Le rovine
Un
uomo è più veritiero
Rispetto
a quando si riconosce un bugiardo
Si dice che la vita sia imprevedibile. Non è del tutto vero:
ogni volta che si compie una scelta, un allarme ancestrale c’infastidisce
all’altezza del petto. Istinto? Forse; oppure, è semplicemente il rimorso di
aver fatto la scelta sbagliata.
Nulla di ciò che gli era stato
detto, era riuscito a convincerlo. La guardiana Marethari aveva turbato ancora
di più l’animo del giovane elfo: l’anziana donna aveva parlato di saggezza
inconsapevole e di verità ancestrali ma Teras non vedeva nulla di tutto questo
nelle proprie azioni. Era stato soltanto un vile. Sì, perché aveva partecipato
alla rissa semplicemente per difendere l’amico, non per sedarla, come gli
anziani avevano creduto, lodando persino la sua saggezza.
Teras, invero, non si sentiva per niente diverso da Tamlen. Eppure tutti lo
vedevano così perché dei due era sempre lui a fare la scelta giusta, a
riprenderlo e a dargli il buon esempio. In realtà, non si sentiva migliore di
lui. Infatti, se lo fosse stato veramente, non avrebbe assecondato con il
silenzio ciò che il clan pensava sul suo conto. Era perfettamente in grado di
scindere il giusto e il non giusto, ma trovava ogni giorno più difficile
seguire la retta via. Non che desiderasse agire male, ma aveva l’impressione di
non scegliere mai con il cuore e di seguire polverosi dogmi di giustizia,
piuttosto che il proprio istinto. Allo stesso tempo però, non aveva il coraggio
di mostrare le proprie idee, perché non voleva che gli altri lo considerassero
sbagliato come Tamlen.
Era poi così importante il giudizio
altrui? Non sarebbe stato meglio assumersi la responsabilità di essere se
stessi? Non era forse questo uno dei significati della Vallaslin, la scrittura
di sangue?
La risposta era più che palese, ma davvero non ci riusciva! Tamlen era il suo
migliore amico, ma non voleva essere trattato come trattavano lui, come se
avesse sempre una lezione da imparare, come se si fosse guadagnato la scrittura
sul viso solo grazie alla resistenza al dolore invece che per la pienezza di
spirito.
L’elfo si portò le dita sull’incisione che aveva in fronte; a volte dimenticava
di averla così dipinta, ma quel giorno sentiva quei disegni terribilmente
pesanti come se gli dolessero ancora. Sapeva che nemmeno il suo era stato un
comportamento saggio.
«Questa volta Tamlen l’ha fatta grossa, ma chissà perché ho l’impressione che
possa superarsi», esordì Merrill, l’allieva della Guardiana. La donna salì in
silenzio i gradini di pino fino alla porta della capanna, poi si fermò fissando
Teras negli occhi. I capelli corti, color dell’ebano, le volteggiavano sugli
occhi scuri, adombrandoli nonostante il sole maturo. «Sei stato bravo, oggi»
gli poggiò una mano sulla spalla, «la violenza non è mai la risposta, qualunque
sia la nostra bandiera. Mentre i ragazzi pensavano solo a picchiarsi, tu hai
cercato di fermarli.»
Questa frase fu l’ennesima spina nel fianco per il giovane elfo. Così aveva
ingannato anche l’incorruttibile Merrill! Si sentì tremendamente in colpa:
verso tutti e principalmente con se stesso.
La consapevolezza di sé giunge all’improvviso, però, né per Teras, né per
Merrill sarebbe stato quello il giorno. Così il vento soffiò, ignorato da
entrambi, sui loro volti candidi. E, ancora una volta, il guerriero preferì il
silenzio alla verità, senza aggiungere altro a un cenno del capo.
Si allontanò dalla elfo, che continuò a seguirlo con occhi pieni di
ammirazione. Teras percepì il suo sguardo sulle proprie spalle e se mai si
fosse voltato, non sarebbe stato in grado di sostenerlo.
«Vengo anch’io» disse avvicinandosi a Tamlen.
Quest’ultimo stava cercando un arco
nel carrozzone delle armi, afferrò una cartucciera di piccoli pugnali. «Non
capisco come tu faccia a preferire questi a questo!» concluse, sollevando, con
l’altra mano, un lungo arco di legno ferro capolavoro d’arte elfica. «Sei
l’unico elfo cui non interessi» riprese. Tirò la corda e la lasciò, scoccando
una freccia immaginaria.
«Molla l’osso Tamlen, non è per te», lo rimproverò Serril, il falegname. «Questo l’ho confezionato apposta
per Ran’ahel», precisò e
gli sfilò l’arma dalle mani con fare seccato. Al suo posto gli consegnò un piccolo
arco di grezza fattura. «Ecco, questo è molto più adatto a te.»
«Oh, andiamo, Serril, perché non posso averne uno come l’altro?»
«Certo che puoi, ma non adesso: è già tanto se riesci scoccare una freccia a
due passi da te»
«Beh devi riconoscere che non ha tutti i torti, lethallin»
lo schernì, infine, Teras.
«Certo, certo, ma cosa vuoi saperne tu di archi e frecce: pensi solo ai tuoi
pugnali!» rispose offeso l’amico. «Ad ogni modo, perché ci tieni tanto a
venire? Marethari non ha punito anche te!»
«Dal’en, faresti meglio ad approfittare del suo aiuto, se non vuoi tornare a
mani vuote», s’intromise Serril, «e fareste meglio ad affrettarvi: il sole sta
già tagliano l’orizzonte e non aspetterà voi per andare a riposare», consigliò
infine.
Tamlen tornò su Teras. «Fai pure come desideri, lathellin, ma sappi che non
riporterò le tue carcasse.»
Il sole infine calò, lasciando il posto alla luna che addormentò la foresta con
il suo dolce canto. E i due elfi tornarono all’accampamento a mani vuote,
com'era prevedibile accadesse: le bestie si erano nascoste nelle loro tane già
ai primi accenni del vespro. Marethari lo sapeva, ma aveva voluto comunque
mandare Tamlen, affinché capisse i tempi e le difficoltà della caccia e la
smettesse di accusare i fratelli per la scarsezza di cibo.
«Accidenti, Tamlen, caccia grossa eh?» lo canzonò uno dei giovani elfi seduti
intorno al grande fuoco.
«Non mi sembra che tu sia stato in grado di fare di meglio, Thabana, data la
fame che ci perseguita da giorni» rispose l’offeso, e gettò a terra il proprio
arco. Qualcuno gli porse una scodella di cortecce, ma Tamlen la scansò con
disprezzo senza nemmeno guardarla.
Qualcun altro, invece, ridacchiò sotto i baffi, trovando divertente
quell’atteggiamento immaturo.
«Che gli dei t’inculchino un po’ di buon senso» augurò il vecchio Serril,
affondando le dita callose nel composto di radici e funghi che aveva nel
piatto.
Teras sospirò in direzione dell’amico che si allontanava dal focolare. Capiva
il suo stato d’animo e gli dispiaceva vederlo così. Tamlen, dopotutto, non era
un elfo cattivo: si sforzava davvero di fare la cosa giusta, ma il suo istinto
prevaricava sempre sulla ragione, portandolo a compiere ciò che gli altri
consideravano nient’altro che sbagli.
«Tieni, sarai affamato». Merrill allungò a Teras la ciotola che aveva offerto
all’altro, e lo invitò a sedersi al suo fianco.
Non era raro che mostrasse attenzioni particolari nei confronti di Teras.
Infatti, più volte aveva elogiato la sua forza e confessato a poche intime il
suo amore per lui. Tuttavia quest’ultimo, sebbene in un primo momento avesse
assecondato quelle pulsioni, alla fine si era visto costretto a raffreddarle
poiché non si riconosceva nelle descrizioni appassionate che la giovane faceva
di lui. Le quali, invece di onorarlo, avevano il solo effetto di metterlo a
disagio.
«Credi davvero che occorra un semplice disegno per diventare maturi?», le
chiese Teras a bruciapelo, addentando un boccone.
«Beh, credo che Tamlen abbia una soglia del dolore molto alta», scherzò la
donna, mostrando un sorriso da scoiattolo.
Il ragazzo, pensieroso, tornò a contemplare il fuoco. La sua domanda non era
riferita all’amico ma a se stesso. Era però comprensibile che l’altra avesse
frainteso giacché non era stato molto chiaro. Infatti, gli mancava ancora il
coraggio di scoprirsi del tutto. «Fenarel è molto
responsabile, meriterebbe di ripetere il rito» riprese dopo poco, sempre
rivolto a Merrill.
«Oh no, non sono ancora pronto: ancora mi duole la fronte per l’ultima volta»
s’intromise il diretto interessato, avendo sentito quel discorso; indicò ai due
il suo abbozzo di Vallaslin.
Ed ecco l’ennesima spina nel fianco. Quando Teras a tredici anni aveva superato
il rito, non si era per nulla posto il problema del suo significato, né si era
chiesto, veramente, se fosse pronto a riceverlo; anzi, in quel momento la sua
concentrazione era stata rivolta essenzialmente a controllare il dolore e,
dopo, si era vantato con gli altri di essere diventato un adulto. Mentre Fenarel, che di strada ne aveva fatta da quel giorno,
mostrava con orgoglio la sua mezza Vallaslin, aspettando di poter essere in
grado di completare la scrittura, nonostante fosse pronto da un pezzo.
Teras si levò all’improvviso, i suoi lineamenti erano serrati in uno strano
cipiglio; recuperò l’arco che Tamlen aveva gettato accanto al fuoco, lo strinse
in mano e raggiunse l’amico. Il quale, esiliato dal gruppo, scrutava le stelle
poco lontano da lì, sotto un grande albero dalle foglie azzurre.
«E’ inutile, tanto lo brucerò di nuovo.»
«Non è bruciandolo che imparerai a usarlo!»
«Sai sempre cosa dire, vero? Scusa, non volevo offenderti» si affrettò a
precisare: Teras non c’entrava nulla. Poggiò la schiena contro il tronco, ma
non riprese l’arco.
Con la coda dell’occhio vide l’amico occupare il posto al suo fianco.
Il silenzio si appropriò dei loro pensieri, fino a quando Tamlen decise di
rivolere l’arma. Ne constatò le condizioni: a parte un’estremità annerita, il
resto era perfettamente integro.
«Ti serve solo un po’ di concentrazione» arguì Teras.
«Per te è facile parlare: lo usi molto bene. In realtà non ho nulla in
contrario al fatto tu prediliga i pugnali, t’invidio solo la facoltà di
scelta», pizzicò rassegnato la corda di quel legno bruciacchiato «e non solo:
tutti ti ammirano qui; ti lodano… ti amano», disse, puntando
il mento in direzione del focolare, dove c’era Merrill.
Non sono nulla di tutto ciò, pensò Teras e per evitare di
guardare l’altro, volse lo sguardo alla vallata.
«Ah, lathellin, almeno tu mi ritieni degno di questa Vallaslin?» gli chiese
l’amico, sbattendo la nuca contro il tronco.
«Se ti poni il problema sei già a metà strada… Come
ci riesci?» domandò, cambiando discorso.
«Oh non è difficile, mi pongo molti problemi. Sul serio, a fare cosa?»
«A… non importarti del giudizio degli altri»
«Ma certo che m’importa, non starei così altrimenti» rispose Tamlen perplesso.
Teras scostò la schiena dall’albero e precisò: «Sì, però continui a comportarti
come sempre! Ti dispiace che gli anziani ti critichino, ma dici ugualmente
quello che pensi, nonostante tu sappia cosa comporterebbe».
«Perché, tu non fai lo stesso?»
Di nuovo, Teras allungò di nuovo lo sguardo a valle ma questa volta rispose:
«No, semplicemente so cosa vogliono sentire gli anziani; non dovresti prendermi
come esempio»
«Ah ah, se non ti prendessi come esempio non saprei come sbagliare: vedi, mi
basta fare il contrario di ciò fai tu! Dopotutto, non mi è mai piaciuto seguire
la massa.»
Quando Teras tornò in tenda, si sentì leggermente sollevato. Non si sentiva
cambiato, ma almeno era stato sincero con l’amico, al quale aveva confessato
quasi tutto ciò che gli passava per la testa. Si ripromise che il giorno
seguente avrebbe chiarito anche con Merrill.
Purtroppo la forza dei buoni propositi svanisce insieme ai sogni del mattino.
Così, quando il giorno dopo ebbe l’occasione di parlare con la elfo, trovò solo
la forza di respingere un suo bacio.
«Cos’hai?» chiese la donna.
«Nulla, Tamlen mi sta aspettando» tagliò corto. Non immaginava non avrebbe più
avuto occasione di parlarle.
I due dalish procedevano nella foresta, cercando di far meno rumore possibile.
Le foglie secche si spezzavano sotto i loro stivali di cuoio. Il sole, alto nel
cielo, gli feriva gli occhi scuri, costringendoli a strizzarli; ma i due elfi
non vi badavano e, con le mani strette sulle loro armi, si chiedevano quando
gli dei avrebbero concesso loro di agire. Quel giorno erano partiti di buon
ora, e speravano di poter portare al campo almeno un paio di cervi.
A un tratto, Tamlen bloccò il passo, ispirò l’aria fresca del mattino. «Guarda
là», sussurrò, indicando un enorme cervo che brucava tranquillo dietro un
cespuglio. Sfilò una saetta dalla faretra e si inebriò del rumore della corda
che si tende. Richiamò tutta la propria concentrazione, deciso a mandare il tiro
a segno: per una volta sarebbe tornato vittorioso.
Scoccò.
La freccia vorticò nell’aria, fino a impalarsi su una grande quercia.
L’elfo imprecò giacché un rumore improvviso aveva spaventato l’animale
facendolo fuggire. «Maledizione, l’avrei colpito!»
In quell’istante un gruppo di umani apparve da dietro i cespugli; uno di loro si
appoggiò ansante a un albero, inconsapevoli riguardo all'occasione di riscatto
che avevano fatto perdere a Tamlen.
«Shemlen» sibilò l’elfo biondo, particolarmente
infastidito. La rabbia gli ribolliva nelle tempie; si calò dalla scarpata e
raggiunse lo sventurato trio.
A Teras non restò che seguirlo.
«Bene, bene; guarda un po’ cos’abbiamo qui, lathellin: un bel gruppetto di
schifosi shemlen»
«Da… dalish!» esclamò preoccupato uno di loro.
«Sapete, non è divertente tirare una freccia a vuoto: stavo cacciando e voi
avete fatto fuggire il mio cervo»
«Noi non… volevamo»
«Voi non dovevate» parafrasò l’elfo, tirando la corda del proprio arco.
«Non vorrai ucciderli?» promulgò Teras.
«Perché no? Mi sento abbastanza frustato da farlo, dopotutto, non dovrebbero
nemmeno essere qui», sputò a terra. «Dite, forse volevate accertavi che le
leggende sul nostro conto fossero vere?»
«No…» azzardò uno sh’am, spinto in avanti dagli altri,
«noi stavamo scappando!»
«Che proverete a farlo non ci sono dubbi, ma lasciatemi almeno scoccare la
freccia» disse il biondo sarcastico, più intenzionato che mai a far loro del
male.
«Non uccideteci vi prego!» supplicò l’umano, «stavamo scappando da… dei ragni enormi, da quella parte», si girò agitato
indicando un punto nel bosco.
«Ma non mi dire, e scommetto che c’erano anche delle ragnatele enormi!»
«E’ la verità, erano spaventosi! Ci sono delle rovine laggiù, rovine molto
strane.»
«Impossibile, conosciamo ogni anfratto di questi luoghi» fece presente Teras,
fino a quel momento rimasto in silenzio.
«Le ho scoperte pochi giorni fa: erano nascoste dalle radici degli alberi.»
«Se è un luogo così spaventoso, allora perché ci siete tornati?»
«Perché la prima volta erano disabitate! Ho voluto mostrarle ai miei amici: ci
sono molti tesori laggiù!»
I dalish si scambiarono un’occhiata dubbiosa, subito dopo Tamlen sentenziò:
«Non vi crediamo; io dico che siete qui per scovare il nostro accampamento in
modo da poterci scacciare come siete soliti fare voi sh’amlen.»
L’umano lo guardò sentendo la morte vicina. Il destino quel giorno era stato
davvero crudele: aveva concesso a lui e ai suoi compagni di scappare dai ragni,
ma adesso li voleva morti per mano dei dalish. «Io… io…» balbettò, in preda al terrore.
«Che ne dici, Teras, quale di loro uccidiamo per primo?», chiese il più
minaccioso dei due Dalish.
Lo sh’am approfittò di quell’attimo di distrazione per provare a scappare ma
Tamlen gli piombò addosso, «Mi dispiace, mossa sbagliata!» E sotto lo sguardo
stupefatto degli astanti, gli spezzò l’osso del collo.
«Tamlen, che cosa hai fatto?», si stupì Teras, sgranando gli occhi. Osservava
il corpo vuoto ai piedi dell’amico: questa volta non era riuscito a fermarlo. O
non aveva voluto farlo?
«Era soltanto un inutile sh’am». Tamlen si girò verso gli altri sopravvissuti,
i quali stavano già scappando. «Ah ah, ma bravi, andate pure: codardi!» gli
gridò dietro, «forza lathellin, andiamo a vedere se queste rovine esistono» e
sparì, innalzando in aria un pugno di foglie al suo passaggio.
Teras lanciò un’ultima occhiata al cadavere, strinse i pugni e seguì l’amico.
Questa volta non poteva fargliela passare liscia! Era la prima volta che Tamlen
agiva in maniera così sconsiderata. Che cosa avrebbe pensato il clan? Un umano
era stato ucciso, e lui non era riuscito a evitarlo! Che cosa avrebbe risposto
agli anziani, se gli avessero chiesto perché non l’aveva fatto? Poco dopo
raggiunse l’amico sotto un arco di pietra che non aveva mai visto in vita sua.
«Guarda, lathellin: avevano detto la verità! Chissà quanti tesori ci sono là
dentro», esultò il biondo euforico.
«Perché hai ucciso quell’umano?» lo interrogò Teras, spegnendo il suo
entusiasmo.
«Se lo meritava!»
«Per aver detto la verità?»
«Beh, non potevamo saperlo; a ogni, modo era uno sh’am!»
«Già, ma adesso incolperanno me per ciò che hai fatto!»
«Oh, già scusami, non ci avevo pensato: ho macchiato la tua immacolata
reputazione!»
«L’hai macchiata il giorno stesso in cui ti ho conosciuto!»
«Quando tuo padre si è fatto uccidere da un branco di umani»
«Almeno il mio non è scappato chissà dove»
A quelle parole Tamlen lo spinse; l’altro rispose con un pugno. Iniziarono così
a darsele senza un motivo preciso, spinti da un odio atavico a loro estraneo
consapevoli che le mani avrebbero smesso di prudere solo quando uno dei due
fosse morto. Così, tra pugni e insulti varcarono la soglia delle antiche rovine
e l’ombra s’impossessò di loro. Teras cadde a terra, sbattendo la testa; il
colpo fu così forte da farlo tornare in sé.
Dove mi trovo? Si chiese frastornato,
come se avesse dormito fino a quel momento.
Tamlen gli si gettò addosso per sferrare il colpo di grazia, in preda a qualche
istinto omicida.
Il rosso riuscì a spostarsi in tempo e lo immobilizzò.«Lathellin!» Lo richiamò,
ma l’altro continuava a divincolarsi mostrando i denti. «Lathellin!» Riprovò,
alzando la voce e strattonando l’amico.
«Teras, che stai facendo, perché mi sei sopra?» La nube di rabbia che aveva
coperto gli occhi di Tamlen fino a quel momento si dissipò all’improvviso e
tornò l’espressione di sempre.
«Mi stavi attaccando» rispose Teras, aiutandolo ad alzarsi. Sembrava confuso
quanto il fratello.
«Perché?» chiese stranito.
«Non lo so… non ricordo come siamo finiti qui.» Il
dalish si guardò intorno, ma nulla, di ciò che vedeva, lo aiutava a capire. Non
ricordava dell’avvertimento riguardo i ragni giganti; dell’umano ucciso nel
bosco; del bisticcio avuto poco prima di ruzzolare tra quelle rovine, le quali
erano pervase da una strana e poco rassicurante aura.
«Sembrano mura molto antiche» constatò Tamlen, alzandosi in piedi. Tastò una
colonna ricoperta di muschio. «Dici che dovremmo avvertire la Guardiana?»