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Autore: sese87    14/04/2012    2 recensioni
«Per questo credi di meritare una punizione? La saggezza va costruita: scegliere di fare la cosa giusta, nonostante non la si condivida, è già un piccolo passo verso di essa.» L’anziana lo accompagnò alla porta. «La cattiveria può nascondersi anche dietro la verità: Tamlen deve ancora impararlo. Ora va’, dal’en. Se vuoi potrai accompagnare tuo fratello durante la caccia».
Questa è la prima storia di una serie che proseguirà con DA:Awakening, e il DLC DA:Witch Hunt. I quali però non saranno presenti in questa avventura, quindi niente spoiler per il momento. ^-^ Inoltre, molti degli avvenimenti, soprattutto nella prima parte, sono di mia invenzione e non seguirò fedelmente la trama del videogioco. Questi primi capitoli erano già stati pubblicati, li ripropongo corretti fino all'arrivo degli inediti. Buona lettura :)
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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primo capitolo

                                                                         Teras e Tamlen


Ognuno di noi è una luna:

ha un lato oscuro che

non mostra mai a nessuno

                                                                                                                                                                  

 


Il vecchio allungò una mano callosa e tremante verso i due giovani dalla faccia dipinta. Afferrò il sacchetto di foglie e ritrasse subito il braccio, senza nemmeno avere il coraggio di guardarli negli occhi: erano elfi Dalish, conosceva le storie sul loro conto.
«Potresti almeno ringraziarci vecchio», proferì Teras, infastidito più dal comportamento scostante dell’uomo che dal fatto di respirare la sua stessa aria. Non odiava gli umani, almeno non più di quanto avrebbe odiato qualsiasi altro essere che avesse osato lo stesso atteggiamento nei suoi confronti; non più di quanto odiasse il fatto che la sua gente fosse stata schiava di un popolo che li aveva sempre temuti.
L’uomo alzò gli occhi opachi su quelli neri e lucenti dell’elfo, due pezzi d’ebano incastonati nel marmo di una pelle opalescente. Una creatura di un altro mondo, nelle cui vene, probabilmente, scorreva lo stesso sangue che aveva macchiato la spada dei suoi avi, durante la rivolta degli elfi.
Infatti, in un tempo non molto remoto, gli umani avevano ridotto in schiavitù gli abitanti della natura, illuminati dal volere indifferente del loro Creatore.
«Ci devi una ricompensa» annunciò all’improvviso l’altro Dalish, lasciando l’impronta di un pugno sul bancone polveroso. Il vecchio tornò alla realtà.
Tamlen non aveva cattive intenzioni, ma era poco avvezzo alla cordialità con gli umani: li odiava per tutto ciò che avevano fatto passare ai propri avi e per tutto quello a cui ancora li costringevano, nonostante la conquistata libertà.
I Dalish, infatti, vagavano nel regno come reietti, puniti per colpe che non avevano commesso; se non quella di essere protagonisti delle più terribili leggende. Erano continuamente in movimento, senza poter mettere radici nemmeno nella propria terra: la foresta.
«Cosa volete?» domandò l’umano, nascondendosi dietro un nastro di luce polverosa proveniente dalla finestra.
Tamlen fece scricchiolare il collo e gli si avvicinò, con un baleno di sfida nello sguardo; afferrò il vecchio per la collottola ingiallita dal sudore, e, alitandogli in faccia, proferì «Tu cosa daresti per aver salva la vita?»
Il vecchio strabuzzò gli occhi, mentre una goccia di sudore freddo gli scivolava sul pomo irsuto; s’irrigidì al punto da mollare la presa sul sacchetto, che gli cadde a terra.
Appena udito il tonfo sordo di quell’oggetto, Teras, fino a quel momento rimasto indifferente, decise di intervenire. «Tamlen!», richiamò l’amico poggiandogli una mano sulla spalla foderata di pelliccia. «Non siamo qui per fomentare le dicerie sul nostro conto».
«Lo so, volevo solo mostrarmi per come ci vedono.» Sfoderò una smorfia in direzione dell’umano che spinse contro lo scaffale alla sue spalle, urtando le numerose ampolle di vetro e liquidi sconosciuti.
Teras non aggiunse altro al suo rimprovero, capiva fin troppo bene lo stato d’animo dell’amico, ma, a differenza di quest’ultimo, riteneva più giusto restare al proprio posto. I guerrieri Dalish hanno l’onere di difendere i deboli; anche gli umani avrebbero difeso, se necessario. Tuttavia, se mai avesse dovuto, lo avrebbe fatto in silenzio: non avrebbe giovato della riconoscenza di chi, al contrario, lo avrebbe lasciato morire.
«Nel caso servissero altre radici elfiche, avete il permesso di chiedere» concluse, raccogliendo da terra il sacchetto e porgendolo allo speziale, che a stento si issò dal pavimento. «Andiamo Tamlen: è ora di tornare all’accampamento».
«Grazie» balbettò il vecchio, ancora più tremante.
Tamlen rivolse all’umano l’ultima smorfia intimidatoria; si coprì il capo con un gesto automatico e si gettò in strada, scontrandosi con la figlia dello speziale appena apparsa sull’uscio.
«Padre!» La donna, dai capelli biondi raccolti in una crocchia di trecce, poggiò lo sguardo preoccupato sull’elfo prima, sull’anziano poi, come a interrogarlo silenziosamente riguardo la situazione: i Dalish non promettevano mai nulla di buono.
«È tutto a posto, Giordie: sono qui per affari», la informò l’uomo, conficcando le unghie ingiallite nel sacchetto.
«Ma state tremendo» riprese la giovane, attraversando la stanza per accorrere in aiuto del genitore. «Se gli avete fatto del male, io…»
«No, figliola, non è successo nulla di grave.» Il vecchio si affrettò a precisare, bloccando la frase sul nascere: la tensione era soffocante e sarebbe stato da stupidi minacciare un Dalish i cui nervi erano stati già urtati.
Teras rivolse all’uomo un cenno di saluto, ignorando, invece, la nuova arrivata; si coprì anch’esso il capo e raggiunse l’amico all’esterno della bottega.
Lo trovò seduto su di una botte di legno, con il volto completamente oscurato dal cappuccio, dondolando una piccola ampolla davanti alla faccia, sulla quale formava delle strane ombre colorate.
«Dove l’hai presa quella?»
Il biondo scivolò dalla botte, fingendo di non aver sentito la sua domanda. «Non mi piace non poter sentire il sole sul viso» disse invece.
Tra gli umani è necessario, pensò Teras, ma tenne per sé la risposta: era scontato che fosse così. «Affrettiamoci a tornare» asserì, anch’egli desideroso di sentire il bacio del sole sulla propria pelle diafana e glabra.
I Dalish non erano mai i benvenuti tra gli umani; poiché dai tratti facilmente riconoscibili, erano indotti a nascondersi sotto un mantello di pelle di lupo. Almeno quelle poche volte in cui la Guardiana concedeva loro di avvicinarsi alle città di pietra.
Si trattava per lo più di piccole commissioni, come consegnare radici, unguenti o pellicce; giusto per quel tanto che bastava a mantenere buoni rapporti con gli abitanti limitrofi. Era, tuttavia, un equilibrio precario: quella cordialità forzata diventava sempre più difficile da mantenere, soprattutto tra i giovani Dalish. I quali, manchevoli della saggezza degli anziani, erano facili alle risse con l’altra razza, percependo nei loro occhi colorati soltanto disprezzo, anziché terrore.
«Guardali,Teras; osserva la loro indifferenza al mondo che li circonda» disse l’elfo dai capelli biondi, allargando le braccia con fare teatrale.
«Sono creature strane» osservò l’altro, pensando a quante persone potessero abitare la case ai lati della strada; gli vennero in mente le laboriose formiche, sempre intente a raccogliere il cibo, ignare del mondo in cui vivevano.
«Solo strane? Sono rivoltanti » precisò Tamlen, spostando con la punta del piede un ubriacone assonnato su una catasta di legna.
«Ognuno è libero di scegliere la vita che vuole», sentenziò Teras.
«Già, ma come può aver fatto un popolo così a ridurci in schiavitù? Voglio dire: ci temono, inventano leggende sul nostro conto, influenzano anche la nostra libertà!» continuò l’altro con enfasi, bloccando il passo davanti a una locanda.
Teras lo affiancò, riflettendo un istante su quelle parole, dure quanto vere. «Anche tu combatteresti ciò che temi» rispose conciso all’arringa dell’altro, che poteva vedere soltanto di striscio, per colpa dei bordi del cappuccio.
«Quindi, se non ci avessero temuto, ci avrebbero lasciato stare?»
In quel momento un umano uscì dalla locanda barcollando,  e un profumo d’arrosto, proveniente dall'interno dello stabile, portò i due guerrieri al silenzio.
«Sono stufo di aver la pancia vuota!»  Esclamò Tamlen, dopo aver assaporato avidamente quell’odore invitante . «E sono sicuro che quell’umano potrà aiutarci, con i suoi pezzi di metallo!»
«Tamlen!», Teras lo afferrò per un braccio, avendo percepito la sua mala intenzione.«Credi che sia giusto?» lo rimproverò.
«Che loro hanno tutto e noi niente?»
I due amici si guardarono in cagnesco.
Fu Tamlen il primo a distogliere lo sguardo: Teras non si riferiva a quello e lo sapeva. Si liberò dalla sua presa e silente raggiunse la strada per la foresta.
Nessuno dei due parlò fino all’accampamento del clan.

Appena raggiunta la propria tenda, Teras sospirò sollevato: alla fine era andata bene. Sfilò il mantello e si accasciò sul proprio giaciglio ma non per stanchezza, semplicemente per riordinare le idee, nel caldo abraccio del proprio silenzio.
I raggi del sole filtravano attraverso la stoffa fibrosa della piccola alcova, creando un sipario di minuscole stelle sopra la sua testa. C’era odore di muschio e di paglia, l’unico che potesse distendere i suoi nervi; il primo sentito e forse anche l’ultimo, che gli avrebbe percorso le membra nel giorno della sua morte.
Aveva conosciuto altri umani, oltre allo speziale; infatti era certo che, la prossima volta, quel vecchio li avrebbe accolti più cordialmente. Gli altri che avrebbe incontrato, però, avrebbero inscenato lo stesso teatrino: dapprima impavidi e provocatori, poi, tremolanti come foglie d’autunno. Anche la figlia dell’umano si era comportata così, ma aveva deciso di ignorarla: che credesse a ciò che voleva! Detestava dover sempre, tutte le volte, tranquillizzarli sul loro conto… E Tamlen aveva ragione, dannatamente ragione! Come aveva fatto un popolo così inetto a comandarli per secoli?
Non c’era, inoltre, motivo per cui gli umani avessero tutto, o quasi. Un Dalish, devoto ai propri dei non dovrebbe invidiare degli essere tanto lontani da essa, eppure in cuor suo non poteva che chiedersi perché.
Condivideva l’ideologia della propria stirpe, come la devozione per le creature del bosco e per gli alberi, ma talvolta la fame era davvero troppo grande da sopportare; e chissà se gli uomini l’avevano mai sentita, la fame. Loro, a cui bastava scambiare qualche moneta per evitare di mettere in pericolo la propria vita nei boschi, per procacciarsi un pasto decente senza dover sentire in bocca il sapore del proprio sangue.
Teras si strinse il volto tra le mani fino a farsi male: non doveva pensare quelle cose, si vergognava di se stesso. In fondo, non era nemmeno tanto sicuro che fossero vere.
Possibile che uno stomaco vuoto avesse il poter di far cedere la sua coscienza? Nelle narici aveva ancora l’odore di quell’arrosto; aveva evitato che Tamlen si macchiasse la coscienza per pochi pezzi d’argento, derubando quell’umano. Tuttavia, se l’amico non l’avesse ascoltato, se non avesse preso la strada per la foresta, lui avrebbe avuto la forza di farlo desistere di nuovo? Sì… forse.
La verità era che l’aveva fermato semplicemente per un blando ideale di giustizia; blando, sì. Perché quell’odore invitante lo aveva chiamato a sé, assopendo persino la sua ragione.
Il guerriero si addormentò, riempiendo la testa di tali pensieri.

 «Non ho intenzione di dividere quel poco che abbiamo con un orecchie piatte!»
«Tamlen! E’ un nostro fratello quanto te.»
«Fratello? Se così fosse, avrebbe i segni della natura. Sentite il suo odore: puzza di umano.»

 Teras si destò al suono vibrante di quelle parole iraconde. Non impiegò molto a capire cosa stesse accadendo, così si precipitò all’esterno per calmare l’irascibile compagno d’infanzia.
«Cosa sta succedendo?» chiese, alla volta degli elfi radunati intorno a un focolare, strizzando gli occhi poiché ancora non abituati alla luce.
«Ma come, non senti il suo fetore?» asserì l’amico, ispirando l’aria disgustato.
Era vero; i polmoni di Teras si impregnarono del profumo del fuoco, misto a un disgustoso olezzo fin troppo familiare.
«Tieni a freno la lingua,  Tamlen » lo richiamò uno degli altri, alzando un pungo minaccioso.
«Altrimenti?» lo provocò il ragazzo, il quale fu bloccato, per la seconda volta nell’arco di una giornata.
«Calmati, fratello.» L’amico lo reggeva per le spalle, con i suoi capelli in bocca.
Tamlen lo guardò paonazzo e, avendo ormai perso la propria lucidità, si divincolò malamente: era ingiusto! «A noi non è permesso andare liberamente nelle città di pietra, eppure ad alcuni di noi è concesso di andare e venire, giovando del meglio di entrambe le razze.»
Il discorso era riferito a Gadesh, l’orecchie piatte da poco giunto nel clan, oggetto di quell’ostinato diverbio.
Egli era cresciuto presso gli umani, ma nato da genitori elfi; i quali facevano parte di quelli che avevano preferito stanziarsi in città, piuttosto che onorare le proprie tradizioni, come i Dalish.
Tuttavia, non pochi erano i pentiti: molti “orecchie piatte”, elfi di città, riconoscibili per l’assenza di tatuaggi, avevano ripercorso la strada delle origini.
Teras ruotò incuriosito le pupille su Gadesh.
Sembrava uno di loro. Appunto, sembrava: aveva addosso i segni del proprio sangue spurio e nessun tatuaggio ad onorare gli dei, magari non aveva mai nemmeno dovuto cacciare, avendo in città ciò che gli umani chiamavano “empori”. E i suoi occhi non erano neri.
Tamlen approfittò dell’esitazione dell’amico per balzare addosso al nuovo arrivato e in un attimo fu accerchiato dagli altri elfi, che giustamente cercarono di sedare la rivolta. Uno contro quattro.
Due contro quattro. Teras si fiondò in aiuto del compagno: non era sicuro di condividere le sue idee, ma lo avrebbe difeso ugualmente.

«Cosa ti eri messo in messo di fare?»
La Guardiana si piazzò di fronte a Tamlen, livida in volto. Indossava degli abiti silvestri e i suoi capelli bianchi la rendevano molto più eterea che vecchia.
Non approvava la violenza tra i suoi “figli”.
Il giovane fuggì il suo sguardo velato dalla saggezza degli anziani, e lo abbassò sul pavimento di terra battuta. Tamlen abbaiava continuamente, ma alla fine sapeva tornare al proprio posto.
«Sono davvero delusa, dal’en; dovresti professare il rispetto per tutte le creature, non lasciarti avvelenare dal risentimento, soprattutto contro un tuo fratello!»
I fumi delle cortecce, bruciate a mo’ d’incenso, formavano fili sottili e densi, spezzandosi sul tetto della capanna di sterpi.
Il guerriero trovò in quell’incenso un balsamo per la propria ira.
«Vorrei che tu capissi che il clan ha già abbastanza problemi: non vorrei se ne creassero di nuovi», riprese l’anziana.
«Capisco, madre; vi prego di perdonarmi.»
La donna corrugò la fronte dipinta di verde; esitò sulla sua figura ancora qualche istante, prima di dargli le spalle. Si avvicinò ad uno dei nodosi rami della parete, sul quale era cresciuto un tenero bocciolo verdastro; dopo averlo accarezzato, annunciò: «da oggi mangerai da solo, tornerai a dividere i pasti con gli altri quando avrai imparato dalle tue azioni. Inoltre...» fece un passo verso il ragazzo, se credi che ciò che abbiamo non sia sufficiente, provvederai tu stesso a sfamarci tutti, da solo.»
«Madre!»Teras, fino ad allora rimasto in silenzio, s’intromise nel discorso.
«Sì, dal’en?»
«Non sarà da solo, merito anch’io la stessa punizione!»
La donna sorrise dolcemente. «La tua devozione ti fa onore, Teras.»
«Non è devozione» la corresse repentino, gesticolando animatamente. «Credo solo che sia una punizione ingiusta.»
L’espressione dell’anziana cambiò, accartocciandosi in una smorfia. «Ingiusto è insultare un fratello; ingiusto è insultare ciò che abbiamo»
«Ma anch’io ho partecipato alla rissa.»
«Solo per proteggere me» precisò Tamlen: si sentiva già abbastanza in colpa senza che un suo fratello patisse per colpa sua»
«Non dovresti pagare sofferenze che non hai causato»
Il rosso scosse la testa poiché meritava quella punizione quanto lui: in cuor suo serbava gli stessi pensieri che avevano fomentato la lite. Doveva essere punito, per non essere stato sincero con se stesso; per non aver ancora raggiunto la saggezza di un Dalish.
«I Dalish non nascono saggi» proferì la Guardiana, come se gli avesse letto nel pensiero. «Tamlen, tu puoi andare.»
Il biondo annuì, lasciandoli da soli, pieno di comprensione verso Teras.
«Madre, io…»
La donna lo zittì. «Credi forse che io non conosca i miei figli, dal’en?»
Teras rimase in silenzio: non occorreva rispondere.
«So bene quanto sia difficile accettare alcune condizioni: gli dei a volte ci pongono davanti a delle scelte e non sempre è facile fare quella giusta. Ti turba che avresti potuto compiere lo stesso sbaglio di Tamlen, non è così?»
Il ragazzo alzò la testa davanti a quella scomoda verità. L’aveva creduto: tornato dalla città aveva ammesso che avrebbe derubato l’uomo, se l’amico avesse insistito; persino il focolare, davanti al quale era scoppiata la discussione, avrebbe potuto illuminare il suo rancore nei confronti di Gadesh. Se solo fosse riuscito a farsi avanti.
Tuttavia, non avevo fatto nessuna delle due cose.
«La verità è che avresti potuto, ma l’hai evitato» continuò la donna.
«Ciò non toglie che ho pensato le stesse cose di Tamlen: sono stato vile a non esternarle.»
«Per questo credi di meritare una punizione? La saggezza va costruita: scegliere di fare la cosa giusta, nonostante non la si condivida, è già un piccolo passo verso di essa.» L’anziana lo accompagnò alla porta. «La cattiveria può nascondersi anche dietro la verità: Tamlen deve ancora impararlo. Ora va’, dal’en. Se vuoi potrai accompagnare tuo fratello durante la caccia».

 

 

Nda: perché sto prendendo tanto a cuore questa storia non lo so, probabilmente perché alcune scene di essa mi martellano in testa e non avrò pace finché non l’avrò finita di scrivere. Tuttavia, so perché ho deciso di cancellarla (sarei una pazza se non lo sapessi xD) e di riproporla riveduta e corretta.

Per prima cosa non ero del tutto soddisfatta, non come lo sono ora, della sua riuscita J Si tratta di una storia che ho abbondato per anni e ripreso dopo tanto tempo, forse troppo. Per cui molti degli indizi che avevo lasciato tra una riga e l’altra sono andati perduti nei meandri della mia mente bacata xD.

Secondo, non amo scrivere male e non sono mai pienamente soddisfatta quando si parla forma e di grafica (eh sì, anche l’occhio vuole la sua parte! Soprattutto il mio :P) per questo ho deciso di rivolgermi a qualcuno, il fantasmagorico beta reader, affinché i mie capitoli avessero la correttezza da me tanto ricercata J Per questo ringrazio di cuore chi ha svolto e sta svolgendo questo lavoro di correzione. Grazie infinte! :D Alle mie beta per essere tanto gentili, brave e pignole.

Terzo ed ultimo motivo, non mi piacciono le cose rimediate. Quindi, in tutta onestà non mi piaceva l’idea di scambiare i vecchi capitoli con quelli nuovi e corretti e lasciare gli altri, non corretti, al loro destino, finché non avessi modificato anche loro. Dunque, trovandomi davanti alla scelta, cancellare tutta la storia e riproporla, fino all’arrivo dei capitoli inediti e mai pubblicati; o modificare i vecchi lasciando metà storia corretta e metà no, ho deciso per la tabula rasa e ricominciare dall’inizio.

Prima che mi tiriate qualcosa contro per questo sproloquio, vorrei informare i vecchi (e i nuovi lettori se mai ci saranno) che i capitoli inediti verranno ripubblicati non appena i vecchi saranno belli e (quasi :P ) perfetti. Detto questo, ringrazio tutti coloro che avevano apprezzato la mia storia nei tempi addietro e che avevano avuto la voglia di lasciare un commento: thewhitefool, per tutte le belle parole che mi ha sempre rivolto e l’incoraggiamento che ne ho tratto, e spero di leggere ancora di Willard, il suo personaggio; Giulz87 e Yori, che dal fandom di Dragonball Z mi hanno seguita fin qui; Artemis-sama per le recensioni lasciate; Zafrina con la quale credo di condividere la passione per Morrigan xD; e infine ringrazio Justinian, il quale se non mi ha ucciso fin’ora, credo lo farà presto dopo questa mia ultima trovata! Ma non temere Matthew, i capitoli nuovi arriveranno presto e sono già in cantiere xD tanto ora non hai tempo per leggerli u.u.

Finisco col rigraziare la Sister che ha iniziato a leggere la mia storia.

Un saluto e un abbraccio a tutti voi, alla prossima!^w^

 

 

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