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Autore: Cassie chan    18/11/2006    1 recensioni
Una storia strana, una storia qualunque. Due persone diverse, ma complementari. Due sapori diversi, ma complementari. Un destino che li unisce. Due vite che li dividono… le loro… E la consapevolezza di quello che sarebbe stato e non fu più. Una storia d’amore sul senso dell’amore… esiste qualcosa di più importante? E se dalla risposta, poi, dipendesse anche tutto il resto?
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ayako, Hanamichi Sakuragi, Haruko Akagi, Kaede Rukawa, Ryota Miyagi
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo 6 – Something definitive (Haruko Akagi)

Capitolo 6 – Something definitive (Haruko Akagi)

 

C’è una ben consolidata tradizione che prevede che, almeno una volta in un anno scolastico, una ragazza finisca a piangere in bagno. È quasi una legge non scritta che non cessa mai di ripetersi, potete chiedere a tutte e vi risponderanno nella stessa maniera. Io non ero né tanto felice e contenta, né una regina della popolarità, per costituire un’eccezione, e per non ritrovarmi, seduta per terra, in un piccolo cubicolo bianco e celeste. Mi portai il fazzoletto sulla guancia, cercando di asciugare quel pianto che non ne voleva sapere di smettere. Erano quasi trenta giorni che piangevo da sola come una cretina, e tanto più mi sforzavo di smetterla e tanto più continuavo a piangere. Chi mi guardava, mi veniva a dire che ero davvero patetica, che in fondo non era morto nessuno e che si poteva benissimo andare avanti da sole. Certo che lo sapevo, non ero tanto imbecille da non saperlo, ma ci sono attimi, momenti, in cui la tua vita cambia del tutto. E quello era uno di questi. Apparentemente ero sempre la stessa, apparentemente la mia faccia, il mio viso, i miei capelli, i miei occhi erano uguali, ma dentro, qualcosa era cambiato. Il mio cuore era cambiato. Per una cosa piccolissima, minuscola, ma da cui dipendeva tutto. Allora capisci quanto era importante, quanto poi era da quella cosa, che consideravi un semplice contorno, che dipendeva gran parte del ritmo e della musica della tua esistenza. Questo per me aveva avuto un nome: Kaede Rukawa.

E questo era ancora più patetico.

Il motivo era semplice, me ne ero già resa conto: il bellissimo asso dello Shohoku era già innamorato. Del basket. Nella sua vita, c’era posto solamente per questo, e per niente altro che lo andasse minimamente a distogliere dal suo obiettivo, diventare una stella della pallacanestro. Lo sapevo, questo già lo sapevo, lui mi aveva sempre colpito per questo, per aver dato tutta la sua anima a quel pallone arancione. Attenzione, la sua anima, non la sua vita… il che era diverso, sensibilmente, ma profondamente diverso. Takenori aveva dato la sua vita al basket, Mitsui aveva dato la sua vita al basket, Kaede Rukawa aveva dato la sua anima, il suo cuore, ogni genere di sentimento era un pegno al basket. Garanzia di un debito che lui aveva contratto con quello sport, responsabile delle sue sole emozioni. 

Rukawa non aveva bisogno di nient’altro. Tantomeno di me.

Faceva male, certamente faceva male, faceva soffrire, spezzava il cuore, ma alla fine era… non so, mi azzardo a dire, confortante… nessun’altra avrebbe avuto il mio posto, inesistente, nel cuore di Rukawa.

Ma la vita è piena di sorprese. E un uomo non può negarsi a sé stesso. È una legge del mondo, quanto quella che vede una ragazza versare lacrime nel bagno della scuola.

Un mese prima, camminavo per il corridoio con le mie amiche nella pausa pranzo, faceva caldo ed eravamo tutti su di giri perchè lo Shohoku sarebbe andato ai campionati nazionali. Durava ancora quella gioia, anche gli altri club eccellevano in molti casi, ma il basket era un’altra cosa. Era il mondo dove si sentivano nomi come Sendo, Maki, e tanti altri, quei giocatori famosi che tutti si sarebbero contesi alla fine del liceo. E adesso tra loro c’erano anche i giocatori dello Shohoku. Il professore mi intimò di entrare subito in classe, anche lui era vistosamente contento, ma il suo ruolo gli impediva di fare troppo il gaio e frizzante. E poi Aota minacciava di morte tutti quelli troppo contenti della vittoria dello Shohoku, loro con la squadra di judo avevano vinto il campionato e magari meritavano un po’ più di attenzione…

Mi sedetti al mio posto e, tre secondi dopo, ero già nel mondo dei sogni. Guardavo pigramente fuori dalla finestra, il cielo era così limpido e chiaro, e l’aria sapeva già di estate. Il professore cianciava, ma ad un tratto la sua voce si alzò di tono e urlò: “Miyazawa, smettila di scambiare bigliettini! Vuoi andare in presidenza?”; era una di quelle gattacce morte del fan club di Rukawa che parlottava a bassa voce, e fui contenta che l’avessero rimproverata. Risi tra me e me, ma dopo qualche secondo la lezione fu di nuovo interrotta. Ma era proprio cretina questa… stavolta, il professore non fu così clemente, e si avvicinò al suo banco con un perfido sorriso: “Visto che non riesci a smetterla di parlare, si deve trattare di una cosa estremamente interessante! Puoi renderci partecipi?”

In quel caso, l’innata malvagità dei prof ci faceva comodo, tra ritrosie varie e nuovi rimproveri, se ne sarebbero andati almeno venti minuti. La ragazza in questione poi era una alla NON-HO-PELI-SULLA-LINGUA, quindi avrebbe spiattellato tutto. Matematico. Avevamo trovato il gossip della settimana. Ogni cosa era buona per fare commenti. Me ne ero resa conto solo in quel momento, anche se c’ero stata in mezzo anch’io, anch’io mi ero soffermata su particolari insignificanti delle vite altrui. E adesso… anche questo era cambiato… adesso mi faceva schifo, una serie di balzi diffusi nel mio stomaco. Magari quel giorno mi fossi tappata le orecchie…

Miyazawa si alzò in piedi enfaticamente e disse, la voce vistosamente nervosa: “Quel figo di Rukawa se l’è fatta con Ayako, la manager… quella della prima sezione del secondo anno… vi rendete conto?”

“Vai in presidenza, Miyazawa!” urlò il prof. Non era riuscito a metterla in imbarazzo, e quindi il suo intervento non era riuscito. Tornando al posto, magari ci pensò per un po’ a questo nuovo pettegolezzo… Kaede Rukawa, quello della squadra di basket, con la manager, un classico…

Per tutta l’ora, regnò un silenzio irreale in classe. I ragazzi ridacchiavano tra loro, ma erano abbastanza bravi da non farsi scoprire dal prof. Finita la lezione, una folla impressionante di ragazze se ne andò in bagno, il motivo intuibile. Io uscì in corridoio e mi misi davanti all’aula di Ayako, calma, serafica, tranquilla. Ma non ne uscì nessuno, Ayako non era venuta a scuola, mancava già da qualche giorno.

Che le avrei detto poi?

Brava, ti sei fatta il ragazzo più bello della scuola? Questo, credo che già lo sapesse, senza che io glielo dicessi.

Complimenti, Rukawa era una preda difficile? Questo poi, era ancora un dato di fatto e l’avrebbe resa ancora più orgogliosa di sé.

Non potevi metterti con Miyagi? Domanda stupida, quei dieci centimetri in più in altezza aiutavano… e molto…

Mi hai spezzato il cuore? Una nuova affermazione stupida, certo che lo sapeva…

Ayako non era mia amica. Rukawa non era il mio ragazzo. Più chiaro di così si muore.

Uscii fuori dalla scuola e me ne andai in giardino, appoggiandomi al tronco di un ciliegio in fiore. Gruppetti di ragazze continuavano a gridare qua e là ed anche se non volevo sentirle, era praticamente impossibile. Sembrava pure che l’aria mi suggerisse nuove immagini di quei due insieme. Immagini strane, ma che dovevano essere accadute.

Cosa era stato? Amore, sesso o che altro?

Domande senza alcuna risposta, e ad ogni mancanza di risposta, nuove lacrime si aggiungevano alle precedenti, ma non riuscivo a piangere, non ci riuscivo. Come se avessi paura di non smettere più.

Se era stato amore, il mio teorema si sgretolava su sé stesso. Kaede Rukawa non voleva semplicemente innamorarsi di me. 

Se era stato sesso, le cose non cambiavano molto. Ero chiaramente una mocciosa ai suoi occhi, e invece Ayako… lei aveva tutti i numeri per essere desiderata e per sembrare una donna, e non una bambina. Mi guardai, fisicamente non avevo nulla che facesse presagire che avevo sedici anni compiuti, ero piatta, bassina, insignificante. Mi sedetti per terra, tutto tornava adesso, era tutto fin troppo chiaro adesso…

Mi sentii battere sulla schiena, era Mito.

Si sedette accanto a me, continuando a guardare avanti.

Non parlava e nemmeno io avevo tanta voglia di farlo, quindi rimanemmo in silenzio per un bel po’, finchè suonò la campanella del pranzo. Era passato tanto tempo? Sembravano solo tre secondi, da quando era arrivato… lui si alzò in piedi e mi disse in un sussurro leggero che si perse nel vento, che aveva preso a soffiare caldo sulla scuola, sollevando polvere: “Vai a casa… e mettiti a piangere… ti sentirai meglio…”.

Non seguì il suo consiglio.

Scoppiai a piangere trenta secondi dopo.

E solo allora andai a casa.

Da allora, era passato un mese, un mese stanco ed apatico, dove tutto quello che sembrava importante perdeva valore, scoloriva, diventava indifferente. Non ci andavo più agli allenamenti, avevo visto di sfuggita Rukawa solo qualche volta, più invisibile di tutto il resto del tempo. E per quanto riguarda Ayako… era sempre assente… a quanto pare, si trasferiva… certo, adesso se ne poteva andare, il danno ormai l’aveva fatto… intendo il danno a me, non che per lei sia stata una sofferenza stare con lui per ben tre mesi, senza dirmi niente… non poteva essere stata una sofferenza… una parte di me allora si chiese perché se ne andasse… sospirai, ma che cavolo me ne frega?

Uscì dal bagno, e mi guardai allo specchio. Avevo pianto di nuovo, e mi ero pure scordata il perchè… ah già, qualcuno aveva aggiunto nuovi particolari alla storia dell’anno, mentre eravamo in classe durante un cambio dell’ora. Particolari insignificanti su presunti sentori che si avevano… troppo strano che non si parlassero all’improvviso, troppo strano che spesso tornassero a casa assieme, troppo strano che Miyagi stesse sempre così nervoso… cazzate, enormi cazzate. Neanche Nostradamus l’avrebbe previsto, figuriamoci loro, figuriamoci… io… persa dietro alle mie follie romantiche…

Mi spazzolai i capelli e mi rimisi il lucidalabbra, cercando di sembrare più carina, una ragazza disinteressata e sicura di sé. Sarei andata agli allenamenti, Anzai mi aveva chiesto di andarci, voleva una nuova manager, al posto di quella là… dovevo incarnare l’immagine della ragazza che lui avrebbe potuto desiderare, ma stavolta non avrebbe mai potuto avere. Una ragazza lo fa sempre, quando viene rifiutata per un’altra, si prepara e lo immagina a sbavare per lei, rendendosi improvvisamente conto di quanto lei fosse bella ed attraente. È una sorta di placebo un pensiero del genere, un farmaco perfettamente inutile, ma che almeno ti dà l’illusione di stare meglio.

Uscii fuori e ritornai in classe, solito rimprovero e solita litania del prof di tre ore. Mi sedetti al mio posto e mi misi a guardare fuori dalla finestra. Pioveva a dirotto, che palle, già stavo depressa, ci mancava pure la pioggia… tutto sembra peggiore, se piove… continuai a scarabocchiare sul mio quadernetto, mentre un gruppetto di ragazzi si radunava davanti alla finestra. Era successo qualcosa, qualcuno si era fatto male…

Finalmente la campanella suonò.

Raccolte le mie cose, lasciai uscire la folla scalmanata che spingeva per tornare a casa, e poi uscii finalmente fuori. Fuori dall’aula, c’erano Okusu, Noma, Takamiya e Mito.

“Dovresti ritenerti fortunata che vieni scortata da quattro figaccioni come noi…!” rise Takamiya. Cercavano ovviamente di farmi ridere, e, nella mia parte, un bel po’ di risate forzate non guastavano. Risi a mia volta, mormorando un: “Illusi!” a denti stretti, facendomi però perfettamente sentire da loro, che giudicarono che stessi relativamente bene e quindi ripresero a parlare dei cavoli loro. Prendemmo a scendere le scale e c’erano gruppetti ancora sparsi di ragazzi, che parlottavano ad alta voce, o che aspettavano che spiovesse.

“Certo che sta storia di Rukawa ed Ayako ha dato parecchio da spettegolare…” mormorò Okusu, guardando le tre ragazzine del fan club di Rukawa, che parlavano a bassa voce, l’aria decisamente sbattuta. Sembravano stare pure peggio di me…

Mito gli diede una gomitata nello stomaco, indicandomi con il capo, ma io mi voltai verso di loro e dissi con un falsissimo sorriso: “Non vi preoccupate, sto bene… in fondo, lo sapevo da tanto di non avere speranze… non ci voleva certo Ayako per farmelo capire…”

“Eppure non le parli, no?” obiettò con la sua solita voce strascicata Takamiya, ed anche stavolta Mito gli pestò il piede, mormorando: “Ti vuoi stare zitta, scrofa!”

Sorrisi solamente, e continuai a camminare, sorpassandoli. Sentivo di voler piangere, di nuovo, ma era davvero troppo cretino, e poi mi sarei sciolta tutta, riducendomi peggio di prima. E io ero una ragazza disinteressata e sicura, eccetera, eccetera… magari quando torno a casa… sì, e Takenori mi ammazza…  la notte prima lo avevo persino svegliato, e lui si era decisamente incazzato: “Ti avevo detto di lasciarlo perdere! Rukawa sarà pure uno dei migliori giocatori del torneo, ma è un cesso dal punto di vista delle relazioni sociali! Ci avrò scambiato tre parole dall’inizio dell’anno –PASSA! -E ’ MIA!- e infine la più originale di tutti –PRENDIAMO IL RIMBALZO!-; e sono in squadra con lui! Non ti puoi prendere un ragazzo normale?!”. Avevo sorriso, e mio fratello mi aveva accarezzato la testa come quando faceva, quando ero piccolina, e mi facevo male, è difficile da credersi, ma è capace di una dolcezza infinita pure con quelle mani da… bè, da gorilla, come la direbbe Hanamichi… forse era più per lui che andavo agli allenamenti… sì, bella chiacchiera, Haruko… ci vai solo ed esclusivamente per vederlo ancora e per sperare che magari succeda qualcosa, anche se prima era una cosa improbabile, adesso è praticamente impossibile…

Aprii l’ombrello, mentre gli altri correvano, cercando di non bagnarsi, e ospitavo invece Mito sotto il mio ombrello.

“Dai, dì la verità… come stai? Intendo davvero… non voglio sapere se sei superficialmente contenta della tua salute…” mi chiese, reggendo l’ombrello, dato che era più alto di me.

“Sto meglio…” risposi con lo sguardo basso, poi lo sollevai e dissi velocemente: “Non è stata un bella cosa, ma si sopravvive…”. Ulteriore chiacchiera colossale.

“Ci sono tanti altri ragazzi che farebbero di tutto per stare con te, lo sai vero?” mi disse, guardandomi, poi continuò a guardare avanti: “Ed è anche inutile dirti chi è il primo della lista…”

Mi si gelò la testa, e mi raggomitolai su me stessa. A chi si riferiva? Non ce le vedo queste schiere di ragazzi che mi venivano dietro. Lo guardai senza capire, mentre lui sospirava: “Certo che sei davvero ingenua, Haruko Akagi… c’è una persona che si impappina ogni volta che ti vede, che arrossisce, che è persino entrato nella squadra di uno sport che odiava… di chi pensi che sto parlando?”

Sbattei le palpebre un paio di volte: “Hanamichi? Ma non dire cavolate, io e lui siamo solamente amici!”

Lui scoppiò a ridere e disse: “Fammi il favore di non dirglielo, altrimenti quello è capace di suicidarsi!”, poi si voltò verso di me e ripeté seriamente, scadendo le parole come se fossi una bambina particolarmente testarda: “Hanamichi è innamorato perso di te, è entrato nella squadra di basket per far piacere a te, e il motivo a monte per cui ce l’ha sempre avuta con Rukawa, sei sempre stata tu e solamente tu… hai capito, adesso?”, certo che questa proprio non me l’aspettavo, avevo notato che l’atteggiamento di Hanamichi era sempre affettuoso e gentile, ma mi ero convinta che fosse perchè gli ero, che ne so, simpatica…

“Certo, adesso il basket gli piace e ce l’ha con Rukawa per altri motivi, ma all’origine c’eri tu…” riprese Mito, continuando a guardare avanti “Allora che ne pensi? Intendo, lui… ti piace…?”

Mi serrai ancora nelle spalle, e rimasi in silenzio per un po’, decisamente imbarazzata, poi sussurrai: “E’ un bravo ragazzo e, insomma, è anche carino…”

“Ma?” sorrise Mito, guardandomi

Sorrisi anch’io e risposi sinceramente: “Adesso non me la sento… adesso voglio stare per conto mio…”

“Hai ragione” rispose lui quasi con voce malinconica, poi a sorpresa mi accarezzò la testa, come si fa come una bambina, come aveva fatto la sera prima mio fratello. Solo che mio fratello era mio fratello… lui, insomma, non era proprio mio fratello… fu allora che capii cosa mi differenziava da Ayako. Il motivo per cui Rukawa non avrebbe mai scelto me per vivere una romanticissima storia proibita.

Io ero una bambina, ed ero contenta di esserlo.

Ne ero felice.

I miei sentimenti si leggevano sulla mia faccia. Ero troppo schietta ed aperta per lui. Per lui, la cui vita era un costante segreto, un costante tira e molla tra quello da esternare e quello da nascondere.

Sorrisi, per la prima volta da giorni, leggermente più sincera.

 

 

Rabbrividii ancora, ma non faceva freddo. La palestra era riscaldata in fondo. Eppure avevo freddo. Mi misi la giacca addosso e rimasi seduta, mentre Mitsui faceva un tiro da tre punti e Miyagi rimaneva imbambolato a guardare la porta che era chiusa. Chi cavolo aspettava? Domanda stupida la mia… e io chi aspettavo? Mi voltavo ogni venti secondi verso la porta dello spogliatoio, sperando che si aprisse, pregando che rimanesse chiusa.

“Dov’è quel ritardato di Hanamichi? Adesso il gorilla lo picchierà a sangue!!” risero tra loro Mito e Takamiya, mentre Okusu e Noma improvvisavano un bagarinaggio di scommesse sul numero di secondi tra l’entrata in palestra di Hanamichi e il pugno scontato di mio fratello. Vinceva di gran lunga il tempo di un secondo netto.

Finalmente entrarono in palestra Kogure e Takenori, che ovviamente chiese dove fosse Hanamichi. Ryota sembrò sbiancare e iniziò a balbettare di fronte alla stazza di mio fratello… sogghignai tra me e me, in effetti faceva proprio paura… infine, Ryota si illuminò e disse decisamente soddisfatto di sé stesso: “Non manca solo Hanamichi, ma anche Rukawa…”. La mia risata si bloccò sulle mie labbra, era un sollievo per me non vederlo entrare, forse aveva la febbre o… era tornato da Ayako… abbassai gli occhi, era probabile, era possibilissimo… il mio cuore riprese a battere quando invece lui entrò in palestra, in silenzio, senza salutare nessuno, come faceva sempre. Come faceva sempre.

Ma non era così.

Non era così.

E solo io lì dentro lo avrei potuto capire. Solamente io.

Per gli altri lì dentro, eri sempre uguale… forse anche per te, eri sempre uguale… perchè i tuoi sentimenti sono scatole cinesi, e non guardi mai fino alla scatoletta più piccola. E quella un giorno è diventata enorme e ha assorbito tutte le altre. E non te ne sei accorto vero, Rukawa? Non te ne sei accorto vero? O magari sì, e ti ha fatto paura. Hai paura del tuo cuore adesso. Perché non ti puoi più negare a te stesso.

Fu quella la prima volta che nella mia mente quel bellissimo ragazzo moro dagli occhi chiari fu appellato con il suo nome… Kaede… lo avevo sempre chiamato Rukawa, il nome scritto in rosso fiammeggiante sulla sua divisa da basket, il nome urlato a squarciagola durante le partite vinte e perse, perchè nella mia mente lui era sempre Rukawa. La punta di diamante dello Shohoku, il giocatore più bravo del torneo. Mai Kaede. Mai. Non c’era alcun Kaede nella mia mente. Avrei anche detto di non conoscerlo. Adesso invece incontravo quel ragazzo che piegava il capo dietro un cognome dal suono gutturale e duro.

Avevo sentito una canzone tempo prima, o era una poesia? Non me lo ricordo più, la memoria spesso fa brutti scherzi. Comunque, riferendosi ad un amore lontano, ormai perso per sempre, l’autore diceva: “Adesso il buio ha i tuoi occhi… belli da rubare i tuoi occhi, incredibilmente azzurri, ma quasi mai sereni …”… sì, doveva essere una canzone, e io l’avevo sentita tantissime volte ed ogni volta non avevo capito che cosa volesse dire. Che cosa volesse dire che il buio avesse i suoi occhi… era nell’oscurità delle notti insonni che lui vedeva gli occhi della sua innamorata o erano i suoi stessi occhi ad essersi eclissati per quella sofferenza?

Lo capii, vedendo Kaede.

I suoi occhi azzurri erano più scuri, più freddi del solito, più silenziosi. E nei suoi occhi bui passavano altri occhi. Non i miei. Non altri sguardi che il basket gli aveva donato. Non gli occhi autoritari di Shinichi Maki, non quelli allegri di Akira Sendo, non quelli sicuri di Kenji Fujima, non quelli degli altri giocatori che aveva affrontato, i soli che avrebbe sempre sostenuto di aver guardato. Nei suoi occhi, splendevano gli occhi di Ayako.

E non se ne accorgeva, non se ne sarebbe accorto mai. Fino all’ultimo.

Presero ad allenarsi. E lui era rabbioso, crudele e spietato. Infilava quella palla nel canestro nervosamente, maltrattandola, il pallone un perfido nemico che scottava e di cui doveva liberarsi per paura di bruciarsi le mani. Magari lo negavi, non te lo dicevi, ma adesso avevi capito che a quel pallone avevi venduto la tua anima, e adesso l’avresti voluta indietro. Per darla a lei, vero?

Perché te ne eri innamorato.

E non l’avresti mai detto a te stesso, un miracolo sarebbe nato e sarebbe morto, putrefacendosi in te.

L’allenamento stava per finire, faceva ancora più freddo adesso, si gelava. Mi chiusi ancora nelle mie spalle, stranamente non mi veniva più da piangere… sentivo il cuore a pezzi, ma quasi non faceva più male. Non ero la sola. Migliaia di cuori venivano spezzati ogni giorno. E tra quelli c’era anche il cuore scintillante di ghiaccio di Kaede Rukawa.

Ad un tratto, la porta si aprì di scatto e tutti ci voltammo a guardare, la pioggia che cadeva fuori entrava in maniera  prepotente nella palestra.

Alla porta, c’era Hanamichi. Era bagnato dalla testa ai piedi ed aveva il fiatone. Aveva la maglia completamente zuppa, e sporca. Non ce ne accorgemmo subito.

I suoi amici scoppiarono a ridere, e lo additarono sopra le mie spalle.

Lui li ignorò, guardava fisso davanti a sé, guardava… Kaede…

Respirava a fatica, poi finalmente entrò in palestra, bagnando per terra. Reazione scontata quella di Takenori. Ma non fece in tempo a raggiungerlo per picchiarlo, che Miyagi si mise in mezzo.

Aveva il viso stravolto pure lui: “L’hai trovata? Le hai parlato?”

Nessuno di noi riusciva a capire, il volto di Hanamichi ancora una maschera d’acciaio.

“Ma Hanamichi… stai sanguinando!” disse Mitsui, guardando i suoi vestiti

“Non è il mio sangue…” disse lui, battendo i denti, poi si scagliò con furia su Kaede, mollandogli un pugno in pieno viso

“Figlio di puttana!” urlava, continuandolo a prendere a pugni, mentre Kaede cercava di reagire, ma lui sembrava vistosamente più forte di lui. In quel momento almeno.

Ryota e Takenori riuscirono a separarlo: “Che cazzo fai, Hanamichi?! Ti sei rincoglionito?!” chiese mio fratello, mentre tutti noi guardavamo meravigliati, le truppe di Hanamichi già pronte ad intervenire. Lui continuava a divincolarsi, gridando, mentre Kaede sputava sangue, seduto a terra, aveva il labbro spaccato e un taglio sulla guancia.

“Hanamichi, che cazzo fai?!” chiese Ryota “L’hai trovata sì o no?”

“L’ho trovata!” urlò Hanamichi, poi si rivolse con furia al playmaker e disse: “L’ha messa incinta! Questo figlio di puttana l’ha messa incinta!”

Adesso tutti iniziammo a capire. Ayako… parlavano di lei… lui, Kaede… l’aveva… 

Iniziai a tremare, mentre Kaede sollevava lo sguardo verso Hanamichi e diceva con astio divertito: “Te l’ha detto lei? Che c’è, adesso te la fai con lei? Il tuo obiettivo non era la sorella di Akagi?”

Il mio labbro continuava a tremare, incrociai lo sguardo di Mito che si voltava piano verso di me.

Ryota gli diede un calcio nello stomaco, ed anche lui fu fermato da Mitsui: “La smettete di fare gli imbecilli? Sono cazzi suoi e di Ayako…”, ma non era vero ed anche lui lo sapeva. Questa storia ormai era più di tutti gli altri che loro.

Ma furono le ultime parole di Hanamichi a far saltare tutto. Il gioco delle marionette, che era la vita di Kaede Rukawa, precipitava nell’ombra buia dei suoi spenti occhi azzurri.

Hanamichi guardò Mitsui, i suoi occhi adesso erano quasi lucidi: “Il sangue… il sangue è il suo… l’hanno spinta per le scale… ha perso il bambino… e adesso è all’ospedale…”

Quando un cuore si spezza, nessuno se ne dovrebbe accorgere. Nessuno… solamente tu lo sai.

Senti il respiro venirti meno, le gambe che si piegano, la tua anima che reclama ossigeno, ma invece è come se ti spingessero la testa sott’acqua, ed essa entrasse nei tuoi polmoni, soffocandoti. E il tuo cuore si spezza, lo senti, lo avverti il vuoto che si viene a creare nel tuo petto. Magari lo ignori, lo nascondi, ma quello c’è sempre, e dura. Tanto. Troppo. Un cuore spezzato non viene riparato subito. Un cuore spezzato non viene riparato spesso. Se è “un” amore, ne esci fuori in due mesi, se è un bell’amore in due anni, se poi è il Grande Amore… semplice, non ne esci fuori più… chissà per lui che cosa era… quello che è accaduto mi farebbe pensare per la terza ipotesi, ma poi… in fondo, poi, la vita è lunga… di uscirne se ne ha sempre l’occasione…

Il cuore di Kaede Rukawa si spezzò in quel preciso momento, me ne accorsi subito, i suoi occhi bui si illuminarono per qualche secondo e lui strinse le sue labbra sottili in una smorfia di dolore. Era come se stesse lottando con sé stesso, con un’inquieta parte di sé che non voleva farlo soffrire, perchè non era importante, perchè Ayako non era importante, perchè, a parte il basket, non c’era niente di importante. Stavolta non ce la fece, strinse i pugni violentemente, poi prese per il collo Hanamichi e gli urlò: “Dove cazzo l’hai portata, in che ospedale è?!”

Hanamichi rimase immobile per un po’, la sua voce faceva quasi paura, eravamo abituata a sentirla come un sussurro, mai come un urlo che faceva venire i brividi.

“Ci sono i suoi zii… non ti faranno mai entrare…” disse Hanamichi, guardandolo in viso, quasi divertita soddisfazione in quello che gli stava dicendo

“Dove cazzo è?!” urlò ancora Kaede, stringendolo più forte

Finalmente Hanamichi disse il nome dell’ospedale. Lui non aspettò mezzo secondo, spinse via Hanamichi e si mise a correre, uscendo dalla palestra e correndo sotto la pioggia.

Rimanemmo tutti in silenzio, nessuno che sapeva che cosa dire, gli sguardi bassi, il silenzio rotto dai tuoni e dallo scrosciare inquieto della pioggia.

Ti avevo visto correre.

Ancora una volta, non mi avevi guardata.

Ancora una volta… avevo sempre sognato di vederti correre così per me, correre, terrorizzato dall’idea di perdermi, correre, come inseguivi con furia un pallone di cuoio arancione.

Non l’hai fatto. Mai. Per me.

Ancora una volta sei passato e te ne sei andato. Per qualcosa che amavi.

Ancora non hai sentito il fragore del mio cuore che si sbriciolava.

Ma non ci sarebbe stata un’altra volta… questa era davvero l’ultima volta…

 

 

Nei film di serie C, specie in quelli apocalittici, c’è sempre qualcuno che chiede perdono in punto di morte. Pieno di ferite, sanguinante, agonizzante, alza i suoi grandi occhioni pieni di lacrime, e si rivolge al malcapitato di turno, che gli regge la mano, chiedendogli di perdonarlo per il male che ha fatto, eccetera, eccetera, eccetera. Takenori mi ammazza ogni volta che mi vede guardare un film del genere con espressione interessata. Per fortuna, in quel momento, non era in casa, ma era agli allenamenti. La scuola era finita e io me ne stavo stravaccata in poltrona a godermi il mio film strappalacrime; l’avevo visto dall’inizio, e adesso mi chiedevo che cosa avrebbe risposto Taylor alla richiesta di perdono della morente Brooke, che se le era fatta parecchie volte con suo marito. Mi chiesi come cavolo avrebbe fatto, erano amiche dai tempi del liceo, e lei l’aveva aiutata con lo scandalo della gita in pullman, ma in fondo stava morendo…

Non ebbi l’occasione di sapere come sarebbe finita, perchè il telefono squillò e mi precipitai a rispondere, imprecando tra me e me; il telefono ha sempre la sincronia di suonare al momento meno opportuno.

“Chi è? Cioè, pronto?” dissi, un occhio al televisore, cosa perfettamente inutile dato che non c’era il sonoro

“Ciao Haruko! Sono io, Mito…” mi rispose una voce allegra

“Ah ciao Mito! Dimmi” risposi, dando le spalle al televisore. Era la prima volta che mi chiamava a casa e devo dire che ero abbastanza curiosa.

“Come stai?”

“Benissimo, grazie, stavo guardando un film in televisione…”

“Non sei andata agli allenamenti? Sei diventata la nuova manager vero?”

“Sì, ma oggi il signor Anzai mi ha detto che potevo anche rimanere a casa, tanto avrebbero finito presto… tra qualche giorno, si parte per i nazionali!” conclusi entusiasta, poi aggiunsi: “Verrete anche voi?”

“Credo di sì… il viaggio costa parecchio, ma cercheremo di trovare una maniera… dobbiamo sempre fare la guardia ad Hanamichi, prima che quello si sfracelli picchiandosi con qualcuno…” rispose lui, ridendo leggermente

“Già…” risi anch’io “Le truppe di Hanamichi sono sempre in allerta!”

“Diciamo così….”

“Volevi dirmi qualcosa?” chiesi. Va bene che era piacevole starsene al telefono, ma per parlare con lui mi stavo perdendo tutta la fine del film.

“Sì, sinceramente è una cosa un po’ delicata, quindi non so se faccio bene a chiedertelo…” mi rispose imbarazzato. La cosa andava per le lunghe, quindi presi una cassetta e misi a registrare la fine del film.

“Avanti dimmi…” lo incalzai ancora

Lui esitò un po’ prima di parlare ancora, poi finalmente si decise a rispondere: “Io ed Hanamichi andiamo a trovare Ayako, è ancora in ospedale, ma la dimetteranno tra poco… dopo, sembra che si trasferirà in un’altra scuola… vuoi venire con noi?”

Mi sedetti su una sedia accanto a me e chiesi con un filo di voce: “Perché dovrei venire? Per salutarla o cosa?!”

“Lei ti vuole vedere, non lo so, forse vuole chiederti scusa… forse le dovresti dare quest’opportunità…” mi rispose lui timidamente “Hanamichi l’ha vista ieri, e lei ha chiesto di te e Ryota. Lo ha chiamato prima, e lui ha detto che verrà… adesso manchi tu… che vuoi fare?”

Rimasi in silenzio, assolutamente incapace di rispondere. Era passata una settimana da quando avevamo scoperto della gravidanza di Ayako, il giorno dopo Kaede non era venuto agli allenamenti, poi si era ripresentato, più nervoso, malinconico e furioso che mai. In quei pochi giorni, però, non rimaneva mai fino alla fine, alle cinque andava sempre via… l’orario d’inizio delle visite in ospedale… mi chiedevo se stessero di nuovo assieme, ma era una domanda sbiadita, quasi una masochistica consuetudine, incastrata sulle pareti del mio cuore. Perché mi interessava sempre meno, ogni giorno che passava. La mia anima era ancora ferita, ma lentamente iniziavo a rialzarmi. Eppure, non avevo voglia di vederla… che le dovevo dare la mia postuma benedizione per la sua relazione, gli auguri inutili per il suo bambino o che altro? E per le scuse… non eravamo in un film e lei non stava per morire… sarei potuta benissimo uscire dal palcoscenico, senza sentire i fischi del pubblico sotto di noi.

“Non lo so…” risposi “Non ci vedo molto senso in questa cosa… io non ho assolutamente niente da dirle… e mi fa più piacere non vederla che il contrario…”

Mito non parlava ancora, poi mi disse: “Lo capisco benissimo… so che questa storia ti ha fatto male, ma per lei non è stata rose e fiori come pensi tu… ha perso suo figlio, e Hanamichi mi ha detto che avrebbe voluto tenerlo, anche se non stava più con Rukawa, ci è stata malissimo davvero… non ritornerà più allo Shohoku. Ha bisogno di sentire che può lasciarsi questa cosa alle spalle, e questo glielo potete far capire solo tu e Ryota. Non dico che devi perdonarla, ma ascoltarla. Poi, sei libera di fare quello che vuoi… non sono io a doverti dire quello che devi fare…”
”Che cambierà se vengo?” dissi con durezza “Non cambierà assolutamente niente! Quella… cosa… è successa, niente cancellerà tutto quello che lei ha fatto!”

“Se non odi Rukawa - perchè tu non lo odi -, perchè dovresti odiare lei, allora? L’ha violentato forse o non hanno fatto le cose di comune accordo?” mi disse prontamente, la voce ferma e decisa. Già… io non odiavo Kaede, non lo odiavo, mi feriva dentro, ma odiarlo… non credo che ci sarei mai arrivata… e allora perchè avrei dovuto odiare Ayako?

Risposi con un filo di voce: “Va bene, hai ragione… vengo… ma non ho alcuna intenzione di perdonarla…”

Mito sospirò di sollievo e disse sollevato: “Meno male! Hanamichi m’avrebbe menato come un salame, se non t’avessi convinto!”

“E allora perchè non mi ha chiamato lui?” chiesi, ridendo

“E che ne so! Perché si vergogna o roba simile!”

Scoppiai di nuovo a ridere, tutta questa storia, anche se tragica per Hanamichi, finiva per essere comica per me… le menate degli innamorati, le mie per Kaede… chissà se una volta l’avevo fatto ridere anch’io…

“Allora ci vediamo tra un’ora davanti all’ospedale… ok?” mi chiese Mito

“Ok…” risposi, mentre lui mi salutava, poi, quando stava per riagganciare, lo richiamai.

“Che c’è?” mi chiese curioso

Abbassai gli occhi e dissi, sorridendo: “Grazie… Yohei…”

“P-prego…” balbettò lui, evidentemente sorpreso per il fatto che lo avessi chiamato per nome.

Riagganciai, continuando a sorridere. Il film era finito.

Adesso andava in onda il mio. 

 

 

Mi fermai a disagio davanti all’ospedale, non c’era ancora nessuno. Guardai l’orologio e vidi che erano già le undici e mezzo; io avevo fatto ritardo, infatti ero stata tre ore per decidere che cosa mettermi, optando alla fine per un paio di pantaloni beige, una canotta rosa, e un trucco molto leggero. Che cretina, da quando sapevo che Hanamichi era innamorato di me, volevo sembrare sempre carina e perfetta. Non che lui mi interessasse a tal punto, ma il mio orgoglio, quello ferito dalla scelta di Kaede, mi portava a cercare di mantenere vivo l’interesse che lui aveva per me. Tutto fa brodo per consolare una ragazza delusa e in preda alle crisi amorose.

Mi sentii chiamare e all’angolo della strada, comparvero finalmente Hanamichi, Ryota e Yohei.

“Ciao Harukina!” mi salutò Hanamichi, grattandosi il capo, rosso in viso. Anche in questo, ero stata proprio una cretina… Hanamichi mi chiamava così, da quando lo conoscevo, e non ci avevo mai pensato più di tanto…

Gli sorrisi e dissi: “Vi sto aspettando da quasi un quarto d’ora!”

“Scusaci, ma i qui presenti signori si stavano facendo belli!” rispose Yohei, alzando gli occhi al cielo con un’espressione che mi fece sorridere. Sia Ryota che Hanamichi lo guardarono di traverso. 

“Allora… entriamo?” chiese Hanamichi, rivolto soprattutto a me e a Ryota.

Annuii con il capo, tanto prima facevo questa cosa, tanto più sarei tornata a casa.

Entrammo in ospedale da una porta scorrevole, ma non ci fermammo in accettazione, dato che Hanamichi era già venuto a trovare Ayako e quindi sapeva dove si trovasse. Lo seguimmo fino all’ascensore, ed entrammo. Mentre Hanamichi premeva il tasto del terzo piano, però, le porte scorrevoli si riaprirono.

Davanti alla porta, c’era una trafelata ragazza bionda, che aveva impedito che le porte si chiudessero.

“Ciao Hanamichi!” disse allegra, sventolando la mano e sorridendo, per poi entrare anche lei in ascensore. Hanamichi le sorrise a sua volta e disse: “Ciao Kana, sei venuta anche oggi? Non avevi detto che saresti rimasta a casa?”

“Che c’è? Ti do fastidio?” rispose lei, guardandolo di traverso

“Un po’ sì, a dirla tutta…” rispose lui, mettendosi le mani dietro la nuca.

Mi chiusi nelle spalle, un pochino a disagio. Era veramente una ragazza carina, aveva i capelli biondi lisci e lunghi fino alle spalle, e due profondi occhi azzurri, indossava un paio di jeans e una camicetta bianca. Insomma, a parte la sua chiara provenienza occidentale, non era una ragazza che dava eccessivamente nell’occhio. Eppure… si vedeva che non parlava sul serio con Hanamichi, si vedeva che si prendevano in giro, e che scherzavano. Cavolo, una volta che lo trovo uno che mi viene dietro, c’è sempre qualcuna che me lo deve soffiare da sotto il naso…

“Ehm, Hanamichi, perchè non ci presenti?” chiese Yohei, guardando dall’alto in basso la nuova arrivata. Chiaro, piaceva pure a lui… incrociai le braccia, pure questo ci mancava…

“Si può presentare pure da sola…” rispose a tono Hanamichi, poi, guardando il suo volto decisamente nervoso, alzò gli occhi al cielo e rispose: “E va bene! Lei è Kaname Koishikawa, la cugina di Ayako. Ayako viveva a casa sua, ma poi se ne è andata di casa perchè non andava d’accordo con lei…”, Hanamichi abbassò la voce ed aggiunse: “Chissà perchè…”

“Quanto sei odioso!” rispose lei, mettendo il muso, poi porse la sua mano a me, Yohei e Ryota. La sua espressione si accigliò leggermente nel sentire il mio nome e quello di Ryota… evidentemente, Ayako le aveva parlato del delicato quadrilatero HARUKO-KAEDE-AYAKO-RYOTA .

Finalmente le porte dell’ascensore si aprirono e ci trovammo in un grande corridoio bianco. Seguimmo Kaname ed Hanamichi che continuavano a bisticciare, mentre Yohei e Ryota facevano commenti di apprezzamento sulla ragazza.

“Secondo me, le piace Hanamichi!” disse Ryota, soffocando le risate “Certo che ha proprio il gusto del macabro, la ragazzina!”

“Mi dispiace per lei, ma Hanamichi ha occhi solamente per un’altra persona…” rispose Yohei, guardandomi. 

Anche Ryota si voltò a guardarmi, ma io sperimentai la mia ben nota espressione di colei che non ci sta capendo niente, e voltai lo sguardo dall’altra parte.

Finalmente arrivammo davanti alla camera di Ayako, la numero 15.

Kaname si batté la mano sulla fronte e disse: “Accidenti, ho dimenticato di portare ad Ayako la vestaglia pulita! Adesso quella mi squarta!”

“E muoviti! Vai a prendergliela!” disse Hanamichi, con le mani in tasca

“Mi raccomando, voi non mi avete visto, ok?” sibilò con aria cospiratrice a me e agli altri, mentre Hanamichi ribatteva nuovamente: “Spicciati, vai a prendergliela!”

“La smetti?!” urlò lei, stavolta vistosamente più arrabbiata. Ovvio che se gli piaceva Hanamichi, queste schermaglie verbali le potevano far piacere fino ad un certo punto…

Hanamichi le sorrise, in effetti faceva tenerezza pure a me… le diede un buffetto sulla guancia e le ripeté stavolta più dolcemente, come ad una bambina disobbediente: “Spicciati, vai a prendergliela…”

Lei annuì con il capo, ci salutò e corse via.

“Non ti facevo così sensibile, Hanamichi!” disse Yohei, guardandolo di sottecchi, con espressione allusiva

“Ma che cavolo dici?!” rispose lui, guardandomi rosso in viso, poi distolse lo sguardo da me e riprese: “E’ solamente una bambina… mi fa tenerezza e poi, anche se fa la gran donna vissuta, le piace essere trattata così…”

Un dejà vu… la stessa sensazione l’avevo già vissuta… non un discorso, ma… la sensazione di qualcosa di tiepido che mi sfiorava…

Scossi il capo, era arrivato il momento… titoli di testa, prego…

Hanamichi aprì la porta della camera, ed entrò, seguito a breve distanza da Yohei. Per ultimi, entrammo io e Ryota.

Quello che vidi, mi lasciò completamente senza fiato.

Mi ero già fatta un bel filmetto nella mia mente. Ayako, stesa su un letto, dolorante e con gli occhi pieni di lacrime, e io che le tengo la mano, dicendole, da grande persona più matura di lei, che la perdonavo, che era tutto passato, eccetera, eccetera… falsissimo, ma quale film mai è stato vero? Questo forse l’avrei digerito meglio. Era un modo per perdonarla, e per andare avanti.

Ma invece vidi una cosa completamente diversa.

Ayako era sì a letto, ma era seduta con la coperta che le copriva le gambe. Stava leggendo un giornale e sfogliava le pagine in maniera attenta. Indossava una camicia da notte candida, come la fascia che le tratteneva i lunghi capelli ricci, che cadevano in lunghe onde sul suo collo.

Era… serena…

Meno male che doveva stare male per il suo figlio perduto ed essere disperata per il torto che aveva fatto a me e a Ryota… quando l’avrei preso a Mito…

Sollevò gli occhi e sorrise, un fresco sorriso accogliente, come se fossimo nel luogo più bello e paradisiaco del mondo.

“Ciao ragazzi!” salutò cordialmente, il suo sguardo fisso su me e Ryota “Sono contenta che siate venuti!”

Ero già pronta ad inforcare l’uscita e ad andarmene, ma cercai di trattenermi. Che cavolo di figura c’avrei fatto?

“Ciao Ayako!” rispose allegramente Yohei, avvicinandosi al suo letto “Come stai oggi?”

“Così così…” rispose lei con un sorriso “Per fortuna, domani lascio questo maledetto posto. Volevano essere completamente sicuri che…”, il suo sorriso si spezzò per un attimo, poi lei chiuse gli occhi e riprese la sua espressione precedente: “… che non ci fossero stati danni…”, ancora sorriso spezzato, occhi chiusi e nuovo estenuante sorriso: “… per quando dovrò avere un bambino…”. Tutto questo in una frazione di secondo. Credo che non se ne fosse accorto nemmeno Ryota. Io me ne dovevo accorgere. La osservavo troppo bene, proprio per cercare una cosa del genere. Dolore, sofferenza, angoscia, sul quel viso innaturalmente sereno. 

“Kaname non è ancora arrivata?” chiese, una nuova espressione pacata. Adesso capivo. Era così normale… mentre Hanamichi rispondeva, il suo viso era di nuovo tranquillo. Ovvio. Parlavano della sua insopportabilmente adorabile cugina… non parlavano più del suo… bambino…

Forse fu allora che la perdonai.

Dopo avremmo parlato, sì, lei avrebbe spiegato, ma le sue erano parole che in fondo prevedevo. Ma il suo viso mi aveva spiazzato. Lei era così maledettamente forte che faceva rimanere quel dolore incastrato in lei, e quello non usciva fuori, ma c’era, era palpabile, come una nebbiolina diffusa, che si espandeva vorticosa attorno a lei. L’avrebbe potuta nascondere e ci riusciva benissimo. Ma quella c’era.

Un attimo… e…

Conosci una persona.

Un ragazzo.

Bello da morire, l’idolo delle ragazze.

Gli sei amica.

Lo sostieni.

Lo incoraggi.

Ti piace.

Gli piaci.

Ti lasci andare.

Vivi giorno per giorno.

Ti racconti che potrebbe andare avanti.

Te ne innamori, magari.

Una mattina, ti svegli.

Sei incinta.

Lui non c’è più.

Lo perdi.

Lo hai perso.

Piangi.

Soffri.

Stai male.

E lui… no…

O almeno così sembra.

Gli altri, alla fine, sanno.

Parlano.

Giudicano.

Piangono.

Ti dici che ce la puoi fare da sola.

Magari te ne convinci.

E poi… perdi anche quel bambino… quello, da cui ti davi la forza…

Mi ritrovai a piangere, le lacrime che scorrevano lungo il mio viso, e io che le volevo fermare, e non ci riuscivo, come se si fosse rotto un argine per un fiume in piena, che minacciava da tempo di straripare. Piangevo per lei, per quanto l’avevo odiata, per me, per quanto avessi amato Kaede, e alla fine anche per lui stesso. Perché era stato diviso da lei, dalla donna che amava, e che non avrebbe mai ammesso di fare. Era quasi angosciante quanti di quei sentimenti fossero confluiti in me in quel solo momento, e quanto la loro mistura fosse letale. Non riuscivo a smettere.

“Che hai, Haruko?” mi disse dolcemente Ayako, guardandomi, subito imitata dai ragazzi.

Balbettai qualcosa e nascosi il viso tra le mani. Era lei quella che doveva piangere, non io. Ennesima prova che ero solamente una bambina… e Kaede aveva bisogno di una persona che lo sorreggesse, non che si appoggiasse ulteriormente a lui…

“S-scusami, i-io n-non so che cosa mi è p-preso…” balbettai ancora, asciugandomi il viso con il palmo della mano

“Non ti preoccupare…” rispose Ayako teneramente “In effetti, credo che stessi cercando di eludere il discorso… da quando siete entrati, l’ho cercato di evitare, ma alla fine è normale che ne dobbiamo parlare, Haruko… dopo quello che ti ho fatto, è normale che non ti dà una bella sensazione vedermi… credo di averti già chiesto troppo, facendoti venire qui… e questo vale anche per te, Ryota…”

Ryota sollevò lo sguardo, anche i suoi occhi erano tristi, ma non mi fecero la sensazione che credevo. Solidarietà intendo… vedere riflesso quello che avevo provato io… lui era triste perchè Ayako lo era, non per colpa sua. L’amava a tal punto? E davvero io amavo Kaede? Domanda da un milione di dollari. Non ero più sicura di niente.

Ayako si sollevò meglio e riprese a parlare: “So che adesso è ancora troppo presto, ma era assolutamente necessario che io vi parlassi oggi… domani lascio l’ospedale, e credo che passerò l’estate in Francia… mio zio è di lì, possiede una clinica specializzata, dove dovrò seguire una cura per riabilitarmi completamente… quando torno, poi, mi trasferisco…”

“Dove?” chiese Ryota, la voce quasi implorante

“Non lo so di preciso…” rispose Ayako, giocherellando con il lenzuolo “Sono indecisa tra il Kainan e il Ryonan… mia cugina va lì, al Ryonan intendo, ma non ho molta voglia di vederla pure a scuola… ma non ho nemmeno intenzione di andare in quella scuola di montati, che è il Kainan… insomma, non lo so proprio… comunque, indipendentemente da questo, io non tornerò più allo Shohoku. Quindi passerà abbastanza tempo, prima che ci possiamo rivedere di nuovo…”

Un aereo passò rombando sopra di noi. Volevo essere sul primo volo diretto a Timbuctu, pur di non stare lì. Lei non mi dava più la sensazione di rabbia di prima, o con cui l’avevo pensata tutti quei giorni. Ma mi faceva male, un male impressionante. Strano, più di quanto avesse fatto Kaede… chiamatela pure solidarietà femminile… e pure strano che mi fosse uscita fuori solamente adesso…

“Per questo, volevo parlarvi ora…” riprese lei, la voce serena e tranquilla “Dovrei parlare singolarmente ad ognuno di voi, e confezionare delle scuse per il tipo di torto specifico che ho fatto verso ognuno di voi, ma sintetizzo tutto in una volta…”.

Prese fiato ed iniziò: “Io non so davvero come sia successo, come sia successo che mi sia venuto in mente di…”, si fermò, i suoi occhi si erano fatti lucidi, ma lei si ostinò a continuare: “Insomma, come mi sia saltato in mente di mettermi con… ma questo non credo che vi interessi, è stata una mia scelta, una mia decisione, e non posso rimproverare nessuno, se non me stessa. L’unica cosa che mi dispiace davvero è stata che, per seguire questa mia stupidaggine, io abbia fatto male a voi due. Voi siete alcuni tra i miei più cari amici, e io vi ho ferito molto…”, chiuse gli occhi lentamente, poi li riaprì, guardando dolcemente Ryota: “Lo sapevo che mi volevi bene, lo sapevo da tanto, eppure non mi sono fatta scrupoli… avrei dovuto parlarti subito, e invece l’ho fatto solo quando le cose si erano fatte insostenibili… sono stata falsa con te per quasi due mesi, e poi quando abbiamo parlato, avrei dovuto dirti che si trattava di… di lui, insomma… è un tuo compagno di squadra e tu l’hai dovuto sapere in una maniera così brutta che… avrei dovuto dirtelo io, invece…”

Ryota annuì e rispose: “Non ci pensare… so che per te non sarebbe stato facile… e poi già sapevo che c’era qualcuno, quindi…”

Lei gli sorrise e disse: “Grazie Ryota…”, poi si rivolse a me: “Per te, invece, Haruko… mi sono comportata da vera ed emerita stronza… una parte di me forse sperava che…”, strinse i pugni e capii perfettamente che cosa voleva dire. Un discorso davanti a lenzuola sfatte… che adesso mozzava il respiro… doveva aver sperato che fosse Kaede a parlare con me… speranza vana… da innamorata…

“Comunque non è assolutamente una giustificazione…” riprese, la voce più bassa “Io ero più legata a te e avrei dovuto dirtelo io… e invece l’hai dovuto sapere come pettegolezzo… so che non siamo esattamente amiche per la pelle, Haruko, e so anche che molto probabilmente ce l’avrai a morte con me per ancora molto tempo… ma voglio chiederti scusa, davvero… sono stata presuntuosa, mi dicevo che tanto tu sapevi di non avere possibilità con lui, e che quindi il mio comportamento non avrebbe cambiato nulla, ma non è così. Le mie azioni hanno cambiato tante cose, invece…”

Rimase in silenzio, e ritornò a guardare il lenzuolo. I ragazzi si voltarono verso di me, evidentemente aspettando che rispondessi qualcosa, ma la verità era che non avevo assolutamente niente da dire. Proprio niente. C’era tantissimo da dire in realtà, ma io rimanevo zitta. Perché ogni cosa che volevo dire era perfettamente inutile.

Inutile o meno, ripresi a parlare. Quel silenzio mi dava troppo fastidio.

“Hai ragione…” dissi piano, soppesando ogni parola “Questa cosa mi ha fatto stare molto male… ti ho odiata Ayako e non posso negare che una parte di me lo faccia ancora. A me lui piaceva, e tanto, e tu questo lo sapevi benissimo. Lui non era il mio ragazzo però, non lo era, né si era impegnato con me; ciò significa che né tu né lui avevate alcun obbligo verso di me. La cosa brutta è stato saperlo così, tramite gli altri, ma l’avrei saputo lo stesso, e m’avrebbe fatto male lo stesso. Non potevo tenerlo legato a me, se non fossi stata tu, un giorno sarebbe arrivata qualcun’altra, e addio… non posso perdonarti per non avermene parlato, ma per il resto… è acqua passata, ormai…”

Stavo per aggiungere il vero motivo per cui era effettivamente acqua passata… in fin dei conti, hai avuto una bella punizione, hai perso il tuo bambino, e il mio odio sarebbe solo un inutile crudeltà gratuita… ma mi trattenni, credo che lo sapesse molto meglio di me.

La porta si aprì ed entrò Kaname, sorridente e allegra, l’aura pesante che si stava creando si sciolse in poco tempo.

“Ciao cuginetta!” salutò allegramente, porgendole la sua vestaglia pulita

Ayako riprese il suo volto consueto: “Ma quanto ci hai messo, accidenti a te!”

Presero a bisticciare, con Hanamichi che prendeva vigorosamente le parti di Ayako, solo per fare dispetto alla ragazza bionda. Quella scena mi dava la nausea, quindi salutai tutti e decisi di tornarmene a casa.

Mi sentivo strana, non felice, non triste, non arrabbiata.

Niente.

Mi sentivo vuota, come un giocattolo abbandonato sul ciglio della strada da un bambino distratto.

Lasciata lì, incerta su che cosa dovessi fare.

Stavo per uscire, quando mi sentii chiamare. Bè chiamare è esagerato, sento il mio nome pronunciato ad alta voce da qualcuno. Ora che ci penso anche questo è esagerato, non sono certa nemmeno che mi avesse chiamato per nome. Mi voltai su me stessa, e ancora vuoto… avevo di fronte a me il ragazzo di cui ero stata innamorata per un anno… e non arrossii per niente, rimasi immobile, il cuore un fastidioso rumore di sottofondo nelle mie orecchie.

Mi chiese di lei.

Di come stesse.

Poche allusioni al fatto che non lo facessero entrare, si davano il cambio la zia, lo zio e la cugina per tenerlo fuori.

Non aveva visto per niente Ayako.

Lei non lo voleva vedere più.

Gli risposi piano, lei sta bene, e altre cose.

Mi disse solo: “Grazie…” e se ne andò via.

Senza salutarmi, come faceva sempre.

Ma forse fu meglio così.

Grazie… una parola che fu un qualcosa di definitivo… e finì tutto…

Perdonami… una parola che m’avrebbe medicato le ferite… e sarebbe ricominciato daccapo tutto…

Ma, si sa, anche i migliori film, quelli da Oscar e quelli omaggiati dalla critica, avevano una fine.

E il mio, anche se di serie C, non faceva assolutamente eccezione.

 

 

 

Mentirai ai miei occhi, sbaglierai se mi tocchi

Non puoi dimenticarla una bugia quando parla

E sbaglierà le parole, ma ti dirà ciò che vuole

Ognuno ha i suoi limiti, i tuoi li ho capiti bene

E, visto che ho capito, mi verserò da bere.

Di notte, quando il cielo brilla,

ma non c’è luce, né una stella…

 

 

Ricorderò la paura che

bagnava i miei occhi, ma dimenticarti non era possibile.

Ricorderai la paura che ho sperato provassi,

provandola io, che tutto veloce nasca e veloce finisca.

 

 

La lacerante distanza tra fiducia ed illudersi

È una porta aperta ed una che non sa chiudersi,

e sbaglierà le parole, ma ti dirà ciò che vuole

c’è differenza tra amare ed ogni sua dipendenza,

ti chiamo se posso, o non riesco a fare senza,

soffrendo di un amore raro che più lo vivo e meno imparo. 

 

 

Ricorderò la paura che

bagnava i miei occhi, ma dimenticarti non era possibile.

Ricorderai la paura che ho sperato provassi,

provandola io, che tutto veloce nasca e veloce finisca.

 

 

E resterà com’è, dirselo adesso e farlo lo stesso,

però dopo niente cambierà e resterà com’è,

dirselo ora e poi dopo ancora,

dimenticando ti amerò.

Ed ogni tuo abbraccio sarà un dono,

anche se in fondo sarò solo,

senza volerlo, senza saperlo,

però dopo niente cambierà e resterà com’è.

 

 

Mentirai ai miei occhi, sbaglierai se mi tocchi

 

(Tiziano Ferro_ La paura che)

 

 

Questo è stato un capitolo di una difficoltà impressionante! Sarà perché sono stata costretta ad immedesimarmi in Haruko Akagi, una persona dal quoziente intellettivo di una primate della giungla amazzonica! L’ulteriore difficoltà è stata anche parlare di una cosa che mi è successa di recente, cioè vedere il ragazzo di cui ero innamorata, stare con un’altra! Insomma è stato un parto!!!! Per questo, chiedo perdono per il ritardo!!! Poi ho sentito la meravigliosa canzone di Tiziano Ferro che ho messo alla fine del capitolo e mi sono ispirata! Grazie Tiziano, amore! La fantasia galoppa!!!!! Grazie a Akane, Lyonel, Dreamteam, Hotaru_Tomoe  per le loro bellissime recensioni! Me felicissima! L’ho detto, io amo alla follia questa storia, è quella che preferisco tra le mie, quindi questo non può farmi che felice! Non so quando arriverà il prossimo capitolo, ma vi anticipo che sarà dal POV di Kaede. Vi anticipo anche il titolo, visto che sono buona oggi! Si chiamerà Something painful! ciao ciao dalla vostra Cassie chan!

 

 

   
 
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