alla fine delle lezioni tornai a casa, in cerca di qualcosa da indossare. La sera partecipavo spesso a convegni eleganti per via degli affari di mio nonno, quindi un vestito l'avrei tirato fuori. Alla fine optai per un vestito di seta verde pino senza spalline che aveva una fascia stretta che mi copriva il seno del medesimo colore e poi ricadeva morbido con delle sfaccettature all'altezza del ginocchio. A quello ci abbinai dei tacchi dodici nero lucido, una collana elaborata d'oro e dei vistosi orecchini pendenti dello stesso colore. Misi tutto in borsa, presi i trucchi, il cellulare, e uscii di casa.
Raggiante e puntualissima, Caroline Forbes mi aspettava appoggiata alla sua fiammeggiante Camaro rosso fuoco. “Si parte, dolcezza” esordì prima di sfrecciare sulla strada, diretta alla sua abitazione.

 

Entrammo a casa Forbes e trovammo Elena che ci aspettava seduta sul divano rosso del salotto. “Ehi Chris, allora Care è riuscita a convincerti!” mi disse correndomi incontro per abbracciarmi. Elena mi sembrava una brava ragazza, come Stefan d'altronde. Ricambiai l'abbraccio, un po' esitante. “Si, alla fine ce l'ha fatta” le risposi, sorridendole. “Allora?! Che aspettiamo?! I tuo capelli non si arricceranno da soli, tesoro!” disse Caroline, ridendo.

Eravamo bellissime, anzi, loro erano bellissime.
Elena aveva la sua macchina, mentre io dovetti andare su quella di Care, visto che la mia era rimasta a casa. “Su, forza scendi!” urlammo a Caroline, mentre si stava passando per la terza volta un altro strato di lucidalabbra. “Si, ora scendo!” urlò, prima di correre giù per le scale.

 

La palestra della scuola era decorata benissimo, Caroline era stata proprio brava.
Iniziai a guardarmi in giro, cercando dei volti conosciuti: Josh, di fisica, Fred, di Biologia, Marienne, di storia... ad un certo punto Matt, Stefan, Bonnie e Jeremy si avvicinarono a noi “Ehi” ci sorrisero “State davvero bene” disse Matt, il ragazzo biondo “Grazie anche tu” rispose Elena per tutte e tre.
Ero intenta a guardarmi le unghie, quando qualcuno attirò la mia attenzione.
Damon Salvatore ci stava raggiungendo, ed era davvero sexy quella sera.
Indossava un semplice smoking con una camicia sbottonata sotto, mentre sfoggiava uno dei suoi più bei sorrisi. “Ehi ragazzi” disse facendo segno con la mano “Caroline, voglio dirti che il punch fa schifo. Non potevi mettere qualche bottiglia di Bourbon, Tequila... non lo so, anche soltanto qualche birra. Mi hai deluso, Barbie.” sbottò con sarcasmo. “Si dà il caso che questa sia un ballo scolastico e non una delle tue festicciole proibite” rispose acida Caroline.
Notavo che Damon non mi staccava gli occhi di dosso, e ciò mi metteva a disagio.
Avevo paura di incrociare il suo sguardo. “Fa niente, per stasera mi accontento.” disse Damon, girando i tacchi e facendo cenno con le mani.

 

Era ormai passata mezzora e io mi stavo annoiando a morte.
Mi diressi alla bancarella delle bevande e presi un bicchiere di punch: Damon aveva ragione faceva davvero schifo.
Buttai il bicchiere e ritornai dal mio solito gruppetto di conoscenze ma, poco dopo, il Dj annunciò di formare le coppie e la musica rallentò.
Elena prese per il braccio Stefan, e così fecero Caroline con Tyler e, più timidamente, Bonnie con Matt.
Io rimasi sola, fino a quando una mano mi si appoggiò su un fianco “Mi concedi questo ballo?” quella voce l'avevo già sentita.. ma certo!
Mi girai e trovai James, quello che faceva inglese con me, alla prima ora. “Ciao, James.. Non lo so, non so ballare” dissi, abbassando lo sguardo, sinceramente imbarazzata. “Non preoccuparti, tu seguimi e basta” disse strizzandomi l'occhiolino. Non mi convinceva quel ragazzo. Non c'è che dire era davvero un bel ragazzo, ma a volte mi guardava con insistenza, in modo malizioso e languido.

Mi trascinò sulla pista da ballo, stringendomi a lui.
Sentivo la sua stretta sempre più forte attorno ai miei fianchi e il suo respiro pesante sul mio collo.
Mi dava fastidio “Ehi, non me la sento..” dissi, cercando di liberarmi dalla sua presa.
Riuscii a scappare e raggiunsi il corridoio, attraversando la mensa. Mi appoggiai ad un armadietto, cercando di riprendere fiato. “Ehi, ragazzina, cosa c'è che non va?” quel ragazzo era davvero troppo insistente, mi dava sui nervi.
Presi un respiro e mi voltai, ritrovandomi schiacciata dal corpo del quaterback della squadra di football, nonché James Hamilton. “James, che diavolo stai facendo?! Lasciami!” cercai di urlargli, ma le mie parole uscirono con un sussurro. “Dai, su Hollister, lo vedo come mi guardi, l'ho capito che ti piaccio, e sono felice di dire che ricambio pienamente, non fingere più, è da sciocchi.” disse languido. “No, lo sciocco sei tu a credere che io possa provare qualcosa per te, e ora lasciami!” sbottai, agitandomi nella sua presa più ferrea che mai. “Ah davvero? Allora se faccio questo non ti fa nessun effetto?” mi disse, mentre scendeva a baciarmi il collo fino alla mandibola.
Io mi agitai inutilmente, fino a che non girai la testa e morsi violentemente il lobo del suo orecchio.
Lui mi lasciò per toccarsi l'orecchio sanguinante, e io ne approfittai per correre nella mensa, diritta alla palestra.

I miei tacchi non aiutarono la fuga e, infatti, mi raggiunse, sbattendomi violentemente contro la macchinetta per le merendine, e bloccandomi con il suo corpo “Vedo che ti piace giocare..” mi disse, prima di prendermi in braccio e accarezzarmi la coscia.
Poi tutto fu un attimo: non sentii più la presenza di James su di me e caddi a terra.
Vidi solo una figura, Damon?, che scaraventava il mio aggressore sulla porta della mensa e mentre Stefan e Tyler lo trattenevano “Damon, calmati! Siamo pur sempre in una scuola, trattieniti! Non abbiamo già abbastanza problemi?!” urlò Stefan.
“Oggi è il tuo giorno fortunato, amico” disse Damon, o almeno così mi sembrava. Sentivo la testa pesante mentre Caroline e Elena cercavano di farmi alzare dicendo che sarebbe andato tutto bene.
Finalmente mi alzai, ma subito ricaddi a terra. Mi sentivo pesante e le gambe mi tremavano.

Tentai di nuovo ma fu inutile, fino a quando non sentii più i piedi sul pavimento e due braccia forti mi cinsero i fianchi e le spalle. Alzai la testa e li incrociai: gli occhi glaciali ma bellissimi di Damon Salvatore.
“Riesco a camminare da sola” balbettai, cercando di scendere ma come risposta ricevetti solo “ Non fare la bambina, non ti reggi neanche in piedi” in quel momento mi lasciai andare. Tornavo una bambina tra le sue braccia, ma non la bambina “oh mio Dio, poverina ha perso i genitori, povera cara” ma la bambina felice, che corre e che suona il piano con il padre, la bambina con i sogni nel cassetto e con una vita ancora da scrivere.

                                                                                                                                          ***

 

Mi trovavo in macchina quando mi svegliai.
Ma non era la mia. Mi guardai intorno.
Ero sola.
Infatti in macchina non c'era nessuno insieme a me. Guardai fuori dal finestrino, e capii che ero davanti alla scuola, e in lontananza notai Stefan, Caroline, Elena e Damon che parlavano, poi si fecero cenno con la mano e vidi Damon venire verso di me, mentre Elena e gli altri tornavano all'interno dell'edificio. Poi capii. Ero nella macchina di Damon Salvatore e stavo rischiando di andare in iperventilazione.
Feci due respiri profondi e cercai di essere meno visibilmente tesa. Damon aprii la portiera e salii in macchina sfoggiandomi un magnifico sorrisetto sarcastico “Buongiorno Cenerentola, è mezzanotte, è ora di tornare a casa”mi stava ridicolizzando anche in questa situazione? “Non vorrei mai che la carrozza si trasformasse in una zucca, quindi credo che andrò a piedi” dissi alzandomi e aprendo la portiera, ma lui bloccò prendendomi per il polso “Dove credi di andare? Sei svenuta, non pensare minimamente di tornare a casa a piedi!” mi disse, sporgendosi per chiudere la portiera e mettendo in moto.

 

Dopo qualche minuto di imbarazzante silenzio, gli chiesi: “Cos'è successo di preciso?” lui, continuando a guardare la strada mi rispose: “Quando? Stasera? Niente di che, le solite cose da ballo scolastico”in ogni situazione riusciva sempre ad essere sarcastico o malizioso, non poteva essere serio per una buona volta? “Sii serio, mi ricordo di James ma... Chi me lo ha tolto di dosso? Cos'è successo dopo?” lui sembrava impassibile, continuava a guardare la strada senza muoversi “Abbiamo sentito delle urla e Stefan te lo ha tolto di dosso. Poi mi ha costretto a portarti a portarti a casa” disse freddo, accentuando il tono sulla parola costretto come a sottolinearla. “Ah, ho capito.” dissi, fredda.
E' vero, ero svenuta, ma ero riuscita a vederlo chiaramente, sia mentre mi toglieva addosso quella cariatide, sia quando Tyler e suo fratello cercavano di trattenerlo mentre cercava di picchiarlo.
Come mai mentirmi? Mi sentivo offesa, magari si vergognava di me.. “Siamo arrivati” interruppe i miei pensieri proprio colui che mi induceva a farli. “Grazie per il passaggio” dissi fredda, prima di uscire dalla macchina e di entrare in casa.

 

Il nonno stava già dormendo quando arrivai a casa.
Così salii le scale e andai in camera mia dove, puntualmente, il solito corvo picchiettava il becco lucido sulla finestra.
L'aprii senza proferire parola, mentre mi sfilavo il vestito e indossavo un pigiama dai pantaloncini corti.
Mi guardai allo specchio. I capelli erano arruffati e sul collo avevo dei lividi rossastri per via dei baci violenti che James mi aveva dato. Le gambe erano piene di lividi bluastri. Ero un disastro. Mi appoggiai alla scrivania, sospirando. Alzai gli occhi e le vidi, ancora e ancora. Quelle foto felici, di quei momenti felici, con i miei genitori felici.
Quei momenti e quella gioia che non ci sarebbe stati più. Quella gioia che mi era stata strappata all'età di quattro anni, quel vuoto che avevo dentro, che pian piano si espandeva e cresceva, mangiandosi le parti più belle di me. Ero stufa, stanca di quel vuoto che mi controllava, che s'impossessava di me, impedendomi di vivere e di godermi le cose belle che una ragazza di diciassette anni poteva fare, ero stanca di non riuscire più ad amare e di non sentirmi più realmente amata.

Con gli occhi lucidi mi diressi verso il pianoforte a coda di papà che avevo sempre in camera mia, mi seguiva in ogni casa, in ogni città, in tutto il mondo, me lo portavo sempre dietro. Sentivo papà, ricordavo le sue dolci melodie, quando mi insegnava a suonarlo e quando ridevamo quando sbagliava.
Mi sedetti sulla panchetta di pelle nera, e alzai il coperchio lucido che copriva i tasti.
Ero lì, potevo farlo, bastava stendere le mani, muovere le dita e il gioco è fatto.
Invece no.
Qualcosa mi bloccava, il vuoto si espandeva sempre di più, mi lacerava anima e cuore. E non ci riuscivo. Qualcosa di più forte di me, me lo impediva. Mi accorsi che i tasti bianchi e neri erano bagnati: ormai lacrime prepotenti graffiavano il mio viso, e non mi davano tregua. Mi alzai, sbattendo violentemente il coperchio dei tasti, e corsi in bagno dove, chiusa la porta, iniziai a piangere cercando di trattenere singhiozzi che ormai avevano perso il controllo.

 

                                                                                                                     *****

 

Damon Pov.

 

Ed eccola, così pura e innocente che piange senza controllo.
Quella ragazza riusciva a tirare fuori la mia umanità e, se non esiste più, ne crea della nuova.

Non ha mai fatto nulla per tirarla fuori, ma è più forte di me.
Quei suoi sorrisi, quel suo viso così tondo e giocondo, mi ricorda tanto un bambina.
Una bambina pura, ma anche triste, lacerata dal dolore.
A volte mi basta leggerlo nei suoi occhi. Il suo sorriso dice una cosa, ma i suoi occhi ne dicono un'altra.

Ma io non dovrei guardarla, non dovrei desiderarla così ardentemente, non dovrei perdere le staffe appena un ragazzo flirta con lei.

Quella sera lo avrei ucciso, giuro.
Se non fosse stato per Stefan e Tyler avrei perso il controllo, spezzandogli il collo sotto i suoi occhi.
Quando sentii che era una Hollister mi venne voglia di usarla per minacciare suo nonno così da farmi dire che cosa nasconde, ma non volevo.
Quando la vidi piangere tutto passò.
Una ragazza così giovane, così viva, eppure così sofferente, piena di odio, rancore.
Non le avrei fatto del male, ma questo non significava che mi importasse di lei.
Le sarei semplicemente restato lontano, cercando di non creare danni e di non complicarle la vita.
Sì avrei fatto così.
Ma ancora un dubbio mi assaliva: come mai era così dannatamente familiare?

 

Christelle entrò nella camera, con gli occhi ancora umidi, e quando mi vide, mi sfoderò un enorme sorriso “Ciao, come va?” rise “Quello che hai visto rimarrà un nostro segreto, ok?” mi fece l'occhiolino con quegli occhi ancora umidi di lacrime. Gracchiai e volai via, mentre lei chiudeva la finestra alle mie spalle.

                                                                                                                                                                                                        Chi era davvero Christelle Hollister?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Buongiorno miei seguaci! * MUHAHAHAHAH *

Ecco un altro capitolo, yep!

Vi è piaciuto? Eh?

Recensite ! * tira fuori la pistola*

O la recensione o la vita! :P

Ma quanto sono scema?! Ahahahaha :D

Un bacione,

Virgi.

  
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