What colour is the snow?
Capitolo 28: Persona protagonista dell’opera.
Se
c’era una cosa che Nathan Metherlance odiava era che la sua anima venisse a
contatto con un’altra, estranea. Nathan Metherlance detestava profondamente il
suo potere, la sua facoltà di far proprie le emozioni altrui, e per questo si
era ripromesso di imparare a controllare la sua maledetta empatia, nella
speranza di cominciare a distinguere le proprie emozioni – quelle poche che
ormai gli era concesso provare – dalla tempesta inestinguibile che sentimenti
più svariati che ogni giorno osservava, annoiato ed irritato.
Nel
momento in cui, molti anni addietro, si era reso conto di essere rimasto
vittima dell’epidemia di tubercolosi che aveva decimato la sua città, aveva per
diverso tempo pensato di essere senza speranza: sarebbe morto, punto e basta.
Fine dei giochi. Capolinea.
E
invece… la vita gli aveva giocato quello strano scherzo, strappandolo alla morte
e dandolo in pasto alla loro terza sorella, una sorta di strana entità a metà
tra la vita e la morte, scherzosamente rinominata “non-vita” da qualcuno con un
senso dell’umorismo distorto.
Come
ciò fosse accaduto non gli era mai stato molto chiaro: ricordava di aver
improvvisamente avvertito mancare, di essersi quindi accasciato al suolo,
cedendo ad un nuovo tipo di sonno; poi aveva aperto gli occhi…
ed era tornato a vivere come aveva sempre fatto, solo con qualche nuovo bonus e
malus.
Incapacità
di provare sentimenti, di resistere alla luce del sole per lunghi periodi e di
cibarsi degli alimenti che prima consumava abitualmente, di specchiarsi, di
toccare oggetti benedetti senza ustionarsi, di restare sveglio mentre il sole
era alto; d’altra parte, era in grado di supplire alla quasi totale deficienza
di emozioni proprie con quelle altrui, niente sembrava più in grado di
ucciderlo con facilità, aveva sviluppato una forza ed una velocità inizialmente
incontrollabili.
Unica
vera pecca? Una sottile, innocente, incontrollabile sete di sangue.
Col
tempo, in tutta la sua mancanza di senno, aveva imparato a sopportare per
diverso tempo i raggi solari tramite l’esposizione volontaria a questi stessi,
ed ora vi si poteva esporre per molti minuti prima di cominciare a star male;
stesso discorso riguardava i cibi umani, che ingeriva senza rimanerci secco; la
sua vena masochista era riuscita addirittura a dargli un certo vantaggio
nell’osservare oggetti sacri senza dover immediatamente distogliere lo sguardo
o nel restare sveglio di giorno, sebbene gli costasse molta fatica.
Insomma,
Nathan aveva sempre creduto che tutte queste sue potenzialità, le quali si era
fortemente impegnato per raggiungere, sarebbero servite a dargli un minimo di
credibilità ai superbi ed alteri occhi delle persone come lui; con questo
pensiero aveva lasciato la Germania, sua cara patria, e si era messo in viaggio
verso l’Inghilterra.
Lì
si era imbattuto negli “Angeli”, un clan dal nome decisamente poco appropriato,
considerando che razza di mostri erano in realtà. Lo avevano convinto ad unirsi
a loro, affermando che un elemento così eccellente sarebbe sicuramente servito
nella campagna di pace che stavano preparando per ordine del Tribunale Nero, il
massimo organo giuridico del loro segreto mondo. Forse per cupidigia, si era
lasciato convincere ed era partito assieme a loro alla volta del Northumerland, la contea più a nord dell’Inghilterra,
confinante con la Scozia.
Ora
che però teneva tra le mani quel
cadavere, Nathan Metherlance non era più molto sicuro di aver fatto la scelta
giusta. Per carità, in tutta la sua vita non si era mai pentito di ciò che
aveva fatto – la sua etica si basava sull’accettare il proprio essere come
risultato delle proprie scelte, e lui era fiero di ciò che era diventato -, ma si
rendeva conto stoicamente degli errori commessi, senza perdersi in inutili
rimpianti o lamentele.
Si
era davvero impegnato in quella missione, davvero! Dopo essersi introdotto a
Hidel con la massima discrezione, aveva stretto rapporti con l’unico scopo di
sembrare una persona quanto più normale possibile, si era sforzato di resistere
alla sete ogni qual volta che si trovava in mezzo a molte persone.
Inizialmente,
il rapporto stretto con Annlisette Nevue rientrava nel suo piano, alla voce
“stringere rapporti umani per sembrare un comune umano”, e così, con un pizzico
di irritazione e compassione per quella povera anima, l’aveva assecondata nei
suoi giochi di donna, reputandoli morbosamente stupidi ed inutili. Col tempo,
però, il continuo entusiasmo di Annlisette aveva avuto l’effetto collaterale di
abbassare le sue difese, e così ne era stato contagiato ed aveva cominciato a
credere di essersi veramente innamorato.
Amore?
Uno come lui? No, anzi, riformuliamo: amore? Uno che, come lui, era stato
rovinato proprio dall’amore? Nathan, se fosse stato in sé, avrebbe riso in
faccia a se stesso per la propria immensa stupidità.
E
ora, cosa gli rimaneva di tutto quel grande amore? Una promessa a tempo
indeterminato ed un cadavere tra le braccia.
“Giurami
che proteggerai Ann fino alla fine, e non permetterai a nessuno di portartela
via.”
Nathan
Metherlance, in modo del tutto malato, aveva tenuto fede a quella promessa:
aveva protetto Ann dal popolo del suono, e non aveva permesso a nessun altro
che non fosse lui di divenire il suo sire*.
Georgiana
e Nathan si erano quasi dimenticati della battaglia che, ancora, si consumava
lenta alle loro spalle, tra le montagne.
Il
cielo si era acquietato, ogni segno che lasciava prevedere il temporale era
sparito con l’ultimo fulmine abbattutosi, molto lontano, tra le punte innevate;
regnava una strana quiete per nulla rassicurante, come quella che precede un
evento improvviso e catastrofico. In effetti, Georgiana si chiedeva quanto
sarebbe stata catastrofica la reazione di messere Metherlance quando avrebbe
realizzato di aver appena ucciso la ragazza che professava di amare.
Nathan
non riusciva ad alzare il capo, era come magicamente incantato dalla visione
che gli si prospettava davanti: tra le sue braccia riposava un’inerme Annlisette
addormentata, appoggiata al suo petto, pallida e fredda, senza più un briciolo
di vita ad animare gli occhi vacui, persi in un’espressione di paura. Glieli
chiuse con un rapido gesto della mano, poiché, per qualche strana associazione
mentale, gli ricordava la Schneewittchen* della favola dei fratelli Grimm: con i
capelli neri come l’ebano, la pelle bianca come la neve e le labbra rosse come
il sangue. Sì, ma l’ultima similitudine non era tanto una questione di colore
quanto un fatto vero e proprio, poiché c’era davvero del sangue sulle labbra
della ragazza: il sangue di Nathan, quello che l’avrebbe fatta divenire come
loro.
«E
così, eravate una loro marionetta sin dall’inizio…» a bassa voce, rivolse
quelle parole a Georgiana, pur senza staccare gli occhi da Ann.
Lei,
che gli si era seduta vicino ed affondava fino alle ginocchia nella neve, annuì
in tono grave «Mi dispiace.»
Nathan
la riprese gentilmente, mentre tamponava con un lembo del mantello il sangue
che gli sgorgava dal polso sinistro «Non dispiacetevi di ciò che avete fatto.
Sono state le nostre scelte a farci arrivare a questo punto. Dovete essere
fiera di ciò che siete, Georgiana, o quantomeno accettarvi. Nella nostra
società non possiamo permetterci di indugiare su noi stessi.»
«Io
ho sempre indugiato su me stessa.» Georgiana posò lo sguardo su Ann, gli occhi
le si velarono di tristezza «Sin da quando tutto questo è cominciato…»
La
ragazza sapeva che la sua storia non interessava affatto a Nathan e che egli non
le avrebbe mai proposto sfogarsi, eppure, in qualche strano modo, il silenzio
dell’uomo sembrava farle intendere che non c’era bisogno che fosse lui ad
invitarla a dar voce ai suoi pensieri, che poteva farlo da sola se lo voleva.
Lui avrebbe ascoltato, perché lui, volente o nolente, ascoltava sempre gli
altri e le loro emozioni, e la sua storia gli sarebbe scivolata addosso come i
sentimenti che giorno dopo giorno avvertiva.
Tratto
dunque un profondo sospiro, del quale in realtà non aveva affatto bisogno, fece
scorrere un fiume di parole che non avevano traccia di tristezza.
«Ero
figlia di un duca francese e di una duchessa inglese. Fui cresciuta tra le
agiatezze e non conobbi mai il male, almeno finché esso non si presentò ad un
ricevimento. Conobbi monsieur
Forster, che decise che ero adatta al ruolo di bambola. Così mi rapì, mi fece
diventare ciò che sono ora, mi portò in Inghilterra e mi diede una missione:
far finta di dover imparare l’inglese, così da imbucarmi a casa di Nathan
Metherlance.»
«Loro
sapevano che Annlisette era a casa mia…» la interruppe lui, sollevando lo
sguardo serio.
Lei
annuì, confermando così i suoi sospetti. C’era qualcosa che non tornava in
tutta quella storia, al di là del semplice dubbio su come gli Angeli avessero
scoperto la presenza di Ann; qualcosa non tornava affatto, ma a Nathan
mancavano troppe tessere per ricomporre il puzzle.
Il
messaggio umano ed il seguente killer potevano forse non essere collegati?
«Per
quale motivo avete cominciato questo viaggio, monsieur?»
Una
domanda che lo fece ridere sommessamente, dopo averlo distolto dai suoi
ragionamenti; alzò gli occhi al cielo buio e coperto di nuvole, ripercorrendo
mentalmente le tappe della sua esistenza. Quando sentì di essere pronto a
rispondere tornò a guardare la piccola Ann che riposava beatamente tra le sue braccia
«Per vendetta, direi. Siete delusa? Forse vi aspettavate uno scopo più alto da
uno come me?»
Al
suo fianco, sul volto di Georgiana si delineò un’espressione di delusione che
rimase visibile per pochi attimi, sparendo immediatamente dietro un’incurvatura
delle labbra che voleva somigliare ad un sorriso.
«Immagino
di sì.» ammise, mentre con un dito tracciava cerchi imprecisi sulla neve fredda
«Ma non credo che la vendetta sia da sottovalutare. È un sentimento abbastanza
forte da spingerci a perseguire caparbiamente i nostri obiettivi.»
Nathan
Metherlance doveva ammettere di essere colpito da quella ragazza, che si stava
rivelando più arguta di quanto immaginava. Nel suo nuovo modo di colloquiare in
un inglese più fluido e corretto, riusciva a dar voce a pensieri che fin ora
aveva taciuto. Lo aveva forse scambiato per un confidente?
Si
soffermò qualche secondo nello sfiorare la guancia destra della villica, con la
stessa delicatezza con cui avrebbe toccato una bambola. Le emozioni che Ann era
stata in grado di trasmettergli avevano fatto traballare la sua sicurezza nel
raggiungere quell’obiettivo che si era prefisso tempo addietro, e non sapeva se
questo fosse un bene o un male.
«Tuttavia…»
riprese parola «Credo di avere un obiettivo più alto, adesso.»
L’occhiata
curiosa che la francese gli indirizzò lo fece voltare.
«Ho
una promessa da onorare.» asserì, e in quelle parole impresse tutto il
sentimento di cui era capace.
Con
esse tutto si spense nel silenzio della foresta, nella quale quella notte non
riecheggiavano neanche gli ululati che tanto erano di casa su quelle montagne.
I lupi erano morti, gli Angeli li avevano sterminati tutti, o quasi.
«E
voi?»
Georgiana
alzò gli occhi, confusa da quella domanda inaspettata.
«Perché
avete accettato di iniziare questo viaggio?» specificò meglio Nathan, che forse
per la prima volta si stava davvero interessando a lei.
La
risposta non tardò, e fu pronunciata quasi con rassegnazione «Per trovare il
mio posto nel mondo.»
Era
una speranza comune a tutti quelli come loro, il tedesco lo sapeva; era
difficile accettare la propria condizione, lo sconvolgimento di tutto quello in
cui si era sempre creduto fermamente. Ma la verità, come troppo spesso accade,
era cruda ed insopprimibile.
«Non
esiste un posto per quelli come noi nel mondo degli umani, Georgiana.» le
spiegò pazientemente, ed ottenne tutta l’attenzione di lei per sé. Davanti agli
occhi, Nathan non ebbe più le lugubri cortecce percorse dal ghiaccio ed i
nodosi rami carichi di neve, vide piuttosto scene che gli ricordavano quanto il
mondo degli umani sapesse essere crudele e spietato, di quanto le emozioni che
lui odiava così fortemente fossero in grado di illudere e distruggere una
persona con facilità «Dobbiamo crearcelo nel nostro mondo, se vogliamo evitare
di impazzire.»
Georgiana,
la cui esperienza era sicuramente inferiore a quella del suo collega, non capì
il senso di quelle due frasi, ma le suonarono quasi come una condanna a morte
per chi, come lei, era debole.
I
primi rumori cominciarono ad udirsi dopo pochi minuti. Fino a quel momento
Georgiana e Nathan erano rimasti immobili, quasi fossero pezzi di paesaggio,
con le ginocchia affondate nella neve e gli sguardi spenti sul corpo immobile
di Annlisette, appoggiata al petto dell’uomo come se stesse dormendo.
Dalla
loro sinistra provenne dapprima un cupo suono di passi incerti, che si fece man
a mano sempre più vicino, finché dal buio non emersero due figure bardate di
nero.
Georgiana
si nascose immediatamente dietro Nathan, il quale invece si limitò a portare
una mano all’elsa di Selescinder, pronto ad estrarla in caso di attacco; tuttavia,
dai due misteriosi figuri non sentiva provenire alcun sentimento che lasciasse
ad intendere pericolo, per cui immaginò che si trattasse di alleati, e così fu.
Una
delle due sagome arrestò per prima l’avanzata, per poi posare delicatamente una
mano sul braccio dell’altra per farle capire che bisognava fermarsi. Da quel
gesto Nathan capì che erano Sogno e Damon. Da sotto il suo cappuccio, gli occhi
smeraldini della giovane donna vibrarono sui tre corpi morti che aveva davanti,
soffermandosi particolarmente a lungo su Ann, evidentemente intristita.
«Per un attimo…»
sospirò amaramente «Ho pensato che saremmo riusciti ad evitare un finale così
tragico.»
Damon sembrò
intendere l’accaduto dalle parole dell’amica, infatti arretrò di qualche passo
a capo chino, senza avere la forza di emettere un suono. Il suo pensiero
correva sicuramente a Krissy, a come due vite così lontane dal loro crudele
mondo fossero state spezzate senza pietà. Egli non era un sadico né una persona
che, come lo era invece Nathan, faceva ciò che reputava giusto senza rendere
conto all’etica comune; forse era proprio questa sua eccessiva fiducia nel
mondo ad aver rovinato lui e la piccola Scottfish.
Seguì un pesante
silenzio, che nessuno aveva il coraggio o la voglia di spezzare: Sogno non
staccava gli occhi dal corpo di Ann; così faceva anche Nathan, che aveva da
poco cominciato a passare lentamente le dita tra i capelli corvini della
ragazza; Georgiana tracciava piccole, immaginarie figure sulla neve, scorrendo
con le sue sottili dita che sembravano potersi spezzare da un momento
all’altro; Damon, inquieto, si era ermeticamente chiuso in se stesso e non
poteva fare a meno di chiedersi se davvero uno come lui poteva servire a
qualcosa in quel momento.
La sua scelta fu
quella di almeno tentare, per dimostrare a se stesso che non doveva buttarsi
via e che quell’udito fine che aveva sviluppato dopo aver perso la vista forse
poteva rendere un ultimo omaggio a Krissy.
Non sapeva come
muoversi, così azzardò qualche breve passo, cercando di raggiungere Nathan. I
suoi occhi erano chiusi, ma le orecchie spalancate; tuttavia era difficile
comprendere la posizione di qualcuno che non si muove e non respira nemmeno.
Con la guida di Sogno, che afferrò prontamente la sua mano e lo aiutò
nell’impresa, raggiunse il gruppo dei tre e si sedette sui talloni, immaginando
di avere il viso rivolto verso Nathan.
In realtà stava
guardando un punto indistinto alla sinistra di Georgiana.
«Poco fa, mentre
vi cercavamo, siamo passati abbastanza vicini all’accampamento dei Demoni.»
spiegò, con voce bassa e seria «Ho distintamente sentito qualcuno parlare di un
attacco per radere al suolo Hidel. Non so se però a dirlo sia stato uno dei
nostri o uno di loro, c’erano ancora parecchi Angeli lì, a fare prigionieri.»
«Te l’ho già
detto, devi aver capito male, Damon! Non ha senso!» lo interruppe Sogno,
contrariata. Cercò l’approvazione degli altri due presenti, lanciando occhiate
poco convinte «Sono stati decimati, abbiamo vinto! Non possono uscire dal loro
accampamento senza il nostro permesso!»
«Il permesso di
chi?» si intromise Georgiana in tutta la sua pacatezza «Chi c’è sul campo?»
Sogno non capì
subito dove la francese volesse arrivare, così roteò gli occhi e li sollevò poi
al cielo, mentre ticchettava con un dito sul mantello di Nathan. Ricordava
nitidamente una parte di truppa tornare alla base degli Angeli, ma chi?
Damon le venne
incontro, evidentemente ricordava anche questo «Le truppe di Marcus sono
tornate con i feriti. Sul luogo c’erano solo i soldati di Jen. Erano pochi,
però, stando a quello che hai detto, Sogno.»
La ragazza
schioccò le dita ed annuì, regalando a Damon un sorriso d’approvazione che lui
non avrebbe mai visto «Sì, hai ragione! Erano davvero pochi, una decina o una
ventina. Lì per lì non vi ho prestato attenzione, eravamo di corsa. E poi, beh,
c’era Jen, quindi non abbiamo niente di cui preoccuparci, no?»
No, forse c’era
davvero di che preoccuparsi.
In quell’attimo,
tutto nella mente di Nathan sembrò rivoltarsi: ogni pezzo del puzzle rigettò il
suo posto, andando spontaneamente ad incastrarsi in un altro, a formare un
disegno meno complesso del precedente, ma più chiaro e più inquietante.
Un’espressione irrequieta si fece strada sul suo viso, quindi si voltò verso
Georgiana, l’unica che sicuramente aveva compreso i suoi pensieri.
Lei ricambiò lo
sguardo, con crescente preoccupazione.
Sogno, intanto,
pose nuovamente quella domanda, che improvvisamente le sembrava più pesante del
previsto «… No?»
Dopo un attimo di
silenzio, il tedesco allontanò il corpo di Ann dal proprio e lo affidò alle
cure di Sogno, senza darle il tempo di replicare.
«Devo andare a
Hidel, subito.» disse con fermezza, mettendosi poi in piedi con uno scatto
fulmineo. La gamba che poco prima Joshua gli aveva paralizzato traballò un
attimo, ma riuscì a rimettersi in equilibrio velocemente.
«Vengo con voi!»
esclamò quindi Georgiana, che già inciampava neanche il tempo di tirarsi su.
«No.» le fu
vietato, e due gelidi occhi azzurri la fecero desistere «Mi serve solo che più
tardi voi siate dalla mia parte.»
Sogno e Damon non
afferrarono il senso di quella frase, ma sembrò che Georgiana comprendesse fin
troppo bene, tanto che, dopo qualche attimo di silenzio, annuì penosamente.
L’uomo non ebbe infine
la cortesia di spiegare a nessuno dei presenti che cosa stava andando a fare,
se aveva intenzione di commettere una follia e combattere da solo contro chissà
quanti nemici pur di proteggere Hidel, o anche solo il motivo per cui li stava
lasciando lì, il motivo per cui stava abbandonando
Ann. Mentre si allontanava nel folto della foresta, Nathan si rendeva conto
che ciò che stava per fare andava contro tutte le sue convinzioni, i suoi modi
di fare e di pensare, ma era deciso a portare a termine l’obiettivo che si era
prefisso: avvertire la gente di Hidel di ciò che a breve sarebbe arrivato,
dell’orda demoniaca che voleva mettere fine alla loro esistenza per
impossessarsi della Kharlan.
Non lo faceva per
puro altruismo, bensì perché aveva capito tutto.
Aveva capito chi
era la mente criminale dietro quel continuo complottare durato due anni, chi
aveva dato gli ordini che fino a quel momento erano stati attribuiti ad un
altro, chi aveva assoldato il killer di Terren.
Chi era
responsabile della morte di Annlisette Nevue e Krissy Scottfish.
E chi si era
impunemente preso gioco di lui.
Era da un sacco di
tempo che Nathan non vedeva Hidel; ritrovarsi davanti a quei tetti innevati,
tutti uguali e così sparpagliati e sporadici, chiusi all’interno dei confini di
legno che dividevano il villaggio dal mondo, gli fece ricordare la prima volta
che, due anni addietro, era giunto lì.
Non era mai
riuscito ad ambientarsi veramente, anche se i villici erano tutti affabili e
molto gentili con lui; c’era qualcosa che però non quadrava mai, che non aveva
niente a che fare con la sua natura non umana e che gli aveva sempre fatto
pensare di non essere veramente ben voluto.
Egli non era mai
stato parte di Hidel, sebbene avesse abitato in quel villaggio per più di un
anno.
A grandi falcate
raggiunse l’ingresso, l’unica parte di tutto il paesino che non era delimitata
da un alto e potente recinto di legno.
“Ho fatto molte
cose considerate folli durante la mia vita. Ma presentarmi qui dopo due anni,
da solo quando dovrei essere con Ann, a piedi, adducendo assurdità su mostri
vari davanti ad umani ignari della nostra esistenza, per provare a farli
scappare… direi proprio che questa volta mi sono superato” ragionò, prima di
inspirare profondamente e gettare fuori tutta l’aria che aveva nei polmoni.
Non era un gesto
che gli serviva per sopravvivere, piuttosto un’abitudine che non aveva mai
voluto abbandonare, poiché aveva la capacità di calmarlo quando si sentiva
ansioso. E in quel momento, oh, l’ansia se lo stava mangiando vivo.
Dall’interno, il
villaggio appariva vuoto, come sempre; era ancora troppo presto per vedere
qualcuno in giro, anche se l’uomo trovava improbabile che i villici non fossero
stati svegliati dai rumori della battaglia. Immaginava che fossero tutti chiusi
in casa a doppia mandata, armati fino ai denti.
Accompagnato
solamente dal suono prodotto dai propri passi sulla neve, Nathan si diresse
speditamente verso casa Nevue. Sarebbero stati loro i primi a sapere del
pericolo, così aveva deciso. Non intendeva rimanere in quel villaggio più del
dovuto, poiché era sua intenzione evitare ad ogni costo di essere non solo
investito nuovamente da emozioni non sue, ma anche perché era logico che, una
volta saputa la verità, quella gente gli si sarebbe sicuramente rivoltata
contro.
A vederle ora, le
piccole stradine e le case di Hidel non gli trasmettevano più quel calore che
invece sembravano emanare un tempo: tutto gli era estraneo, ora sentiva di
essere veramente lo straniero.
Lungo il sentiero
non incontrò nessuno né sentì di essere osservato, purtuttavia non riuscì a
raggiungere la destinazione senza lanciare di tanto in tanto occhiate
sospettose a ciò che lo circondava. Del resto si aspettava che il popolo del
suono facesse irruzione da un momento all’altro, e se si fosse trovato da solo
contro più di uno di loro… beh, sarebbe semplicemente stato spacciato.
Quando, infine, i
suoi occhi si poggiarono su quell’abitazione che conosceva meglio delle altre,
avvertì improvvisamente il peso di ciò che stava per fare: gli umani non
dovevano venire a conoscenza della loro esistenza, sebbene molti ne fossero già
convinti per i fatti propri, e lui stava andando a spezzare un tabù inopinabile
da chissà quanto tempo. Ovviamente, molti prima di lui avevano già provato a
farlo, alcuni ci erano anche riusciti, ma era stato messo tutto a tacere con le
buone o con le cattive. Sarebbe finita male anche quella storia? Sì, ne era
convinto, ma la sua scelta l’aveva già fatta.
«Sir… Metherlance?»
Un moto di
curiosità mista a paura raggiunse Nathan ancor prima di quelle parole,
mormorate con poca convinzione da una voce maschile alle sue spalle. Il tedesco
trasse l’ennesimo inutile respiro, quindi si voltò, ritrovandosi davanti a sir Baaker, un padre di famiglia sulla cinquantina, dal viso
scavato e le occhiaie profonde, nere quanto i suoi pochi capelli. Era in piedi,
immobile come una statua poco lontano dalla porta di casa, con la mano stretta
vigorosamente attorno al manico in legno della grande ascia che portava con sé.
L’uomo aggrottò la
fronte, confuso dall’ingiustificata presenza dello straniero: che cosa ci
faceva lì?
«Siete tornato?»
azzardò, scendendo con lentezza le scale in pietra, rese bianche dalla neve.
Nathan non si
mosse dalla sua posizione, ma annuì piano e con un placido sorriso «Sì, ma sono
solo di passaggio.»
«Abbiamo sentito
dei rumori spaventosi, stanotte…» cominciò l’uomo, senza dargli tempo di
parlare più del necessario. Sul suo volto traspariva una profonda
preoccupazione «È accaduto qualcosa di terribile, vero?»
Il tedesco avrebbe
quasi voluto riderne: quelle persone ormai davano per scontato che lui sapesse
tutto, o che fosse perlomeno coinvolto in ciò che non capivano; nonostante
fossero deboli ed ignoranti ma avevano un intuito invidiabile.
«Sì.» non negò,
mentre il suo sorriso si incurvava verso il basso «Vi prego di svegliare vostra
moglie ed i vostri figli, poi i vicini e il sindaco, messere. Al più presto.
Non abbiamo più tempo.»
Il signor Baaker fece come Nathan gli aveva chiesto, e così in pochi
minuti metà villaggio fu svegliato e si incamminò per svegliare anche la metà
restante. Alla fine non aveva molta importanza che fossero o no i Nevue i primi
a sapere del pericolo: ciò che contava era che anche loro prendessero parte all’assemblea,
e così fu.
Si erano riuniti
nel grande spiazzo centrale del villaggio, verso ovest, a metà strada tra la
sala maestra e la chiesa. Rivedere tutti quei volti fece notare a Nathan che
non ricordava le fattezze di molti di loro, o che di alcuni si era quasi
dimenticato del tutto.
Infreddoliti ed
intorpiditi dal sonno, uomini, donne e addirittura qualche bambino creavano un
semicerchio attorno a lui, stretti gli uni con gli altri come se stessero
cercando di trasmettere al prossimo il calore del proprio cappotto; le loro
espressioni erano dominate dall’ansia e dalla confusione, ma non mancava chi
non era stato affatto felice di svegliarsi così presto, né chi, come i più
piccoli, si lagnava per tornare in casa. Tra gli ultimi a giungere vi furono i
Nevue, che non appena videro Nathan gli si avvicinarono per chiedere
concitatamente dove fosse Ann.
«È al sicuro.» li
rassicurò lo straniero, fermo nella voce «Nell’unico posto sicuro che conosco.»
«E dove si trova
questo posto sicuro? È da sola?» continuò Lazarus, che a stento riusciva a non
alzare la voce.
Dietro di lui,
Elizabeth tentava di trattenerlo per un braccio e farlo ragionare. Gabriel e la
sua novella sposa giunsero subito dopo, ed il ragazzo diede immediatamente
manforte al padre.
«Per favore, state
calmi!» sbottò alla fine il tedesco, visibilmente irritato «Vi ho detto e
ripetuto che Annlisette è al sicuro! Non sarei qui se non fossi certo di ciò
che dico!»
«Vi crediamo…» Elizabeth si frappose tra il giovane ed il
marito, spingendo quest’ultimo indietro, quindi si voltò con occhi
supplichevoli «Vi crediamo, messere. Ma quel che è successo stanotte…»
«È proprio per
questo che sono qui. E vi ripeto, madame, Annlisette ora è assolutamente
intoccabile per chiunque.»
Lui la interruppe,
il primo gesto maleducato che Elizabeth gli vide fare da quando si conoscevano,
ma che le fece capire quanto fosse urgente archiviare l’argomento e passare al
motivo per cui egli si trovava a Hidel. A
quel punto la famiglia si ritirò, sebbene Lazarus e Gabriel fossero ancora
evidentemente sospettosi e pronti a scattare, e Nathan poté allontanarsi di
qualche passo, in modo che la sua visuale fosse più ampia e gli permettesse di
vedere con chiarezza tutti i presenti.
Quante emozioni si
sentiva scorrere addosso in quel momento? Era così difficile lasciare che scivolassero
via senza imporsi sul suo animo, ormai privo di esse.
Prima che si
stabilisse il silenzio, alcuni ebbero la gentilezza di chiedergli come stava,
come mai era ferito – la maggior parte dei segni lasciati dallo scontro con
Joshua era scomparsa, ma alcuni ancora resistevano. Rispose cortesemente a
tutti, ma quando gli fu posta la fatidica domanda su cosa fosse accaduto quella
notte, pretese il silenzio ed attese solennemente finché non lo ebbe.
«Ciò che mi
chiedete è legato alla mia presenza qui, oggi.» esordì, passando a rassegna con
gli occhi tutti i presenti «Non ricorrerò a giri di parole, signori: siete
tutti in estremo pericolo di vita.»
A dir la verità,
l’uomo si sarebbe aspettato che almeno uno dei villici si lasciasse scappare un
gemito, una risata di scherno, un’esclamazione; quello che seguì fu invece un
pesante ed ostile silenzio, accompagnato dall’irrigidirsi delle espressioni di
ciascuno. Sembrava essere calato un velo di muto terrore, gelido quanto la neve
che ricominciava a cadere in grandi fiocchi lenti.
«Molti di voi non crederanno ad una sola parola
di ciò che sto per dire…» riprese il biondo, con un flebile sorriso sulle labbra sottili, che
però svanì dopo poco «Non pretendo che lo facciate e non vi darò alcuna prova. Non intendo
urtare me stesso per voi.»
Dunque cominciò il
suo discorso, quello che avrebbe dovuto tenere segreto ma che ora gli premeva
dentro il petto con forza; ad ogni parola nuova non sentiva tuttavia alcun sollievo:
il rivelare la verità a quella gente, buttando così la maschera della bugia,
gli era ininfluente. Questa, pensò, era solo l’ennesima prova di quanto poco
gli importasse di quelle persone, rifletté.
Iniziò illustrando
loro la storia, partendo dalla Kharlan, arma misteriosa da sempre in possesso
di un gruppo di uomini particolari che si era trasferito in quel territorio da
tempo immemorabile, facendone la propria casa ed il proprio regno. Quando la
guerra allora in corso terminò, l’arma venne seppellita dai vincitori, in modo
che nessuno avrebbe mai più potuto sfruttare i suoi immensi poteri. Il tempo
passò, ed in quel luogo giunse un gruppo di umani – usò proprio la parola umani, senza timore che gli venissero
già rivolte le prime occhiate già stranite per quella bizzarra scelta lessicale
– che decise di stabilirvisi, creando il villaggio di Hidel; cominciò così una
convivenza segreta tra i villici ed i guardiani di questi luoghi, nascosti tra
le cime dei monti dove nessuno osava avventurarsi.
«E due anni fa
siamo arrivati noi, per voi.»
Ecco, adesso
Nathan notava che qualcuno cominciava ad avere domande, probabilmente perché
quel discorso, per quanto lineare e coerente, rimaneva oscuro in molti punti;
fece segno con una mano di portare pazienza fino alla fine del suo racconto,
riprendendo poi a parlare.
«Volendo chiarirvi
la nostra posizione, noi siamo l’alfa e loro l’omega.» paragone stupido, si
rimproverò, cosa potevano saperne quei mercanti di che cosa fossero l’alfa e
l’omega?
Incrociò le
braccia al petto, risolvendo l’errore «Siamo nemici naturali. Ci giunsero
all’epoca voci: si diceva che volessero riprendersi l’arma, ma che per farlo
sarebbero dovuti entrare in contatto con voi villici, e questo è assolutamente
vietato nella nostra società. Sarebbero stati costretti a uccidervi,
probabilmente.»
Ogni volontà di
interromperlo sembrò sparire dai visi dei suoi ascoltatori: ora volevano sapere
come andava a finire la storia, e pretendevano un lieto fine. Lo poteva leggere
persino nei volti dei bambini spaventati, bianchi come cenci.
«Il nome in codice
assegnatoci per questa operazione è “Angeli”: il nostro compito era intavolare
delle trattative di pace che convincessero quei selvaggi che non avevamo alcuna
intenzione di rubare i loro territori, e che quindi la Kharlan poteva rimanere
al suo posto. Il mondo umano non avrebbe mai dovuto venire a conoscenza della
nostra esistenza, per nessun motivo. Io, come potete capire, sto infrangendo la
più tassativa delle nostre leggi per mettervi all’erta.»
A questo punto,
catturata con gli occhi una cassa distante pochi passi, vi si sedette sopra con
un movimento lento. La gamba che Joshua gli aveva paralizzato durante lo
scontro sembrava aver bisogno di riposo, gli tremava leggermente e più volte
aveva minacciato di tradirlo.
“Maledetto cane…”
pensò con una smorfia, prima di riprendere a parlare.
«A me venne dato
il ruolo di ‘supervisore’: avrei dovuto infiltrarmi tra di voi ed evitare che
vi venisse fatto del male o che incappaste in situazioni pericolose.» bugia, il
suo ruolo era quello di spiarli, ma non poteva permettersi di usare parole così
schiette davanti ad una folla di persone che avrebbe potuto ucciderlo «E così
ho fatto fino alla fine delle trattative, poi fummo costretti ad andarcene:
tutto sembrava risolto per il meglio.»
La tensione
aumentava visibilmente, Nathan non credeva di aver mai visto quelle persone
così assetate di sapere. Così accennò velocemente al fatto di Korlea, il messaggio umano, che aveva implicitamente
dichiarato loro guerra: i loro nemici avevano scoperto il punto preciso in cui
era seppellita la Kharlan ed intendevano riesumarla, probabilmente per sete di
potere o per paura di essere attaccati all’improvviso.
Del resto era noto
come loro, la stirpe a cui appartenevano gli Angeli, fossero ben altro che
leali.
Così, raccontò,
erano tornati lì in fretta e furia per evitare che Hidel venisse attaccato;
stette molto attento a non accennare al rapimento di Annlisette, usata come
ostaggio. Spiegò che i rumori uditi quella notte erano quelli della battaglia
infuriata sulle montagne e vinta dagli Angeli.
Fu quando si fermò
un attimo per lanciare uno sguardo ai monti, preso dall’ansia di poter scorgere
i suoi nemici in corsa verso Hidel, che una voce, la prima, ebbe il coraggio di
interromperlo.
«Dov’è mia
sorella?»
Non avrebbe mai attribuito
quel tono spaventato a Gabriel Nevue, ma il ragazzo, pallido e stretto alla sua
fidanzata più terrorizzata di lui, appariva più preoccupato per sua sorella che
per se stesso.
Il tedesco poteva
ora dargli una spiegazione più esauriente, e, con uno sguardo intenso, affermò
«Non è rimasta coinvolta nella battaglia, mi sono premurato di metterla al
sicuro. Nel periodo passato a Terren non è venuta in contatto con nessuno di
noi, anche se è stato impossibile non farle notare i movimenti degli ultimi giorni.
Capirete che non ho potuto permetterle di tornare a Hidel, visto il pericolo.
In questo momento è con la mia assistente e due amici, nell’accampamento degli
Angeli. Lì nessuno potrà torcerle un capello, il nostro compito è proteggervi.»
Un mucchio di
bugie, ne era consapevole, ma non poteva certo rivelare come stavano veramente
le cose per motivi logici. Aveva presentato gli Angeli come protettori, non
poteva dir loro che in realtà il Tribunale Nero aveva dato ordine di non
toccare i cittadini di Hidel per pura prevenzione: se la situazione fosse
scappata loro di mano avrebbero dovuto ricorrere alle maniere forti, ed una
sparizione di massa era difficile da giustificare agli occhi del mondo umano.
La famiglia Nevue
sembrò aver abboccato pienamente, cosa che rincuorò il biondo e lo convinse a
pronunciare quelle ultime parole, pesanti come macigni.
«Tuttavia,
qualcosa è andato storto.» disse, e sui volti di tutti riemerse un’ansia
divorante «Non sono a conoscenza dei dettagli, sono corso qui appena ho saputo
che i nostri nemici si sono messi in marcia verso di voi. Hanno in qualche modo
aggirato i miei colleghi ed ora intendono impossessarsi della Kharlan: è la
loro ultima possibilità. Non si faranno scrupoli ad eliminare chiunque
troveranno sul loro cammino. Sarà una strage.»
Nessuno ebbe il
coraggio di replicare, tutti erano troppo schiacciati dalla paura; cominciarono
a guardarsi l’un l’altro, come sperando che qualcuno avesse le risposte o
semplicemente potesse dir loro cosa fare. Fortunatamente, il panico non si
scatenò, eppure ciò apparve anomalo agli occhi di Nathan, che conosceva il famoso
sangue freddo inglese ma che non pensava si spingesse fino a livelli simili.
«… Dovete
scappare.» provò a dar loro un incentivo, meravigliandosi di quanto persino la
sua voce sembrasse poco convinta di quello che aveva appena detto.
Qualche leggero
brusio si levò allora, ma nessuno accennava a muoversi.
Nathan era rimasto
basito, quasi non sapeva come comportarsi.
“Aspettano forse
che li porti via uno ad uno?” alzò un sopracciglio, per poi mettersi in piedi.
Affondò con le suole nella neve fresca, che nel frattempo continuava a cadere
senza sosta.
Dopo qualche attimo,
si fece strada tra i presenti un uomo che lo straniero conosceva bene: il capo
villaggio, colui che aveva presenziato alla gara di cucina molto tempo prima e
con cui aveva avuto modo di parlare poche volte durante la sua permanenza a
Hidel.
Gli sguardi dei
villici si fecero più sollevati: evidentemente aspettavano il suo arrivo per
lasciare a lui il compito di scegliere il loro destino. Egli aveva sul volto
un’espressione molto composta e seria, non sembrava avere intenzione di cedere
al panico, sebbene i suoi occhi tradissero una sorta di insicurezza interiore.
Era il minimo, considerando il peso che si portava sulle spalle.
Si fermò davanti
al tedesco, estrasse dalle tasche del pesante cappotto le mani possenti e
ricoperte di calli e le abbandonò lungo il corpo, infine chinò il capo, in
segno di ringraziamento «Grazie per averci avvertiti.»
“… Tutto qui?” non
poté fare a meno di pensare Nathan tra sé e sé, senza saper più come
comportarsi; tutt’un tratto quella gente che aveva sempre considerato semplice
e poco interessante gli era assolutamente incomprensibile. Come per riflesso,
infilò le mani gelide nelle tasche del mantello, ricambiando con un cenno del
capo.
Il vecchio uomo
dovette notare la sua disapprovazione, poiché, fatto scorrere lo sguardo stanco
ma determinato sui volti dei suoi collaboratori, tra cui lo stesso messere
Nevue, come per cercare conferma da loro, inchiodò Nathan con un’occhiata
profonda.
«Ma noi non
andremo via.» decretò.
Allo straniero
quella decisione sembrò a dir poco assurda, senza alcuna spiegazione logica.
Senza dar voce ai suoi pensieri, si chiese in che modo quel povero vecchio
avesse intenzione di proteggere la vita dei bambini e delle donne di Hidel, se
forse non avesse preso sul serio le sue parole o avesse sottovalutato la
potenza dei loro nemici. Eppure, nessuno sembrava credere che Nathan avesse
raccontato loro un mucchio di frottole, forse perché in quel villaggio normale
essere superstiziosi, anzi, era strano non esserlo, Ann se n’era lamentata
parecchie volte in passato.
Gettò uno sguardo
sui presenti, alla ricerca di qualcuno che sembrasse più assennato del sindaco,
ma l’unica cosa che notò fu che molte donne e tutti i bambini erano scomparsi;
probabilmente si erano rifugiati nelle casa.
«È per la
maledizione?» azzardò allora, trovandolo il pensiero più logico: la maledizione
di Hidel voleva che chiunque uscisse dal villaggio per non farvi più ritorno
morisse in breve tempo.
«Oh, no, no…» declinò
l’altro, con il sorriso di un padre che cerca di spiegare una cosa elementare
al figlio ingenuo.
Dietro di lui,
Nathan notò che alcuni presenti cominciavano ad annuire a quelle parole, a
volte cercando approvazione negli occhi degli altri. E trovandola.
In realtà lo
straniero aveva intenzione di rimanere a Hidel il minimo indispensabile, ma
doveva ammettere di essere percorso da grande curiosità davanti a quello
stranissimo comportamento.
Il capo villaggio
parve avvedersi dei suoi dubbi, quindi, con fare fermo e responsabile, dapprima
ordinò ad una decina di uomini di dirigersi al capannone delle provviste per
recuperare ogni arma disponibile, poi disciolse l’assemblea, intimando a tutti
di prepararsi al peggio e farsi coraggio, infine tornò a dedicarsi al tedesco.
Gli mise con garbo una mano sulla spalla, con un sorriso bonario sul volto
canuto.
«È perché questa è
la nostra casa. E la casa è il luogo del cuore.»
Se Nathan non
avesse vissuto come un vagabondo per gran parte della sua vita, rimpiangendo
amaramente la casa che aveva perduto e la sua piccola famiglia, probabilmente
quelle parole gli sarebbero state oscure, o peggio, ermetiche. La verità invece
gli si presentava davanti molto semplicemente, ma ora si chiedeva: anche gli
umani, nella loro bassa semplicità, erano pronti ad un sacrificio simile? Loro,
che da sempre tradivano anche se stessi?
«E se uno
attaccherà la nostra casa… risponderemo in due. Se in tre, noi risponderemo in
sei. Se in quattro, in otto. Se in cinque, in dieci. Se cento attaccheranno la
nostra casa, tutto il villaggio si alzerà.»
Il supervisore
allora non poté fare a meno di far scorrere lo sguardo su quelle persone che
probabilmente vedeva per l’ultima volta: erano tutti così indaffarati, presi
dall’aiutarsi a vicenda per preparare una difesa, che sembravano persino
essersi dimenticati di lui. Messere Nevue, poco lontano da loro, ignorava la
neve che gli intralciava il passaggio e dava ordini per parare una rozza linea
di difesa; notò suo figlio, assieme a molti altri giovani, che, trascinando una
slitta piena di fucili, distribuivano armi a chi sapeva usarle; le donne si
erano invece raccolte in un angolo, a preparare bende, medicazioni e tutto ciò
che potesse servire per un pronto soccorso.
La sua mente, per
qualche motivo, balenò al signor Scottfish, che aveva perso sua figlia da
pochissimo, e che ormai sicuramente aveva capito che la sua disperazione doveva
essere la forza che gli avrebbe permesso di combattere la prossima battaglia.
Ricordò la povera signora Hurst, una delle poche
persone che erano state in grado di fargli provar pena da quando era diventato
ciò che era, e fu sicuro che il suo ricordo avrebbe spinto i coniugi Clokie a dare se stessi per proteggere la giovane Doralice.
Poteva capire la
loro determinazione, il desiderio di vendicare i morti e di sopravvivere, ma
non riusciva proprio a capire la solidarietà. D’un tratto, gli tornò in mente
quella volta nella foresta, quando si era lamentato con Ann di essere sempre
stato considerato solo “lo straniero”, nonostante abitasse a Hidel da un anno.
“È perché non
capisco il senso di solidarietà che hanno gli uni verso gli altri. Ed è perché
non lo capisco che non sono mai stato parte di questo villaggio, ma soltanto lo straniero.”
Adesso gli era
molto chiaro, lo aveva finalmente compreso.
Nathan sapeva che
cosa si provasse ad andare incontro a morte certa, ma, mentre lui si era subito
arreso all’evidenza dei fatti e non aveva lottato, quelle persone tentavano di
alimentare la piccola fiamma della speranza con tutti i mezzi che avevano.
Illusi, li avrebbe chiamati lui normalmente, e forse gli avrebbero pure
strappato un’espressione compassionevole, ma in quel momento l’unica cosa che
gli sembrò giusto dire fu un semplice «Buona fortuna.»
E non volle
rimanere lì un minuto di più, né sentirsi ringraziato per averli avvertiti del
pericolo che a breve li avrebbe spazzati via.
Il loro destino lo
avevano scelto da soli, e quando il supervisore varcò per l’ultima volta le
porte di Hidel, diede silenziosamente il suo addio a quelle persone, coraggiose
o pazze che fossero.
L’accampamento
degli Angeli sembrava crogiolarsi in una quiete a lungo cercata; la battaglia
aveva lasciato segni visibilissimi, sia attraverso la scia di sangue dei feriti,
sia attraverso l’angolo in cui erano stati ammassati tutti i cadaveri, ai
confini del campo, dove presto sarebbero stati dati alle fiamme.
Tra i presenti si
potevano contare le espressioni più disparate: c’era chi gioiva di essere
sopravvissuto e brindava alla vittoria, c’era invece chi, distrutto sia
fisicamente che psicologicamente, voleva essere lasciato in pace nella sua
tenda a godersi un po’ di sano riposo.
Jen era tornata
assieme ad Adam Forster per parlare con Marcus e tirare un sospiro di sollievo
per l’ottima riuscita dal piano, e adesso erano, come sempre, riuniti nella
grande tenda nera del Consiglio.
Fu quando un
nucleo del tutto inaspettato fece il suo ingresso senza troppi complimenti che
calò il silenzio. Pian piano, gli sguardi dei presenti si posarono
silenziosamente su quel piccolo gruppo che avanzava a grandi passi nella neve,
al centro della strada lasciata libera. A capo c’era Nathan Metherlance, che
tra le braccia teneva una ragazza inerme, apparentemente morta; lo seguiva Georgiana
Varens, quella matricola unitasi da poco e
terribilmente silenziosa, troppo timida persino per scambiare quattro
chiacchiere con qualcuno; infine, a chiudere il gruppo, dei totalmente
inaspettati Damon e Sogno Darkmoon, la seconda teneva
il primo sottobraccio, guidandolo come se non potesse vederci.
Tutti e quattro
portavano sul viso delle espressioni a dir poco funeree, tanto da far credere
agli Angeli presenti che portassero cattive notizie. Cominciarono a scambiarsi
occhiate piene di dubbi, trovando però solamente espressioni altrettanto
confuse. Qualcuno si mise in piedi, senza però provare ad avvicinarsi, altri
ripresero a fare ciò che stavano facendo, forse per ignorare quegli elementi di
disturbo che non promettevano buone nuove.
Il clima, se
possibile, si stava facendo ancora più freddo del solito, e a sottolinearlo
c’era anche il cielo coperto da nubi nere ed il rombare lontano di qualche
fulmine.
«Dobbiamo parlare
con Marcus e Jen!» annunciò a gran voce Nathan quando tutti e quattro si fermarono,
coi piedi ben piazzati nella neve. Come a dire: nessuno ci smuoverà di qui
finché non avremo ciò che vogliamo.
La sua voce
riecheggiò un paio di volte, sicuramente giungendo alle orecchie dei
desiderati, poiché la loro tenda si trovava circa sei metri più avanti.
Nessuno, tuttavia, aveva il potere di scomodare i generali, per cui dovettero
attendere finché non furono essi stessi ad apparire in tutta la loro
maestosità, ancora con indosso le armature. I due, fedelmente seguiti
dall’ombra di Adam Forster, uscirono dalla tenda con espressioni diverse: lei
con uno splendido sorriso sul volto stanco ma soddisfatto, lui accigliato ed
impenetrabile, com’era di natura.
«Georgiana e
Nathan!» esclamò la donna, muovendo già qualche passo verso di loro «Vedo che
avete eseguito il vostro incarico. Ottimo lavoro!»
«Dubitavate di
noi, mia signora?» sorrise Nathan, con un sorriso che sembrava più una smorfia,
mentre allungava le braccia in avanti per lasciar cadere il corpo della ragazza
mora sulla neve, con un tonfo.
«Ma la presenza di
Damon e So-…» stava dicendo la donna in quel frangente, ma si interruppe
davanti a quel gesto.
Davanti allo
sguardo sorpreso di lei e di Adam Forster, il tedesco non sembrò nemmeno
rammaricarsi per come aveva trattato quel cadavere, né sembrava avere
intenzione di riprenderlo in mano.
In effetti, dietro
di lui, anche Georgiana e Sogno rimasero profondamente stupite da quel gesto
così meschino, Damon invece poteva solo immaginarlo. Nel frattempo, il tedesco
continuava a sorridere sornione.
«Tutto procede
esattamente secondo i vostri piani. Presto Hidel non sarà che un vago ricordo
nella nostra mente ed un cumulo di macerie.»
Piombò un silenzio
di tomba. Tutti quelli che fino a quel momento si erano sforzati di ignorare il
gruppo appena giunto non poterono fare a meno di bloccare qualsiasi cosa
stessero facendo; lentamente, tutti gli sguardi si poggiarono quel losco Angelo
che stava impunemente affermando che il loro comandante, Jen, quella in cui
tutti credevano, quella che tutti preferivano a Marcus, avesse deciso di andare
contro gli ordini del Tribunale Nero e radere al suolo Hidel.
Era troppo
assurdo. Che diavolo andava blaterando quel Metherlance?
Persino la donna
rimase con un sorriso pacifico in volto, come congelata da quella doccia
fredda. Dietro di lei, Adam Forster sgranò gli occhi, poi li assottigliò per
fulminare Nathan.
«Cosa?!»
L’unico che
riuscì a spezzare il silenzio fu Marcus,
che si fece avanti per frapporsi tra Jen e il gruppo appena soggiunto. Il suo
volto, già normalmente grave, appariva decisamente furioso. Si rivolse
rabbiosamente al biondo, colui che osava accusare così platealmente un generale
di tutto rispetto «Che storia è questa, Metherlance?»
La sottintesa
sfida venne accolta di buon grado da Nathan, che rispose serenamente, limando
però il tono provocatorio usato fino a quel momento «Una storia molto
interessante, generale. Se mi è concesso, la racconterò con dovizia di
dettagli.»
Quante volte aveva
raccontato quella storia fino a quel giorno? Cominciò ad esporre i fatti del
suo primo periodo di permanenza a Hidel, sentendo gli occhi di tutti puntati
addosso. Immaginò che stessero aspettando quella parola che avrebbe avuto il
potere di tradirlo o di distruggere tutte le loro convinzioni; la tensione si
respirava.
Parlò di coloro
che erano misteriosamente scomparsi, nomi che in effetti Marcus e Jen
conoscevano già, grazie ai suoi rapporti e alle azioni di spionaggio degli
altri membri del gruppo.
«In tutto
avvennero cinque sparizioni, delle quali fu incolpato il popolo del suono.» affermò
il tedesco, spostando lo sguardo da Marcus a Jen, che lo fissava
imperscrutabile «O almeno così affermaste nell’ultima riunione che tenemmo
prima di lasciare Hidel.»
«E questo ti basta
a…» cominciò la donna, sollevò un sopracciglio e gli scoccò un’occhiata truce.
«Ovviamente no.»
Nathan scosse il capo «Ma è un passo necessario per arrivare alla conclusione.
In effetti… le sparizioni in quel periodo furono
sei.»
A quel punto
cominciarono a levarsi i primi mormorii agitati: tutti sapevano delle cinque
sparizioni di Hidel, ma nessuno sapeva della sesta. O almeno, così credevano.
«Herny Karl, signore.» specificò il supervisore, come se
fosse stata una cosa ovvio.
Sul volto del
vecchio generale passarono un’infinità di espressioni: dalla sorpresa alla
confusione, dalla rabbia al sospetto. Portò con esagerata lentezza una mano al
fianco, dal quale pendeva il fodero della spada, un chiaro segnale del suo
stentato trattenersi dallo staccare la testa a quell’insolente Metherlance. Se
solo avesse osato metterlo in imbarazzo davanti ai suoi sottoposti…
«Sì.» si sforzò di
essere diplomatico, ed annuì a quelle parole «Il mio consigliere. Sparito due
anni fa.»
«Il quale
collaborava a sua volta con voi, mia signora.» il biondo tornò a guardare
nuovamente Jen «Almeno finché non ha capito che il vostro piano prevedeva
effettivamente di scatenare una guerra contro il popolo del suono, che, raso al
suolo Hidel, avrebbe portato alla luce la Kharlan, con la quale, una volta
trafugata, sarebbe stato facile imporsi sul nostro generale… ma che dico, sul
Tribunale Nero stesso!»
Calò un silenzio
terribile.
Sin da quando era
arrivato, Nathan Metherlance aveva dimostrato di essere una persona
carismatica, e, forte della sua arte di convincimento, al momento mantenuta su
bassi livelli però, per evitare l’ira di Marcus, stava mettendo a dura prova la
saldissima convinzione comune che fosse Marcus quello da cui guardarsi, e non
la gentile e buona Jen.
In quello stato di
quiete, rotto solo dal soffio del vento tra le fronde, Nathan sorrise
candidamente alla donna «Davvero un magnifico piano. Quando Henry Karl vi ha
tradita, ha cercato di fuggire a casa mia, pensando che Hidel fosse l’unico
luogo dove sarebbe stato salvo. Ma quando sono tornato l’ho trovato ucciso, e,
scioccamente, ho avvertito immediatamente voi. Immagino sia stato messere
Forster a finirlo prima del mio ritorno, correggetemi se sbaglio.»
Dietro di loro, la
persona chiamata in causa era rimasta nell’ombra, e quando il suo sguardo
incontrò quello indagatore di Marcus e quello accusatore di Nathan, si limitò
ad una smorfia di disapprovazione «Pazzie, pazzie. Mio signore, costui è
evidentemente pazzo! Quale arroganza ad insultare persone così al di sopra del
tuo livello, Metherlance… Senza uno straccio di prova, poi.»
«Avete ragione, messere.
La mia insolenza è imperdonabile. Abbiate però pazienza, e se infine mi riterrete
meritevole di morte non mi opporrò. In ogni caso, sappiate che ho delle prove.»
annuì Nathan, che da sempre non aspettava altro che il momento in cui avrebbe
fatto cadere dal piedistallo quell’uomo odioso «Ma prima, per favore,
lasciatemi andare avanti.»
La tensione, se
possibile, aumentò ancora. Persino coloro che erano abituati a respirare per
sembrare più umani si fermarono; tuttavia nessuno, né quelli che erano già stati
persuasi dalle parole del supervisore né quelli che le trovavano un affronto
vergognoso, ebbero il coraggio di farsi avanti e parlare. Non per paura di
Nathan, quanto per paura di quel Marcus pronto ad esplodere alla prima parola
sbagliata.
Ciò il tedesco
capiva benissimo, e non poteva fare a meno di ammettere con se stesso quanto
fosse difficile mantenere un tono il più possibile rispettoso, mentre
l’indignazione gli premeva nel petto.
«Per un breve
periodo, a Terren ho ospitato questa giovane donna in casa mia.» andò avanti
col suo discorso, abbassando lo sguardo sul corpo della ragazza mora ai suoi
piedi, seguito da tutti i presenti.
«Non ci hai
avvertiti.» sibilò Marcus, contrariato.
«Perché sarebbe
stato un inutile motivo di preoccupazione, signore.» affermò con decisione
Nathan «Nella seconda metà di dicembre si è svolta una serata per gli ingressi
in società, per questo i suoi genitori mi hanno chiesto di accompagnarla. Tutto
qui. Sarebbe ripartita pochi giorni dopo, dunque la sua permanenza sarebbe
durata meno di due settimane.»
Ovviamente poteva
suonare strano che dei semplici commercianti volessero che la figlia fosse
addirittura introdotta in società, ma gli Angeli non sapevano quasi niente di
Hidel e della sua gente, a parte che si trattava di mercanti; tale fatto poteva
giustificare un’ipotesi secondo cui i Nevue avessero in programma di spostarsi
verso la città, dove una figlia introdotta nel mondo degli adulti era cosa
assai vantaggiosa.
«Ricorderete il
messaggio umano che ci fu inviato prima della famosa serata a villa Stevenson. Considerando
il poco tempo intercorso, l’assassino di Angelica Rodriguez, che ha tolto la
vista a Damon Darkmoon e cercato di uccidere me e
questa ragazza fu immediatamente, e logicamente, ricondotto al popolo del suono.»
riprese a parlare Nathan, spostando di nuovo lo sguardo su Jen, assolutamente
imperturbabile «In realtà venne ingaggiato da voi; l’ennesimo tentativo di
istigarci contro il popolo del suono e scatenare la guerra. Ma la situazione,
per colpa del messaggio umano, cominciava a correre troppo velocemente,
rischiando di creare contraddizioni tra le reali intenzioni del popolo del
suono e quelle che da voi erano attribuite a loro. Nel frattempo ingaggiaste
Georgiana Varens, che avrebbe dovuto guidare il
popolo del suono fino ad Annlisette Nevue; quest’ultima sarebbe stata
catturata, ed il popolo del suono, una pedina fin troppo facile da muovere grazie
al suo agire unicamente d’istinto, avrebbe sicuramente dichiarato guerra.
Finita la battaglia, sareste rimasta sul campo mentre le altre truppe tornavano
all’accampamento, così da permettere ai pochi superstiti nemici di raggiungere
il villaggio e recuperare la Kharlan. I cittadini di Hidel non sarebbero
riusciti a difendersi, il popolo del suono avrebbe riesumato l’arma, ma a quel
punto sareste intervenuta voi, probabilmente, per sterminare i pochi rimasti e
prendere la Kharlan in custodia. Con la Kharlan in mano…
beh, il resto non è difficile da immaginare.»
A fine di quel
discorso, Nathan si sentì svuotato delle poche energie che gli erano rimaste.
Quello era tutto ciò a cui era arrivato, con un mezzo o con un altro: ora
spettava a Marcus decidere se tagliargli la testa sul posto o dar ascolto alle
sue parole. Dietro di sé, avvertiva l’agitazione di Sogno e Damon, mentre
Georgiana era letteralmente assalita dalla paura; con un gesto pacato la
nascose dietro di sé, facendole capire silenziosamente che lui l’avrebbe
protetta.
Diede a tutti il
tempo di attutire il colpo, di realizzare di essere perfettamente caduti come
allocchi in una trappola che, senza l’appena avvenuto intervento di Nathan,
sarebbe sicuramente andata fino in fondo.
Ora che anche il
vento si era calmato, il silenzio era divenuto quasi opprimente.
Incredibilmente, persino la rabbia di Marcus sembrava essersi assopita, ora che
aveva una visione globale del terribile piano che avrebbe compromesso lui, il
suo gruppo ed avrebbe creato danni gravissimi alla loro società. A dispetto di
quanto voleva dare a vedere, era lampante che non dubitava troppo di quelle
spiegazioni.
Con espressione
granitica, tuttavia, decretò «Le prove.»
«Una
testimonianza.» rispose prontamente il supervisore, altrettanto serio. Si fece
da parte, lasciando che da dietro di sé il piccolo capo bruno di Georgiana
sporgesse quanto bastava per esporla «La testimonianza di Georgiana Vares. E, se tenderete l’orecchio, a breve dovremmo sentire
il suono di Hidel che muore.»
Una testimonianza
non era il massimo delle prove, tutti lo sapevano benissimo, ma se giocavano
bene quella carta potevano riuscire a convincere Marcus a recludere i due
colpevoli, almeno finché il Tribunale Nero non li avrebbe presi in custodia.
Lui ne aveva il potere, ma bisognava persuaderlo.
Sotto lo sguardo
sbigottito di Adam Forster, Georgiana si fece avanti a piccoli ed incerti
passi, lo sguardo rivolto a terra e gli occhi di chi sta per avere una crisi di
pianto; se fosse stata umana, probabilmente avrebbe addirittura sudato freddo,
tanta era l’ansia che provava.
Sollevò
pietosamente il capo fin quando non inquadrò Marcus, stando ben attenta ad
evitare che Adam entrasse nel suo campo visivo: sapeva già che sarebbe crollata
davanti a lui.
Aveva parlato con
messere Metherlance di quella cosa chiamata “coraggio” mentre raggiungevano
l’accampamento; lui le aveva detto di prendere esempio da Annlisette Nevue, e
così Georgiana le scoccò un’occhiata veloce ma intensa, come sperando che la forza
d’animo dimostrata da quella donna potesse raggiungerla.
Quando sentì le
delicate mani di Sogno stringerle dolcemente le spalle per farle intendere che
non era sola, capì che era il momento.
Era pronta.
«È tutto vero.»
confermò «Monsieur Forster mi ha
portata via dalla Francia con la forza quando ha scoperto il mio potere. Mi ha
minacciata fino ad oggi, dicendo che avrebbe distrutto la mia famiglia se mi
fossi ribellata. Non posso più sopportare di essere calpestata così, signore,
vi prego di mettere fine ai miei tormenti…»
Dietro di loro, la
voce di Adam Forster tradiva una furia trattenuta a stento «Georgiana… non dire
sciocchezze. Quell’uomo ti ha traviata.»
«No!» esclamò la
ragazzina sorprendendo tutti, mosse un passo verso di lui e gli indirizzò uno
sguardo sofferente «Se non ci fossero stati monsieur
Metherlance e mademoiselle Nevue non
avrei mai avuto il coraggio di ribellarmi! Io non…»
Le parole le si
spensero sulle labbra, smorzate dalla paura che le incuteva la sola vista del
vecchio consigliere. Leggermente tremante, tornò immediatamente sui suoi passi,
ed in quel momento Nathan le poggiò una mano sulla spalla, per trarla
gentilmente dietro di sé.
Da quando quel discorso
pieno d’accuse era cominciato, la diretta interessata non aveva però aperto
bocca. Jen se ne stava dritta e tesa come una corda di violino, con le braccia
conserte ed il viso inespressivo, facendo scorrere lo sguardo gelido da Nathan
a Georgiana, poi ai due Darkmoon che non avrebbero
dovuto essere lì, a Marcus, al suo fidato consigliere.
Dietro di lei,
Adam Forster si mosse verso di loro, ma la donna alzò un braccio e lo bloccò:
era arrivato il suo turno per parlare.
L’attenzione si
catalizzò su di lei, persino il cieco Damon se ne accorse, sebbene il suo
sguardo fosse fisso su un punto ininfluente della folla di Angeli.
La donna, con un
sorriso, dopo un attimo di silenzio disse «È vero, sì. Non lo negherò.»
Si udì qualche
sussulto dagli spettatori, che evidentemente fino ad allora si erano costretti
a pensare che Nathan e Georgiana avessero preso un brutto colpo in testa.
L’atmosfera era ora davvero pesante, nessuno sembrava sapere che cosa fare o dire:
la confusione era totale.
«Complimenti per
averlo capito, anche se con un sostanziale aiuto.» sorrise a Nathan «Pensavo
che fosse davvero un piano perfetto.»
«Lo era quasi,
signora.» disse di ricambio Nathan, quasi meccanicamente.
La donna rise
sommessamente, abbandonando poi le braccia lungo i fianchi. Si voltò verso Marcus,
che sembrava chiedere con lo sguardo spiegazioni.
«Mia signora…» la
chiamò da dietro Forster, per fermarla prima che li mettesse ancora di più nei
guai.
La mente di
Georgiana formulò il velenoso pensiero che sicuramente egli voleva solo
proteggere se stesso il più possibile.
«È vero, volevo
sovvertire il potere nel nostro mondo usando la Kharlan, per deporre il
Tribunale Nero.» ammise ancora Jen, ignorando la roca e spezzata voce del suo
consigliere.
Marcus quasi
sgranò gli occhi, dimostrando quanto gli fosse incredibile credere che la sua
fidatissima collega fosse una bugiarda, una truffatrice, una golpista.
«Perché, Jen?»
domandò, riacquistando tutta la sua durezza, profondamente ferito da quel
tradimento.
«Perché, Marcus?
Non lo immagini?» Jen rise, come una madre davanti all’ingenuo bambino; ma il
suo sguardo si fece amaro quasi immediatamente, nel realizzare che i suoi sogni
si erano infranti «Perché noi esistiamo, ma è come se non esistessimo!»
In un lampo,
Marcus capì dove ella volesse arrivare. Se avesse avuto un senso, probabilmente
avrebbe tirato un sospiro rassegnato, ma si limitò a ripetere «Jen…»
La donna nel
frattempo aveva alzato la voce, infervorata «Abbiamo vissuto per secoli
nascondendo la nostra esistenza agli umani, ormai siamo oggetto solo di stupide
leggende piene di menzogne che non fanno paura nemmeno ai bambini! E invece noi
siamo qui, guardaci, Marcus!»
Sollevò un braccio
ed indicò energicamente i presenti, dai soldati a Forster, passando persino per
il gruppo di Nathan «Noi siamo qui, a combattere per eseguire gli ordini del
Tribunale Nero e salvare la vita di quegli ingrati e stupidi umani! Se invece
riuscissimo ad entrare in possesso della Kharlan, pensaci, e a mettere a tacere
il Tribunale… se finalmente ci rivelassimo agli umani-…»
«Il mondo
piomberebbe nel caos e nella paura.» la interruppe Marcus, col tono di chi non
ammette obiezioni.
«Sì, ma verremmo
finalmente riconosciuti, temuti e rispettati.» ribadì la donna «Ed avremmo un
nostro posto nel mondo.»
I pochi mormorii
che si erano susseguiti fino a quel momento tacquero di colpo, ed ogni occhio
che aveva volontariamente distolto lo sguardo da Jen non poté che tornare a
fissarla, sgranato. Le più disparate emozioni esplosero: stupore, rabbia,
amarezza, approvazione, disgusto; Nathan le sentiva tutte, talmente tanto forti
da rendergli impossibile ancora una volta distinguerle e stabilire quali
fossero quelle altrui e quali le proprie.
La ragione al
contempo più umana e più disumana che uno come loro avrebbe potuto dare, lo
sapevano tutti: trovare il proprio posto in un mondo che non li voleva.
Facendo scorrere
gli occhi sulle persone attorno a loro, Georgiana notò che alcuni avevano
abbassato lo sguardo o si erano scambiati cenni d’assenso, concordando con la
tesi di Jen. Tuttavia, quando la bambina tornò a guardare Nathan con occhi
pieni di confusione, quest’ultimo le ribadì prontamente le sue idee.
«No, non è così.»
le spiegò con voce bassa «Noi siamo persone vive solo a metà, Georgiana: vive
nel corpo ma prive di anima. Per avere un posto in questo mondo che venga
riconosciuto anche dagli umani… si necessita di
entrambe.»
La ragazzina
istintivamente cercò Adam Forster, e si chiese se una
persona come lui avrebbe davvero potuto trovare il suo posto all’interno di una
società basata sui valori morali. No, e probabilmente neanche delle persone più
contenute, come lei, Sogno o Damon, ci sarebbero riuscite.
Il suo sogno di ritrovare
il suo posto nel mondo umano le sembrò disfarsi lento davanti agli occhi.
Avvertì la mano
grande di messere Metherlance poggiarsi sulla sua spalla, e, seguendo il suo
sguardo, poté notare che stava fissando il cadavere della sua povera Annlisette,
riverso nella neve.
«È questo il
destino di un vampiro. Non dimenticatelo mai.» sentenziò Nathan, e quelle
parole le piombarono addosso come una condanna ad una non-vita di freddo e
buio.
In quel momento,
nel vento, cominciarono ad udirsi le prime urla provenienti da Hidel, strazianti
ed agghiaccianti. Marcus, assieme a molti altri, sollevò il capo per lasciarsi
investire dal suono della sconfitta, mentre Jen tratteneva un sorriso pieno di
rammarico per essersi lasciata mettere sotto scacco ad un passo dalla vittoria.
Nel frattempo, Adam Forster si allontanò silenzioso verso la foresta, con
la probabile intenzione di fuggire; Nathan lo seguì attentamente finché non fu
scomparso tra i tronchi neri, poi tolse la mano dalla spalla di Georgiana e si
rivolse alla ragazza ed agli amici dietro di lui.
Damon gli sembrava
sconvolto quasi quanto lo era stato nel momento in cui avevano abbandonato
Krissy al suo destino.
«Prendetevi cura
di Ann.» ordinò il supervisore, ferreo, per poi muovere un passo verso la
foresta ed una mano verso la Selescinder «Io ho ancora un conto in sospeso.»
E detto ciò,
seguito da una ribelle Georgiana, si lanciò all’inseguimento di Adam Forster.
Note:
#1: Nella
terminologia specifica, si definisce “sire” colui che attua la trasformazione,
e che dunque avrà per sempre una forte influenza sulla volontà del trasformato.
#2: “Biancaneve”
in tedesco, lingua madre di Nathan.
Note
dell’Autrice:
Salveeeeee!
>__< rieccomi dopo tanto tempo!
Scrivere questo capitolo è stato un po’
difficile, perché ho dovuto rivedere tutti quelli vecchi per essere sicura di
aver ricordato di spiegare ogni avvenimento – la cosa che prego non accada mai
è che un lettore mi faccia notare una falla nella trama!
Siamo quasi alla fine, da quanto tempo
lo dico? Ma ora siamo proprio al capolinea! Il prossimo capitolo è l’ultimo,
quindi ci sarà un brevissimo epilogo *si asciuga le
lacrime di commozione*
Grazie al cielo fin ora nessun lettore
mi ha divorata voracemente per aver tirato fuori la storia dei vampiri XD sì,
lo so, è stato molto cattivo da parte mia farvi credere per quasi trenta
capitoli che fossero umani, o, al massimo, Angeli e Demoni. E invece sono
vampiri e lupi mannari XD
Come vi ho detto nel capitolo
precedente, lavoro a Snow da molti anni, da molto
prima che scoppiasse la “vampiro mania”, per cui quando è esplosa io avevo già
pubblicato parte di storia ed avevo il terrore che sarebbe risultata una cosa
banale. Pensai addirittura ad un finale alternativo, sapete? Lo pensai
scrivendo il diciannovesimo capitolo, al punto in cui Ann dice di non essere
morta uscendo da Hidel, e Nathan, Sogno e Damon rimangono in preoccupante
silenzio. Ecco, nel finale alternativo alla fine Hidel era davvero un villaggio
fantasma ed erano tutti anime che non avevano trovato pace, quindi gli “Angeli”,
una sorta di gruppo istituito dalla Chiesa – potremmo definirli esorcisti -, si
proponeva di portarli ‘dall’altra parte’.
Oggettivamente, mi piace molto di più il finale alternativo, ma mi sarei
giocata il ciclo delle quattro storie, delle quali, a mio parere, Snow è quella meno interessante.
Orsù, è il momento di mettersi sotto con
l’ultimo capitolo °w°
Come sempre ringrazio tantissimo tutte
le persone che seguono o hanno seguito, preferitato o
ricordato Snow. Nell’epilogo vi nominerò uno per uno.
Siete ad occhio e croce un centinaio, ma voglio nominarvi comunque uno per
uno!!!! XD
In particolare i ringraziamenti vanno a Milou, a Kikyo e ad Alice Tudor, che hanno avuto il
gentilissimo pensiero di lasciarmi anche un commento!
A presto!
Sely.