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Autore: Rowena    25/04/2012    2 recensioni
Versailles. La corte più sfarzosa, più divertente e più spendacciona d’Europa. I giovani nobili che la frequentavano erano sempre alla ricerca di nuovi espedienti per non abbandonarsi alla noia. Era difficile divertirsi – almeno così pensavano loro – e anche con i loro soldi e la loro voglia di divertirsi spesso non c’era niente da fare se non adagiarsi sulle comode poltroncine di velluto a mangiare bonbon e ascoltare pettegolezzi. E se sei nobili annoiati decidessero di istruire una popolana perché si spacci per una contessa? Quali contorti inganni si metteranno in moto alla corte di Francia? [Crossover Host Club/Lady Oscar]
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Angoletto dell'Autrice: Buongiorno a tutte (e tutti, se ci fossero dei lettori!) e buon 25 aprile. Vorrei scusarmi per aver fatto passare tanto tempo. Ricordate quando dicevo "Ah, ho una buona scorta di capitoli, aggiornerò continua"... SHAME ON ME, lo so. Per qualche strano motivo ero convinta che dopo la laurea sarei stata libera come un friguello... Invece tra l'iscrizione alla Magistrale e il primo esame (Marianna, che parto rimettersi a dare esami dopo mesi di panciolle! ç_____ç) prima, e il lavoro in e per la casa editrice, anche se saltuario e svolto da casa, mi hanno un po' fulminata. Il nuovo semestre di lezioni è stata la ciliegina sulla torta a coronare il tutto. Nel mezzo sono stata anche a Parigi, anche se per mancanza di tempo non sono riuscita ad andare a Versailles (SHAME ON ME AGAIN), e me ne sono innamorata ancora di più. Mi ha fatto strano passare là dove c'era la Bastiglia, anche se con tutti i lavori di riedificazione voluti prima da Napoleone e poi ai suoi successori immaginare la Parigi della storia non è semplice. Ringrazio chiunque vorrà continuare a seguirmi malgrado questo buco di mesi tra un capitolo e l'altro, e scusatemi again. Farò del mio meglio per essere più costante.

Rowi




Il finto trasferimento a casa di Madame Fuyumi, per liberare Haruhi da una delle sue parti almeno per un po’, sembrò un’idea azzeccata a tutti: ciò che Oscar non aveva messo in conto, tuttavia, fu che la signora decise per ospitare davvero per un paio di giorni la ragazza, insieme al fratello minore e tutti i suoi amici.
Per Haruhi fu una vera boccata d’aria: nonostante fosse nobile, la donna si mostrò subito aperta e lieta di vedere Kyouya e tutti gli altri, rimproverandoli di non andarla a trovare abbastanza spesso per i suoi gusti, e fu gentilissima anche con lei, accogliendola quasi fosse un membro della famiglia.
Fuyumi non faceva molta vita di corte: una donna sposata, secondo il suo nobile padre, non doveva esporsi come una ragazzina né mettersi in situazioni imbarazzanti per il marito, per cui conduceva un’esistenza abbastanza ritirata a occuparsi della casa e dell’economia delle tenute della famiglia. Quando il suo sposo era in viaggio, tuttavia, la giovane tendeva a sentirsi sola e allora ne approfittava per andare a trovare il fratello a corte, senza badare se il suo abito non era all’ultima moda, e si divertiva un mondo.
«Beh, finalmente avremo qualche giorno per stare tra amici, senza gli occhi della corte addosso», esordì Tamaki mentre erano ancora in carrozza.
Haruhi, che aveva portato avanti la sua testarda decisione di ignorare il giovane Duca, alzò le spalle. «Mi sembrava che ti piacesse avere altro addosso, dovendo dire», e a quelle parole gelide il giovane si fece piccolo piccolo, «ma sì, anche per me è bello un contesto un po’ più informale».
No, decisamente la sceneggiata di Tamaki all’Opera non aveva fatto colpo. Specie dopo l’imbarazzante situazione in cui era stato colto dalla ragazza solo un paio d’ore prima del ballo. Se lui era combattuto tra la stranezza delle sensazioni che provava, il bisogno di farsi ben volere da Haruhi e il senso di colpa che gli aveva preso la bocca dello stomaco… Beh, lei era intenzionata a non farsi mettere i piedi in testa.
«Suvvia, Haruhi, secondo me voleva soltanto proteggerti… A nessuno di noi piace molto il Conte di Fersen, non ha una bella reputazione», borbottò Honey, deciso a fare da paciere tra i due. «Certo i suoi modi sono un po’ rozzi e impulsivi, ma voleva agire per il meglio, non è vero, Tamaki?»
L’interpellato annuì impercettibilmente, indeciso se quell’intervento fosse davvero servito allo scopo. Haruhi fissava un punto sopra la sua testa indefinito, dimostrazione che non aveva la minima intenzione di dargli un briciolo di fiducia, il che lo rendeva infelice.
A peggiorare le cose, la ragazza sedeva tra i gemelli che, come al solito, avevano deciso di approfittare della situazione per tentare di coinvolgerla in una delle loro scenette torbide. Il Duca sentiva tanto il bisogno di confidarsi con Kyouya, che però quella mattina li aveva preceduti a cavallo per porgere i dovuti omaggi alla sorella maggiore.
Per fortuna il viaggio fu breve – Madame Fuyumi abitava davvero vicino alla reggia, così come la famiglia Jarjayes – e, una volta giunti di fronte alla villa, i ragazzi poterono uscire presto dallo spazio angusto della carrozza. La padrona di casa era in piedi ad attenderli, insieme al fratello e a tutta la servitù.
La donna e Kyouya si assomigliavano davvero molto, notò Haruhi scendendo dal veicolo, ma se il giovane era sempre serio e controllato, la sorella sembrava molto più aperta e solare.
«Siete arrivati, finalmente!», esclamò quando tutti e sei gli ospiti furono scesi dalla carrozza. «È una vera gioia avervi tutti qui, e Kyouya, poi! Questo ragazzaccio non mi fa mai visita, ci credereste?», e nel dirlo, Fuyumi si appese al braccio del fratello ridendo, sebbene quest’ultimo sembrasse un po’ infastidito da quella dimostrazione di affetto così plateale.
«Sei davvero sicura di volerli ospitare tutti per una settimana intera? Dovremo tornare a corte e creeranno disturbo per niente», replicò infatti come se gli amici non fossero stati presenti.
«Ma certo! Un po’ di baccano in questa grande casa così vuota metterà solo allegria», replicò la nobildonna sempre con il sorriso sulle labbra. Alle sue spalle, notò Haruhi, le domestiche sembravano meno entusiaste. «Venite dentro, ora, presto il pranzo sarà servito, dovete vedere le vostre stanze e rinfrescarvi».
Se il palazzo di Tamaki le era sembrato enorme, prima di vedere Versailles, ora la popolana provava la stessa sensazione di quando aveva scorto la reggia. La residenza di Fuyumi era immensa, avrebbe probabilmente potuto accogliere tutte le persone che vivevano nel suo quartiere con ampio spazio: ai suoi occhi, era incredibile che ci vivesse soltanto una coppia di sposi, ancora senza figli per di più, ma la giovane decise di nascondere quella sensazione di disagio. La sorella di Kyouya era davvero gentile, soprattutto con lei, per cui non desiderava affatto darle l’impressione di essere una gran maleducata. Nonostante quel pensiero un po’ cupo, la situazione che si era creata era davvero favorevole per recuperare la tranquillità, passando almeno qualche giorno senza l’ansia di essere seguita, spiata e minacciata per portare avanti quel piano criminale in cui era stata coinvolta.
Fu mostrato agli ospiti il corridoio su cui erano situate le loro stanze, e Tamaki pigolò qualcosa riguardo al fatto che la sua camere e quella di Haruhi erano le più distanti tra loro. Beh, a lei non poteva fare che piacere: era sicura che ci fosse sotto lo zampino di Kyouya, ma non disse nulla e si ritirò a darsi una sciacquata con l’acqua della brocca che le fecero trovare su un tavolino in un angolo, vicino a un catino e a un asciugamano candido.
Passarono un paio di giorni, un vero balsamo per la giovane popolana e la sua tranquillità. Quella breve pausa fu ottima per continuare l’addestramento di Haruhi nell’uso della spada: Mori, che era il più bravo tra i sei amici nel duello, obbligò la ragazza a esercitarsi almeno un paio d’ore ogni giorno, sotto lo sguardo degli altri, che la incitavano o commentavano divertiti i suoi movimenti un po’ esitanti e goffi – i gemelli in particolare. L’allieva terminava quelle lezione sfinita e un po’ amareggiata, poiché con la bravura del giovane neanche esercitandosi per decenni sarebbe riuscita a colpirlo, ma suoi i progressi erano notevoli e la sua sicurezza, divenuta vacillante dall’arrivo a Versailles, stava aumentando. Certo il suo assalitore non avrebbe preteso un duello per regolare i conti, ma quanto meno non si sarebbe più lasciata aggredire senza reagire.
Durante le sue lezioni di scherma, ma anche per il resto delle giornate a dire il vero, Tamaki continuava a osservarla in silenzio: si erano rivolti raramente la parola – ormai più che altro perché la giovane non aveva nulla da dirgli in particolare, non perché fosse ancora offesa – e il Duca cominciava a deprimersi in maniera preoccupante. La seguiva con l’aria di un cucciolo abbandonato, salvo voltarsi all’ultimo minuto facendo finta di niente, e cercava in ogni modo di convincerla a perdonarlo. Le teneva un posto accanto a sé a ogni pasto, litigava con Hikaru e Kaoru per riservarle i bocconi migliori di ogni portata e si prodigava perché stesse bene. Non riusciva a capire che non fosse necessario e che, anzi, con le sue attenzioni inutili rischiava soltanto di indisporla ancora di più.
Gli unici momenti in cui Haruhi riusciva ad apprezzare Tamaki un poco, ma proprio in rari casi, erano quando il giovane Duca si poneva al pianoforte la sera e intratteneva gli altri con il suo talento musicale. Allora si toglieva la maschera e metteva da parte gli atteggiamenti eccessivi, così da mostrarsi per quello che era davvero, agli occhi della ragazza, o quanto meno lasciar emergere un lato del proprio carattere più tranquillo e contenuto, più apprezzabile.
Una sera, tirò fuori tutti gli spartiti che la padrona di casa si faceva arrivare dall’Austria e dalla Germania, e si fece accompagnare proprio da Madame Fuyumi, che cantava discretamente, mentre gli altri sedevano nel salottino privato della donna. Avevano consumato la cena da un paio d’ore, ormai, e i più grandi si erano concessi un cognac tra una chiacchiera e l’altra. Davanti al camino acceso, mentre Tamaki terminava di accompagnare una magnifica cantata, si stava cercando di trovare un degno finale per la serata, quando una cameriera comparve nella sala per annunciare il comandante delle guardie reali alla porta.
I ragazzi si guardarono tra loro, chiedendosi cosa fosse successo da richiedere una visita a quell’ora, ma Fuyumi non si scompose e si alzò dal suo divanetto per andare ad accogliere il nuovo ospite, com’era suo dovere.
«Forse lo hanno preso», azzardò Kaoru, senza spiegarsi meglio perché tutti avevano intuito a chi pensasse. Haruhi lo fissò per un attimo e poi si concentrò sulla porta, da cui pochi istanti dopo Oscar la chiamò pregandola di seguirla.
«Sono venuta con la carrozza a prenderti, Haruhi, per cui ti pregherei di venire con me».
I ragazzi si alzarono tutti protestando: era tardi e poteva essere pericoloso anche in compagnia di un militare ben addestrato com’era la madamigella, ma l’ospite non ascoltò nemmeno. «Vogliate scusarmi, ma è una faccenda personale e non desidero coinvolgervi. Ho bisogno dell’aiuto di Haruhi presso la dimora della mia famiglia. Non la tratterrò molto, perciò non c’è da preoccuparsi: la riaccompagnerò qui entro un paio d’ore o, se si farà troppo tardi per rimettersi per strada, la ospiterò a casa mia e la riporterò qui domani prima di prendere servizio alla reggia».
«Non dovete chiedere il permesso a nessuno di loro, Comandante», disse con tranquillità Haruhi ignorando i commenti degli altri. «Se avete bisogno di me, sarò felice di aiutarvi».
E con quelle semplici parole, si alzò e seguì Oscar, rifiutando che qualcuno l’accompagnasse alla residenza dei Jarjayes. Le sembrava doveroso mostrare fiducia in quella donna così particolare e forte che si era impegnata a proteggerla pur non condividendo i motivi che l’avevano portata alla reggia.
Sulla carrozza, il Comandante delle guardie reali raccontò per filo e per segno cos’era accaduto quella sera: la ragazza sbucata dai cespugli con un coltello, l’aggressione a sua madre per un malinteso… Era così surreale che Oscar ascoltando la sua stessa voce faticava a credere alle proprie parole.
«Con tutti i problemi che devi già affrontare, non ti coinvolgerei anche in queste faccende, ma questa ragazza non smette di piangere e…»
E voi non sapete come consolarla, pensò Haruhi. Di certo la donna si era offerta di aiutare quella giovane sventurata a trovare la vera responsabile della morte della madre, certa che questo bastasse a farla tranquillizzare, ed era rimasta disarmata a vedere che l’altra aveva comunque tante lacrime da piangere.
«Avete pensato che tra popolane ci saremmo intese con più facilità, non è vero?», commentò con voce tranquilla e neutra. Quando assumeva quel tono, così privo di qualunque colore o inflessione, riusciva a mettere le persone in difficoltà più di quanto avrebbe ottenuto urlando o battendo i piedi.
Oscar annuì, sebbene la sua trovata improvvisamente sembrasse sciocca, spiegata in quel modo dalla ragazza. Forse era stata maleducata?
«Avete fatto bene», continuò Haruhi senza badare al suo imbarazzo, «anche se l’avete trattata con la massima gentilezza, comandante, il vostro mondo ha l’effetto di un ceffone ben dato, per persone come noi. Mi dispiace se anche vostra madre è stata coinvolta, probabilmente questa poverina pensava che il colore dei capelli e la fantasia del vestito fossero elementi già indicativi per riconoscere il mostro che ha investito la sua povera mamma e l’ha lasciata a morire in mezzo alla strada».
La sua grande paura, finire sotto le ruote di una carrozza e spirare prima che qualcuno potesse prestarle soccorso. Haruhi si guardò le mani, ora avvolte da guanti pregiati: neanche un mese prima camminava rasentando i muri per evitare i mezzi che correvano per le strade. Era ancora quella popolana? O, una volta tornata a casa, avrebbe iniziato a lamentarsi per il cattivo odore delle strade, le stanze anguste che avevano in affitto, i vestiti poveri che avrebbe dovuto di nuovo indossare?
Ma con l’oro che mi daranno potremo cambiare vita, io e mio padre… Forse anche lasciare la città, se dovesse diventare troppo violenta e pericolosa.
Oscar, che si era voltata a guardare fuori, fece un cenno d’assenso: «Capisco che sia rimasta spaesata, è arrivata davanti alla mia casa credendo di essere a Versailles, ci crederesti?»
Haruhi tacque, un po’ perché era lo stesso pensiero che era passato nella sua mente vedendo la residenza di Tamaki, un po’ perché non sapeva come spiegare elegantemente che qualunque persona abituata a dividere tre camerette minuscole a Parigi con tutta la famiglia, spesso numerosa, avrebbe immaginato vedendo quel palazzo sfarzoso che il Comandante chiamava casa. Perché il Re non avrebbe dovuto vivere in un posto del genere, per chi non possedeva niente quella residenza era già un sogno principesco. Questione di punti di vista, si disse. Purtroppo Oscar sembrava non rendersi davvero conto delle condizioni di miseria in cui erano costretti molti sudditi di Francia.
«Sapete», esordì piuttosto quando scesero dalla carrozza. «Anch’io ho un’amica che piange di continuo, a prescindere che sia triste o felice. Le lacrime partono senza freni ogni volta che prova un’emozione forte».
«Posso immaginare», rispose il Comandante facendo strada nella grande casa, «per di qua».
Spontanea come Maria Antonietta, si disse Oscar, la vera Antonietta che ben pochi potevano dire di conoscere: quante volte l’aveva vista disperarsi per il suo destino, o non riuscire a sostenere la maschera di perfetta Regina con le persone che le erano care? Ma quello era un lato di lei che il suo popolo non poteva conoscere e che probabilmente, anche se ne fosse stato testimone, avrebbe rifiutato.
Attraversarono un enorme salone, che in realtà faceva da androne, e presero le scale che portavano alle stanze private. Davanti a una porta a metà del corridoio, André montava la guardia con un mezzo sorriso.
«Non si è mossa dal punto del pavimento dove l’hai lasciata», esordì guardando Oscar. «Ciao, Haruhi, grazie. Ho provato a parlarle ma credo si trovi un po’ in difficoltà con me… Sai, essendo un uomo».
«Non sono tutte abituate alla compagnia maschile, André, specie le giovani donne nubili. Non essere antipatico», lo riprese l’amica. «Entriamo, avanti».
Bussò, come se fosse lei l’ospite, o l’intrusa, e senza aspettare risposta aprì la porta. «Rosalie? Ti ho portato una persona».
Haruhi, che la seguiva, rimase immobile per un attimo: possibile che fosse lei? No, era assurdo. Eppure lo stesso abito, i capelli biondi che conosceva…
«Rosalie, vorrei presentarti…»
La ragazza sollevò il capo da terra e sgranò i suoi grandi occhi azzurri pieni di lacrime. «Haruhi? Sei proprio tu?»
«Rosalie!»
   
 
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