Betato, gentilmente, da Mary_Sophia_Spurce
Regola numero quattro.
Era
strano stare in quella casa dopo l'incidente dei miei genitori, era
proprio una strana sensazione vivere lì senza di loro anche
se per
una settimana. Dovunque guardassi riuscivo a percepire la loro
assenza; ogni oggetto in cucina mi ricordava mia madre, il suo
preoccuparsi per l'avere un pranzo sempre perfetto, il suo
rimproverare papà perché si sedeva in ritardo a
tavola troppo
occupato a guardare lo sport in tv, il suo bacchettare Jeremy da
bambino perché non lavava mai le mani.
Sospirai e spensi il
forno.
– L'odorino non è niente male. – Stefan
mi abbracciò
aiutandomi poi a tirar fuori il polpettone – Spero sia lo
stesso
anche per il sapore.
Gli diedi una gomitata nel fianco e iniziai
a tagliare il mio capolavoro culinario – Che stronzo.
Quando
gli avevo proposto di trascorrere una settimana da soli nella casa al
lago, dopo i primi minuti di tentennamento, si era dimostrato
entusiasta, proponendo, come cose da fare, un sacco di cose
divertenti; aveva addirittura portato da casa dei giochi da tavola:
mi sembrava un bambino in gita scolastica.
Alla fine, però,
avevamo trascorso quei primi quattro giorni a coccolarci e,
soprattutto, senza litigare.
– Accidenti, è buonissimo.
Gli
risposi con una smorfia e continuammo a mangiare tranquillamente,
seduti uno di fronte all'altra, la televisione spenta, sentendo
quindi i versi degli animali attorno al lago e sugli alberi.
–
Che programmi abbiamo per domani?– Gli chiesi mentre
m'aiutava a
sparecchiare e lavare i piatti. Scrollò le spalle facendo
attenzione
a mettere nel posto giusto le stoviglie. Sembrava strano. –
C'è
qualcosa che non va?
– Volevo farti la stessa domanda.
Mi
bloccai con il piatto a mezz'aria: il suo tono era stato abbastanza
serio da farmi preoccupare.
– Dimmi.– Gli risposi fingendo
tranquillità.
– Ultimamente sei strana e non mi riferisco solo
alle liti che abbiamo avuto a causa di Damon; non ridi come prima,
non scherzi o ti comporti come prima: è come se fossi
un'altra
persona.
Continuavo a sciacquare quella pentola, evitando di
guardarlo.
– Ele, che succede?
Alzai lo sguardo con lentezza;
avevo paura di affrontarlo. – Non lo so.
– Non mi ami più?
–
Certo che sì.
– E allora?
Mi allontanai dalla cucina, volevo
scappare anche da lui per evitare quel discorso: la verità
era che
non sapevo cosa dire; non mi ero accorta di quei miei comportamenti,
come potevo, quindi, spiegarglieli?
– Non so che dirti Stefan.
Non so di cosa tu stia parlando.
– Di questo. Io parlo e tu
scappi: da quando sei così codarda?
– Da quando tu mi accusi di
cose che non sono vere.
Aveva alzato la voce provocandomi, aveva
fatto scattare in me un qualcosa di non ben definito.
– Ti ho
già chiesto scusa per quello che t'ho detto.
– L'hai detto
comunque. Non bastano le scuse; è come se domani uccidessi
qualcuno
e poi mi scusassi con la sua famiglia.
– E allora dimmi cosa
devo fare.
– Non lo so.
Sentivo la gola in fiamme per tutte
quelle urla. Gli occhi di Stefan erano di un verde acceso a causa
della rabbia e miei, non potevo vederli, ma erano sicuramente rossi
per le lacrime che stavo trattenendo.
– Io ti amo Elena– Fu
quasi un sussurro, e ne fui lieta perché significava che le
acque si
erano calmate; il peggio era passato, forse.
– Anche io.
–
Non voglio, però, stare con te se devo dividerti con qualcun
altro.
Sospirai avvicinandomi a lui, mi spezzava il cuore sentirlo dire
quelle cose; lo amavo e non volevo farlo o vederlo soffrire.
–
Io sono tua, e basta.
– Sei anche sua.
I suoi occhi verdi
stavano, pian piano, cominciando a tornare chiari come sempre.
–
Sono solo la sua migliore amica, nulla di più.–
Gli sorrisi e mi
sollevai sulle punte per lasciargli un bacio sulle labbra. –
Tu
invece sei il mio ragazzo e posso farti questo.
Mi aggrappai stile
koala, baciandolo con passione: ero stanca di litigare e urlare;
volevo rilassarmi e non pensare a nient'altro se non a lui.
Sorrise
contro le mie labbra mentre camminava verso la camera da letto;
sbatté più volte contro i muri e le porte,
facendomi ridere di
gusto. Mi lasciò cadere sul letto per poi sdraiarsi su di
me; quello
era il miglior modo di far pace.
Mi svegliai ancora tra le
braccia di Stefan e sorrisi nel vederlo rilassato; decisi tuttavia di
non svegliarlo, indossai una sua maglietta e andai in cucina per
chiamare Jeremy, la sera prima non l'avevo sentito e dovevo pur
informarmi su quello che stava combinando a casa.
– Ti ho detto
che va tutto bene. Mi hai svegliato.
– Mi dispiace. Hai portato
Anna a...
– Non ti fidi di me?
– Devo dirti la verità?–
Lo dissi ridendo per fargli capire che stessi scherzando.
–
Lasciamo perdere. Mi ha tenuto compagnia Damon in questi giorni.
–
Puoi pass...
– Sta dormendo.
– Sveglialo.
– No, perché
poi dovrebbe andare a fare jogging, quindi non potrebbe parlare con
te.
– Jeremy. Cosa avete combinato?
Non sentii cosa rispose
mio fratello perché Stefan mi tolse il telefono dalle mani,
spegnendolo. Mi augurò il buongiorno riempiendomi di baci,
risi
felice; mi sembrava di essere tornata indietro nel tempo, quando non
avevamo ancora litigato per tutte quelle inutili sciocchezze su
Damon.
– Devi smetterla di preoccuparti per tuo fratello. E'
abbastanza grande.
– Io non mi preoccupo per lui... Mi preoccupo
per casa mia.
Mi regalò un sorriso che mi sciolse il cuore; mi
alzai dalla sedia per sedermi sulle sue gambe e continuai la mia
colazione lì, come se fossi una bambina. Gli sporcai il naso
con la
cioccolata: nacque una vera e propria guerra e vinse lui: mi
intrappolò i polsi in una sua mano dietro la schiena, e con
l'altra
mi spalmò Nutella dovunque potesse farlo: non riuscivo a
smettere di
ridere.
– Sei un idiota, guarda come mi hai ridotta.– Dissi
guardandomi allo specchio dell'ingresso.
– Hai iniziato tu.
Gli
risposi con una linguaccia – Sarà meglio che vada
a farmi la
doccia...
Non ebbi neanche il tempo di scappare; mi prese in
braccio, come se fossi un sacco di patate, mi portò in bagno
e,
nonostante le mie urla e il mio dimenarmi, aprì i rubinetti
della
doccia, mettendomi sotto. Rabbrividii per il freddo e quasi soffocai
per l'acqua ingoiata.
– STEF!
Lui intanto non smetteva di
ridere.
– Chiudi la bocca o affoghi.
Stropicciai gli occhi
con le mani, per togliere l'acqua e lo guardai in cagnesco: se ne
stava in piedi, appoggiato al muro, con un sorrisino impertinente a
guardarmi soffocare; decisi di vendicarmi a modo mio.
Mi spogliai
lentamente, godendomi la sua reazione: strabuzzò gli occhi,
divorandomi con lo sguardo mentre sfilavo il reggiseno lanciandolo ai
suoi piedi. Sorrisi.
– Beh, sembra che tu abbia visto un
fantasma.
In un lampo si tolse i pantaloncini e la maglietta,
raggiungendomi dentro la doccia – Sei tremenda.
La sua mano
strinse i miei capelli, ormai bagnati, attirandomi a sé; mi
baciò
con passione e ricambiai aggrappandomi a lui con foga: l'acqua ci
aveva fatti impazzire.
Legai le gambe intorno al suo bacino; un
brivido mi percosse quando sentii il freddo delle mattonelle sulla
schiena, ma non ci badai e continuai a baciarlo, a scompigliargli i
capelli.
Gli morsi una spalla per non urlare quando fui totalmente
soddisfatta; uscì da me prima che potesse venire anche lui:
normalmente usavamo il preservativo ma quella volta era successo
tutto così in fretta da dimenticarlo.
Prima che potesse finire
l'acqua calda finii di lavarmi, avevo davvero bisogno di togliere
tutta quella cioccolata dal mio corpo. Stefan era ancora dentro la
doccia con me che mi insaponava la schiena.
– Non usciremo più
da qui, vero?
Rise – Mi hai provocato tu.
– Ma sentitelo.–
Mi voltai per guardarlo negli occhi. – Mi hai infilato tu qua
sotto.
Aprì la bocca per dire qualcosa ma la richiuse subito: si
era arreso. Mi alzai sulle punte dei piedi per lasciargli un bacio
sul naso e finimmo di sciacquarci.
Stefan caricò l'ultima
valigia nel bagagliaio mentre io controllavo che non avessimo
dimenticato nulla; mi dispiaceva partire e tornare in città
ma quei
sei giorni erano bastati per ristabilire la pace tra e me lui e per
permettere a Jeremy di distruggere casa.
– A che pensi?
Mi
voltai verso Stefan che aveva intrecciato le nostre mani mentre
guidava – Ai mille guai che ha potuto combinare mio fratello.
Si
fece pensieroso. – Tranquilla gli ho lasciato i numeri delle
emergenze attaccati al frigo.
– Idiota. – Lo colpii al braccio
facendolo ridere.
Dormii per il resto del viaggio, svegliandomi
davanti casa, con il cretino di mio fratello che mi urlava
nell'orecchio: avrei voluto prenderlo a pugni se solo avessi potuto.
Gli feci i complimenti per come aveva mantenuto casa: pulita e
intatta, senza nessun segno di incendio o atto vandalico; salii in
camera mia per posare la valigia quando notai un particolare.
–
Tutto bene?
Annuii – Stavo controllando anche qui dentro.
–
Davvero non ti fidi di tuo fratello?
– Certo che mi fido, solo
che non voglio che lui lo creda.
Accompagnai Stefan alla porta,
doveva passare a salutare la sua famiglia e poi sarebbe andato
direttamente a casa: era stanco e aveva bisogno di riposo; aveva un
rapporto strano con il suo cuscino e il suo letto, al rientro da ogni
vacanza passava le successive ore, sdraiato su di esso, a ripetergli
quanto gli fosse mancato.
Chiusi la porta e mi lasciai cadere sul
divano: stanca ma felice.
– Allora? Come è andata questa
settimana?
– Sei una donna pettegola Jer.
– Mi preoccupo
solo per mia sorella e per la sua vita di coppia.
Alzai un
sopracciglio. – Bene.
– Non avete parlato? Litigato?
–
All'inizio no, poi però... Oh andiamo Jer, mi fa strano
parlarti di
queste cose.
– Perché non ho gli occhi azzurri e i muscoli al
posto giusto? Mh, forse dovrei guardarti come ti guarda lui...
–
Perché sei mio fratello, idiota. Se vuoi ti dico quello che
abbiamo
fatto sotto la doccia.
La sua espressione sbigottita mi fece
scoppiare a ridere. – No no, per carità.
– Ecco. Dov'è
Damon? So che ha dormito in camera mia, ho visto la mia maglia dei
Coldplay sul letto.
Scrollò le spalle e prima che potessi
chiedergli altro sparì in camera sua.
In realtà quella era la
maglietta di Damon, l'aveva comprata ad un loro concerto ma me
l'aveva regalata perché non avevo potuto andare con lui e
sapendo
quanto io li amassi: era la mia maglietta preferita ma la usavo per
dormire quando andavo da lui, era enorme e sul grigio, con i visi dei
quattro componenti della band sul davanti, e le tappe dei concerti
sul dietro; mi vestiva enorme, perché era della sua taglia:
una L
maschile, ed ero sicura si fosse messo quella per dormire in quella
settimana a casa mia.
Gli mandai un messaggio per dirgli di
venire, avevo voglia di vederlo, salutarlo e parlare con lui.
Quando
salii in camera per disfare la valigia, presi anche la maglia per
metterla al posto: odorava di lui. Sorrisi e la nascosi tra i miei
vestiti, non volevo che nessuno la toccasse.
Esausta mi
addormentai sul mio letto, dopo aver diviso i vestiti tra sporchi e
puliti.
–
Lena. Svegliati... Lena-bella-Elena.
Mugugnai infastidita e aprii
un occhio, trovando quelli azzurri di Damon. – Mhhhh.
– Sono
d'accordo con te.
Sorrisi e mi accoccolai a lui, affondando la
testa tra la spalla e il suo collo. – Shhh.
– Mi hai fatto
venire per dormire? Perché potevo venire in qualche altro
modo
insieme a qualcun'altra...
Gli diedi un pizzicotto sul fianco, ma
mi prese la mano, intrecciandola alla sua; restammo abbracciati in
quel modo e in silenzio, non so per quanto tempo, fin quando non ebbi
di nuovo la facoltà di parola.
– Mi sei mancato in questi
giorni.
– Anche tu.
– Lo so bene. Ho visto che hai usato la
mia maglia.
– Fino a prova contraria è la mia.
– Ma me
l'hai regalata e quindi è mia.
– E' andato tutto bene?
Annuii
stringendomi ancora di più a lui, portai la gamba destra su
di lui,
volevo abbracciarlo e sentirlo più vicino possibile; con il
ginocchio però, sfiorai qualcosa di inopportuno. Mi mossi
allarmata
e irrequieta non appena me ne resi conto e quei miei movimenti
peggiorarono la situazione.
– Ok. Stai ferma.– Mi morsi il
labbro per trattenere una risata. Damon sollevò la mia gamba
rimettendola a posto. – Adesso va meglio, non lo fare mai
più.
–
Scusa.
– Sono sempre un maschio Elena, se ti strusci in questo
modo...
– Non mi stavo strusciando– Scattai colpita
nell'orgoglio. – Volevo abbracciarti
– Lo so, non intendevo
quello.
– Sì ho capito. Scendiamo giù. Ho sete.
Non gli
rivolsi parola per tutto il resto del pomeriggio, lui però
rimase a
casa, a scherzare con mio fratello e a giocare con la Play; volevo
che fosse lui a scusarsi perché mi aveva ferita con quelle
parole:
io non mi ero strusciata.
All'ennesima
battuta entusiasta di quei due idioti per un passaggio
“fenomenale”,
mi alzai dalla poltrona con il mio libro da leggere e mi chiusi in
camera.
– Posso?
Lo fulminai con lo sguardo. – Che ti
rispondo a fare, tanto fai come ti pare.
– Hai le tue cose?
–
Damon, stai peggiorando la tua situazione.
– D'accordo scusa.
Non so che altro dirti: mi dispiace averti detto quelle cose oggi,
non ti sei strusciata.
– Lo dici solo per accontentarmi ma in
realtà lo pensi.
Si alzò dal letto, iniziando a camminare su e
giù per la stanza: faceva così quando era nervoso
e lo capì quando
iniziò a toccarsi i capelli, si stava trattenendo.
– Accidenti
Elena, si può sapere che hai? Vuoi davvero litigare? Ti ho
chiesto
scusa, cos'altro devo fare? Mettermi in ginocchio? Se vuoi lo
faccio.
– No. Voglio che tu capisca come mi sono sentita. Non mi
sono strusciata per provocarti.
– Lo so, ho solo sbagliato
termine, non volevo offenderti.
Per fortuna il nostro stupido
battibecco si chiuse lì.
Dopo cena mi raccontò dei progressi
che aveva fatto con Caroline: in quella settimana si erano visti al
Grill molte volte, o per caso o come appuntamento, oppure erano
usciti per andare a fare un giro in macchina come semplici amici
anche se Damon sotto sotto aveva avuto molte volte la tentazione di
saltarle addosso.
– Non è ancora il momento.
– E quando
sarà “il momento” ? – Rispose
esasperato accasciandosi sulla
sedia.
Sorrisi nel vederlo in quella situazione, non era da lui
limitarsi con una ragazza, Caroline doveva piacergli davvero tanto, e
fui fiera di lui, oltre che di me.
– Deve essere lei a baciare
te; non perché è spinta dai suoi ormoni ma
perché le piaci
davvero, perché le hai conquistato il cuore.
Mi guardò scettico
alzando un sopracciglio. – Sei una femminuccia.
– Fino a
qualche tempo fa ero un maschiaccio. Per fortuna hai cambiato idea.
–
Risposi cominciando a sparecchiare e facendogli la
linguaccia.
Scherzare con Damon, rispondere alle sue battutine
idiote, mi veniva naturale; sapevo che anche se ci fossi andata
giù
pesante, lui non se la sarebbe presa, e in fondo neanche io, ci
conoscevamo fin troppo bene per sapere dove arriva la pazienza e il
limite di sopportazione di entrambi.
– E' ora di andare. Mi
racconterai della vostra luna di miele un'altra volta.
– Ma
veramente...
– Lo so, non vedevi l'ora di dirmi quanto i miei
consigli sono stati utili.
Incrociai le braccia al petto,
guardandolo seria. – Non ho la minima intenzione di dirti
quante
volte io e Stefan abbiamo fatto l'amore e soprattutto dove.
–
Signore, fulminami e fammi perdere la memoria.
Scoppiai a ridere e
gli lanciai lo strofinaccio che stavo usando per asciugare le
stoviglie; ovviamente lui, non fu così magnanimo da
perdonarmi e far
finta di nulla, mi si scagliò contro prendendomi in braccio
e
trascinandomi al piano di sopra.
– Da-Mo-Damon cosa stai.
Fa-cendo?
– Non ti capisco.
Gli diedi un morso nel sedere e
lui contraccambiò.
– Accidenti Elena, quando si dice “culo
da prendere a morsi”.
Rise come un'idiota e mi dimenai per
convincerlo a lasciarmi andare, soprattutto quando mi accorsi che
eravamo in bagno; mi prese il panico.
Lo sentì trafficare con il
soffione e poi mi infilò dentro la vasca da bagno: un getto
d'acqua
mi colpì in faccia, per fortuna era tiepida.
Urlai, ma rischiai
di soffocare, come nella doccia con Stefan; possibile che tutti
avessero voglia di annegarmi?
Intanto
quell'idiota rideva che era un piacere, e io non sapevo come
liberarmi e come vendicarmi, perché sapevo che qualsiasi
cosa avessi
fatto, la sua vendetta sarebbe stata tre volte peggio.
Ad un certo
punto si fermò ed uscì dal bagno.
Tirai un sospiro di sollievo e
chiusi i rubinetti; stavo asciugando l'acqua dal pavimento quando
entrò Jeremy, tutto trafelato.
– Devo andare in bagno, puoi
fare vel... WO! Concorri per Miss maglietta bagnata?
Con un gesto
istintivo mi coprii, guardandomi poi allo specchio inorridii: stupida
canotta rossa che lasciava vedere tutto e stupida me che aveva il
vizio di dormire senza reggiseno. Avevo dimenticato a metterlo dopo
essermi svegliata.
– Quindi Damon è andato via... – Dissi
tra
me e me, cambiandomi.
Scoppiai a ridere sola come una scema ma gli
mandai un messaggio per scusarmi, dopo quello che era successo nel
pomeriggio non volevo che pensasse fosse tutto un modo per
provocarlo; io non avrei mai potuto fare una cosa del genere,
soprattutto con lui: sarebbe stato troppo strano.
“Non sono
andato via per le tue tette al vento, anzi, all'acqua. Avevo da fare.
Ci vediamo domani, mi devi dire della quarta regola”
Esatto,
sarebbe stato troppo strano: io Damon, potevo solo ucciderlo.
Mi
svegliai accaldata e stanca, non sapevo il motivo, ma ero
incredibilmente sudata e tanto accaldata.
Guardai la sveglia ed
erano ancora le 9 del mattino: odiavo alzarmi presto d'estate, non
avevo nulla da fare la mattina, preferivo dormire un po' di
più per
essere in forze nel resto della giornata.
Feci una doccia e scesi
a fare colazione; in tutta la casa regnava il silenzio più
assoluto:
Jeremy dormiva beatamente.
Mi mancavano i miei genitori,
svegliarmi e trovare mia madre intenta a preparare i pancake, sedermi
a fare colazione con lei e litigare perché bevevo troppi
caffè a
soli sedici anni.
Mi
mancava mio padre, il suo essere protettivo ma il suo continuo
volermi accasare con Damon.
Asciugai quella maledetta lacrima
traditrice e salii di corsa in camera di mio fratello.
– Jer.
Jeremy svegliati.
– Mhhh che vuoi?
– Posso stare qui con
te?
Scattò sul letto, improvvisamente sveglio, fissandomi negli
occhi. – Hai avuto di nuovo gli incubi?
Negai e la mia risposta
lo convinse. – Ho solo un po' di nostalgia e volevo stare
qui. Con
te.
Mi fece spazio nel letto e mi accoccolai a lui, che mi strinse
forte: odorava di famiglia, dei miei genitori, di casa. Di amore.
–
Sta dormendo. Mh, sì, glielo dirò... No, sta
bene. Muori.
–
Jer?
– Era Stefan.
Aprii un occhio per guardare mio fratello
che se ne stava in piedi, accanto al letto, con un sorriso ebete sul
viso. Cercai di fare mente locale: mi ero svegliata alle nove, e dopo
aver fatto colazione mi ero rifugiata nella sua camera... Aveva detto
a Stefan...
– MUORI?
– Quando la chiamata era chiusa.
–
Non si scherza con queste cose, rincretinito.
– Possiamo tornare
a letto, in silenzio, dimenticando quel baccalà?
Feci finta di nulla e mi alzai, prendendo il mio telefono dalle sue mani: odiavo quando si comportava come uno stupido quindicenne brufoloso in crisi per non so cosa.
Guardai
l'orologio per capire quanto avessi dormito, di lì a poco
sarebbe
arrivato Damon, non avevo proprio voglia di affrontare anche lui quel
giorno, ma dovevo farlo: una promessa era una promessa.
Poco dopo
suonò il campanello e andai ad aprire salutando Damon con un
cenno.
– Ti sei alzata con il piede sbagliato?
– Sì. Per
ben due volte, quindi niente battute, niente commenti. Facciamo
quello che dobbiamo fare e poi sparisci.
– Mi piaci quando fai
la dura; dove lo facciamo?
Mi scappò una risata e lo abbracciai
istintivamente, il bacio tra i capelli poi, mi fece sciogliere ancora
di più.
Si sdraiò sul divano, come se fosse da un'analista, e io
mi accomodai sulla poltrona più vicina; prima di passare
alla tanto
agognata regola, gli dovetti raccontare quello che era successo
durante la mattina, inutile dire che si mise a ridere quando gli
dissi della chiamata di Jeremy e Stefan.
Un
lampo improvviso mi colse: non avevo richiamato Stefan.
Gli
mandai un messaggio, scusandomi e dicendo che mi ero svegliata da
poco e avrei pranzato a casa sua. Come sempre avevo omesso la
presenza di Damon, il mio corpo e il mio cervello, quel giorno, non
erano proprio in vena di litigi e urla.
– “Alle donne piace
sentirsi rivolgere domande personali. Ma se risponde con monosillabi,
o devia subito argomento, tornare alla seconda regola. Falla ridere
perché magari ha ricordato un'esperienza personale negativa,
o
peggio si sente a disagio.” – Dovetti
ripetergliela più
volte e addirittura spiegargliela, non riusciva proprio a capire.
–
Quindi, per esempio: Come stai Elena?
Corrucciai la fronte, non
era un esempio, ma stetti al suo gioco. – Mh, bene, oggi sono
un
po' stanca ma tutto sommato bene. Grazie
– Stanca, a quest'ora?
Hai fatto qualche brutto sogno?
– Non che io ricordi però...–
Mi rabbuiai un attimo. Avevo accennato a Damon dei miei genitori:
voleva chiedermi dell'incidente. – No.– Scattai in
piedi.
–
No cosa?
– Non voglio parlarne e no, io non sono una cavia.
–
Io volevo solo sapere se magari avessi fatto qualche sogno erotico...
– Incrociai le braccia sotto il seno alzando un sopracciglio,
non
sapevo dove volesse arrivare. – Che so, magari mi hai sognato
in
tutto il mio splendore, sotto la doccia...
Risi – Sei un'idiota.
E poi sei tu che avresti dovuto sognare me. Lo hai fatto?–
Chiesi
puntandogli il dito contro.
– Oh sì. Ho sognato di morderti il
sedere e le tue tett...
– DAMON!
Lo colpii sul braccio per
farlo stare zitto, ma scoppiò a ridere dopo qualche secondo;
mi
tranquillizzai all'istante: sapere che il mio migliore amico avesse
fatto dei sogni del genere su di me, mi aveva leggermente,
terrorizzata.
Dopo alcuni momenti di ilarità, andò via,
lasciandomi preparare per raggiungere Stefan nel suo appartamento;
non appena aprì la porta mi baciò con irruenza,
non lasciandomi
neanche il tempo di salutarlo o di respirare.
Chiuse la porta con
il piede, mi spogliò tra la pausa di un bacio e l'altro.
– Non.
Sai. da. Quanto. ti. Desidero.
Sorrisi sulle sue labbra.
–
Vuoi saperlo?– Mi chiese guardandomi negli occhi. Quel verde
così
intenso da farmi rabbrividire; annuii semplicemente, incapace di
emettere alcun suono. – Dalla nostra doccia insieme. Non
faccio
altro che sognarti, sotto la doccia, in ogni momento.
Mi sollevò
da terra portandomi sul letto, mentre continuava a spogliarmi e
baciarmi: quella passione mi stava risucchiando le forze e divorando
l'anima, era qualcosa di nuovo e inaspettatamente incredibile. Non
avevo mai visto uno Stefan così preso e caloroso.
Fu un attimo
però, il mio cervello staccò la spina, o meglio,
la mise al posto
giusto.
– E se...
Ma non ebbi il tempo di finire il pensiero,
perché lui fu dentro me, e tutto il resto scomparve.
***
Cosa
posso dire per scusarmi dell'immenso ritardo? Colpa dello studio,
dello stress e di altri mille impegni. Arrivo al dunque
perché ho
mal di testa e ho bisogno di stendermi e riposare:
Il capitolo mi
fa un po' schifo, e con questo non voglio complimenti, voglio solo
dire che l'ho scritto con fatica, in non so quanti giorni e forse
è
per questo che non mi convince. Abbiate pietà!
Elena e Stefan
hanno fatto pace, personalmente li ho odiati/amati in questo
capitolo, avrei voluto che Elena fosse più sincera con lui,
che gli
dicesse qualcosa in più ma evidentemente non è
ancora pronta o
forse è sincera quando dice che non sa quello che sta
accadendo.
Non
so se avete notato alcune incongruenze: Damon che non vuole parlare a
telefono con Elena; Damon che va via quando le fa lo scherzo della
vasca e infine, la battuta sul sogno. Cosa ne pensate?
Perché si è
comportato così? Non pensate subito a: è
innamorato di lei.
Andateci piano con i pensieri, è molto semplice come
concetto.
Infine... di nuovo Stefan ed Elena e il loro momento di
passione.
Non odiatemi ma, avevano bisogno del loro spazio, del
loro chiarimento: stanno insieme, si amano (perché
è vero che si
amano) glielo dovevo!
E basta.
Grazie per aver
aspettato.
Grazie per aver letto, e a chi ha avuto la pazienza di
commentare.
Grazie a Mary per aver corretto il capitolo e per aver
fatto quella meravigliosa immagine che trovate all'inizio.
Alla
prossima.