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Autore: Angel666    27/04/2012    3 recensioni
“E’ solo un gioco per te?” chiese lei.
“Esatto. Non è nient’altro che una partita; e io sono disposto a tutto pur di vincerla.”
Il caso del Serial Killer di Los Angeles raccontato dal punto di vista di un ostaggio molto speciale. Cosa lega la ragazza all'assassino? Quali piani ha in mente per lei? Quando giochi in nome della giustizia si trovano sempre pedine sacrificabili, l'importante è conoscere le regole del gioco e non venire eliminati. Please R&R!
Genere: Angst, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri personaggi, Beyond Birthday, L
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Cosa rende un caso irrisolvibile? La mancanza di prove per dimostrare la propria tesi.
Se L sapeva perfettamente chi si nascondeva dietro a questi omicidi, avrebbe dovuto arrestare il colpevole e consegnarlo alla giustizia.
Per fare una cosa del genere  avrebbe avuto bisogno di prove che incastrassero Ryuzaki, oppure avrebbe dovuto coglierlo sul fatto mentre compiva l’ultimo omicidio.
Rumer sapeva perfettamente che, nonostante il killer si stesse prendendo gioco del detective lasciando indizi in giro, non era tanto stupido da seminare impronte o altro riconducibile direttamente a lui.
Come avrebbe fatto L a convincere la polizia che dietro questo caso si nascondeva il suo vecchio successore della Wammy’s House?
Era un circolo vizioso: Ryuzaki uccideva le vittime, L metteva insieme gli indizi da lui lasciati grazie a Misora, che a sua volta si avvaleva inconsapevolmente dell’aiuto di un investigatore privato, il quale altri non era che l’assassino stesso.
Più ci rifletteva meno il filo dei suoi ragionamenti era chiaro.
Sbuffò in preda alla frustrazione, e decise di sedersi nella strana posa di suo fratello, magari avrebbe funzionato davvero.
Provò a ripartire dall’inizio; prima ancora degli omicidi. Qual’era stato il primo indizio che le aveva mostrato Ryuzaki? Le wara ningyo.
Il ragazzo aveva affermato che quelle bamboline avrebbero avuto un ruolo determinante nella storia, ma lei non sapeva quante ne aveva usate sulle scene del crimine.
Chiamò Ryuzaki a gran voce; era tutto il giorno che se ne stava chiuso nella sua stanza ad elaborare chissà quali piani contro L.
“Devi andare in bagno?” chiese con tono annoiato, affacciandosi all’uscio.
“Quante sono le wara ningyo?” lo apostrofò, attirando la sua attenzione.
“Bene bene, a quanto pare vuoi giocare ancora. Forse rivedere le fasi del piano con te può essermi d’aiuto.” Sussurrò, mordendosi l’unghia del pollice. “In tutto sono dieci.” Disse.
“Vuoi, dire che non le hai usate ancora tutte?”
Lui si limitò a sorriderle. Era sulla buona strada.
“Finora sono avvenuti tre omicidi, ma visto che hai detto che non manca molto alla fine del caso non puoi averne usata una a vittima. Sono un indizio determinante: come una firma, giusto?”
“Più o meno. Diciamo che essendo ad Hollywood, questa città ha bisogno di teatralità. Ma non devi mai fidarti di quello che vedi Rumer.”
“Un diversivo quindi. Le bambole fingono solo di essere una firma, in realtà servono a distogliere l’attenzione da qualcosa! Ma da cosa? Il cadavere? No….è troppo evidente. Non puoi dirmi come le hai usate?” chiese infine.
Il ragazzo le si accucciò di fronte “Immagina una stanza con le sue quattro pareti e al centro un cadavere. Qual è la prima cosa che vedi entrando?” chiese.
Il cadavere sarebbe stata la risposta più ovvia, essendo posto al centro eppure…
“Il muro di fronte alla porta.” L’uomo di per se è portato a guardare davanti a sé, non fisso sul pavimento.
“Ottima intuizione! Ancora mi chiedo perché Wammy ti abbia scartato alle selezioni.”
Rumer ignorò il commento e continuò “Dunque ne hai messa una sul muro di fronte alla porta; e le altre? Sugli altri muri? Ma così i conti non tornano lo stesso.”
Lo guardò in attesa di una spiegazione.
“Le wara ningyo sono un semplice diversivo, ma non per occultare il cadavere, cosa di per se impossibile oltre che superflua, bensì per nascondere un oggetto molto più importante: un chiodo.”
Rumer sbatté un paio di volte le palpebre confusa, in attesa che il ragazzo riprendesse il racconto.
Dal canto suo Ryuzaki si stava godendo la sua espressione esterrefatta.
“A che diavolo ti serve un chiodo?”
“Ad appenderle.”
Stava iniziando a perdere la pazienza “Ti ricordo che sono incatenata a questo muro e non sono stata sulla scena del crimine! Non ho idea di quello di cui stai parlando.”
“Eppure te la stai cavando benissimo! Il chiodo è un fattore determinante per la riuscita del piano. Hai mai sentito parlare di camere chiuse?” chiese Ryuzaki.
“Si, nei gialli quando avviene un omicidio le stanze chiuse dall’interno servono per simulare il suicidio della vittima. Ma non conosco di preciso il meccanismo con cui si creano.”
“Si usa il trucco dell’ago e filo: bisogna far passare il filo attraverso lo spiraglio della porta, viene fatto girare attorno alla testa del chiodo ( che in questo caso funge da carrucola ) su cui è fissata la bambola, nella parete di fronte all’entrata; poi viene teso fino alla parete laterale, e infine portato nuovamente alla porta e agganciato alla serratura.
In questo modo viene a crearsi un triangolo, che sfruttando i chiodi permette ai fili di inclinare diagonalmente i vettori della forza, così da evitare che essa venga dispersa verso la porta, ma concentrata solo sulla serratura. Tirando il filo che passa attraverso lo spiraglio, viene fatta ruotare la maniglia e la porta si chiude.
Diciamo che questa è una spiegazione piuttosto semplificata, ma posso assicurarti che senza i chiodi questo trucchetto non sarebbe stato realizzabile.”
Rumer provò a immaginarsi il meccanismo spiegato da Ryuzaki; la cosa fisicamente parlando aveva un senso, ma logicamente faceva acqua da tutte la parti.
“Ryuzaki capisco quello che vuoi dire ma…che senso ha sprecare tutte queste energie per simulare dei suicidi quando gli omicidi sono architettati in modo che non ci possano essere dubbi al riguardo? Insomma dubito che uno possa parlare di suicidio vedendo un cadavere senza arti o con gli occhi maciullati, non trovi?”
Il ragazzo sorrise malignamente “Il punto non è fingere un suicidio Rumer, ma simulare proprio che non lo sia. E’ una cosa che capirai presto, non preoccuparti; ma torniamo ai tuoi calcoli.”
La ragazza lo fissò con aria interrogativa, prima di riprendere il filo del ragionamento “Se sono dieci in tutto e ogni omicidio è legato all’altro questo vuol dire che anche il numero delle wara ningyo costituisce un indizio. Quante ne hai usate la prima volta?”
“Quattro.” Non si aspettava una risposta da parte sua, per questo rimase sorpresa, ma da qualche parte doveva pur iniziare.
“Una a parete quindi. Visto che bastano solo due chiodi per creare il triangolo, scommetto che c’è un motivo anche nella scelta del numero…” sussurrò.
“Bè dal momento che, come ti ho già detto, il filo conduttore è il Giappone ammetto che la scelta non è stata casuale.”
Che c’entrava adesso il Giappone?
Provò a pensare come si diceva quattro in giapponese; quando era piccola sa madre le cantava sempre una filastrocca per bambini in cui si imparavano i numeri da uno a dieci.
Quattro. Shi.
Rumer sgranò gli occhi: shi infatti oltre che al numero corrispondeva anche ad un altro ideogramma.
Morte.
Ryuzaki ghignò, vedendo la consapevolezza negli occhi della ragazza.
“Hai davvero uno strano senso dell’umorismo.” Sbottò lei.
“Che vuoi farci, sono inglese.”
Facendo un rapido calcolo delle bamboline e prendendo in riferimento le pareti della stanza “Ne rimane soltanto una.” Sussurrò.
“Allora ti conviene scoprire in fretta chi sarà l’ultima vittima. Ti do un indizio: 1+3 non sempre fa 4. Se riuscirai a risolvermi questo indovinello e a dirmi la data del prossimo omicidio, ti mostrerò una fotografia dell’ultima scena del crimine, dove potrai vedere tu stessa gli indizi da me lasciati. Hai 24 ore di tempo a disposizione.”
Detto questo la lasciò sola a riflettere.
 
Oramai giorno e notte non facevano più alcuna differenza. Il suo corpo si era abituato ad un ritmo completamente sballato, restando sempre incatenato ad un muro.
Ryuzaki le portava da mangiare quando era in casa (cosa che accadeva molto di rado durante il giorno) a orari irregolari, e lei non faceva altro che scivolare da uno stato di dormiveglia ad uno di agitazione improvvisa. 
Preferiva dormire il più possibile, per non pensare. Oramai non aveva più paura del suo aggressore. Dopo l’incidente della telecamera non aveva più alzato un dito su di lei, e lei non aveva fatto nulla per farlo arrabbiare.
Passava le giornate in uno stato di apatia a fissare la parete bianca davanti a lei cambiare colore, mentre il suo cervello registrava distrattamente i rumori della strada sottostane, sperando di non impazzire.
Era da un paio di giorni che avvertiva un leggero malessere; inizialmente aveva pensato che fosse dovuto alla scarsa qualità del cibo e al caldo asfissiante in quel magazzino, ma non appena si era svegliata quella mattina, e aveva avvertito distintamente un forte dolore al basso ventre, la consapevolezza l’aveva colpita come un fulmine.
Essendo incatenata ad un muro non poteva controllare, ma la sensazione di umido tra le gambe era una prova più che tangibile. E adesso? Non poteva certo fare finta di niente.
Raschiò il fondo della poca dignità che le era rimasta e chiamò Ryuzaki a gran voce.
Il ragazzo apparve poco dopo sulla soglia guardandola in silenzio.
Rumer provò ad aprire bocca un paio di volte, ma le parole non volevano saperne di uscire.
“Ti senti bene?” chiese il ragazzo preoccupato.
“Ecco…io…” chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, per scacciare via la vergogna.
Forse era meglio farglielo intuire, prendendola alla larga; in fondo era un uomo e non sapeva come avrebbe reagito.
“Ryuzaki…io sono una donna.” Complimenti sul serio, pensò.
Gli occhi da panda del ragazzo sembrarono ingrandirsi ancora di più per la sorpresa.
“Questo lo vedo Rumer.”
“Di conseguenza, è arrivato quel determinato periodo del mese.” Non ce la faceva proprio a spiegarlo meglio di così.
“Quale?”
La stava forse prendendo in giro? Ma non doveva essere un dannato genio?!
“Maledizione Ryuzaki! Mi è appena arrivato il ciclo.” Sbottò allora, rossa in viso.
Lui rimase in silenzio per un minuto, con espressione imperscrutabile. “Voi donne create sempre un mare di problemi.” Disse infine.
“Oh bè, scusa tanto. Allora la prossima volta perché non rapisci un ragazzo?” Non era mica colpa sua; avrebbe dovuto mettere in conto che sarebbe successo prima o poi.
“Ti procurerò quello che ti serve.” Annunciò tranquillamente.
“Ti ringrazio. Avrei bisogno anche di antidolorifici, se non ti dispiace.”
“Quelli se vuoi posso darteli anche adesso.” Disse lui.
A volte Rumer dimenticava che quel pazzo aveva una farmacia in casa.
Annuì e lo vide sparire, per tornare dopo qualche secondo con delle pillole ed un bicchiere d’acqua.
“Fa molto male?” disse guardandola con interesse, senza un minimo segno di preoccupazione o dispiacere negli occhi.
“Diciamo che ultimamente ho subito di peggio.” Rispose eloquente; il naso ogni tanto le procurava ancora un dolore terribile.
Ryuzaki non fece commenti.
Improvvisamente la ragazza se lo immaginò entrare in un supermercato per comprare dei tampax e le venne da ridere, tanto che quasi si strozzò con il bicchiere d’acqua.
Lui inarcò un sopracciglio, interrogativo, ma lei preferì scuotere la testa e restare in silenzio. In fondo era già piuttosto imbarazzante senza aggiungere battutine sarcastiche.
Per la prima volta da quando aveva messo piede in quel magazzino, Ryuzaki le lasciò tutta l’intimità di cui aveva bisogno, facendola andare in bagno ogni volta che voleva e senza controllarla.
 
Dunque aveva un giorno di tempo a disposizione per risolvere l’indovinello di Ryuzaki; tanto valeva tenere la mente occupata e non pensare al suo malessere fisico.
Che cosa aveva voluto comunicarle con quella specie di enigma? Oramai era piuttosto chiaro che al suo carceriere piacesse giocare con lei, mettendola alla prova per vedere se persone dotate di un normale q.i. sarebbero state in grado di risolvere i suoi indizi.
1+ 3 non sempre fa 4.
Sembrava un gioco per bambini. In base a queste due cifre avrebbe dovuto scoprire la data del prossimo omicidio. Ripassò mentalmente le date dei delitti precedenti: il 31, il 4 e il 13. Tutte le date avevano in qualche modo a che fare con l’indizio lasciatole. Il 31 e 13 perché contenevano quelle stesse unità, e il 4 perché ne era la somma.
Tra il primo e il secondo omicidio erano passati 4 giorni, mentre tra il secondo e il terzo 9. E ne mancava soltanto uno.
Che avesse programmato di farlo il 17? In fondo era di nuovo a 4 giorni dall’ultimo.
Eppure il 17 non era un numero legato a 1, 3 e 4. No, non era sulla strada giusta, anche se non poteva dirlo con esattezza.
Strinse le ginocchia al petto, in quella posizione che oramai aveva adottato anche lei per riflettere, e si figurò la somma nella mente.
Se 1+3 non faceva 4 allora forse la risposta era 13. Poteva essere un’idea dal momento che i numeri tornavano; quindi sommando 13 alla data dell’ultimo omicidio veniva 26.  Ma che senso aveva interrompere la catena temporale dei delitti?
Insomma di solito un serial killer seguiva un suo metodo che lo contraddistingueva rispetto ad normale assassino; quindi Rumer decise di scartare anche questa data.
Non devi mai fidarti di quello che vedi.
Questo era più di un indizio: era la soluzione.
Come in precedenza i numeri romani corrispondevano alle lettere  di un nome; cambiando completamente punto di vista 1+3 non dava un numero, bensì una lettera.
1+3 dava B.
B come Believe Bridesmaid e Backy Bottomslash, i nomi delle sue vittime, morte a 13 giorni l’uno dall’altra.
Tutto questo era assurdo eppure non poteva essere un caso. Abbandonando l’idea della ripetizione del 4, dal momento che Misora non avrebbe sicuramente risolto tutti i delitti in così poco tempo, restava quella dei 9 giorni di distanza dall’ultimo omicidio.
13 + 9 dava 22.
Ancora la stessa ripetizione dei numeri, come le iniziali delle vittime. Inoltre 2+2 faceva 4 ed ecco che si ritornava all’indovinello iniziale.
Il prossimo omicidio sarebbe avvenuto esattamente tra una settimana, e sarebbe stato l’ultimo.
 
 

   
 
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