Bambino speciale
Tom Tanaka era in casa Heiwajima da
un po’: il suo compito
era badare al piccolo Shizuo.
Era stato scelto dai genitori quando avevano visto come il bambino, una
volta
incontrato quell’uomo che non aveva paura di lui, si trovasse
a proprio agio in
sua compagnia.
Tom riusciva a calmarlo nei momenti in cui lui perdeva la testa. Era
una cosa
rara: Shizuo aveva una forza disumana, che nessuno, nemmeno lui, poteva
e
riusciva a controllare.
Quel giorno i genitori avevano portato Kasuka, il fratello minore, ad una visita medica, così l’uomo dalla
carnagione scura era in casa con
il piccolo, che stava facendo i compiti in cucina.
Era un bambino bravo e molto docile con lui.
Era davvero carino, anche quando si imbronciava.
Tom stava guardando la tv sul divano del soggiorno, ma fu presto
costretto a
spegnere e correre nell’altra stanza: un rumore forte, proveniente da lì, lo fece sobbalzare.
Andò immediatamente a vedere cosa stesse succedendo,
immaginando già il
ragazzino scaraventare in terra il forno a microonde, oppure una
mensola.
Ma la scena che si trovò dinnanzi fu del tutto inaspettata:
Shizuo era seduto
sul frigorifero rovesciato a terra. Il
tavolo era rotto, il legno era sotto l’elettrodomestico.
Il quaderno si trovava accanto ai piccoli piedi immobili, l’astuccio aperto e le matite
sparse ovunque. Una di
queste era spezzata.
“Shizuo! Cosa è successo?”
Tom si chinò sul bambino e lo guardò attraverso
le lenti degli occhiali.
Quello non parlava. Guardava di lato, accigliato.
“Non ti viene un esercizio, dico bene?”
L’uomo era intelligente. Capiva i bambini, soprattutto aveva
imparato a capire
lui.
E Shizuo, difatti, annuì silenziosamente.
Tom sospirò e posò una mano tra i suoi capelli scuri. A quel gesto notò
il rossore sulle guance delicate.
Sorrise:
“Non preoccuparti, adesso lo facciamo insieme.”
I piccoli occhi si spostarono su di lui. Fu allora che Tom
posò le labbra
ancora aperte su quelle morbide e infantili dell’altro.
Erano delicate e da esse il fiato usciva in modo affannato.
Il contattò durò pochi secondi e fu, ovviamente,
casto.
L’uomo di colore si alzò e raccolse il quaderno.
Aspettò prima di iniziare la ‘lezione’,
il bambino doveva riprendersi: guardava
il vuoto, in modo sbalordito. E il silenzio e il rossore quasi violaceo
delle
gote erano sinonimo di imbarazzo.
Un bambino con la forza più grande di quella di un adulto.
Un bambino che aveva catturato la sua attenzione più di
qualsiasi donna.
Un bambino speciale - in ogni senso.