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Autore: Akari_    25/04/2012    4 recensioni
Come ogni lezione, Lui era lì. Il sudore che gli colava sulle tempie, la maglietta fradicia e il suo corpo che era un'unica cosa con quella armoniosa melodia che si irradiava per tutta l'aula.
Nonostante la stanza fosse piena zeppa di ragazzi e soprattutto ragazze gli occhi del giovane Choi Minho erano saldamente incollati alla figura di quel ragazzo dai capelli corti e rossi che gli facevano un po' la testa a fungo di cui non sapeva neanche il nome.
Che cosa ci faceva lui lì, dietro quella porta a guardare ininterrottamente quel ragazzino?
Neanche lui stesso sapeva dare una risposta a questa domanda, l'unica cosa che sapeva era che sfruttava spudoratamente il suo migliore amico Kim Kibum che quasi ogni giorno lo portava con se alle sue lezioni di danza solo per farlo felice.
Che poi Kibum s'era sempre chiesto perché Minho lo tormentasse per accompagnarlo e stare circa due ore impalato nel corridoio della scuola di danza...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Quasi tutti, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nervousness.

Le immagini dei corridoi scorrevano veloci sotto i miei occhi. Camminavo a passo svelto girando la testa in una frazione di secondo, prima a sinistra, poi a destra, poi ancora volgevo lo sguardo dietro di me, osservavo tutto quello che avevo intorno per captare ogni minimo segno della sua presenza.
Nulla.
Il corridoio era illuminato dalla calda luce del sole che però in quel momento mi sembrava così fredda e tetra senza il suo sorriso ad accompagnarla. Quest’ultima entrava placidamente dalle non troppo ampie finestre, le quali davano sugli ormai deserti e malandati campi da tennis. Le mura intorno a me stavano diventando opprimenti; mi mancava l’aria.
Dov’è? Dove diavolo è?!
Continuavo a ripetermi queste domande senza che però arrivasse la risposta. Il respiro mi si stava facendo affannoso ed iniziavo a sentire il battito del cuore che accelerava iniziando a martellarmi nel petto a più non posso. Mossi qualche passo in avanti dove due corridoi si incrociavano, di fronte non c’era nessuno, sperai con tutto me stesso di trovarlo dietro l’angolo. Ancora un passo prima di svoltare e…nulla.
Ancora un vuoto, straziante e disarmante nulla.
Feci qualche altro metro immerso nello sconforto fino a quando le mie orecchie non captarono delle voci lontane ed indistinte.
“Taemin?!” la voce uscì automaticamente senza che avessi dato alcun comando alle mie corde vocali visto che in quel momento il mio cervello era completamente fuori uso. Le voci non cessarono ma non ebbi risposta; iniziai a camminare a passo svelto verso di esse. Piano piano riuscii a capire che le voci che sentivo erano di alcuni ragazzi che stavano urlando. Chissà per quale motivo poi. Qualcosa scattò nella mia testa. Taemin è in pericolo.
Iniziai a correre senza preavviso, ormai avevo affidato tutto me stesso all’istinto; sentivo sempre più chiaramente le grida incazzate di quegli studenti.
Avevo paura, paura che di fronte ai miei occhi si sarebbe potuta presentare quella scena. Correvo ma tutto quello che sentivo invece d’avvicinarsi s’allontanava, sempre di più, come un traguardo che non sarei mai riuscito a tagliare. Poi d’un tratto un rumore metallico colpì i miei timpani come un pugno in pieno stomaco. Mi bloccai di colpo, per una frazione di secondo.
Banchi e sedie che vengono spostati bruscamente?... Oh cazzo!
Ricominciai a correre se possibile ancora più forte. Correvo e non pensavo a nulla, nulla tranne alla paura che si faceva strada nel mio stomaco e lo arpionava, come un’aquila che stringe gli artigli sulla sua preda. Svoltai per l’ennesima volta e vidi una porta semiaperta; era da lì che veniva tutto quel casino. Iniziai a sudare freddo, tremavo.
Io, il Flaming Charisma che trema come una foglia?! Ma che cazz…
Accantonai il tremore con non poca fatica e spinsi forte la porta; era bloccata, probabilmente da un’infinità di banchi e sedie. Una spallata. Ancora non riuscivo a passare in quell’angusto spazio che si era aperto. Qualcuno dall’interno dell’aula esordì con un
“Che cazzo vuoi? Hai voglia di essere pestato anche tu? Entra se hai il coraggio stronzo!”
Probabilmente a parlare fu il capo di quel gruppo, si un gruppo di bulletti che non avendo nulla da fare si erano trovati qualcuno da importunare. Non sopportavo queste cose, mi facevano salire una rabbia incontrollabile. Ero pronto a spaccare la faccia a tutti quelli che avrei trovato aldilà di quella porta. Ormai la paura stava scemando quasi del tutto, l’incazzatura si fece strada dentro di me. Mi promisi di sbrigarmi con quegli idioti per poi tornare alla ricerca di Tae, il vero motivo per cui ero li.
Poi, quell’immagine terrificante mi si presentò d’innanzi gli occhi della mente.
No! Mi rifiuto di pensare che dall’altra parte possa esserci quella scena.
Cercai di convincermi che dietro quel pannello non avrei trovato ciò che più temevo.
Diedi un’altra forte spallata, la porta si aprì ancora un po’, abbastanza da permettermi di intrufolarmi all’interno. Cercai di far passare il mio corpo in quello spazio mentre sentivo dei passi venire verso di me e nuove imprecazioni si levarono dalle bocche di quei ragazzi. Provai ad aprire ancora un po’ spingendo via la montagna di ferraglia che bloccava l’entrata e finalmente riuscii a vedere cosa stava accadendo.
Per prima cosa i miei occhi caddero sul caos indescrivibile che riempiva l’ambiente. C’erano banchi e sedie ammassati e ribaltati, in un angolo e di fronte alla porta per bloccarla, le finestre erano tutte categoricamente chiuse e con le tendine tirate, l’unica fonte di luce erano le lampade al neon che pendevano dal soffitto e creavano una strana atmosfera.
Infine il mio sguardo si fossilizzò per un attimo su quella scena.
Dannazione! Tutto ma non quello!

Mi svegliai di soprassalto scattando seduto sul letto; la fronte imperlata da delle fredde e fastidiose goccioline di sudore. Mi guardai intorno senza una ragione apparente, forse volevo sincerarmi d’esser solo. Ed ovviamente era così. Chi, cosa, avrebbe dovuto esserci?
Sentivo come se mancasse qualcosa, come se mi fossi scordato qualcosa di importante, come se dovessi sapere qualcosa che mi sfugge di mente, una sensazione frustante, un brutto presentimento. Mi sentivo strano ed avevo lo stomaco in subbuglio, sintomo che c’era qualcosa che mi preoccupava.
Mi alzai e mi vestii macchinalmente tenendo la mia attenzione fissa verso ciò che provavo in quel momento. Quel giorno avrei saltato i corsi all’università; non avevo una ragione ben precisa ma c’erano troppe cose fuori posto nella mia mente, se le avessi accumulate alle tesi non avrei retto. Avevo bisogno assolutamente di distrarmi, camminare sotto il cielo limpido e lasciarmi scompigliare i capelli dal vento fresco sperando che quest’ultimo riuscisse a far volare via anche tutte le mie preoccupazioni e i pensieri superflui.
Quel giorno però il velo del cielo era strano, era si d’un celeste da togliere il fiato ma sembrava in procinto d’annuvolarsi per mettersi a piovere da un momento all’altro; ciò mi mise addosso una strana e leggera inquietudine, come quando i sottili ed invisibili fili di una ragnatela ti si avvolgono appiccicosi attorno alla mano che, ad un primo sguardo sembra non aver nulla di strano. Poi, appena cerchi di muoverla li senti tutti, uno ad uno, finissimi ed elastici rallentano i tuoi movimenti.
Una sorta di inquietudine che c’è ma non si sente.
Camminavo lentamente per le strade del mio quartiere semi-periferico che ormai conoscevo a memoria, come le mie tasche. Non avevo una meta, avrei camminato fino a quando il brutto presentimento non fosse scemato del tutto , cosa che speravo accadesse al più presto.
Passai davanti al parco, quella che aveva nascosto così tante volte me e Kibum quando eravamo piccoli che avevamo perso il conto. Quello che era diventato la nostra dimora, dove ci sentivamo molto più al sicuro rispetto alle nostre vere case. Andavamo li quando i miei iniziavano a litigare ed i suoi uscivano ad ubriacarsi lasciandolo solo durante la notte; quando eravamo li andavamo ai piedi del grande albero, dietro al nostro cespuglio che ci isolava dagli altri e ci stringevamo forte, fortissimo, piangendo per poi cercare di ritirarci su il morale facendoci il solletico o dando la caccia alle formiche che si nascondevano nella corteccia. Ci divertivamo un mondo ma com’era ovvio che fosse arrivava il momento di dividerci ed ogni volta venivamo strappati l’uno dalle braccia dell’altro senza alcun pudore mentre entrambi piangevamo, ancora, e scalpitavamo contrariati. Andava sempre a finire a quel modo, prima per mano della polizia, poi per dei passanti poi ancora per mano dei nostri genitori che alla fine avevano capito dove ci cacciavamo ogni volta e sistematicamente ci riportavano in quelle case degli orrori che detestavamo con tutti noi stessi.
Rompevano i nostri abbracci lasciandoci spaesati e trascinandoci sempre più lontani l’uno dall’altro, separavano due gemelli siamesi che fino ad allora avevano sempre l’altro accanto e che all’improvviso si trovavano a camminare da soli ognuno per la propria strada, mandavano in mille pezzi la tanto agognata pace che a stento riuscivamo a raggiungere. Ma ciò non ci ha mai scoraggiato, siamo sempre tornati lì, al solito posto più stanchi e più bisognosi d’affetto di prima fregandocene di quello che i nostri genitori avrebbero pensato, anche la gente ci guardava male pensando chissà cosa ma a noi non importava, ci bastava, ed ancora oggi ci basta, stare insieme per farci tornare il sorriso che a quel tempo si vedeva troppo poco sui nostri volti. C’erano giorni in cui aspettavo ore ed ore ma lui non si faceva vivo, attendevo fino a sera senza perdere mai la speranza desiderando di poter tirare nuovamente i capelli a quel fratello acquisito che volevo così tanto proteggere. Si, già da ragazzino mi ero ripromesso che avrei fatto di tutto per non farlo soffrire, avrei difeso quell’unica persona che riusciva a comprendere quello che stavo passando perché in fin dei conti anche lui era nella mia stessa condizione. Avrei protetto colui che odiava vedermi col broncio e che per tirarmi su il morale faceva delle facce buffissime con quelle sue labbra perfettamente a cuore e gli occhietti piccoli ma che promettevano avere uno stupendo taglio felino.
Mi ero promesso di proteggere quel ragazzino che dentro di sé era più grande di chiunque altro; quel ragazzino più grande anche di me ma che io vedevo così indifeso con quel suo buffo e gracile corpo non abbastanza robusto per dei bambini di nove anni, i capelli li aveva scuri, scurissimi quanto gli occhi dalle già lunghe ciglia. L’unica cosa che era cambiata da allora erano i suoi capelli, che aveva tinto di un biondo chiarissimo che però rasentava il giallo limone.
Sorrisi lievemente pensando a tutto il tempo passato insieme a Kibum ma il mio viso si spense subito pensando alla discussione di pochi giorni prima.
Key ancora non mi parlava ed io ci stavo male, malissimo. Avevo provato a chiamarlo per chiedergli scusa più e più volte ma lui mi aveva sempre riattaccato il telefono senza lasciarmi dire una parola. Sperai almeno di riuscire a parlargli quando quel giorno sarei passato a prenderlo per portarlo alla lezione.
Tornai alla realtà guardando l’orologio e mi accorsi che effettivamente era ora di tornare a casa visto che avevo camminato per circa due ore senza che me ne accorgessi ritrovandomi non so come non troppo lontano dal mio appartamento. A piedi ci avrei messo una trentina di minuti nei quali non smisi di tormentarmi pensando al brutto presentimento che continuava a farsi strada nelle mie viscere. Distesi la mano dei miei pensieri, la sentii … la ragnatela fatta di finissimi fili d’inquietudine era ancora lì come c’era da aspettarsi. Nessuno sa quanto avrei voluto trovare all’istante il fulcro di quelle ansie così da poterle debellare ma la verità è che qualcuno lassù voleva che gli eventi seguissero solo e unicamente quel corso.

Dopo qualche ora parcheggiai la mia auto non troppo lontano da un abbastanza ampio cancello verde scuro che si apriva su un piccolo spiazzale all’interno del quale spuntava qualche aiuola solitaria e con l’erba mezza calpestata e secca. L’edificio, se così si poteva chiamare, che mi ritrovai di fronte assomigliava in una maniera paurosa ad una fabbrica; le pareti esterne erano di un noiosissimo grigio topo che sminuiva infinitamente tutto ciò che gli era attorno e conferiva un’aria quasi spettrale all’insieme. Ricontrollai mentalmente l’indirizzo che mi ricordavo dalla conversazione di qualche giorno prima avuta al locale di Jinki cercando di trovare anche un modo per piombare di fronte a Taemin senza sembrare un idiota totale, ma soprattutto cosa gli avrei detto dopo la scenata che era stato costretto a vedere?
Mentre continuavo a scervellarmi la campanella dell’istituto suonò annunciando la fine delle lezioni ed i miei occhi scattarono verso la grande porta a vetri dalla quale iniziarono ad uscire flotte di giovani liceali urlanti di gioia per la riconquistata libertà. Il mio sguardo esaminava ogni volto cercando quello del mio ragazzino o più semplicemente cercavo una testolina fluttuante color ciliegia che però stentava ad entrare nel mio campo visivo. Il brutto presentimento, che da quella mattina mi tormentava, era tornato a farsi sentire, più forte di prima. Ormai il piccolo spiazzale era quasi deserto salvo qualche gruppetto di ragazze che si stavano mettendo d’accordo su cosa fare nel pomeriggio; avanzai verso l’entrata della scuola a passo svelto, mentre il mio stomaco si contorceva nel mio addome. Incrociai una ragazza bassa e carina che stava uscendo in quel momento e cercando di non farle notare l’agitazione le chiesi gentilmente “Scusami, hai per caso visto un ragazzo coi capelli rosso ciliegia a caschetto alto più o meno così?” terminai la frase portando mi la mano all’altezza degli occhi. Lei scosse la testa in segno di diniego e si allontanò silenziosamente con un espressione interrogativa sul volto dai lineamenti dolci.
Che figuraccia!
Chiusi gli occhi e scossi la testa cercando di liberarmi dei pensieri superflui e continuai con la mia ricerca.
Sentivo l’agitazione scuotere il mio corpo mentre vagando nel cortile aggirai l’edificio e cercavo una possibile uscita secondaria che poteva avermi fatto perdere le tracce di Tae. Nulla. Di uscita c’è n’era una sola e da quest’ultima ero sicuro che lui non ne fosse uscito. Mi catapultai all’interno della scuola.
Le immagini dei corridoi scorrevano veloci sotto i miei occhi. Camminavo a passo svelto girando la testa in una frazione di secondo, prima a sinistra, poi a destra, poi ancora volgevo lo sguardo dietro di me, osservavo tutto quello che avevo intorno per captare ogni minimo segno della sua presenza.
Nulla.
Il corridoio era illuminato dalla calda luce del sole che però in quel momento mi sembrava così fredda e tetra senza il suo sorriso ad accompagnarla. Quest’ultima entrava placidamente dalle non troppo ampie finestre, le quali davano sugli ormai deserti e malandati campi da tennis. Le mura intorno a me stavano diventando opprimenti; mi mancava l’aria.
Dov’è? Dove diavolo è?!
Continuavo a ripetermi queste domande senza che però arrivasse la risposta. Il respiro mi si stava facendo affannoso ed iniziavo a sentire il battito del cuore che accelerava iniziando a martellarmi nel petto a più non posso. Mossi qualche passo in avanti dove due corridoi si incrociavano, di fronte non c’era nessuno, sperai con tutto me stesso di trovarlo dietro l’angolo.
Ancora un passo prima di svoltare e…nulla.
Ancora un vuoto, straziante e disarmante nulla.
Feci qualche altro metro immerso nello sconforto fino a quando le mie orecchie non captarono delle voci lontane ed indistinte.V “Taemin?!” la voce uscì automaticamente senza che avessi dato alcun comando alle mie corde vocali visto che in quel momento il mio cervello era completamente fuori uso. Le voci non cessarono ma non ebbi risposta; iniziai a camminare a passo svelto verso di esse. Piano piano riuscii a capire che le voci che sentivo erano di alcuni ragazzi che stavano urlando. Chissà per quale motivo poi. Qualcosa scattò nella mia testa. Taemin è in pericolo.
Iniziai a correre senza preavviso, ormai avevo affidato tutto me stesso all’istinto; sentivo sempre più chiaramente le grida incazzate di quegli studenti.
Avevo paura, paura che di fronte ai miei occhi si sarebbe potuta presentare quella scena. Correvo ma tutto quello che sentivo invece d’avvicinarsi s’allontanava, sempre di più, come un traguardo che non sarei mai riuscito a tagliare. Poi d’un tratto un rumore metallico colpì i miei timpani come un pugno in pieno stomaco. Mi bloccai di colpo, per una frazione di secondo.
Banchi e sedie che vengono spostati bruscamente?... Oh cazzo!
Ricominciai a correre se possibile ancora più forte. Correvo e non pensavo a nulla, nulla tranne alla paura che si faceva strada nel mio stomaco e lo arpionava, come un’aquila che stringe gli artigli sulla sua preda. Svoltai per l’ennesima volta e vidi una porta semiaperta; era da lì che veniva tutto quel casino. Iniziai a sudare freddo, tremavo.
Io, il Flaming Charisma che trema come una foglia?! Ma che cazz…
Accantonai il tremore con non poca fatica e spinsi forte la porta; era bloccata, probabilmente da un’infinità di banchi e sedie. Una spallata. Ancora non riuscivo a passare in quell’angusto spazio che si era aperto. Qualcuno dall’interno dell’aula esordì con un
“Che cazzo vuoi? Hai voglia di essere pestato anche tu? Entra se hai il coraggio stronzo!”
Probabilmente a parlare fu il capo di quel gruppo, si un gruppo di bulletti che non avendo nulla da fare si erano trovati qualcuno da importunare. Non sopportavo queste cose, mi facevano salire una rabbia incontrollabile. Ero pronto a spaccare la faccia a tutti quelli che avrei trovato aldilà di quella porta. Ormai la paura stava scemando quasi del tutto, l’incazzatura si fece strada dentro di me. Mi promisi di sbrigarmi con quegli idioti per poi tornare alla ricerca di Tae, il vero motivo per cui ero li.
Poi, quell’immagine terrificante mi si presentò d’innanzi gli occhi della mente.
No! Mi rifiuto di pensare che dall’altra parte possa esserci quella scena.
Cercai di convincermi che dietro quel pannello non avrei trovato ciò che più temevo.
Diedi un’altra forte spallata, la porta si aprì ancora un po’, abbastanza da permettermi di intrufolarmi all’interno. Cercai di far passare il mio corpo in quello spazio mentre sentivo dei passi venire verso di me e nuove imprecazioni si levarono dalle bocche di quei ragazzi. Provai ad aprire ancora un po’ spingendo via la montagna di ferraglia che bloccava l’entrata e finalmente riuscii a vedere cosa stava accadendo.
Per prima cosa i miei occhi caddero sul caos indescrivibile che riempiva l’ambiente. C’erano banchi e sedie ammassati e ribaltati, in un angolo e di fronte alla porta per bloccarla, le finestre erano tutte categoricamente chiuse e con le tendine tirate, l’unica fonte di luce erano le lampade al neon che pendevano dal soffitto e creavano una strana atmosfera.
Infine il mio sguardo si fossilizzò per un attimo su quella scena.
Dannazione! Tutto ma non quello!

Note dell'autrice: Scusatescusatescusate! *profondo inchino*
Sono una dannatissima ritardataria, spero che continuerete a seguirmi comunque ç_ç
Grazie a tutti coloro che leggeranno questo capitolo e quelli successivi *w*
Khansa hanmidaa~ <3
Akari_

  
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