Capitolo 2
La Strega di Cuori
Aqua
correva. In realtà, era da quando era arrivata che non faceva altro. Ancora non
era riuscita a incontrare Terra, né a trovare Ventus:
per quanto fosse vicina, ogni volta sembravano sfuggirle e allontanarsi sempre
di più da lei. Tutto ciò era molto frustrante. E i Nesciens
non miglioravano certo la situazione. Non faceva in tempo a stendere i muscoli
tesi che subito ne comparivano altri, avvolti da una nube nera e violacea,
sempre pronti ad attaccare lei e le persone del luogo.
Era stanca
e, forse, per la prima volta si sentiva infinitamente sola. Anche se non lo
avrebbe mai ammesso ad alta voce, in quel momento le sarebbe piaciuto molto
trovare una distrazione da tutto quel caos.
Come se
qualcuno le avesse letto nel cuore, quella distrazione arrivò in modo
imprevisto.
E sotto una
forma alquanto singolare.
“Buongiorno,
signorina. È di fretta?” la chiamò una voce femminile.
Colpita dal
calore che trasmetteva quel tono cordiale, Aqua si
voltò quasi immediatamente verso la fonte della voce e vide una ragazza sui
venti anni, con lunghi capelli di un biondo vicino al bianco raccolti in una
treccia gettata su una spalla e con un volto tipico di chi è abituato a lunghi
digiuni, pallido ma rilassato, piegato in un sorriso di pura cordialità in
grado di riscaldare il cuore di chi lo guardava. Due occhi azzurri le
ricordarono il cielo d’estate, limpido, privo di nubi che potessero mettere in
dubbio quella chiarezza. Eppure Aqua notò qualcosa
nello sguardo, qualcosa che a un custode del Keyblade
non poteva sfuggire: c’erano ombre in quei due specchi che riflettevano la
propria immagine, ombre oscure che sembravano parte ormai integrante del cuore.
Ma se quelle ombre c’erano, non erano mai insorte, né avevano offuscato quegli
occhi e quel sorriso.
Stava seduta
su un panchetto con le gambe incrociate e con sopra un album da disegno; ai
suoi piedi era appoggiata una confezione di carboncini consumati e un pezzo di
gomma ormai annerito. Sembrava la personificazione della calma e della
tranquillità, lì seduta sotto quel sole cocente, il cui calore non sembrava
imperlare di sudore quella fronte distesa. Eppure indossava una lunga camicia
bianca, con alcune macchie di colore sparse qua e là, e un grazioso gilè color
ocra che nascondeva quasi del tutto le forme del seno.
Una ritrattista?
“Ritrattista,
paesaggista, consigliera per i problemi della vita… In poche parole, una
pittrice” le confermò la ragazza, come se le avesse letto nel pensiero.
Aqua
sorrise gentilmente e si preparò a declinare qualsiasi richiesta le venisse
fatta: nonostante tutto, aveva fretta e non aveva tempo da perdere con una
ritrattista.
Quest’ultima,
vedendo l’ombra di un rifiuto, tentò di anticipare qualsiasi protesta, puntando
soprattutto su una debolezza che ogni donna di qualsiasi età – perfino lei –
possedeva.
“Lo sa che
lei ha degli occhi meravigliosi? Non ho mai visto una tonalità di quel genere,
e mi creda, di occhi io ne ho visti a centinaia nella mia lunga carriera!” le
disse ammiccando, come soleva fare con tutti i clienti di ambedue i sessi.
Aqua
arrossì impercettibilmente e parve per un attimo indugiare. La ragazza
approfittò immediatamente di quell’esitazione.
“È un vero peccato
che non abbia portato con me i colori acrilici, altrimenti mi sarei divertita
non poco a trovare i giusti incroci per ricreare quel meraviglioso colore… Se
si accontenta, le farò un veloce ritratto con il carboncino e…”
“No, guardi,
lei è molto gentile, ma…” tentò di dire Aqua, alzando
le mani per negare.
“Sono molto
veloce con il carboncino, a differenza dei pennelli. Suvvia, è solo qualche
minuto, me lo può concedere, mia Cenerentola?” sorrise benevolmente lei.
Centro.
Aqua
allargò ancora di più il suo sorriso e la ragazza si accorse che quella che le
stava di fronte non poteva essere una persona normale: sembrava irradiare una
certa aura di benevolenza, tutta nascosta in quel sorriso che dispensava. In
un’unica parola, lei era buona. Forse troppo.
Mentre il
rossore prendeva ormai posto al consueto colore, Aqua
si chiese che cosa stesse facendo e perché acconsentisse alla richiesta di una
ritrattista. Lei non era tipo da vantarsi della sua bellezza, né da rimirarsi
allo specchio, ma quella ragazza sembrava sortire su di lei un qualche
sortilegio che la costringeva a fermarsi e a concedersi qualche minuto solo per
lei. Aveva la capacità di risvegliare la sua femminilità, oltre che dispensare
complimenti, come il melo offre generoso i suoi frutti.
La ragazza
le indicò un panchetto simile al suo posto davanti a lei e la invitò a sedersi,
sempre con grandi sorrisi e con complimenti sul suo aspetto, in particolare
sugli occhi. Una volta che la cliente fu seduta, sentendo già i soldi prudere
nella mano, iniziò a svolgere l’unica cosa che era in grado di fare: disegnare.
E
intrattenere i clienti.
“Allora, con
chi ho l’onore di fare questo disegno?” chiese prima di tutto, osservandola
attentamente con il carboncino in mano.
“Oh, il mio
nome è Aqua. Master Aqua”
Master? Che lei sia un custode del Keyblade? Un Maestro, per giunta!
“Appartenete
a qualche scuola o ordine di cavalleria?”
“Non
esattamente” negò Aqua, mantenendosi sul vago.
“Siete un
Custode?” domandò la ragazza, fissandola intensamente negli occhi.
Aqua
parve indugiare di nuovo, ma a un nuovo sorriso della ritrattista si rilassò
completamente. Non c’erano problemi a rivelare la sua identità, no?
“Sì” sospirò
lei, abbassando di poco gli occhi.
“Eh no,
signorina Aqua, se mi abbassate lo sguardo come
faccio a ricopiare quelle due gemme?” la rimproverò la ritrattista, riportando
l’attenzione sull’album e su quelle poche linee che aveva tracciato.
Aqua
risollevò gli occhi subito, guardando incuriosita la strana figura che aveva
davanti. Aveva incontrato molte persone durante il suo viaggio, tutte diverse
tra loro, ma questa di fronte a lei non sembrava appartenere neanche a questo
mondo. Aveva lo strano potere di farla sentire in pace, di farle dimenticare
per un attimo dei doveri affidateli dal Maestro, dei Nesciens,
dei suoi amici. Per brevi attimi, che forse ad Aqua
rimasero per sempre sepolti in fondo al cuore, si dimenticò del suo ruolo e si
sentì come una ragazza normale che voleva almeno una volta sentirsi elogiare
per la propria bellezza.
Sentì
inoltre l’opprimibile bisogno di sapere di più su chi aveva davanti.
“Voi,
invece, chi siete?”
La ragazza
alzò gli occhi dalla tela e per un fugace attimo – che ad Aqua
parve di esserselo sognato – delle ombre annebbiarono quegli occhi: una
sofferenza profonda e antica, un risentimento, si fece largo in quell’animo
oppresso. Ma venne subito ricacciato in fondo al baratro, insieme a tutti gli
incubi, e al suo posto comparve una nuova ondata di cordialità.
E un
sorriso. Il più triste e il più bello che Aqua avesse
mai visto.
“Cassandra,
ma voi potete chiamarmi semplicemente Cassia. E vi prego, non datemi del voi, mi fate sembrare più vecchia di
quello che già sembro!”
È veramente bella, stava pensando Cassia da quando aveva
iniziato a segnare le prime linee del volto.
Non solo gli
occhi di quell’azzurro così intenso, ma anche i capelli del medesimo colore, la
postura, il volto rilassato, il sorriso… Tutto in quel corpo era perfetto, al punto tale che per un
attimo pensò di trovarsi di fronte a una bambola.
Una bambola
di ceramica, come quelle che erano esposte nel negozio di giocattoli vicino a
casa sua.
Anche lei avrebbe voluto essere come tutte le
altre bambine: giocare con le bambole, andare a scuola, avere la prima cotta…
Invece non aveva mai raggiunto tutto questo.
Non aveva mai conosciuto la vera femminilità, forse proprio per il fatto che le
uniche figure femminili che poteva prendere a esempio erano quelle dipinte da
suo padre. Principesse, per lo più. Lui diceva che avevano tutte il volto di
sua madre, ma lei tutto quello che vedeva era un’opaca ombra rosata priva di
alcuna espressione: lei non vi vedeva sua madre, semplicemente perché, a
differenza di suo padre, non l’aveva mai conosciuta.
Eppure, nonostante tutto, continuava a
rifiutare le offerte di suo padre quando le chiedeva di venire con lui al
mercato per comprarsi un vestito nuovo. Rifiutò perfino quando le propose di
andare a comprare quella bambola di ceramica che lei tanto amava: quella con il
lungo vestito fatto di mille gradazioni di blu e con due sfere di vetro al
posto degli occhi del medesimo colore. Le ricordava Cenerentola.
Rifiutava perché lei amava suo padre più di
ogni altra cosa. E soprattutto amava la pittura. Quei pochi soldi che lui
riusciva a guadagnare doveva usarli per i colori, le tele e – se bastavano –
per il cibo. Non c’era spazio per i suoi sogni di bambina, ecco cosa pensava
ogni volta che diceva di no.
Aveva sempre voluto essere come le altre
bambine. Ma c’era qualcos’altro che amava più della sua femminilità: i colori e
il pennello con cui poteva fare magie.
E, se voleva, disegnare anche lei delle
principesse con il volto di sua madre. Ma che, a differenza di quest’ultima,
potessero vivere.
Il
carboncino era fermo a mezz’aria da un po’ di tempo e Aqua
assunse un’espressione preoccupata e interrogativa nel vedere Cassia persa nei
suoi pensieri. Per un attimo le sembrò di vedere di nuovo quell’ombra oscura
che passava fulminea dietro quelle pupille.
Ma, come al
solito, durò solo un istante.
Cassia si
ridestò dalla sua trance e si scusò con un sorriso per la sua distrazione, poi
si riconcentrò di nuovo sul ritratto: ormai aveva quasi finito. Le mancavano le
ombreggiature dei capelli e poi poteva consegnarlo alla ragazza.
Ma purtroppo
il Fato fece sì che quel dipinto rimanesse per sempre incompiuto.
Qualcosa
attirò l’attenzione di Aqua e questo le fece alzare
la testa di scatto, indolenzita per essere rimasta immobile a lungo. Vide un Nesciens volare verso gli edifici e la preoccupazione,
insieme alla rabbia, si dipinse sul suo volto. Cassia fece una smorfia di
disapprovazione nel vedere quell’improvviso cambio facciale e la intimò a
rimettersi come prima.
“Aqua, mi manca poco a finire e se hai la pazienza di due
minuti…”
“Non ho
tempo: sono arrivati altri Nesciens!” la zittì Aqua seria, alzandosi di scatto dal panchetto ed evocando
il suo Keyblade.
“Nescie…
Cosa?”
Poi
l’attenzione di Cassia fu attratta da quella strana spada a forma di chiave che
Aqua teneva in mano: aveva delle curve irregolari e
dei colori molto accesi, quasi radiosi, che sembravano rispecchiare
perfettamente le atmosfere di Radiant Garden. Fece un
fischio di approvazione e poi la guardò dritta negli occhi.
“Il dovere
vi chiama, a quanto pare. Non vi voglio certo trattenere oltre, Maestra del Keyblade… Ma riuscirete a tornare indietro in tempo per il
vostro quadro?” le domandò piena di una speranza celata la pittrice.
Aqua
le rivolse un ultimo sorriso che poteva promettere molto, o forse niente, prima
di correre nella direzione del Nesciens.
“Vedrò come
fare… Grazie di cuore, Cassia” e fuggì via.
“Correte,
Cenerentola, prima che la carrozza si ritrasformi in zucca!” le urlò dietro
Cassia, sorridendo fra sé.
Era sicura
che non sarebbe tornata, solo che era troppo gentile per dirglielo in faccia.
Le aveva dato l’idea di una ragazza con molte preoccupazioni, assai più grandi
di quella di riprendersi il ritratto da una pittrice di secondo ordine.
Soprattutto, da una pittrice sulla cui persona giravano strane voci messe in
giro dagli abitanti di Radiant Garden: che lei fosse
maledetta, che fosse una strega, che intrappolasse l’anima delle persone nei
suoi quadri, che non avesse un cuore…
Anche se per
l’ultima voce non era tanto in disaccordo con loro. Per questo le stavano alla
larga, per questo evitavano di farsi fare un ritratto da lei. Pregiudizi, ecco
cosa avevano. Solo quei due ragazzini avevano il giusto coraggio per parlarle e
avvicinarsi a lei, poco a poco. Si sarebbe tagliata volentieri la mano
piuttosto che perderli. La sinistra, ovviamente…
Mentre era
immersa in questi pensieri e osservava il contorno di Aqua
che scompariva all’orizzonte, delle ombre scure comparvero all’improvviso
davanti a lei. Due strani esseri le fluttuavano intorno con l’intenzione di
attaccarla, o semplicemente di darle fastidio; e cosa più preoccupante,
puntavano al ritratto di Aqua.
Forse sono quei cosi che Aqua
ha chiamato “Nesciens”…
Non fece in
tempo a pensarlo che uno di quelli si gettò contro di lei per colpirla e
distruggere così, insieme a lei, anche il ritratto. Cassia, spinta dal puro
desiderio di proteggere il disegno, si gettò di lato e rotolò per un buon
tratto, fino a essere sicura di essere abbastanza lontana da quei cosi.
Una cieca
rabbia si dipinse nei suoi occhi, mentre delle ombre si ridestavano nel suo
animo, come se volessero sgorgare e prendere possesso del suo corpo. Per un
attimo fu sul punto di cedere, ma i ricordi di quel giorno di pioggia la
investirono con una violenza tale da farla desistere. Non poteva di nuovo
lasciarsi andare, non poteva tornare in quello
stato… Non ora che aveva ricominciato a vivere.
Richiamando
la calma, Cassia cercò nelle tasche un altro pezzo di carboncino e strappò un
foglio dal suo album; ripensò velocemente alla forma di quella strana spada e
cercò di riportarla come meglio poteva sul foglio.
È ora di usarlo di nuovo… Anche se preferirei
evitarlo.
Intanto i Nesciens tornarono all’attacco. Entrambi si gettarono senza
una precisa logica contro il corpo della pittrice piegato su di sé, mossi da
una volontà sconosciuta che ordinava loro di portare altro caos in quel mondo.
Non fecero però in tempo ad adempire al loro volere. Come erano comparsi, allo
stesso modo, sparirono, cancellati per sempre; una linea di luce li aveva
colpiti, all’inizio senza causare alcun danno, ma poi li fece svanire in
un’esplosione di luce bianca, inghiottendo tutta l’oscurità dei loro cuori.
Perfino
quella luce era svanita con loro.
Cassia
rimase immobile al suo posto, inginocchiata, con l’album in una mano e un Keyblade identico a quello di Aqua
nell’altra. Gli occhi di lei, ridotti a due fessure, erano ancora puntati nel
punto in cui erano scomparsi i due mostri, pronti a cogliere qualsiasi
movimento sospetto che potesse farla scattare. Niente, solo silenzio.
Cassia tirò
un sospiro di sollievo e, brandendo ancora il Keyblade,
si alzò lentamente da terra, facendo bene attenzione a non cadere: sentiva le
gambe tremare, come ogni volta accadeva quando faceva ricordo al suo potere.
Un potere
che l’aveva maledetta da quel giorno.
Sorridendo
tristemente, lanciò in aria il Keyblade e quello fu
avvolto da un bagliore di luci dai mille colori, per poi tornare a quel
semplice pezzo di carta che era prima di diventare reale. Infatti, non appena la luce scomparve, al posto della spada,
un foglio da album di disegno svolazzava nell’aria e ricadeva dopo varie
piroette a terra, ai piedi della pittrice. Questa, con sguardo vacuo, lo
raccolse da terra e lo osservò a lungo, chiedendosi ancora perché era in grado
di fare questo.
Ma come ogni
volta, non riusciva a darsi risposta.
Sono in grado di dare un cuore a ciò che
disegno, di donargli un’anima, una parvenza di vita… Che sia la migliore delle
fortune, o la peggiore delle maledizioni?
Fino a quel
momento, la seconda opzione sembrava la più veritiera. Perché lei era, come
veniva soprannominata, la Strega di Cuori. Era lei che faceva vivere i quadri,
era lei che creava oggetti dai poteri indescrivibili. Eppure era proprio lei
che, a differenza dei suoi quadri, non aveva un cuore.
Se un giorno
avesse fatto il proprio ritratto, sarebbe riuscita finalmente ad avere una vita come i suoi dipinti? Oppure era
destinata a restare un misero foglio di carta che, al pari di quello che aveva
in mano, aveva conosciuto solo per un breve istante quello che ogni essere
umano chiamava “cuore”?
Non poteva
saperlo e, forse, non le importava poi molto. Nonostante tutto, aveva una vita
– se si poteva definire tale –, aveva degli amici, il lavoro che amava.
E, come ogni
essere umano, aveva le ombre del proprio passato e un’oscurità che minacciava
ogni volta di divorarla da dentro. Più potente di quella degli altri, e più
affamata.
Scosse la
testa per scacciare questi pensieri e rimise il disegno del Keyblade
dentro l’album; poi, come se nulla fosse accaduto, si risedette di nuovo sul
panchetto e, incrociando le gambe, attese nuovi clienti sotto il lucente sole
di Radiant Garden.
Come ogni
giorno. Perché era quello il suo lavoro.
Era quella
la sua vita.
Spazio
dell’autrice:
quando
scrivo qualcosa devo trovarmi nell’umore adatto per scriverla e per arrivare a
finire questo capitolo non riuscivo mai a trovarlo; solo oggi sono riuscita
finalmente a riprenderlo in mano e a concluderlo, aprendo nuove porte per il
futuro di Cassia. Sinceramente a questo personaggio credo di essermi molto
affezionata, come sempre mi accade con quelli che creo: ha un carattere
particolare e il suo “potere” non è da meno del suo talento nel disegno. Il
fatto che non abbia un cuore non penso pregiudichi molto, perché ogni volta che
penso ai Nessuno non riesco a credere che non abbiano proprio del tutto un
cuore: magari sono i ricordi della loro vita passata, ma questo li fa apparire
con l’impressione che ne abbiano uno… Ah, che discorso complicato, colpa di
Roxas e di Axel che mi hanno fatto arrivare a questa
conclusione! XP
Comunque,
spero che coloro che seguono le vicende di Cassia vogliano continuare a
seguirla passo dopo passo insieme a me. Qui c’è un primo incontro con Aqua (il mio personaggio femminile preferito di Kingdom Hearts) e ce ne saranno altri con nuovi personaggi. Beh,
detto questo, spero di non avervi sconvolto con il Keyblade
artigianale di Cassia: poverina, in qualche modo doveva difendersi, no? XD
Vabbè, ora
basta, mi sto dilungando… Al prossimo capitolo!
Ringrazio
per la recensione: kalea95.
Ringrazio
per aver messo la storia fra le Seguite: _serendipity
See
you again!