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Autore: Willow Gawain    27/04/2012    3 recensioni
Hidel, contea di Northumberland, Inghilterra - 1852.
Quel villaggio era perennemente bagnato dalla neve, perennemente avvolto dal freddo, dal vento, dalle nubi. Non compariva sulle carte, ma la sua figura tanto piccola quanto antica era sempre lì, ad aspettare pazientemente. Come un mostro in agguato, come un fantasma dagli occhi spietati. Una volta entrati a Hidel, la legge del villaggio proibiva tassativamente di abbandonarlo. Una maledizione, un sortilegio, una stregoneria lanciata tempo addietro da Satana camuffato da vecchia strega.
Forse, però, c’era ancora una speranza per Hidel. E quando il primo degli Angeli, il Supervisore, varcò la soglia di quel villaggio costruito in modo perfettamente circolare, come un cerchio magico, il conto alla rovescia per l’Apocalisse di Hidel ebbe inizio.
«Ora aggrappati al mio braccio. Tieniti forte. Visiteremo luoghi oscuri, ma io credo di sapere la strada. Tu bada solo a non lasciarmi il braccio. E se dovessi baciarti nel buio, non sarà niente di grave: è solo perché tu sei il mio amore.» [Cit. S.King]
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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What colour is the snow?

Capitolo 28: Persona protagonista dell’opera.

Se c’era una cosa che Nathan Metherlance odiava era che la sua anima venisse a contatto con un’altra, estranea. Nathan Metherlance detestava profondamente il suo potere, la sua facoltà di far proprie le emozioni altrui, e per questo si era ripromesso di imparare a controllare la sua maledetta empatia, nella speranza di cominciare a distinguere le proprie emozioni – quelle poche che ormai gli era concesso provare – dalla tempesta inestinguibile che sentimenti più svariati che ogni giorno osservava, annoiato ed irritato.

Nel momento in cui, molti anni addietro, si era reso conto di essere rimasto vittima dell’epidemia di tubercolosi che aveva decimato la sua città, aveva per diverso tempo pensato di essere senza speranza: sarebbe morto, punto e basta. Fine dei giochi. Capolinea.

E invece… la vita gli aveva giocato quello strano scherzo, strappandolo alla morte e dandolo in pasto alla loro terza sorella, una sorta di strana entità a metà tra la vita e la morte, scherzosamente rinominata “non-vita” da qualcuno con un senso dell’umorismo distorto.

Come ciò fosse accaduto non gli era mai stato molto chiaro: ricordava di aver improvvisamente avvertito mancare, di essersi quindi accasciato al suolo, cedendo ad un nuovo tipo di sonno; poi aveva aperto gli occhi… ed era tornato a vivere come aveva sempre fatto, solo con qualche nuovo bonus e malus.

Incapacità di provare sentimenti, di resistere alla luce del sole per lunghi periodi e di cibarsi degli alimenti che prima consumava abitualmente, di specchiarsi, di toccare oggetti benedetti senza ustionarsi, di restare sveglio mentre il sole era alto; d’altra parte, era in grado di supplire alla quasi totale deficienza di emozioni proprie con quelle altrui, niente sembrava più in grado di ucciderlo con facilità, aveva sviluppato una forza ed una velocità inizialmente incontrollabili.

Unica vera pecca? Una sottile, innocente, incontrollabile sete di sangue.

Col tempo, in tutta la sua mancanza di senno, aveva imparato a sopportare per diverso tempo i raggi solari tramite l’esposizione volontaria a questi stessi, ed ora vi si poteva esporre per molti minuti prima di cominciare a star male; stesso discorso riguardava i cibi umani, che ingeriva senza rimanerci secco; la sua vena masochista era riuscita addirittura a dargli un certo vantaggio nell’osservare oggetti sacri senza dover immediatamente distogliere lo sguardo o nel restare sveglio di giorno, sebbene gli costasse molta fatica.

Insomma, Nathan aveva sempre creduto che tutte queste sue potenzialità, le quali si era fortemente impegnato per raggiungere, sarebbero servite a dargli un minimo di credibilità ai superbi ed alteri occhi delle persone come lui; con questo pensiero aveva lasciato la Germania, sua cara patria, e si era messo in viaggio verso l’Inghilterra.

Lì si era imbattuto negli “Angeli”, un clan dal nome decisamente poco appropriato, considerando che razza di mostri erano in realtà. Lo avevano convinto ad unirsi a loro, affermando che un elemento così eccellente sarebbe sicuramente servito nella campagna di pace che stavano preparando per ordine del Tribunale Nero, il massimo organo giuridico del loro segreto mondo. Forse per cupidigia, si era lasciato convincere ed era partito assieme a loro alla volta del Northumerland, la contea più a nord dell’Inghilterra, confinante con la Scozia.

Ora che però teneva tra le mani quel cadavere, Nathan Metherlance non era più molto sicuro di aver fatto la scelta giusta. Per carità, in tutta la sua vita non si era mai pentito di ciò che aveva fatto – la sua etica si basava sull’accettare il proprio essere come risultato delle proprie scelte, e lui era fiero di ciò che era diventato -, ma si rendeva conto stoicamente degli errori commessi, senza perdersi in inutili rimpianti o lamentele.

Si era davvero impegnato in quella missione, davvero! Dopo essersi introdotto a Hidel con la massima discrezione, aveva stretto rapporti con l’unico scopo di sembrare una persona quanto più normale possibile, si era sforzato di resistere alla sete ogni qual volta che si trovava in mezzo a molte persone.

Inizialmente, il rapporto stretto con Annlisette Nevue rientrava nel suo piano, alla voce “stringere rapporti umani per sembrare un comune umano”, e così, con un pizzico di irritazione e compassione per quella povera anima, l’aveva assecondata nei suoi giochi di donna, reputandoli morbosamente stupidi ed inutili. Col tempo, però, il continuo entusiasmo di Annlisette aveva avuto l’effetto collaterale di abbassare le sue difese, e così ne era stato contagiato ed aveva cominciato a credere di essersi veramente innamorato.

Amore? Uno come lui? No, anzi, riformuliamo: amore? Uno che, come lui, era stato rovinato proprio dall’amore? Nathan, se fosse stato in sé, avrebbe riso in faccia a se stesso per la propria immensa stupidità.

E ora, cosa gli rimaneva di tutto quel grande amore? Una promessa a tempo indeterminato ed un cadavere tra le braccia.

“Giurami che proteggerai Ann fino alla fine, e non permetterai a nessuno di portartela via.”

Nathan Metherlance, in modo del tutto malato, aveva tenuto fede a quella promessa: aveva protetto Ann dal popolo del suono, e non aveva permesso a nessun altro che non fosse lui di divenire il suo sire*.

 

Georgiana e Nathan si erano quasi dimenticati della battaglia che, ancora, si consumava lenta alle loro spalle, tra le montagne.

Il cielo si era acquietato, ogni segno che lasciava prevedere il temporale era sparito con l’ultimo fulmine abbattutosi, molto lontano, tra le punte innevate; regnava una strana quiete per nulla rassicurante, come quella che precede un evento improvviso e catastrofico. In effetti, Georgiana si chiedeva quanto sarebbe stata catastrofica la reazione di messere Metherlance quando avrebbe realizzato di aver appena ucciso la ragazza che professava di amare.

Nathan non riusciva ad alzare il capo, era come magicamente incantato dalla visione che gli si prospettava davanti: tra le sue braccia riposava un’inerme Annlisette addormentata, appoggiata al suo petto, pallida e fredda, senza più un briciolo di vita ad animare gli occhi vacui, persi in un’espressione di paura. Glieli chiuse con un rapido gesto della mano, poiché, per qualche strana associazione mentale, gli ricordava la Schneewittchen* della favola dei fratelli Grimm: con i capelli neri come l’ebano, la pelle bianca come la neve e le labbra rosse come il sangue. Sì, ma l’ultima similitudine non era tanto una questione di colore quanto un fatto vero e proprio, poiché c’era davvero del sangue sulle labbra della ragazza: il sangue di Nathan, quello che l’avrebbe fatta divenire come loro.

«E così, eravate una loro marionetta sin dall’inizio…» a bassa voce, rivolse quelle parole a Georgiana, pur senza staccare gli occhi da Ann.

Lei, che gli si era seduta vicino ed affondava fino alle ginocchia nella neve, annuì in tono grave «Mi dispiace.»

Nathan la riprese gentilmente, mentre tamponava con un lembo del mantello il sangue che gli sgorgava dal polso sinistro «Non dispiacetevi di ciò che avete fatto. Sono state le nostre scelte a farci arrivare a questo punto. Dovete essere fiera di ciò che siete, Georgiana, o quantomeno accettarvi. Nella nostra società non possiamo permetterci di indugiare su noi stessi.»

«Io ho sempre indugiato su me stessa.» Georgiana posò lo sguardo su Ann, gli occhi le si velarono di tristezza «Sin da quando tutto questo è cominciato…»

La ragazza sapeva che la sua storia non interessava affatto a Nathan e che egli non le avrebbe mai proposto sfogarsi, eppure, in qualche strano modo, il silenzio dell’uomo sembrava farle intendere che non c’era bisogno che fosse lui ad invitarla a dar voce ai suoi pensieri, che poteva farlo da sola se lo voleva. Lui avrebbe ascoltato, perché lui, volente o nolente, ascoltava sempre gli altri e le loro emozioni, e la sua storia gli sarebbe scivolata addosso come i sentimenti che giorno dopo giorno avvertiva.

Tratto dunque un profondo sospiro, del quale in realtà non aveva affatto bisogno, fece scorrere un fiume di parole che non avevano traccia di tristezza.

«Ero figlia di un duca francese e di una duchessa inglese. Fui cresciuta tra le agiatezze e non conobbi mai il male, almeno finché esso non si presentò ad un ricevimento. Conobbi monsieur Forster, che decise che ero adatta al ruolo di bambola. Così mi rapì, mi fece diventare ciò che sono ora, mi portò in Inghilterra e mi diede una missione: far finta di dover imparare l’inglese, così da imbucarmi a casa di Nathan Metherlance.»

«Loro sapevano che Annlisette era a casa mia…» la interruppe lui, sollevando lo sguardo serio.

Lei annuì, confermando così i suoi sospetti. C’era qualcosa che non tornava in tutta quella storia, al di là del semplice dubbio su come gli Angeli avessero scoperto la presenza di Ann; qualcosa non tornava affatto, ma a Nathan mancavano troppe tessere per ricomporre il puzzle.

Il messaggio umano ed il seguente killer potevano forse non essere collegati?

«Per quale motivo avete cominciato questo viaggio, monsieur

Una domanda che lo fece ridere sommessamente, dopo averlo distolto dai suoi ragionamenti; alzò gli occhi al cielo buio e coperto di nuvole, ripercorrendo mentalmente le tappe della sua esistenza. Quando sentì di essere pronto a rispondere tornò a guardare la piccola Ann che riposava beatamente tra le sue braccia «Per vendetta, direi. Siete delusa? Forse vi aspettavate uno scopo più alto da uno come me?»

Al suo fianco, sul volto di Georgiana si delineò un’espressione di delusione che rimase visibile per pochi attimi, sparendo immediatamente dietro un’incurvatura delle labbra che voleva somigliare ad un sorriso.

«Immagino di sì.» ammise, mentre con un dito tracciava cerchi imprecisi sulla neve fredda «Ma non credo che la vendetta sia da sottovalutare. È un sentimento abbastanza forte da spingerci a perseguire caparbiamente i nostri obiettivi.»

Nathan Metherlance doveva ammettere di essere colpito da quella ragazza, che si stava rivelando più arguta di quanto immaginava. Nel suo nuovo modo di colloquiare in un inglese più fluido e corretto, riusciva a dar voce a pensieri che fin ora aveva taciuto. Lo aveva forse scambiato per un confidente?

Si soffermò qualche secondo nello sfiorare la guancia destra della villica, con la stessa delicatezza con cui avrebbe toccato una bambola. Le emozioni che Ann era stata in grado di trasmettergli avevano fatto traballare la sua sicurezza nel raggiungere quell’obiettivo che si era prefisso tempo addietro, e non sapeva se questo fosse un bene o un male.

«Tuttavia…» riprese parola «Credo di avere un obiettivo più alto, adesso.»

L’occhiata curiosa che la francese gli indirizzò lo fece voltare.

«Ho una promessa da onorare.» asserì, e in quelle parole impresse tutto il sentimento di cui era capace.

Con esse tutto si spense nel silenzio della foresta, nella quale quella notte non riecheggiavano neanche gli ululati che tanto erano di casa su quelle montagne. I lupi erano morti, gli Angeli li avevano sterminati tutti, o quasi.

«E voi?»

Georgiana alzò gli occhi, confusa da quella domanda inaspettata.

«Perché avete accettato di iniziare questo viaggio?» specificò meglio Nathan, che forse per la prima volta si stava davvero interessando a lei.

La risposta non tardò, e fu pronunciata quasi con rassegnazione «Per trovare il mio posto nel mondo.»

Era una speranza comune a tutti quelli come loro, il tedesco lo sapeva; era difficile accettare la propria condizione, lo sconvolgimento di tutto quello in cui si era sempre creduto fermamente. Ma la verità, come troppo spesso accade, era cruda ed insopprimibile.

«Non esiste un posto per quelli come noi nel mondo degli umani, Georgiana.» le spiegò pazientemente, ed ottenne tutta l’attenzione di lei per sé. Davanti agli occhi, Nathan non ebbe più le lugubri cortecce percorse dal ghiaccio ed i nodosi rami carichi di neve, vide piuttosto scene che gli ricordavano quanto il mondo degli umani sapesse essere crudele e spietato, di quanto le emozioni che lui odiava così fortemente fossero in grado di illudere e distruggere una persona con facilità «Dobbiamo crearcelo nel nostro mondo, se vogliamo evitare di impazzire.»

Georgiana, la cui esperienza era sicuramente inferiore a quella del suo collega, non capì il senso di quelle due frasi, ma le suonarono quasi come una condanna a morte per chi, come lei, era debole.

 

I primi rumori cominciarono ad udirsi dopo pochi minuti. Fino a quel momento Georgiana e Nathan erano rimasti immobili, quasi fossero pezzi di paesaggio, con le ginocchia affondate nella neve e gli sguardi spenti sul corpo immobile di Annlisette, appoggiata al petto dell’uomo come se stesse dormendo.

Dalla loro sinistra provenne dapprima un cupo suono di passi incerti, che si fece man a mano sempre più vicino, finché dal buio non emersero due figure bardate di nero.

Georgiana si nascose immediatamente dietro Nathan, il quale invece si limitò a portare una mano all’elsa di Selescinder, pronto ad estrarla in caso di attacco; tuttavia, dai due misteriosi figuri non sentiva provenire alcun sentimento che lasciasse ad intendere pericolo, per cui immaginò che si trattasse di alleati, e così fu.

Una delle due sagome arrestò per prima l’avanzata, per poi posare delicatamente una mano sul braccio dell’altra per farle capire che bisognava fermarsi. Da quel gesto Nathan capì che erano Sogno e Damon. Da sotto il suo cappuccio, gli occhi smeraldini della giovane donna vibrarono sui tre corpi morti che aveva davanti, soffermandosi particolarmente a lungo su Ann, evidentemente intristita.

«Per un attimo…» sospirò amaramente «Ho pensato che saremmo riusciti ad evitare un finale così tragico.»

Damon sembrò intendere l’accaduto dalle parole dell’amica, infatti arretrò di qualche passo a capo chino, senza avere la forza di emettere un suono. Il suo pensiero correva sicuramente a Krissy, a come due vite così lontane dal loro crudele mondo fossero state spezzate senza pietà. Egli non era un sadico né una persona che, come lo era invece Nathan, faceva ciò che reputava giusto senza rendere conto all’etica comune; forse era proprio questa sua eccessiva fiducia nel mondo ad aver rovinato lui e la piccola Scottfish.

Seguì un pesante silenzio, che nessuno aveva il coraggio o la voglia di spezzare: Sogno non staccava gli occhi dal corpo di Ann; così faceva anche Nathan, che aveva da poco cominciato a passare lentamente le dita tra i capelli corvini della ragazza; Georgiana tracciava piccole, immaginarie figure sulla neve, scorrendo con le sue sottili dita che sembravano potersi spezzare da un momento all’altro; Damon, inquieto, si era ermeticamente chiuso in se stesso e non poteva fare a meno di chiedersi se davvero uno come lui poteva servire a qualcosa in quel momento.

La sua scelta fu quella di almeno tentare, per dimostrare a se stesso che non doveva buttarsi via e che quell’udito fine che aveva sviluppato dopo aver perso la vista forse poteva rendere un ultimo omaggio a Krissy.

Non sapeva come muoversi, così azzardò qualche breve passo, cercando di raggiungere Nathan. I suoi occhi erano chiusi, ma le orecchie spalancate; tuttavia era difficile comprendere la posizione di qualcuno che non si muove e non respira nemmeno. Con la guida di Sogno, che afferrò prontamente la sua mano e lo aiutò nell’impresa, raggiunse il gruppo dei tre e si sedette sui talloni, immaginando di avere il viso rivolto verso Nathan.

In realtà stava guardando un punto indistinto alla sinistra di Georgiana.

«Poco fa, mentre vi cercavamo, siamo passati abbastanza vicini all’accampamento dei Demoni.» spiegò, con voce bassa e seria «Ho distintamente sentito qualcuno parlare di un attacco per radere al suolo Hidel. Non so se però a dirlo sia stato uno dei nostri o uno di loro, c’erano ancora parecchi Angeli lì, a fare prigionieri.»

«Te l’ho già detto, devi aver capito male, Damon! Non ha senso!» lo interruppe Sogno, contrariata. Cercò l’approvazione degli altri due presenti, lanciando occhiate poco convinte «Sono stati decimati, abbiamo vinto! Non possono uscire dal loro accampamento senza il nostro permesso!»

«Il permesso di chi?» si intromise Georgiana in tutta la sua pacatezza «Chi c’è sul campo?»

Sogno non capì subito dove la francese volesse arrivare, così roteò gli occhi e li sollevò poi al cielo, mentre ticchettava con un dito sul mantello di Nathan. Ricordava nitidamente una parte di truppa tornare alla base degli Angeli, ma chi?

Damon le venne incontro, evidentemente ricordava anche questo «Le truppe di Marcus sono tornate con i feriti. Sul luogo c’erano solo i soldati di Jen. Erano pochi, però, stando a quello che hai detto, Sogno.»

La ragazza schioccò le dita ed annuì, regalando a Damon un sorriso d’approvazione che lui non avrebbe mai visto «Sì, hai ragione! Erano davvero pochi, una decina o una ventina. Lì per lì non vi ho prestato attenzione, eravamo di corsa. E poi, beh, c’era Jen, quindi non abbiamo niente di cui preoccuparci, no?»

No, forse c’era davvero di che preoccuparsi.

In quell’attimo, tutto nella mente di Nathan sembrò rivoltarsi: ogni pezzo del puzzle rigettò il suo posto, andando spontaneamente ad incastrarsi in un altro, a formare un disegno meno complesso del precedente, ma più chiaro e più inquietante. Un’espressione irrequieta si fece strada sul suo viso, quindi si voltò verso Georgiana, l’unica che sicuramente aveva compreso i suoi pensieri.

Lei ricambiò lo sguardo, con crescente preoccupazione.

Sogno, intanto, pose nuovamente quella domanda, che improvvisamente le sembrava più pesante del previsto «… No?»

Dopo un attimo di silenzio, il tedesco allontanò il corpo di Ann dal proprio e lo affidò alle cure di Sogno, senza darle il tempo di replicare.

«Devo andare a Hidel, subito.» disse con fermezza, mettendosi poi in piedi con uno scatto fulmineo. La gamba che poco prima Joshua gli aveva paralizzato traballò un attimo, ma riuscì a rimettersi in equilibrio velocemente.

«Vengo con voi!» esclamò quindi Georgiana, che già inciampava neanche il tempo di tirarsi su.

«No.» le fu vietato, e due gelidi occhi azzurri la fecero desistere «Mi serve solo che più tardi voi siate dalla mia parte.»

Sogno e Damon non afferrarono il senso di quella frase, ma sembrò che Georgiana comprendesse fin troppo bene, tanto che, dopo qualche attimo di silenzio, annuì penosamente.

L’uomo non ebbe infine la cortesia di spiegare a nessuno dei presenti che cosa stava andando a fare, se aveva intenzione di commettere una follia e combattere da solo contro chissà quanti nemici pur di proteggere Hidel, o anche solo il motivo per cui li stava lasciando lì, il motivo per cui stava abbandonando Ann. Mentre si allontanava nel folto della foresta, Nathan si rendeva conto che ciò che stava per fare andava contro tutte le sue convinzioni, i suoi modi di fare e di pensare, ma era deciso a portare a termine l’obiettivo che si era prefisso: avvertire la gente di Hidel di ciò che a breve sarebbe arrivato, dell’orda demoniaca che voleva mettere fine alla loro esistenza per impossessarsi della Kharlan.

Non lo faceva per puro altruismo, bensì perché aveva capito tutto.

Aveva capito chi era la mente criminale dietro quel continuo complottare durato due anni, chi aveva dato gli ordini che fino a quel momento erano stati attribuiti ad un altro, chi aveva assoldato il killer di Terren.

Chi era responsabile della morte di Annlisette Nevue e Krissy Scottfish.

E chi si era impunemente preso gioco di lui.

 

Era da un sacco di tempo che Nathan non vedeva Hidel; ritrovarsi davanti a quei tetti innevati, tutti uguali e così sparpagliati e sporadici, chiusi all’interno dei confini di legno che dividevano il villaggio dal mondo, gli fece ricordare la prima volta che, due anni addietro, era giunto lì.

Non era mai riuscito ad ambientarsi veramente, anche se i villici erano tutti affabili e molto gentili con lui; c’era qualcosa che però non quadrava mai, che non aveva niente a che fare con la sua natura non umana e che gli aveva sempre fatto pensare di non essere veramente ben voluto.

Egli non era mai stato parte di Hidel, sebbene avesse abitato in quel villaggio per più di un anno.

A grandi falcate raggiunse l’ingresso, l’unica parte di tutto il paesino che non era delimitata da un alto e potente recinto di legno.

“Ho fatto molte cose considerate folli durante la mia vita. Ma presentarmi qui dopo due anni, da solo quando dovrei essere con Ann, a piedi, adducendo assurdità su mostri vari davanti ad umani ignari della nostra esistenza, per provare a farli scappare… direi proprio che questa volta mi sono superato” ragionò, prima di inspirare profondamente e gettare fuori tutta l’aria che aveva nei polmoni.

Non era un gesto che gli serviva per sopravvivere, piuttosto un’abitudine che non aveva mai voluto abbandonare, poiché aveva la capacità di calmarlo quando si sentiva ansioso. E in quel momento, oh, l’ansia se lo stava mangiando vivo.

Dall’interno, il villaggio appariva vuoto, come sempre; era ancora troppo presto per vedere qualcuno in giro, anche se l’uomo trovava improbabile che i villici non fossero stati svegliati dai rumori della battaglia. Immaginava che fossero tutti chiusi in casa a doppia mandata, armati fino ai denti.

Accompagnato solamente dal suono prodotto dai propri passi sulla neve, Nathan si diresse speditamente verso casa Nevue. Sarebbero stati loro i primi a sapere del pericolo, così aveva deciso. Non intendeva rimanere in quel villaggio più del dovuto, poiché era sua intenzione evitare ad ogni costo di essere non solo investito nuovamente da emozioni non sue, ma anche perché era logico che, una volta saputa la verità, quella gente gli si sarebbe sicuramente rivoltata contro.

A vederle ora, le piccole stradine e le case di Hidel non gli trasmettevano più quel calore che invece sembravano emanare un tempo: tutto gli era estraneo, ora sentiva di essere veramente lo straniero.

Lungo il sentiero non incontrò nessuno né sentì di essere osservato, purtuttavia non riuscì a raggiungere la destinazione senza lanciare di tanto in tanto occhiate sospettose a ciò che lo circondava. Del resto si aspettava che il popolo del suono facesse irruzione da un momento all’altro, e se si fosse trovato da solo contro più di uno di loro… beh, sarebbe semplicemente stato spacciato.

Quando, infine, i suoi occhi si poggiarono su quell’abitazione che conosceva meglio delle altre, avvertì improvvisamente il peso di ciò che stava per fare: gli umani non dovevano venire a conoscenza della loro esistenza, sebbene molti ne fossero già convinti per i fatti propri, e lui stava andando a spezzare un tabù inopinabile da chissà quanto tempo. Ovviamente, molti prima di lui avevano già provato a farlo, alcuni ci erano anche riusciti, ma era stato messo tutto a tacere con le buone o con le cattive. Sarebbe finita male anche quella storia? Sì, ne era convinto, ma la sua scelta l’aveva già fatta.

«Sir… Metherlance?»

Un moto di curiosità mista a paura raggiunse Nathan ancor prima di quelle parole, mormorate con poca convinzione da una voce maschile alle sue spalle. Il tedesco trasse l’ennesimo inutile respiro, quindi si voltò, ritrovandosi davanti a sir Baaker, un padre di famiglia sulla cinquantina, dal viso scavato e le occhiaie profonde, nere quanto i suoi pochi capelli. Era in piedi, immobile come una statua poco lontano dalla porta di casa, con la mano stretta vigorosamente attorno al manico in legno della grande ascia che portava con sé.

L’uomo aggrottò la fronte, confuso dall’ingiustificata presenza dello straniero: che cosa ci faceva lì?

«Siete tornato?» azzardò, scendendo con lentezza le scale in pietra, rese bianche dalla neve.

Nathan non si mosse dalla sua posizione, ma annuì piano e con un placido sorriso «Sì, ma sono solo di passaggio.»

«Abbiamo sentito dei rumori spaventosi, stanotte…» cominciò l’uomo, senza dargli tempo di parlare più del necessario. Sul suo volto traspariva una profonda preoccupazione «È accaduto qualcosa di terribile, vero?»

Il tedesco avrebbe quasi voluto riderne: quelle persone ormai davano per scontato che lui sapesse tutto, o che fosse perlomeno coinvolto in ciò che non capivano; nonostante fossero deboli ed ignoranti ma avevano un intuito invidiabile.

«Sì.» non negò, mentre il suo sorriso si incurvava verso il basso «Vi prego di svegliare vostra moglie ed i vostri figli, poi i vicini e il sindaco, messere. Al più presto. Non abbiamo più tempo.»

 

Il signor Baaker fece come Nathan gli aveva chiesto, e così in pochi minuti metà villaggio fu svegliato e si incamminò per svegliare anche la metà restante. Alla fine non aveva molta importanza che fossero o no i Nevue i primi a sapere del pericolo: ciò che contava era che anche loro prendessero parte all’assemblea, e così fu.

Si erano riuniti nel grande spiazzo centrale del villaggio, verso ovest, a metà strada tra la sala maestra e la chiesa. Rivedere tutti quei volti fece notare a Nathan che non ricordava le fattezze di molti di loro, o che di alcuni si era quasi dimenticato del tutto.

Infreddoliti ed intorpiditi dal sonno, uomini, donne e addirittura qualche bambino creavano un semicerchio attorno a lui, stretti gli uni con gli altri come se stessero cercando di trasmettere al prossimo il calore del proprio cappotto; le loro espressioni erano dominate dall’ansia e dalla confusione, ma non mancava chi non era stato affatto felice di svegliarsi così presto, né chi, come i più piccoli, si lagnava per tornare in casa. Tra gli ultimi a giungere vi furono i Nevue, che non appena videro Nathan gli si avvicinarono per chiedere concitatamente dove fosse Ann.

«È al sicuro.» li rassicurò lo straniero, fermo nella voce «Nell’unico posto sicuro che conosco.»

«E dove si trova questo posto sicuro? È da sola?» continuò Lazarus, che a stento riusciva a non alzare la voce.

Dietro di lui, Elizabeth tentava di trattenerlo per un braccio e farlo ragionare. Gabriel e la sua novella sposa giunsero subito dopo, ed il ragazzo diede immediatamente manforte al padre.

«Per favore, state calmi!» sbottò alla fine il tedesco, visibilmente irritato «Vi ho detto e ripetuto che Annlisette è al sicuro! Non sarei qui se non fossi certo di ciò che dico!»

«Vi crediamo…» Elizabeth si frappose tra il giovane ed il marito, spingendo quest’ultimo indietro, quindi si voltò con occhi supplichevoli «Vi crediamo, messere. Ma quel che è successo stanotte…»

«È proprio per questo che sono qui. E vi ripeto, madame, Annlisette ora è assolutamente intoccabile per chiunque.»

Lui la interruppe, il primo gesto maleducato che Elizabeth gli vide fare da quando si conoscevano, ma che le fece capire quanto fosse urgente archiviare l’argomento e passare al motivo per cui egli si trovava a Hidel.  A quel punto la famiglia si ritirò, sebbene Lazarus e Gabriel fossero ancora evidentemente sospettosi e pronti a scattare, e Nathan poté allontanarsi di qualche passo, in modo che la sua visuale fosse più ampia e gli permettesse di vedere con chiarezza tutti i presenti.

Quante emozioni si sentiva scorrere addosso in quel momento? Era così difficile lasciare che scivolassero via senza imporsi sul suo animo, ormai privo di esse.

Prima che si stabilisse il silenzio, alcuni ebbero la gentilezza di chiedergli come stava, come mai era ferito – la maggior parte dei segni lasciati dallo scontro con Joshua era scomparsa, ma alcuni ancora resistevano. Rispose cortesemente a tutti, ma quando gli fu posta la fatidica domanda su cosa fosse accaduto quella notte, pretese il silenzio ed attese solennemente finché non lo ebbe.

«Ciò che mi chiedete è legato alla mia presenza qui, oggi.» esordì, passando a rassegna con gli occhi tutti i presenti «Non ricorrerò a giri di parole, signori: siete tutti in estremo pericolo di vita.»

A dir la verità, l’uomo si sarebbe aspettato che almeno uno dei villici si lasciasse scappare un gemito, una risata di scherno, un’esclamazione; quello che seguì fu invece un pesante ed ostile silenzio, accompagnato dall’irrigidirsi delle espressioni di ciascuno. Sembrava essere calato un velo di muto terrore, gelido quanto la neve che ricominciava a cadere in grandi fiocchi lenti.

«Molti di voi non crederanno ad una sola parola di ciò che sto per dire…» riprese il biondo, con un flebile sorriso sulle labbra sottili, che però svanì dopo poco «Non pretendo che lo facciate e non vi darò alcuna prova. Non intendo urtare me stesso per voi.»

Dunque cominciò il suo discorso, quello che avrebbe dovuto tenere segreto ma che ora gli premeva dentro il petto con forza; ad ogni parola nuova non sentiva tuttavia alcun sollievo: il rivelare la verità a quella gente, buttando così la maschera della bugia, gli era ininfluente. Questa, pensò, era solo l’ennesima prova di quanto poco gli importasse di quelle persone, rifletté.

Iniziò illustrando loro la storia, partendo dalla Kharlan, arma misteriosa da sempre in possesso di un gruppo di uomini particolari che si era trasferito in quel territorio da tempo immemorabile, facendone la propria casa ed il proprio regno. Quando la guerra allora in corso terminò, l’arma venne seppellita dai vincitori, in modo che nessuno avrebbe mai più potuto sfruttare i suoi immensi poteri. Il tempo passò, ed in quel luogo giunse un gruppo di umani – usò proprio la parola umani, senza timore che gli venissero già rivolte le prime occhiate già stranite per quella bizzarra scelta lessicale – che decise di stabilirvisi, creando il villaggio di Hidel; cominciò così una convivenza segreta tra i villici ed i guardiani di questi luoghi, nascosti tra le cime dei monti dove nessuno osava avventurarsi.

«E due anni fa siamo arrivati noi, per voi.»

Ecco, adesso Nathan notava che qualcuno cominciava ad avere domande, probabilmente perché quel discorso, per quanto lineare e coerente, rimaneva oscuro in molti punti; fece segno con una mano di portare pazienza fino alla fine del suo racconto, riprendendo poi a parlare.

«Volendo chiarirvi la nostra posizione, noi siamo l’alfa e loro l’omega.» paragone stupido, si rimproverò, cosa potevano saperne quei mercanti di che cosa fossero l’alfa e l’omega?

Incrociò le braccia al petto, risolvendo l’errore «Siamo nemici naturali. Ci giunsero all’epoca voci: si diceva che volessero riprendersi l’arma, ma che per farlo sarebbero dovuti entrare in contatto con voi villici, e questo è assolutamente vietato nella nostra società. Sarebbero stati costretti a uccidervi, probabilmente.»

Ogni volontà di interromperlo sembrò sparire dai visi dei suoi ascoltatori: ora volevano sapere come andava a finire la storia, e pretendevano un lieto fine. Lo poteva leggere persino nei volti dei bambini spaventati, bianchi come cenci.

«Il nome in codice assegnatoci per questa operazione è “Angeli”: il nostro compito era intavolare delle trattative di pace che convincessero quei selvaggi che non avevamo alcuna intenzione di rubare i loro territori, e che quindi la Kharlan poteva rimanere al suo posto. Il mondo umano non avrebbe mai dovuto venire a conoscenza della nostra esistenza, per nessun motivo. Io, come potete capire, sto infrangendo la più tassativa delle nostre leggi per mettervi all’erta.»

A questo punto, catturata con gli occhi una cassa distante pochi passi, vi si sedette sopra con un movimento lento. La gamba che Joshua gli aveva paralizzato durante lo scontro sembrava aver bisogno di riposo, gli tremava leggermente e più volte aveva minacciato di tradirlo.

“Maledetto cane…” pensò con una smorfia, prima di riprendere a parlare.

«A me venne dato il ruolo di ‘supervisore’: avrei dovuto infiltrarmi tra di voi ed evitare che vi venisse fatto del male o che incappaste in situazioni pericolose.» bugia, il suo ruolo era quello di spiarli, ma non poteva permettersi di usare parole così schiette davanti ad una folla di persone che avrebbe potuto ucciderlo «E così ho fatto fino alla fine delle trattative, poi fummo costretti ad andarcene: tutto sembrava risolto per il meglio.»

La tensione aumentava visibilmente, Nathan non credeva di aver mai visto quelle persone così assetate di sapere. Così accennò velocemente al fatto di Korlea, il messaggio umano, che aveva implicitamente dichiarato loro guerra: i loro nemici avevano scoperto il punto preciso in cui era seppellita la Kharlan ed intendevano riesumarla, probabilmente per sete di potere o per paura di essere attaccati all’improvviso.

Del resto era noto come loro, la stirpe a cui appartenevano gli Angeli, fossero ben altro che leali.

Così, raccontò, erano tornati lì in fretta e furia per evitare che Hidel venisse attaccato; stette molto attento a non accennare al rapimento di Annlisette, usata come ostaggio. Spiegò che i rumori uditi quella notte erano quelli della battaglia infuriata sulle montagne e vinta dagli Angeli.

Fu quando si fermò un attimo per lanciare uno sguardo ai monti, preso dall’ansia di poter scorgere i suoi nemici in corsa verso Hidel, che una voce, la prima, ebbe il coraggio di interromperlo.

«Dov’è mia sorella?»

Non avrebbe mai attribuito quel tono spaventato a Gabriel Nevue, ma il ragazzo, pallido e stretto alla sua fidanzata più terrorizzata di lui, appariva più preoccupato per sua sorella che per se stesso.

Il tedesco poteva ora dargli una spiegazione più esauriente, e, con uno sguardo intenso, affermò «Non è rimasta coinvolta nella battaglia, mi sono premurato di metterla al sicuro. Nel periodo passato a Terren non è venuta in contatto con nessuno di noi, anche se è stato impossibile non farle notare i movimenti degli ultimi giorni. Capirete che non ho potuto permetterle di tornare a Hidel, visto il pericolo. In questo momento è con la mia assistente e due amici, nell’accampamento degli Angeli. Lì nessuno potrà torcerle un capello, il nostro compito è proteggervi.»

Un mucchio di bugie, ne era consapevole, ma non poteva certo rivelare come stavano veramente le cose per motivi logici. Aveva presentato gli Angeli come protettori, non poteva dir loro che in realtà il Tribunale Nero aveva dato ordine di non toccare i cittadini di Hidel per pura prevenzione: se la situazione fosse scappata loro di mano avrebbero dovuto ricorrere alle maniere forti, ed una sparizione di massa era difficile da giustificare agli occhi del mondo umano.

La famiglia Nevue sembrò aver abboccato pienamente, cosa che rincuorò il biondo e lo convinse a pronunciare quelle ultime parole, pesanti come macigni.

«Tuttavia, qualcosa è andato storto.» disse, e sui volti di tutti riemerse un’ansia divorante «Non sono a conoscenza dei dettagli, sono corso qui appena ho saputo che i nostri nemici si sono messi in marcia verso di voi. Hanno in qualche modo aggirato i miei colleghi ed ora intendono impossessarsi della Kharlan: è la loro ultima possibilità. Non si faranno scrupoli ad eliminare chiunque troveranno sul loro cammino. Sarà una strage.»

Nessuno ebbe il coraggio di replicare, tutti erano troppo schiacciati dalla paura; cominciarono a guardarsi l’un l’altro, come sperando che qualcuno avesse le risposte o semplicemente potesse dir loro cosa fare. Fortunatamente, il panico non si scatenò, eppure ciò apparve anomalo agli occhi di Nathan, che conosceva il famoso sangue freddo inglese ma che non pensava si spingesse fino a livelli simili.

«… Dovete scappare.» provò a dar loro un incentivo, meravigliandosi di quanto persino la sua voce sembrasse poco convinta di quello che aveva appena detto.

Qualche leggero brusio si levò allora, ma nessuno accennava a muoversi.

Nathan era rimasto basito, quasi non sapeva come comportarsi.

“Aspettano forse che li porti via uno ad uno?” alzò un sopracciglio, per poi mettersi in piedi. Affondò con le suole nella neve fresca, che nel frattempo continuava a cadere senza sosta.

Dopo qualche attimo, si fece strada tra i presenti un uomo che lo straniero conosceva bene: il capo villaggio, colui che aveva presenziato alla gara di cucina molto tempo prima e con cui aveva avuto modo di parlare poche volte durante la sua permanenza a Hidel.

Gli sguardi dei villici si fecero più sollevati: evidentemente aspettavano il suo arrivo per lasciare a lui il compito di scegliere il loro destino. Egli aveva sul volto un’espressione molto composta e seria, non sembrava avere intenzione di cedere al panico, sebbene i suoi occhi tradissero una sorta di insicurezza interiore. Era il minimo, considerando il peso che si portava sulle spalle.

Si fermò davanti al tedesco, estrasse dalle tasche del pesante cappotto le mani possenti e ricoperte di calli e le abbandonò lungo il corpo, infine chinò il capo, in segno di ringraziamento «Grazie per averci avvertiti.»

“… Tutto qui?” non poté fare a meno di pensare Nathan tra sé e sé, senza saper più come comportarsi; tutt’un tratto quella gente che aveva sempre considerato semplice e poco interessante gli era assolutamente incomprensibile. Come per riflesso, infilò le mani gelide nelle tasche del mantello, ricambiando con un cenno del capo.

Il vecchio uomo dovette notare la sua disapprovazione, poiché, fatto scorrere lo sguardo stanco ma determinato sui volti dei suoi collaboratori, tra cui lo stesso messere Nevue, come per cercare conferma da loro, inchiodò Nathan con un’occhiata profonda.

«Ma noi non andremo via.» decretò.

Allo straniero quella decisione sembrò a dir poco assurda, senza alcuna spiegazione logica. Senza dar voce ai suoi pensieri, si chiese in che modo quel povero vecchio avesse intenzione di proteggere la vita dei bambini e delle donne di Hidel, se forse non avesse preso sul serio le sue parole o avesse sottovalutato la potenza dei loro nemici. Eppure, nessuno sembrava credere che Nathan avesse raccontato loro un mucchio di frottole, forse perché in quel villaggio normale essere superstiziosi, anzi, era strano non esserlo, Ann se n’era lamentata parecchie volte in passato.

Gettò uno sguardo sui presenti, alla ricerca di qualcuno che sembrasse più assennato del sindaco, ma l’unica cosa che notò fu che molte donne e tutti i bambini erano scomparsi; probabilmente si erano rifugiati nelle casa.

«È per la maledizione?» azzardò allora, trovandolo il pensiero più logico: la maledizione di Hidel voleva che chiunque uscisse dal villaggio per non farvi più ritorno morisse in breve tempo.

«Oh, no, no…» declinò l’altro, con il sorriso di un padre che cerca di spiegare una cosa elementare al figlio ingenuo.

Dietro di lui, Nathan notò che alcuni presenti cominciavano ad annuire a quelle parole, a volte cercando approvazione negli occhi degli altri. E trovandola.

In realtà lo straniero aveva intenzione di rimanere a Hidel il minimo indispensabile, ma doveva ammettere di essere percorso da grande curiosità davanti a quello stranissimo comportamento.

Il capo villaggio parve avvedersi dei suoi dubbi, quindi, con fare fermo e responsabile, dapprima ordinò ad una decina di uomini di dirigersi al capannone delle provviste per recuperare ogni arma disponibile, poi disciolse l’assemblea, intimando a tutti di prepararsi al peggio e farsi coraggio, infine tornò a dedicarsi al tedesco. Gli mise con garbo una mano sulla spalla, con un sorriso bonario sul volto canuto.

«È perché questa è la nostra casa. E la casa è il luogo del cuore.»

Se Nathan non avesse vissuto come un vagabondo per gran parte della sua vita, rimpiangendo amaramente la casa che aveva perduto e la sua piccola famiglia, probabilmente quelle parole gli sarebbero state oscure, o peggio, ermetiche. La verità invece gli si presentava davanti molto semplicemente, ma ora si chiedeva: anche gli umani, nella loro bassa semplicità, erano pronti ad un sacrificio simile? Loro, che da sempre tradivano anche se stessi?

«E se uno attaccherà la nostra casa… risponderemo in due. Se in tre, noi risponderemo in sei. Se in quattro, in otto. Se in cinque, in dieci. Se cento attaccheranno la nostra casa, tutto il villaggio si alzerà.»

Il supervisore allora non poté fare a meno di far scorrere lo sguardo su quelle persone che probabilmente vedeva per l’ultima volta: erano tutti così indaffarati, presi dall’aiutarsi a vicenda per preparare una difesa, che sembravano persino essersi dimenticati di lui. Messere Nevue, poco lontano da loro, ignorava la neve che gli intralciava il passaggio e dava ordini per parare una rozza linea di difesa; notò suo figlio, assieme a molti altri giovani, che, trascinando una slitta piena di fucili, distribuivano armi a chi sapeva usarle; le donne si erano invece raccolte in un angolo, a preparare bende, medicazioni e tutto ciò che potesse servire per un pronto soccorso.

La sua mente, per qualche motivo, balenò al signor Scottfish, che aveva perso sua figlia da pochissimo, e che ormai sicuramente aveva capito che la sua disperazione doveva essere la forza che gli avrebbe permesso di combattere la prossima battaglia. Ricordò la povera signora Hurst, una delle poche persone che erano state in grado di fargli provar pena da quando era diventato ciò che era, e fu sicuro che il suo ricordo avrebbe spinto i coniugi Clokie a dare se stessi per proteggere la giovane Doralice.

Poteva capire la loro determinazione, il desiderio di vendicare i morti e di sopravvivere, ma non riusciva proprio a capire la solidarietà. D’un tratto, gli tornò in mente quella volta nella foresta, quando si era lamentato con Ann di essere sempre stato considerato solo “lo straniero”, nonostante abitasse a Hidel da un anno.

“È perché non capisco il senso di solidarietà che hanno gli uni verso gli altri. Ed è perché non lo capisco che non sono mai stato parte di questo villaggio, ma soltanto lo straniero.”

Adesso gli era molto chiaro, lo aveva finalmente compreso.

Nathan sapeva che cosa si provasse ad andare incontro a morte certa, ma, mentre lui si era subito arreso all’evidenza dei fatti e non aveva lottato, quelle persone tentavano di alimentare la piccola fiamma della speranza con tutti i mezzi che avevano. Illusi, li avrebbe chiamati lui normalmente, e forse gli avrebbero pure strappato un’espressione compassionevole, ma in quel momento l’unica cosa che gli sembrò giusto dire fu un semplice «Buona fortuna.»

E non volle rimanere lì un minuto di più, né sentirsi ringraziato per averli avvertiti del pericolo che a breve li avrebbe spazzati via.

Il loro destino lo avevano scelto da soli, e quando il supervisore varcò per l’ultima volta le porte di Hidel, diede silenziosamente il suo addio a quelle persone, coraggiose o pazze che fossero.

 

L’accampamento degli Angeli sembrava crogiolarsi in una quiete a lungo cercata; la battaglia aveva lasciato segni visibilissimi, sia attraverso la scia di sangue dei feriti, sia attraverso l’angolo in cui erano stati ammassati tutti i cadaveri, ai confini del campo, dove presto sarebbero stati dati alle fiamme.

Tra i presenti si potevano contare le espressioni più disparate: c’era chi gioiva di essere sopravvissuto e brindava alla vittoria, c’era invece chi, distrutto sia fisicamente che psicologicamente, voleva essere lasciato in pace nella sua tenda a godersi un po’ di sano riposo.

Jen era tornata assieme ad Adam Forster per parlare con Marcus e tirare un sospiro di sollievo per l’ottima riuscita dal piano, e adesso erano, come sempre, riuniti nella grande tenda nera del Consiglio.

Fu quando un nucleo del tutto inaspettato fece il suo ingresso senza troppi complimenti che calò il silenzio. Pian piano, gli sguardi dei presenti si posarono silenziosamente su quel piccolo gruppo che avanzava a grandi passi nella neve, al centro della strada lasciata libera. A capo c’era Nathan Metherlance, che tra le braccia teneva una ragazza inerme, apparentemente morta; lo seguiva Georgiana Varens, quella matricola unitasi da poco e terribilmente silenziosa, troppo timida persino per scambiare quattro chiacchiere con qualcuno; infine, a chiudere il gruppo, dei totalmente inaspettati Damon e Sogno Darkmoon, la seconda teneva il primo sottobraccio, guidandolo come se non potesse vederci.

Tutti e quattro portavano sul viso delle espressioni a dir poco funeree, tanto da far credere agli Angeli presenti che portassero cattive notizie. Cominciarono a scambiarsi occhiate piene di dubbi, trovando però solamente espressioni altrettanto confuse. Qualcuno si mise in piedi, senza però provare ad avvicinarsi, altri ripresero a fare ciò che stavano facendo, forse per ignorare quegli elementi di disturbo che non promettevano buone nuove.

Il clima, se possibile, si stava facendo ancora più freddo del solito, e a sottolinearlo c’era anche il cielo coperto da nubi nere ed il rombare lontano di qualche fulmine.

«Dobbiamo parlare con Marcus e Jen!» annunciò a gran voce Nathan quando tutti e quattro si fermarono, coi piedi ben piazzati nella neve. Come a dire: nessuno ci smuoverà di qui finché non avremo ciò che vogliamo.

La sua voce riecheggiò un paio di volte, sicuramente giungendo alle orecchie dei desiderati, poiché la loro tenda si trovava circa sei metri più avanti. Nessuno, tuttavia, aveva il potere di scomodare i generali, per cui dovettero attendere finché non furono essi stessi ad apparire in tutta la loro maestosità, ancora con indosso le armature. I due, fedelmente seguiti dall’ombra di Adam Forster, uscirono dalla tenda con espressioni diverse: lei con uno splendido sorriso sul volto stanco ma soddisfatto, lui accigliato ed impenetrabile, com’era di natura.

«Georgiana e Nathan!» esclamò la donna, muovendo già qualche passo verso di loro «Vedo che avete eseguito il vostro incarico. Ottimo lavoro!»

«Dubitavate di noi, mia signora?» sorrise Nathan, con un sorriso che sembrava più una smorfia, mentre allungava le braccia in avanti per lasciar cadere il corpo della ragazza mora sulla neve, con un tonfo.

«Ma la presenza di Damon e So-…» stava dicendo la donna in quel frangente, ma si interruppe davanti a quel gesto.

Davanti allo sguardo sorpreso di lei e di Adam Forster, il tedesco non sembrò nemmeno rammaricarsi per come aveva trattato quel cadavere, né sembrava avere intenzione di riprenderlo in mano.

In effetti, dietro di lui, anche Georgiana e Sogno rimasero profondamente stupite da quel gesto così meschino, Damon invece poteva solo immaginarlo. Nel frattempo, il tedesco continuava a sorridere sornione.

«Tutto procede esattamente secondo i vostri piani. Presto Hidel non sarà che un vago ricordo nella nostra mente ed un cumulo di macerie.»

Piombò un silenzio di tomba. Tutti quelli che fino a quel momento si erano sforzati di ignorare il gruppo appena giunto non poterono fare a meno di bloccare qualsiasi cosa stessero facendo; lentamente, tutti gli sguardi si poggiarono quel losco Angelo che stava impunemente affermando che il loro comandante, Jen, quella in cui tutti credevano, quella che tutti preferivano a Marcus, avesse deciso di andare contro gli ordini del Tribunale Nero e radere al suolo Hidel.

Era troppo assurdo. Che diavolo andava blaterando quel Metherlance?

Persino la donna rimase con un sorriso pacifico in volto, come congelata da quella doccia fredda. Dietro di lei, Adam Forster sgranò gli occhi, poi li assottigliò per fulminare Nathan.

«Cosa?!»

L’unico che riuscì  a spezzare il silenzio fu Marcus, che si fece avanti per frapporsi tra Jen e il gruppo appena soggiunto. Il suo volto, già normalmente grave, appariva decisamente furioso. Si rivolse rabbiosamente al biondo, colui che osava accusare così platealmente un generale di tutto rispetto «Che storia è questa, Metherlance?»

La sottintesa sfida venne accolta di buon grado da Nathan, che rispose serenamente, limando però il tono provocatorio usato fino a quel momento «Una storia molto interessante, generale. Se mi è concesso, la racconterò con dovizia di dettagli.»

Quante volte aveva raccontato quella storia fino a quel giorno? Cominciò ad esporre i fatti del suo primo periodo di permanenza a Hidel, sentendo gli occhi di tutti puntati addosso. Immaginò che stessero aspettando quella parola che avrebbe avuto il potere di tradirlo o di distruggere tutte le loro convinzioni; la tensione si respirava.

Parlò di coloro che erano misteriosamente scomparsi, nomi che in effetti Marcus e Jen conoscevano già, grazie ai suoi rapporti e alle azioni di spionaggio degli altri membri del gruppo.

«In tutto avvennero cinque sparizioni, delle quali fu incolpato il popolo del suono.» affermò il tedesco, spostando lo sguardo da Marcus a Jen, che lo fissava imperscrutabile «O almeno così affermaste nell’ultima riunione che tenemmo prima di lasciare Hidel.»

«E questo ti basta a…» cominciò la donna, sollevò un sopracciglio e gli scoccò un’occhiata truce.

«Ovviamente no.» Nathan scosse il capo «Ma è un passo necessario per arrivare alla conclusione. In effetti… le sparizioni in quel periodo furono sei.»

A quel punto cominciarono a levarsi i primi mormorii agitati: tutti sapevano delle cinque sparizioni di Hidel, ma nessuno sapeva della sesta. O almeno, così credevano.

«Herny Karl, signore.» specificò il supervisore, come se fosse stata una cosa ovvio.

Sul volto del vecchio generale passarono un’infinità di espressioni: dalla sorpresa alla confusione, dalla rabbia al sospetto. Portò con esagerata lentezza una mano al fianco, dal quale pendeva il fodero della spada, un chiaro segnale del suo stentato trattenersi dallo staccare la testa a quell’insolente Metherlance. Se solo avesse osato metterlo in imbarazzo davanti ai suoi sottoposti…

«Sì.» si sforzò di essere diplomatico, ed annuì a quelle parole «Il mio consigliere. Sparito due anni fa.»

«Il quale collaborava a sua volta con voi, mia signora.» il biondo tornò a guardare nuovamente Jen «Almeno finché non ha capito che il vostro piano prevedeva effettivamente di scatenare una guerra contro il popolo del suono, che, raso al suolo Hidel, avrebbe portato alla luce la Kharlan, con la quale, una volta trafugata, sarebbe stato facile imporsi sul nostro generale… ma che dico, sul Tribunale Nero stesso!»

Calò un silenzio terribile.

Sin da quando era arrivato, Nathan Metherlance aveva dimostrato di essere una persona carismatica, e, forte della sua arte di convincimento, al momento mantenuta su bassi livelli però, per evitare l’ira di Marcus, stava mettendo a dura prova la saldissima convinzione comune che fosse Marcus quello da cui guardarsi, e non la gentile e buona Jen.

In quello stato di quiete, rotto solo dal soffio del vento tra le fronde, Nathan sorrise candidamente alla donna «Davvero un magnifico piano. Quando Henry Karl vi ha tradita, ha cercato di fuggire a casa mia, pensando che Hidel fosse l’unico luogo dove sarebbe stato salvo. Ma quando sono tornato l’ho trovato ucciso, e, scioccamente, ho avvertito immediatamente voi. Immagino sia stato messere Forster a finirlo prima del mio ritorno, correggetemi se sbaglio.»

Dietro di loro, la persona chiamata in causa era rimasta nell’ombra, e quando il suo sguardo incontrò quello indagatore di Marcus e quello accusatore di Nathan, si limitò ad una smorfia di disapprovazione «Pazzie, pazzie. Mio signore, costui è evidentemente pazzo! Quale arroganza ad insultare persone così al di sopra del tuo livello, Metherlance… Senza uno straccio di prova, poi.»

«Avete ragione, messere. La mia insolenza è imperdonabile. Abbiate però pazienza, e se infine mi riterrete meritevole di morte non mi opporrò. In ogni caso, sappiate che ho delle prove.» annuì Nathan, che da sempre non aspettava altro che il momento in cui avrebbe fatto cadere dal piedistallo quell’uomo odioso «Ma prima, per favore, lasciatemi andare avanti.»

La tensione, se possibile, aumentò ancora. Persino coloro che erano abituati a respirare per sembrare più umani si fermarono; tuttavia nessuno, né quelli che erano già stati persuasi dalle parole del supervisore né quelli che le trovavano un affronto vergognoso, ebbero il coraggio di farsi avanti e parlare. Non per paura di Nathan, quanto per paura di quel Marcus pronto ad esplodere alla prima parola sbagliata.

Ciò il tedesco capiva benissimo, e non poteva fare a meno di ammettere con se stesso quanto fosse difficile mantenere un tono il più possibile rispettoso, mentre l’indignazione gli premeva nel petto.

«Per un breve periodo, a Terren ho ospitato questa giovane donna in casa mia.» andò avanti col suo discorso, abbassando lo sguardo sul corpo della ragazza mora ai suoi piedi, seguito da tutti i presenti.

«Non ci hai avvertiti.» sibilò Marcus, contrariato.

«Perché sarebbe stato un inutile motivo di preoccupazione, signore.» affermò con decisione Nathan «Nella seconda metà di dicembre si è svolta una serata per gli ingressi in società, per questo i suoi genitori mi hanno chiesto di accompagnarla. Tutto qui. Sarebbe ripartita pochi giorni dopo, dunque la sua permanenza sarebbe durata meno di due settimane.»

Ovviamente poteva suonare strano che dei semplici commercianti volessero che la figlia fosse addirittura introdotta in società, ma gli Angeli non sapevano quasi niente di Hidel e della sua gente, a parte che si trattava di mercanti; tale fatto poteva giustificare un’ipotesi secondo cui i Nevue avessero in programma di spostarsi verso la città, dove una figlia introdotta nel mondo degli adulti era cosa assai vantaggiosa.

«Ricorderete il messaggio umano che ci fu inviato prima della famosa serata a villa Stevenson. Considerando il poco tempo intercorso, l’assassino di Angelica Rodriguez, che ha tolto la vista a Damon Darkmoon e cercato di uccidere me e questa ragazza fu immediatamente, e logicamente, ricondotto al popolo del suono.» riprese a parlare Nathan, spostando di nuovo lo sguardo su Jen, assolutamente imperturbabile «In realtà venne ingaggiato da voi; l’ennesimo tentativo di istigarci contro il popolo del suono e scatenare la guerra. Ma la situazione, per colpa del messaggio umano, cominciava a correre troppo velocemente, rischiando di creare contraddizioni tra le reali intenzioni del popolo del suono e quelle che da voi erano attribuite a loro. Nel frattempo ingaggiaste Georgiana Varens, che avrebbe dovuto guidare il popolo del suono fino ad Annlisette Nevue; quest’ultima sarebbe stata catturata, ed il popolo del suono, una pedina fin troppo facile da muovere grazie al suo agire unicamente d’istinto, avrebbe sicuramente dichiarato guerra. Finita la battaglia, sareste rimasta sul campo mentre le altre truppe tornavano all’accampamento, così da permettere ai pochi superstiti nemici di raggiungere il villaggio e recuperare la Kharlan. I cittadini di Hidel non sarebbero riusciti a difendersi, il popolo del suono avrebbe riesumato l’arma, ma a quel punto sareste intervenuta voi, probabilmente, per sterminare i pochi rimasti e prendere la Kharlan in custodia. Con la Kharlan in mano… beh, il resto non è difficile da immaginare.»

A fine di quel discorso, Nathan si sentì svuotato delle poche energie che gli erano rimaste. Quello era tutto ciò a cui era arrivato, con un mezzo o con un altro: ora spettava a Marcus decidere se tagliargli la testa sul posto o dar ascolto alle sue parole. Dietro di sé, avvertiva l’agitazione di Sogno e Damon, mentre Georgiana era letteralmente assalita dalla paura; con un gesto pacato la nascose dietro di sé, facendole capire silenziosamente che lui l’avrebbe protetta.

Diede a tutti il tempo di attutire il colpo, di realizzare di essere perfettamente caduti come allocchi in una trappola che, senza l’appena avvenuto intervento di Nathan, sarebbe sicuramente andata fino in fondo.

Ora che anche il vento si era calmato, il silenzio era divenuto quasi opprimente. Incredibilmente, persino la rabbia di Marcus sembrava essersi assopita, ora che aveva una visione globale del terribile piano che avrebbe compromesso lui, il suo gruppo ed avrebbe creato danni gravissimi alla loro società. A dispetto di quanto voleva dare a vedere, era lampante che non dubitava troppo di quelle spiegazioni.

Con espressione granitica, tuttavia, decretò «Le prove.»

«Una testimonianza.» rispose prontamente il supervisore, altrettanto serio. Si fece da parte, lasciando che da dietro di sé il piccolo capo bruno di Georgiana sporgesse quanto bastava per esporla «La testimonianza di Georgiana Vares. E, se tenderete l’orecchio, a breve dovremmo sentire il suono di Hidel che muore.»

Una testimonianza non era il massimo delle prove, tutti lo sapevano benissimo, ma se giocavano bene quella carta potevano riuscire a convincere Marcus a recludere i due colpevoli, almeno finché il Tribunale Nero non li avrebbe presi in custodia. Lui ne aveva il potere, ma bisognava persuaderlo.

Sotto lo sguardo sbigottito di Adam Forster, Georgiana si fece avanti a piccoli ed incerti passi, lo sguardo rivolto a terra e gli occhi di chi sta per avere una crisi di pianto; se fosse stata umana, probabilmente avrebbe addirittura sudato freddo, tanta era l’ansia che provava.

Sollevò pietosamente il capo fin quando non inquadrò Marcus, stando ben attenta ad evitare che Adam entrasse nel suo campo visivo: sapeva già che sarebbe crollata davanti a lui.

Aveva parlato con messere Metherlance di quella cosa chiamata “coraggio” mentre raggiungevano l’accampamento; lui le aveva detto di prendere esempio da Annlisette Nevue, e così Georgiana le scoccò un’occhiata veloce ma intensa, come sperando che la forza d’animo dimostrata da quella donna potesse raggiungerla.

Quando sentì le delicate mani di Sogno stringerle dolcemente le spalle per farle intendere che non era sola, capì che era il momento.

Era pronta.

«È tutto vero.» confermò «Monsieur Forster mi ha portata via dalla Francia con la forza quando ha scoperto il mio potere. Mi ha minacciata fino ad oggi, dicendo che avrebbe distrutto la mia famiglia se mi fossi ribellata. Non posso più sopportare di essere calpestata così, signore, vi prego di mettere fine ai miei tormenti…»

Dietro di loro, la voce di Adam Forster tradiva una furia trattenuta a stento «Georgiana… non dire sciocchezze. Quell’uomo ti ha traviata.»

«No!» esclamò la ragazzina sorprendendo tutti, mosse un passo verso di lui e gli indirizzò uno sguardo sofferente «Se non ci fossero stati monsieur Metherlance e mademoiselle Nevue non avrei mai avuto il coraggio di ribellarmi! Io non…»

Le parole le si spensero sulle labbra, smorzate dalla paura che le incuteva la sola vista del vecchio consigliere. Leggermente tremante, tornò immediatamente sui suoi passi, ed in quel momento Nathan le poggiò una mano sulla spalla, per trarla gentilmente dietro di sé.

Da quando quel discorso pieno d’accuse era cominciato, la diretta interessata non aveva però aperto bocca. Jen se ne stava dritta e tesa come una corda di violino, con le braccia conserte ed il viso inespressivo, facendo scorrere lo sguardo gelido da Nathan a Georgiana, poi ai due Darkmoon che non avrebbero dovuto essere lì, a Marcus, al suo fidato consigliere.

Dietro di lei, Adam Forster si mosse verso di loro, ma la donna alzò un braccio e lo bloccò: era arrivato il suo turno per parlare.

L’attenzione si catalizzò su di lei, persino il cieco Damon se ne accorse, sebbene il suo sguardo fosse fisso su un punto ininfluente della folla di Angeli.

La donna, con un sorriso, dopo un attimo di silenzio disse «È vero, sì. Non lo negherò.»

Si udì qualche sussulto dagli spettatori, che evidentemente fino ad allora si erano costretti a pensare che Nathan e Georgiana avessero preso un brutto colpo in testa. L’atmosfera era ora davvero pesante, nessuno sembrava sapere che cosa fare o dire: la confusione era totale.

«Complimenti per averlo capito, anche se con un sostanziale aiuto.» sorrise a Nathan «Pensavo che fosse davvero un piano perfetto.»

«Lo era quasi, signora.» disse di ricambio Nathan, quasi meccanicamente.

La donna rise sommessamente, abbandonando poi le braccia lungo i fianchi. Si voltò verso Marcus, che sembrava chiedere con lo sguardo spiegazioni.

«Mia signora…» la chiamò da dietro Forster, per fermarla prima che li mettesse ancora di più nei guai.

La mente di Georgiana formulò il velenoso pensiero che sicuramente egli voleva solo proteggere se stesso il più possibile.

«È vero, volevo sovvertire il potere nel nostro mondo usando la Kharlan, per deporre il Tribunale Nero.» ammise ancora Jen, ignorando la roca e spezzata voce del suo consigliere.

Marcus quasi sgranò gli occhi, dimostrando quanto gli fosse incredibile credere che la sua fidatissima collega fosse una bugiarda, una truffatrice, una golpista.

«Perché, Jen?» domandò, riacquistando tutta la sua durezza, profondamente ferito da quel tradimento.

«Perché, Marcus? Non lo immagini?» Jen rise, come una madre davanti all’ingenuo bambino; ma il suo sguardo si fece amaro quasi immediatamente, nel realizzare che i suoi sogni si erano infranti «Perché noi esistiamo, ma è come se non esistessimo!»

In un lampo, Marcus capì dove ella volesse arrivare. Se avesse avuto un senso, probabilmente avrebbe tirato un sospiro rassegnato, ma si limitò a ripetere «Jen…»

La donna nel frattempo aveva alzato la voce, infervorata «Abbiamo vissuto per secoli nascondendo la nostra esistenza agli umani, ormai siamo oggetto solo di stupide leggende piene di menzogne che non fanno paura nemmeno ai bambini! E invece noi siamo qui, guardaci, Marcus!»

Sollevò un braccio ed indicò energicamente i presenti, dai soldati a Forster, passando persino per il gruppo di Nathan «Noi siamo qui, a combattere per eseguire gli ordini del Tribunale Nero e salvare la vita di quegli ingrati e stupidi umani! Se invece riuscissimo ad entrare in possesso della Kharlan, pensaci, e a mettere a tacere il Tribunale… se finalmente ci rivelassimo agli umani-…»

«Il mondo piomberebbe nel caos e nella paura.» la interruppe Marcus, col tono di chi non ammette obiezioni.

«Sì, ma verremmo finalmente riconosciuti, temuti e rispettati.» ribadì la donna «Ed avremmo un nostro posto nel mondo.»

I pochi mormorii che si erano susseguiti fino a quel momento tacquero di colpo, ed ogni occhio che aveva volontariamente distolto lo sguardo da Jen non poté che tornare a fissarla, sgranato. Le più disparate emozioni esplosero: stupore, rabbia, amarezza, approvazione, disgusto; Nathan le sentiva tutte, talmente tanto forti da rendergli impossibile ancora una volta distinguerle e stabilire quali fossero quelle altrui e quali le proprie.

La ragione al contempo più umana e più disumana che uno come loro avrebbe potuto dare, lo sapevano tutti: trovare il proprio posto in un mondo che non li voleva.

Facendo scorrere gli occhi sulle persone attorno a loro, Georgiana notò che alcuni avevano abbassato lo sguardo o si erano scambiati cenni d’assenso, concordando con la tesi di Jen. Tuttavia, quando la bambina tornò a guardare Nathan con occhi pieni di confusione, quest’ultimo le ribadì prontamente le sue idee.

«No, non è così.» le spiegò con voce bassa «Noi siamo persone vive solo a metà, Georgiana: vive nel corpo ma prive di anima. Per avere un posto in questo mondo che venga riconosciuto anche dagli umani… si necessita di entrambe.»

La ragazzina istintivamente cercò Adam Forster, e si chiese se una persona come lui avrebbe davvero potuto trovare il suo posto all’interno di una società basata sui valori morali. No, e probabilmente neanche delle persone più contenute, come lei, Sogno o Damon, ci sarebbero riuscite.

Il suo sogno di ritrovare il suo posto nel mondo umano le sembrò disfarsi lento davanti agli occhi.

Avvertì la mano grande di messere Metherlance poggiarsi sulla sua spalla, e, seguendo il suo sguardo, poté notare che stava fissando il cadavere della sua povera Annlisette, riverso nella neve.

«È questo il destino di un vampiro. Non dimenticatelo mai.» sentenziò Nathan, e quelle parole le piombarono addosso come una condanna ad una non-vita di freddo e buio.

In quel momento, nel vento, cominciarono ad udirsi le prime urla provenienti da Hidel, strazianti ed agghiaccianti. Marcus, assieme a molti altri, sollevò il capo per lasciarsi investire dal suono della sconfitta, mentre Jen tratteneva un sorriso pieno di rammarico per essersi lasciata mettere sotto scacco ad un passo dalla vittoria.

Nel frattempo, Adam Forster si allontanò silenzioso verso la foresta, con la probabile intenzione di fuggire; Nathan lo seguì attentamente finché non fu scomparso tra i tronchi neri, poi tolse la mano dalla spalla di Georgiana e si rivolse alla ragazza ed agli amici dietro di lui.

Damon gli sembrava sconvolto quasi quanto lo era stato nel momento in cui avevano abbandonato Krissy al suo destino.

«Prendetevi cura di Ann.» ordinò il supervisore, ferreo, per poi muovere un passo verso la foresta ed una mano verso la Selescinder «Io ho ancora un conto in sospeso.»

E detto ciò, seguito da una ribelle Georgiana, si lanciò all’inseguimento di Adam Forster.  

 

 

Note:

#1: Nella terminologia specifica, si definisce “sire” colui che attua la trasformazione, e che dunque avrà per sempre una forte influenza sulla volontà del trasformato.

#2: “Biancaneve” in tedesco, lingua madre di Nathan.

   

 

 

Note dell’Autrice:

Salveeeeee! >__< rieccomi dopo tanto tempo!

Scrivere questo capitolo è stato un po’ difficile, perché ho dovuto rivedere tutti quelli vecchi per essere sicura di aver ricordato di spiegare ogni avvenimento – la cosa che prego non accada mai è che un lettore mi faccia notare una falla nella trama!

Siamo quasi alla fine, da quanto tempo lo dico? Ma ora siamo proprio al capolinea! Il prossimo capitolo è l’ultimo, quindi ci sarà un brevissimo epilogo *si asciuga le lacrime di commozione*

Grazie al cielo fin ora nessun lettore mi ha divorata voracemente per aver tirato fuori la storia dei vampiri XD sì, lo so, è stato molto cattivo da parte mia farvi credere per quasi trenta capitoli che fossero umani, o, al massimo, Angeli e Demoni. E invece sono vampiri e lupi mannari XD

 

Come vi ho detto nel capitolo precedente, lavoro a Snow da molti anni, da molto prima che scoppiasse la “vampiro mania”, per cui quando è esplosa io avevo già pubblicato parte di storia ed avevo il terrore che sarebbe risultata una cosa banale. Pensai addirittura ad un finale alternativo, sapete? Lo pensai scrivendo il diciannovesimo capitolo, al punto in cui Ann dice di non essere morta uscendo da Hidel, e Nathan, Sogno e Damon rimangono in preoccupante silenzio. Ecco, nel finale alternativo alla fine Hidel era davvero un villaggio fantasma ed erano tutti anime che non avevano trovato pace, quindi gli “Angeli”, una sorta di gruppo istituito dalla Chiesa – potremmo definirli esorcisti -, si proponeva di portarli ‘dall’altra parte’. Oggettivamente, mi piace molto di più il finale alternativo, ma mi sarei giocata il ciclo delle quattro storie, delle quali, a mio parere, Snow è quella meno interessante.

 

Orsù, è il momento di mettersi sotto con l’ultimo capitolo °w°

Come sempre ringrazio tantissimo tutte le persone che seguono o hanno seguito, preferitato o ricordato Snow. Nell’epilogo vi nominerò uno per uno. Siete ad occhio e croce un centinaio, ma voglio nominarvi comunque uno per uno!!!! XD

In particolare i ringraziamenti vanno a Milou, a Kikyo e ad Alice Tudor, che hanno avuto il gentilissimo pensiero di lasciarmi anche un commento!

 

A presto!

Sely.

 

  
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