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Autore: Subutai Khan    17/11/2006    8 recensioni
Uno dei nostri due baldi, giovani, speranzosi eroi sarà per caso caduto sotto i colpi del killer senza volto che, al termine di Claustrofobia, ha spalancato la porta della loro prigione sparando a bruciapelo?
E poi, come si suol dire in modo trito e ritrito in queste introduzioni, non è tutto oro quel che luccica. Nemmeno platino, furbetto in ultima fila.
Sperimentale, matto e un po' pericoloso se uscirà come vorrei che esca.
Genere: Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Asuka Soryou Langley, Shinji Ikari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Claustrofobia, Manuali per Incompetenti e Altre Amenità'
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Oggi è il 13 luglio 2025.
Fa caldo, come al solito. Non ricordo di aver mai visto, in vita mia, una giornata in cui la temperatura osasse scendere sotto i venti gradi abbondanti.
Mi stiracchio distrattamente nel mio letto. Per mia grande fortuna è estate, oltre che nella realtà dei fatti, anche secondo i calendari.
Non avrei sopportato una giornata di lavoro.
Oltre a essere mostruosamente stanca credo anche di avere qualche lineetta di febbre. Niente di grave, per fortuna, ma abbastanza da stimolare la mia voglia di restare inchiodata al materasso.
Però un minimo di colazione mi conviene farla. Non ricordo più quale dei miei parenti soleva ripetere, a mò di cantilena senza varianti, “sacco vuoto non sta in piedi”. E non aveva torto, c'è da dargliene atto.
Sbuffo un pochetto e combatto tenacemente con quella malefica vocina che mi sussurra di starmene lunga e distesa dove ancora sono, ben lontana da qualsiasi intenzione di attività.
Alla fine vinco.
Mi alzo e mi dirigo verso la cucina, vestita del più classico dei maglioni extralarge e una mano nei capelli.
Me li sono tagliati...
Senza prestarci eccessiva cura mi preparo una tazza di caffellatte e me la porto sul tavolino della camera.
D'accordo, mi sono tirata in piedi ma progetto di passare un altro po' di tempo sdraiata.
E di ricordare.
Glielo devo, ogni tanto.
Mentre sorseggio la deliziosa bevanda butto ogni tanto lo sguardo fuori dalla finestrella. Il sole, come sempre, è accecante.
Los Angeles è davvero una bella città.
Mi ci sono trasferita sette anni fa, ormai. Volevo sparire dal Giappone, culla di ricordi tremendi.
La NERV. Gli Eva. Gli Angeli.
Tutta roba che ha cercato di rovinarmi impietosamente la vita.
E neanche c'era andata troppo lontana.
Ci avevo messo del mio, e neppure poco. Ma ciò non toglie che considero le tre cose sopra elencate come le peggiori maledizioni abbattutesi su di me da venticinque anni che esisto.
E poi c'era Shinji. Uno dei miei colleghi piloti.
Quando è stato sconfitto l'ultimo Angelo sembrava tutto finito, come logica avrebbe voluto.
Invece no.
Io e lui, di punto in bianco, ci siamo ritrovati chiusi in uno stanzino grande quanto il mio bagno, che vi assicuro essere molto... claustrofobico.
Aggiungete a questo, già di per sé nulla di entusiasmante, la mia particolare situazione psicologica: in quegli anni di gioventù spericolata avevo la pessima, pessima abitudine di comportarmi da zitella intrattabile. Altezzosa, scontrosa, rompiballe all'inverosimile.
Un gioiellino, lo so.
La preda più frequente dei miei scatti di furia isterica era, come da buon copione, quel povero ragazzo. Una pecorella timida e riservata, mai sopra le righe e sempre pronto a scusarsi per qualsiasi sciocchezza.
Dio, se ripenso a come lo trattavo solitamente mi sento davvero il peggiore dei vermi.
Di nuovo.
L'inizio, chiaramente, fu un disastro: entrambi pieni di domande sul perché e sul percome eravamo finiti lì, non passò molto tempo prima dell'inizio dei litigi. Lui, inusualmente per il suo carattere, non si limitava a subire ma anzi reagiva con discreta veemenza.
Furono faville, ve lo assicuro.
Volarono parolacce di tutte le nature e i generi ed epiteti irripetibili in qualsiasi altra sede. Io mi prendetti, fra gli altri, della senza cuore e della stronza; lui del coglione e del cagasotto.
Una coppia di geni, posso dire col senno di poi.
Ma, complice anche la stanchezza e la fame per la prolungata permanenza in quel cesso di posto, sopraggiunse un punto di svolta: lui si dichiarò innamorato di me.
E il solo fatto di sentirlo dire, suppergiù, “io ti amo, Asuka” fece scattare una molla.
Improvvisamente, come se fossi stata investita dallo Spirito Santo, capii che razza di persona di merda ero stata sino a quel momento.
O meglio, me ne resi pienamente conto. Perché non è che non sapessi di comportarmi in maniera insopportabile, ma credevo che fosse giusto e sacrosanto dati tutti i problemi che ebbi da bambina con mia madre, la mia matrigna e via discorrendo.
Vedere lui, con quel suo sguardo estatico, che non faceva altro che rimirarmi e che, se avesse potuto, avrebbe leccato dove camminavo... beh, diciamo che ho pensato che si sarebbe meritato innanzitutto un atteggiamento diverso da parte mia, e poi forse una possibilità anche in senso romantico.
Ma tutti i nostri piani di gloria andarono mestamente in fumo.

A hundred days have made me older
since the last time that I saw your pretty face


Oh.
Senza neanche accorgermene mi sono ficcata nelle orecchie le cuffie dello SDAT.
Il suo SDAT.
Quello che usava fino a farlo consumare quando abitavamo insieme.
Lo tengo un po' come una reliquia e raramente mi prendo la libertà di maneggiarlo.
Succede solo quando sono in vena di malinconia, esattamente come adesso.
Perché mi manca, quello scemo.
Mi manca un sacco.
So cosa stanno pensando i più maliziosi: probabilmente sono innamorata di lui, seppur siano trascorsi quasi dieci anni dall'ultima volta che l'ho visto.
Eh sì.
Shinji Ikari è morto.
Ecco, lo sapevo. Adesso scoppierò a piangere.
Stupida Asuka. Non impari mai. Lo sai che quando pensi a quella frase poi esplodi tipo miccetta.

[dieci minuti dopo]

Sniff.
Sono proprio senza speranza.
Frignare come una ragazzina alla prima cotta.
E il bello è che, ogni tanto, mi convinco di averlo superato. Tutta gasata mi dico: “Ma su, è passata un'eternità ormai, non puoi stare così ancorata al passato. Dimenticalo, purtroppo non c'è più e sai che non può tornare. Sì, ce la posso fare”.
Puntualmente il mio cuore mi smentisce. E lacrima disperato. Poveretto, probabilmente cerca di recuperare tutto il tempo in cui l'ho messo sotto una campana di vetro e lo ignoravo totalmente.
Ma chi me l'ha fatto fare di capitolare proprio con lui? Ci sono dozzine di uomini più semplici, più solari, meno complessati. E soprattutto vivi.
Eppure non c'è verso. Non sono in grado di dimenticarlo. Non mi è proprio possibile.
Da quel giorno, nello sgabuzzino in cui eravamo imprigionati, ho avuto un cambio totale: sono passata da Miss Guardate-Quanto-Sono-Forte-E-Potente all'immagine tipica dell'innamorata da film melenso. E il tutto nell'arco di mezza giornata.
Quello sconsiderato mi ha capovolta come un calzino bucato. Da solo, unicamente con la forza di ciò che provava per me.
Ne sento le ripercussioni ancora adesso, a distanza di così tanto tempo.
Maledetto Shinji. Ti rendi conto di come mi hai ridotta?
   
 
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