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Autore: Willow Gawain    01/07/2012    3 recensioni
Hidel, contea di Northumberland, Inghilterra - 1852.
Quel villaggio era perennemente bagnato dalla neve, perennemente avvolto dal freddo, dal vento, dalle nubi. Non compariva sulle carte, ma la sua figura tanto piccola quanto antica era sempre lì, ad aspettare pazientemente. Come un mostro in agguato, come un fantasma dagli occhi spietati. Una volta entrati a Hidel, la legge del villaggio proibiva tassativamente di abbandonarlo. Una maledizione, un sortilegio, una stregoneria lanciata tempo addietro da Satana camuffato da vecchia strega.
Forse, però, c’era ancora una speranza per Hidel. E quando il primo degli Angeli, il Supervisore, varcò la soglia di quel villaggio costruito in modo perfettamente circolare, come un cerchio magico, il conto alla rovescia per l’Apocalisse di Hidel ebbe inizio.
«Ora aggrappati al mio braccio. Tieniti forte. Visiteremo luoghi oscuri, ma io credo di sapere la strada. Tu bada solo a non lasciarmi il braccio. E se dovessi baciarti nel buio, non sarà niente di grave: è solo perché tu sei il mio amore.» [Cit. S.King]
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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What colour is the snow?

Capitolo 29: L’ultimo segreto.

 

Georgiana Varens, affondata fino alle ginocchia nella neve, sentiva freddo; aveva un sorriso sulle labbra pallide e sottili, un sorriso un po’ troppo somigliante a quelli di messere Metherlance. Con un movimento ipnotico e ripetitivo, correva con gli occhi stanchi dalla figura eretta di Nathan, poi alla sua spada gocciolante di sangue, infine al corpo riverso per terra, inerme e morto. Definitivamente morto.

Le sembrava quasi un sogno. Adam Forster era andato via per sempre, e l’aveva fatto come il più vile dei vermi: scappando; e nel modo più semplice possibile: abbattuto da un colpo solo, che gli aveva troncato la testa di netto. Non aveva nemmeno provato ad opporre resistenza ai suoi inseguitori, né si era mai voltato per lanciare loro uno sguardo. Si era arreso, ma al contempo aveva cercato di darsela a gambe, forse nella speranza disillusa di essere risparmiato o di seminarli.

Quell’evento segnava davvero l’inizio di una nuova epoca; forse Georgiana avrebbe dovuto esserne felice, eppure dentro di lei in quel momento non riusciva a trovare altro che paura di un futuro dove non avrebbe più avuto nessuna guida, nessun motivo per andare avanti. In qualche modo, i ricatti di quell’uomo erano serviti a spingerla a sopravvivere, se non per se stessa almeno per chi amava.

Ed ora, sebbene la sua gratitudine verso messere Metherlance per averla liberata da quell’incubo fosse grande – Georgiana sapeva però bene che lui non lo aveva fatto per lei, ma per riscattare il proprio onore -, non poteva fare a meno di chiedersi che cosa avrebbe fatto del suo futuro.

Attualmente non aveva voglia di pensarci, e neanche Nathan a giudicare da come le passò accanto, impassibile. L’uomo sollevò una mano in un eloquente gesto per invitarla ad alzarsi e seguirlo, lanciandole un ultimo sguardo pieno di aspettativa, e Georgiana capì che non poteva deluderlo, non colui che le aveva appena tolto dalle spalle un peso terribile. Dunque si mise in piedi, e facendo attenzione che la coda dell’occhio non incontrasse il profilo di quel cadavere tanto odiato si accodò al tedesco, a lenti e pesanti passi nella neve.

 

Tre giorni dopo – 07/01/1855

Tornare in vita è una cosa innaturale.

Per quanto ovvio e prevedibile, questa era stata la prima considerazione di Annlisette Nevue nel momento in cui si era resa conto di esserci ancora. Convinta di essere ormai arrivata al capolinea, la ragazza si era quasi lasciata uccidere dopo aver provato a fare resistenza contro Nathan; ma ben presto si era lasciata vincere, consapevole di quanto fosse infinitamente inferiore a quell’uomo dalla doppia faccia.

Si dice che nell’attimo prima di morire ci si veda passare davanti tutta la propria vita. Annlisette Nevue non aveva visto esattamente la sua vita – anche se il suo ultimo pensiero era corso ai Nevue -, ma i tasselli di un puzzle che a lungo avrebbe potuto connettere tra di loro nel modo più banale possibile, se solo fosse stata superstiziosa come le altre persone di Hidel. Sotto questo punto di vista Nathan era stato davvero fortunatissimo a trovare lei, perché chiunque altri, avendo in mano ciò che aveva lei, lo avrebbe smascherato velocemente.

Tutto tornava al suo posto in modo quasi irritante: la pelle gelida, la saggezza decisamente esagerata per un venticinquenne, la forza bruta, la velocità sviluppata, la capacità di entrare nella testa delle persone e metterle in soggezione… la mancanza di un battito cardiaco.

Sì, finalmente Annlisette era riuscita a ricordare il particolare che aveva notato quella notte a Terren, quando si era concessa a lui, scoprendo però in che razza di mani era capitata.

Il modo in cui lui era riuscito a modificare la sua memoria le rimaneva tuttavia oscuro, così come la maggior parte degli avvenimenti riconducibili a quell’avvenimento.

E se Nathan era un vampiro, anche gli “Angeli” lo erano, ormai c’era poco da tergiversare. Quindi lo erano anche Damon, Sogno e Georgiana. E lei aveva abitato in mezzo ai vampiri per un mese senza neanche accorgersene.

Ottimo. Beh, non si poteva certo dire che fosse una persona a cui non sfuggiva niente…

In realtà, se le fosse stato concesso di decidere per sé, Annlisette Nevue avrebbe volentieri fatto a meno di svegliarsi, ecco perché inizialmente, pur avendo piena cognizione di ciò che la circondava e ancor prima di se stessa e del suo corpo, decise di non aprire gli occhi.

La verità innegabile era che aveva paura; il suo corpo non era mai stato così freddo e fermo, non aveva mai potuto continuare a vivere pur sentendo il cuore immobile ed il respiro mancare. Con le dita della mano destra tastò ciò che stava sotto di lei e riconobbe un tessuto dalla mediocre lavorazione, tuttavia non riuscì a percepirne alcuna sensazione: non aveva freddo né caldo, pur essendo sicurissima che attorno la temperatura fosse diversi gradi sotto lo zero.

Intorno a sé, non riusciva inoltre a percepire alcun suono vicino, come se si trovasse in mezzo a delle statue. Eppure il suo udito, adesso stranamente fine, riusciva a spingersi al di là della barriera in cui era prigioniera e correva verso l’esterno, nella foresta, dove il vento muoveva furiosamente le fronde degli alberi e la neve impazzava in una bufera. Di tanto in tanto qualche voce sormontava questi suoni, ma era decisamente troppo lontana perché lei potesse intendere ciò che diceva.

Il problema era che non poteva rimanere in quello stato per sempre, con gli occhi chiusi a far finta di dormire; ma se davvero il mondo esterno si prospettava così spaventoso attraverso questa nuova visione… no, si sarebbe fatta coraggio ed avrebbe dormito in eterno, qualsiasi cosa fosse accaduta…

«Penso che in realtà tu abbia paura di realizzare che hai tradito il tuo Dio.»

Tra tutte, proprio la voce che meno desiderava sentire le rispose. Istintivamente, senza rendersi conto di essersi fregata da sola, la ragazza si accigliò ed aggrottò il capo, pur mantenendo un ermetico silenzio.

«In tal caso, non hai da sentirti in colpa.» continuò Nathan, accompagnato dal rumore di passi che indicava il suo avvicinarsi «Dopotutto sei stata forzata. È colpa mia.»

A quelle parole, Ann non poté più trattenersi ed aprì la bocca per rispondere acidamente… ma non ne uscì alcun suono. Lo stupore fu tale da convincerla a spalancare gli occhi e provare ad articolare altre parole, ma niente, nessun risultato. La ragazza alzò lo sguardo al tedesco che stava davanti a lei, in piedi, in cerca di risposte.

«È normale.» le assicurò lui, per poi sedersi compostamente sulla branda vecchia e mezza rotta dove la villica riposava; il suo volto appariva quasi più stanco e pallido del solito, tanto che Ann, se non fosse stata in preda alla rabbia, si sarebbe quasi preoccupata per lui «Inspira come se stessi respirando normalmente.»

La ragazza si sentì profondamente smarrita: aveva bisogno dell’aiuto di Nathan anche per parlare, adesso? Tuttavia, per quanto questa consapevolezza la riempisse di rabbia e amarezza, dovette riconoscere che non aveva altra scelta se voleva sopravvivere – in realtà però, Ann non era ancora sicura di voler sopravvivere, non come vampiro.

Provò un paio di volte, ma solo al terzo tentativo, mentre sentiva i polmoni riempirsi per la prima sotto uno stimolo volontario, le riuscì di articolare uno strano verso che non somigliava a nessuna parola. Si sentì demoralizzata, così decise di lasciar perdere e tornare ad abbattersi, sempre più sull’orlo delle lacrime.

Quando le prime lacrime le solcarono le gote, Nathan allontanò lo sguardo da lei e lo posò su un angolo a caso della buia tenda.

«So che hai paura, è normale. Anch’io l’ebbi…» “più o meno” completò nella propria mente.

Sì, lui aveva avuto paura in un certo qual modo, ma solo perché al momento del risveglio si era ritrovato senza una guida. Nonostante ciò, il pensiero di tornare da sua sorella e dal suo mentore aveva ben presto avuto la meglio e… sì, inizialmente era davvero stato felice di essere “resuscitato” come vampiro. Dopotutto, lui aveva vissuto in mezzo ai vampiri per così tanto tempo da non riuscire più a ricordare come viveva un essere umano; Ann, al contrario, si era ritrovata catapultata in un mondo nuovo e sconosciuto all’improvviso, senza aver mai neanche creduto nell’esistenza di creature simili a loro. Tutta quella paura che proveniva dalla figura della ragazzina spingeva Nathan a chiedersi se sarebbe riuscita a sopportare la sua nuova “vita”, o se si sarebbe lasciata morire come molti di loro facevano. Considerando la forte vena religiosa che la caratterizzava, era molto più probabile la seconda ipotesi.

Ann abbassò la testa e curvò le spalle, si fece minuta e si chiuse in se stessa, riflettendo sui pensieri più terrificanti e gelidi che fino a quel momento aveva chiuso fuori dalla porta della sua mente.

Che cosa significava essere un vampiro? In base alle leggende con cui era cresciuta significava essere delle creature dalle mostruose fattezze, ma lei era ancora una normalissima umana, e non poter mai più camminare nella luce del sole, ma Nathan lo faceva – per poco tempo e con difficoltà, in ogni caso -.

Significava doversi nutrire del sangue d’altri per vivere, anzi, per sopravvivere.

E il solo pensiero la terrorizzava.

Ma c’era una cosa che la terrorizzava ancora di più: il rendersi conto di essere morta ma al contempo viva; era come se il suo corpo fosse diventato un oggetto, animato solamente da… cos’era rimasto, ormai? Un’anima? O forse l’anima l’aveva venduta al diavolo senza rendersene conto?

Questi e mille altri dubbi la colpirono così nel profondo da farle passare i successivi dieci minuti piangendo senza ritegno, davanti ad un Nathan che non provava nemmeno a consolarla e che si limitava ad ascoltarla attraverso le sue emozioni. Quelle per fortuna c’erano ancora, sebbene Ann sospettasse che se ne sarebbero andate anche loro con l’andar degli anni.

Dopo un tempo che le parve lunghissimo riuscì ad alzare il capo, tenendo però gli occhi ancora bassi; voleva dire qualcosa, voleva rispondere a Nathan, forse voleva persino ucciderlo per quello che le aveva fatto – peggio di così non poteva andare, sarebbe stato solo il primo di una serie di omicidi.

Era certa che se fosse stata viva a quel punto avrebbe cominciato a tremare di rabbia, tanto era il rancore che nutriva nei confronti di quell’uomo che continuava a star lì davanti a lei, immobile e zitto, come se fosse estraneo alla situazione. Come se non fosse stata colpa sua e delle sue bugie.

«Tu…» cominciò a dire, la voce talmente piegata dal risentimento come non l’aveva mai sentita. Finalmente riuscì a guardarlo, a scagliargli contro con gli occhi tutta la sua collera, ma non poté sillabare una parola di più: non ne era capace, e persino il semplice “tu” appena mormorato era a stento riconoscibile.

Seduto sull’altro capo della branda, il vampiro non sembrava però risentire affatto né dello spettacolo che aveva davanti, né tantomeno delle emozioni che lo tempestavano. Ann immaginò che fosse riuscito a recuperare la sua barriera impenetrabile che lei aveva impiegato mesi e mesi per incrinare.

Erano bastati un omicidio e tre giorni di solitudine per trasformare un rapporto amoroso in un rapporto dove il rancore regnava sovrano. Anzi, Annlisette era ormai consapevole e convinta che il così detto “rapporto amoroso” fosse stato a senso unico per tutto quel tempo.

“Tu mi hai presa in giro.”

Quelle parole avrebbe voluto urlargliele in faccia prima di avventarsi addosso a lui, ma più provava a parlare meno sentiva le corde vocali venirle incontro. In preda ad una furia crescente, si mise sulle ginocchia ed allungò le mani per afferrarlo per il collo, forse con l’intento di strozzarlo – no, troppo umano – o di staccargli la testa dal resto del corpo. La sua visuale venne nuovamente offuscata dalle lacrime quando si accorse che neanche quel gesto così violento ed esplicito sembrava convincere Nathan a far almeno finta di provare qualcosa.

E invece no, solo silenzio, la cosa che più poteva farle male. E in silenzio, nonostante ora odiasse profondamente quell’uomo, si ritrovò a piangere un’ultima volta sulla sua spalla.

 

Solamente dopo ore ed ore di tentativi Ann recuperò l’uso della parola, dapprima zoppicando sulle sillabe, poi procedendo più tranquillamente, fino a tornare quasi alla normalità. La sua voce era stanca e la gola era secca; aveva una gran fame, ma non voleva saperne di mangiare: la sola idea che i vampiri potessero presentarle un bicchiere di sangue al posto dei suoi pasti abituali la nauseava.

Era completamente in balia di quella gente, ma decisa comunque a rimandare il più possibile quella necessità che la terrorizzava.

Godette della compagnia rassicurante di Sogno e Damon per quasi tutta la notte. Sebbene anche loro fossero Angeli – fossero vampiri – non potevano essere più diversi da Nathan: la incoraggiarono, le fecero forza e le spiegarono che erano stati costretti ad agire in quel modo a causa di ordini dai superiori, le raccontarono dell’inganno di Jen, di come erano riusciti a sventare il suo orribile piano. Tacquero, invece, su ciò che era successo a Hidel in quei giorni, facendo credere ad Annlisette che fosse andato tutto davvero per il meglio, che fossero riusciti a fermarla in tempo.

Se da un lato la ragazza aveva paura di affrontare la sua nuova vita, dall’altro i due fratelli si chiedevano con che coraggio potevano rivelarle quest’ultimo, raccapricciante accaduto.

«Siete stati davvero eccezionali a non farvi scoprire… quando abitavo a Terren…» disse ad un certo punto la giovane, non senza difficoltà.

«Abbiamo i nostri trucchi.» le sorrise Sogno, che le stava seduta accanto sulla branda «Li imparerai anche tu, vedrai. È impensabile che uno di noi viva lontano dalla società: siamo diversi, è vero, ma non per questo non abbiamo bisogno di-…»

«Sangue?» la interruppe Ann, spaventata.

La bionda scosse il capo «Non solo di quello: di rapporti umani.»

Quella frase non fu ben compresa dalla mora: di che genere di rapporti umani può avere bisogno chi non è più umano? La sua perplessità fu ampiamente notata dagli altri due, e stavolta fu Damon a rispondere, che si dondolava pigramente sulla sedia malandata davanti al lettino, ad occhi rigorosamente chiusi.

«La nostra condizione ci imporrebbe di stare lontani dagli uomini a meno che non abbiamo bisogno di cibo, ma questo significherebbe estraniarsi dalla società. Perdere ogni contatto con i vivi sarebbe triste… non credi?» sulle ultime parole la sua voce andò sempre più abbassandosi, come se si stesse rendendo conto di quanto fosse ingenuo il discorso improvvisato. Con una risata per nulla allegra si rivolse poi a Sogno «Forse solo noi due sentiamo questa necessità?»

La risata fu ricambiata dalla biondina, ma Ann non lo trovò affatto divertente. Sogno le passò una mano intorno alle spalle, stringendola a sé delicatamente.

«Nathan non ne ha sicuramente la necessità…» commentò la villica.

Per qualche secondo seguì un profondo silenzio, che né Sogno né Damon avevano il coraggio di rompere. Annlisette in quel momento sembrava la cosa più fragile del mondo e Nathan la più corrosiva mai esistita: non era possibile più metterli in relazione.

Mentre le carezzava affettuosamente i capelli scompigliati, Sogno lanciò uno sguardo all’entrata della tenda, scorgendo nel buio della notte le figure poco lontane di Nathan e Georgiana, che vegliavano quietamente sul loro rifugio.

«È sempre stato così, lui…» cominciò a parlare, spostando quindi gli occhi sull’unica lampada che li illuminava soffusamente «Credo che lo faccia volontariamente, per non dover affrontare più certe esperienze.»

«Ti riferisci… alla morte di sua sorella?» chiese Ann dopo un profondo sospiro.

L’altra annuì con convinzione «In realtà noi non ne sappiamo granché… solo che furono traditi da una persona di cui si fidavano molto.»

“Proprio com’è successo a me” pensò tra sé e sé Annlisette, che proprio non riusciva ad accettare l’idea che la sua trasformazione fosse stata decisa a tavolino da Jen. Se Nathan avesse tenuto almeno un po’ a lei avrebbe fatto in modo di salvarla, e invece…

«È brutto essere traditi da chi si ama.» le sorse spontaneamente dalla gola, senza potersi trattenere dal ricominciare a piangere in silenzio.

In tutta la “giornata” – la sua giornata vampiresca, ovvero quella che un tempo era stata la sua nottata – non aveva fatto altro che piangere e tormentarsi: senza dubbio, non c’era modo peggiore per cominciare una nuova vita.

 

Nel momento in cui il sole sorse, Ann si addormentò quasi senza rendersene conto. Fu orribile: la coscienza scivolò via velocemente, senza darle il tempo di realizzare che cosa stava accadendo.

“Sono morta?” si chiese, non senza nascondere un barlume di speranza.

Ma quando il giorno morì e un giorno nuovo per i vampiri iniziò, quella fievole speranza appassì, sostituita dalla consapevolezza che non si trovava dentro un brutto sogno e che non si sarebbe più svegliata tra le braccia di sua madre.

Si svegliò invece tra le braccia femminili ma fortissime di Sogno, che la stava poggiando nuovamente sopra il guanciale.

«Che cos-…» fece per chiedere Ann, ma si interruppe non appena si accorse del bicchiere che la bionda recava in mano. Non impiegò molto per capire che l’avevano nutrita di nascosto durante il sonno, e realizzarlo le fece quasi venire da rimettere.

Dall’esterno, Damon e Georgiana poterono udire le urla strazianti della ragazza che si scagliava contro Sogno, e quest’ultima che cercava di calmarla e spiegarle che era necessario per tenerla in piedi.

All’interno dell’accampamento tutti ormai erano consci della nuova compagna e di quanto fosse una tipa difficile, tuttavia nessuno aveva intenzione di prestarle attenzione, soprattutto ora che si stavano ritirando verso l’intero, alla volta di Londra.

Già da due giorni più della metà degli occupanti del campo era partita, lasciando forse per sempre quelle lande desolate. A breve anche Sogno, Damon, Georgiana e Nathan sarebbero dovuti andare via, anche se erano liberi di decidere autonomamente quando, poiché avevano ufficialmente abbandonato il clan subito dopo l’arresto di Jen, la quale era già in viaggio verso Terren, prigioniera.

Era stata una scelta ampiamente apprezzata da Marcus, che così non avrebbe dovuto assumersi nessuna responsabilità quando Nathan Metherlance si sarebbe presentato davanti al Tribunale Nero per giustificare l’assassinio di Adam Forster. L’udienza era stata fissata per fine mese.

Infine, il terzo giorno i quattro presero unanime la decisione di rivelare ad Annlisette l’indomani la tragica sorte di Hidel e dei suoi abitanti.

 

Il giorno dopo - 10/01/1855

Il campo era stato ufficialmente sgomberato, tutti i militari avevano lasciato la zona ed erano in viaggio verso Londra; solamente due tende rimanevano, piccole e isolate nel folto della foresta.

Ironicamente, quel piccolo gruppo di morti erano gli unici vivi nel raggio di chilometri.

Per la prima volta dopo tanti giorni, Annlisette rivide Georgiana Varens. Inizialmente la fissò con odio e rancore, ma quando Nathan entrò nella tenda tali sentimenti vennero subito rivolti a lui.

“È una mia esclusiva…” pensò sarcasticamente il tedesco mentre si accomodava su una delle due sedie.

Georgiana prese posto accanto a lui, per terra, mentre Damon occupava l’altra seggiola e Sogno la metà di branda lasciata libera da Ann. Questa aveva appena finito di costringersi a bere un bicchiere di sangue, ed i suoi occhi lucidi erano testimoni della lotta furiosa che avevano combattuto il suo istinto e la sua umanità.

Ancora una volta, si stava lasciando trasportare dagli eventi senza prendere l’iniziativa, incapace di reagire a ciò che le accadeva intorno. Non le piaceva trovarsi in compagnia di Georgiana e Nathan, ma non aveva altra scelta che assecondarli, almeno per il momento.

Ciò che più tutti desideravano in quel momento, mentre un silenzio carico di tensione li avvolgeva, era che qualcuno prendesse parola, e tutti, ovviamente, riponevano le loro aspettative in Nathan, che era l’unico capace di affrontare qualsiasi argomento senza fare passi falsi.

Il desiderio venne esaudito, ed il biondo prese parola dopo aver messo le braccia conserte.

«A breve partiremo, Annlisette. Hai intenzione di venire con noi?» chiese gelidamente, senza troppi preamboli.

La ragazza esitò un attimo prima di rispondere; curvò le spalle ed abbassò il capo, visibilmente combattuta tra il bisogno di non rimanere sola e la consapevolezza che stare con loro significava restare assieme a Nathan e Georgiana.

«Non lo so…» ammise, evadendo con lo sguardo «La mia casa è qui. Era qui…»

Sogno, Damon e Georgiana si scambiarono vicendevolmente occhiate confuse, chiedendosi in silenzio se Ann sapesse già quanto volevano dirle, o se avesse solo detto la prima cosa che le passava per la testa; Nathan, che non avvertiva provenire dalla ragazza alcun sentimento di tristezza o dolore, arrivò più facilmente alla conclusione che Ann non considerava più Hidel casa sua da quando aveva smesso di essere umana.

«Non resta più niente qui.» proseguì l’uomo, attirando così l’attenzione della ragazza «Né per te né per nessuno.»

«Che cosa vuoi dire…?» articolò lentamente lei, inquieta.

In quel momento lui si mise in piedi, sfilò una mano da sotto il mantello e la porse alla giovane.

«Lo vedrai.»

 

Passo dopo passo, più Hidel – o meglio, quel che ne restava – andava delineandosi davanti a loro, più Georgiana poteva vedere gli occhi di Annlisette farsi grandi, sgranati, increduli.

La ragazzina si chiedeva quanto quella villica potesse ancora sopportare prima di collassare del tutto; fece scorrere lo sguardo preoccupato su Nathan, che ricambiò con un cenno del capo, facendole implicitamente capire che rivelare la verità ad Ann era un passo assolutamente necessario.

La verità viene sempre a galla, Georgiana lo sapeva bene questo, e in effetti scoprire tutto successivamente, magari anche in modo più brusco e violento, avrebbe potuto compromettere la salute mentale della novella vampira.

La osservò per un po’, chiedendosi quali emozioni le passassero per la testa mentre si rimetteva a camminare, no, a correre a perdifiato verso le rovine del villaggio.

Sogno la seguì subito, correndo sulla neve a sua volta, mentre lei e Nathan rimasero indietro, procedendo con passo ritmico. Georgiana si affiancò a lui, conscia che l’uomo non avrebbe detto neanche una parola finché non fosse stato necessario, sebbene lei gli stesse rivolgendo mentalmente un’infinità di domande.

Ci avevano pensato gli Angeli a far sparire i cadaveri, poiché il Tribunale Nero non voleva che in un nessun modo le cause della morte fossero ricondotte a qualcosa che andava oltre la comprensione umana. Sulla carta, Hidel sarebbe apparso come un villaggio che all’improvviso si era svuotato dei suoi abitanti, lasciando al loro posto solo chiazze di sangue ed armi sparse qua e là.

Il dolore di Ann Georgiana non voleva nemmeno immaginarlo: la sua famiglia, i suoi amici, le persone con cui era cresciuta o che conosceva anche solo di vista erano tutti morti. Nessuno era riuscito a salvarsi dall’ondata inferocita del popolo del suono, o almeno così avevano decretato gli Angeli; se qualcuno era invece scappato grazie a qualche miracolo, probabilmente la fame e il freddo lo avevano già ucciso.

Georgiana aveva visto Hidel solo da lontano, ma lo spettacolo che si trovò davanti appena entrata le fece comunque male: niente, niente era più come prima.

 

A poca distanza da Georgiana e Nathan, con le ginocchia affondate nella neve e Sogno che la teneva stretta tra le braccia, Annlisette delirava. Appena varcata la soglia del suo villaggio, là dove un tempo c’era stata la piccola piazzetta dove i bambini si riunivano a giocare d’estate, un senso di vuoto l’aveva stretta così violentemente che la ragazza si era chiesta se non fosse morta una seconda volta.

Quello era senza dubbio il momento peggiore della sua vita.

Come prima cosa non poté fare a meno di correre disperatamente verso casa sua, chiamando a gran voce la madre, il padre ed il fratello; come prevedibile, nessuno però le rispose. Attorno a lei, Hidel non era più quello che conosceva: le case distrutte e crollate, le macerie, riverse su quelle che un tempo erano state strade, rendevano difficile il passaggio ed erano ricoperte di chiazze rosse e di neve; ma la cosa più terribile era l’assenza di persone ed il silenzio assordante.

Ann non voleva nemmeno immaginare che cosa fosse accaduto in sua assenza.

Si ritrovò davanti a quella che un tempo era stata casa Nevue e che adesso era una baracca disabitata, che non stava più a significare niente per nessuno. Non c’era suo padre che tagliava la legna fuori, non c’era Gabriel che si lamentava del freddo, non si intravedeva sua madre dalle finestre della cucina. Non si arrese e si precipitò dentro, aggirandosi per le stanze come un fantasma e urlando i nomi dei suoi familiari. L’interno era esattamente come se lo ricordava prima di lasciare il villaggio alla volta di Terren, solo più disordinato e sottosopra del solito, come se la sua famiglia fosse stata costretta ad una fuga improvvisata.

Tornata fuori, per la velocità con cui scese le scale scivolò sul ghiaccio e cadde sulla neve dura.

Sentì i passi sempre più vicini dei tre che l’avevano accompagnata, ma non volle alzare la testa e rimase lì, provando a immaginare che al posto di quei tre vampiri stesse sopraggiungendo la sua famiglia.

Quest’illusione ebbe solo il potere di farla stare ancora peggio.

Quale disumana forza era salita dalle fauci dell’Inferno? Esisteva davvero qualcosa in grado di commettere tutta quella distruzione?

«Che cosa è successo qui?» furono le sue uniche parole prima di crollare, preda di un pianto disperato.

Sogno, che tra tutti era sempre stata quella a lei sinceramente più vicina, l’abbracciò con fare protettivo e le spiegò «Il piano del nostro comandante prevedeva di lasciare una via libera al popolo del suono, illudendoli di poter recuperare la Kharlan e distruggerci.»

«Sono stati… loro a fare tutto questo?» continuò la ragazza, nella sua voce si poteva distinguere chiaramente l’ira crescente.

Fu quando sentì Georgiana e Nathan raggiungerle che si divincolò dalla presa di Sogno, si rimise in piedi così bruscamente da scivolar e ricadere, stavolta non aiutata da nessuno; strinse con rabbia i pugni, sentendo la neve insinuarsi tra le dita. Avrebbe voluto sfogarsi in modo violento, ma non poté fare altro che alzarsi ancora, ignorando l’espressione perplessa di Georgiana e quella preoccupata di Sogno, avventandosi poi contro Nathan, che stava fermo davanti a lei e lasciava scorrere lo sguardo sulle macerie. Con un gesto veloce gli afferrò il collo del mantello e lo tirò a sé, costringendolo a muovere un passo in avanti.

«Perché non avete fatto niente se lo sapevate?!» gli urlò in faccia, a brevissima distanza da lui.

Senza fare una piega, l’uomo le rispose «Quando lo abbiamo scoperto era troppo tardi.»

Dentro di sé, Ann capiva che non avevano voluto rivelarglielo prima per non farla soffrire più di quanto aveva già fatto, ma in quel momento, accecata com’era dalla rabbia, non riusciva a ragionare lucidamente e li malediceva per averla ingannata ancora una volta. Forse, si illudeva, avendolo saputo prima avrebbe potuto vedere quella devastazione poco dopo il suo compimento; ma era poi quello che desiderava? No, desiderava solo due cose: svegliarsi ed essere accerchiata dalla sua famiglia, oppure sterminare tutti coloro che avevano contribuito alla strage.

La sua presa si fece ancor più ferrea su Nathan, quindi riprese ad urlargli in faccia.

«Dov’è?! Dov’è quella dannata arma?!»

L’avrebbe distrutta una volta per tutte, ma prima l’avrebbe usata per farla pagare amaramente a tutti: non avrebbe avuto pietà come loro non avevano avuto pietà di Hidel.

Ma Nathan, dopo qualche attimo di silenzio, scosse piano la testa «Non esiste una Kharlan, Annlisette. Non c’era niente nei sotterranei della chiesa.»

La presa della ragazza tremò e si sciolse istantaneamente, Ann barcollò diverse volte prima di lasciarsi cadere di nuovo, con un urlo di rabbia che fendette l’aria e si espanse per il luogo desolato.

Sogno provò a metterle una mano sulla spalla, ma la villica la cacciò via bruscamente, per poi ricominciare a piangere e maledire in tutti i modi possibili vampiri, lupi mannari, Angeli o Demoni che fossero: ai suoi occhi erano tutti diavoli.     

 

Due giorni dopo – 12/01/1855

Il paesaggio che aveva davanti a sé cambiava radicalmente a seconda della stagione, Annlisette lo sapeva bene; molte volte durante il periodo d’assenza di Nathan vi si era recata, lì, sul ciglio del dirupo che dava sulla valle. In estate, quando vi aveva portato Nathan prima della partenza, la vallata era più verde che mai, fino a raggiungere il mare del Nord, all’orizzonte. Ora, invece, ciò che aveva davanti era una massa di neve bianca e spettrale, ed il vento, soffiando tra i monti circostanti, creava strane eco simili a ululati.

Si erano promessi che sarebbero tornati lì insieme, un giorno, e la promessa era stata mantenuta.

Da quel giorno la situazione era radicalmente cambiata, il grande amore che Ann aveva provato in quell’occasione non c’era più, si era trasformato in rabbia ed amarezza; confusa, non sapeva più cosa fare o pensare. Sapeva solo che avrebbe lasciato quelle terre il prima possibile, da sola.

Non intendeva rimanere oltre in compagnia di quelle persone: ai suoi occhi, chi più chi meno, erano tutti colpevoli per ciò che era accaduto.

Dritta in piedi ed avvolta in un lungo mantello blu scuro che le copriva il capo e i lunghi capelli, provava a ragionare su ciò che avrebbe fatto da lì in poi.

Il viaggio, questa era l’unica cosa certa: era l’inizio di un viaggio. Non sapeva dove l’avrebbe portata, forse direttamente nella tomba considerando che aveva insistito per essere sola in quella nuova avventura.

Nessuno aveva cercato di convincerla troppo a lungo a cambiare idea: Nathan non aveva pronunciato nemmeno una parola, Georgiana sembrava perdere la lingua quando erano insieme, Damon diceva di capirla, poiché anche lui si era trovato in una situazione simile all’inizio, Sogno invece le aveva più volte chiesto se era sicura, arrendendosi poi all’evidenza dei fatti.

Forse avrebbe visitato il famoso Tribunale Nero, dove avrebbe avuto un primo contatto con la società dei vampiri. Oppure sarebbe morta per strada di sete; non riusciva a concepire l’idea di strappare a qualcun altro la vita, così come era stato fatto con lei.

La sua vita, arrivata a quel punto, era un’incognita.

Lo scalpitare degli zoccoli sulla neve attirò la sua attenzione in quel momento; voltò appena il viso, notando il sopraggiungere di Nathan, con in mano strette le briglie di un cavallo che stava guidando verso di lei. Quando le fu accanto, l’uomo gliele passò, per poi voltarsi verso il paesaggio.

«Speravo che non finisse così.» ammise finalmente, mostrando una vena di umanità che Ann credeva essersi esaurita.

Ella sapeva che si stava riferendo più a lei che a Hidel, ma scosse piano la testa per fargli intendere che non aveva la minima intenzione di parlarne ancora: c’erano voluti due giorni perché si riprendesse dallo shock e ricominciasse a parlare senza gridare o aggredire immotivatamente gli altri, e tornare sull’argomento sarebbe servito solo a farla ripiombare nel baratro del dolore e della rassegnazione.

Non se ne sarebbe mai fatta una ragione, non avrebbe mai trovato un motivo abbastanza forte da sostenere la necessità di uno sterminio simile, non avrebbe mai perdonato coloro che l’avevano commesso.

Le era stato spiegato che non aveva più da preoccuparsi per ciò che avrebbe fatto in futuro, «Essere uno di noi significa anche non dover più rispondere delle proprie azioni» le aveva detto Nathan, che senza dubbio non rispondeva più delle sue da molto tempo. La sua anima era stata venduta al Diavolo e non c’era più niente da fare.

Ann inizialmente non ci aveva creduto e aveva provato a recitare una preghiera, ma la voce le era inspiegabilmente morta, e non era tornata finché non aveva rinunciato all’impresa. Se avesse provato a toccare un crocifisso o dell’acqua santa la sua pelle sarebbe bruciata all’istante, stando a ciò che diceva Damon. Avrebbe impiegato molto tempo per poterli sfiorare o toccare senza ustionarsi, molto più tempo per resistere alla luce del sole per qualche minuto o per entrare nelle chiese senza prendere fuoco.

«Quanto tempo ci vorrà per fare tutte le cose che fai tu?» gli domandò tristemente, senza guardarlo.

«Molti anni. Minimo una trentina.» rispose il tedesco.

Minimo una trentina? La ragazza aggrottò la fronte, alzò il capo e lo squadrò «Ma tu quanti anni hai?»

La domanda forse risultò comica al vampiro, che scrollò le spalle «Sono nato nel 1771.»

Ann non era affatto brava in matematica – una delle mancanze a cui avrebbe rimediato, ora che il tempo non le mancava -, ma riuscì comunque a capire che la sua età si aggirava intorno agli ottanta anni.

Sarebbe riuscita anche lei a sopravvivere così a lungo?

«C’è ancora una cosa che vorrei dirti.» aggiunse lui, tornando ad incontrare i suoi occhi «Ma non credo che tu sia ancora pronta.»

«Immagino che pur minacciandoti non me lo dirai, allora.» la ragazza si avvolse meglio nel lungo mantello e distolse lo sguardo con stizza, per poi avvicinarsi al cavallo che fino ad allora era stato a pochi metri dietro di loro, sbuffando e di tanto in tanto battendo con gli zoccoli sulla neve. Gli si accostò e poggiò una mano sul suo dorso «Aiutami a salire.»

Sebbene volesse suonare come un ordine, nessuno dei due lo intese in tal maniera. Con pochi movimenti silenziosi Nathan le si accostò e la afferrò delicatamente per la vita, issandola fin quando ella non riuscì a sedersi in sella, con entrambe le gambe dallo stesso lato. Il destriero che le avevano dato era non troppo alto né possente, di un comune colore marrone che sarebbe servito a mescolarlo tra la folla senza attirare l’attenzione.

“E così è un addio… almeno per ora” rifletté Ann.

Era il momento di partire. Volse un’ultima volta lo sguardo a Nathan, che la stava fissando a sua volta, poco lontano dall’animale, ed incontrò ancora i suoi occhi chiarissimi e pacifici.

No, nemmeno lei avrebbe mai desiderato che finisse in quel modo così triste e sconsolato. Non gli aveva neanche chiesto dove sarebbe andato o cosa avrebbe fatto; forse in futuro l’avrebbe rimpianto, ma per ora no, voleva rimanere da sola, ritrovare se stessa e dimenticare l’orrore che era rimasto a Hidel.

«Quando ti sentirai pronta per conoscere anche l’ultimo segreto, cercami. Addio, Annlisette Nevue.» la salutò lui, con un sorriso appena accennato né triste né felice «E ricordati di considerare la tua non-vita non come una maledizione, ma come una seconda opportunità.»

Annlisette impresse le ultime parole di Nathan nella mente, pensando che prima o poi forse sarebbe riuscita a coglierne il significato profondo. Il cavallo si avviò lungo il sentiero, e lei poté osservare la figura ammantata di nero stagliarsi sulla neve che fioccava finché non scomparve, come un fantasma.

«Addio, Nathan Metherlance.» ricambiò, per poi voltarsi in direzione dell’orizzonte che avrebbe inseguito.

Spronò il cavallo al galoppo, l’aria fredda le sferzò il volto e le ricordò che da quel momento in poi era completamente sola.

Il suo viaggio aveva finalmente avuto inizio.

 

Rovine di Hidel – 28/12/1961

Certe cose non cambiano mai, non importa quanto tempo passi: il destino, a volte, sa essere davvero crudele.

Non che lui credesse nel destino, per carità, ma aveva imparato con l’esperienza che gran parte degli esseri umani tendeva ad attribuire a tale ignoto fattore ogni evento, soprattutto quelli spiacevoli. E in un mondo dove o ti sforzi di essere più simile ad un umano per passare inosservato oppure ti sveli alla luce del sole in tutta la tua mostruosità, subendo così le conseguenze mai piacevoli, era decisamente preferibile mescolarsi a loro e tramare solo quando non  si era visti.

Ecco, questo era il principale motivo per cui una persona come Nathan Metherlance aveva spontaneamente deciso di abbandonare la civiltà e vivere da eremita, almeno finché gli fosse stato concesso tale lusso. Gli unici contatti che aveva mantenuto erano quelli che lo legavano alle uniche persone capaci di soddisfare il suo bisogno – raro bisogno – di parlare con qualcuno, senza però arrivare a tediarlo: Damon e Sogno Darkmoon, Georgiana Varens, raramente Sole Metherlance, e di tanto in tanto qualche altro “consanguineo” incontrato più per calcolo che per caso.

E poi, beh, poi c’erano gli spettri di Hidel. Ma loro erano un caso  tutto particolare.

Si ritirava lì, in quello sperduto angolo d’Inghilterra, una volta ogni due o tre anni. La lunga seconda guerra mondiale e le successive ostilità tra inglesi e tedeschi lo avevano tenuto lontano per molti anni da Hidel, ma lo scenario non era cambiato mai: nessuno, non una Victoria né una Elizabeth, né tantomeno un futuro erede al trono o chissà chi avrebbe mai provveduto a portare ordine lì dove la natura, il destino, Dio o chi si voglia aveva preteso ed ottenuto un eterno disordine. Tutto ciò appariva agli occhi di Nathan impressionate sia positivamente che negativamente.

Quando si trovava davanti a quelle rovine ormai quasi del tutto invisibili, coperte dal bianco della neve accumulata durante l’inverno, spaziava come poche volte aveva fatto nella sua vita: nessuno lo aveva mai interrotto, nessuno era mai stato capace di sopportare troppo a lungo la vista delle macerie distrutte dalla furia omicida di un branco di lupi mannari. Anche se, in effetti, nessuno era a conoscenza di quel piccolo e trascurabile dettaglio.

Eppure, quell’anno qualcuno era stato in grado di lasciare per un attimo Nathan Metherlance sorpreso: non sbigottito né senza parole, ma ottenere già il semplice stupore di una persona abituata ad apparire impassibile anche davanti al Diavolo era già molto.

Il giovanotto seduto sulla neve avrebbe dovuto essere fiero di sé.

Avvolto in un grande e pesantissimo cappotto che Nathan reputava eccessivamente largo, visto da dietro costui appariva poco più che ragazzino, almeno giudicando dalla corporatura: abbastanza basso, poco robusto, leggermente tremante come un bambino che provava troppo divertimento per smettere di giocare, nonostante sia consapevole di avere le dita bluastre.

Curiosità, era forse questa emozione che stava provando? No, anzi, che stavano entrambi provando, l’uno verso Hidel e l’altro verso l’uno?

Sul volto di Nathan si dipinse un sorriso appena accennato, quello che gli sorgeva spontaneamente ogni qual volta che trovava un oggetto interessante da analizzare.

Un passo, un altro passo, e lo straniero fu in grado di distinguere qualcosa di più, pur mantenendosi alla debita distanza di un metro e vagando solo con la coda dell’occhio sul bifolco: i tratti, che inizialmente aveva reputato immaturi, ora si rivelavano addirittura infantili; i capelli, colorati di un castano gentile, ricadevano sul viso sospinti dal vento; gli occhi che istantaneamente corsero sull’uomo ammantato di nero quasi invitarono il vampiro a cercarli. Non tanto per il particolare colore giallo, quanto per l’espressione che contribuivano a creare sul volto di quel ragazzino: l’espressione di una persona sola, maledettamente sola e triste.

Sembrava quasi aspettare che Nathan spalancasse le fauci e lo divorasse in un sol boccone!

Un minuto di silenzio intercorse tra i due, carico di irrequietezza e forse paura; era già strano che una persona si recasse in quel luogo, figurarsi due! Tuttavia, dopo un po’, il ragazzino finalmente decise di aprire bocca.

«Dove ci troviamo? E come ha fatto a trovarmi?» domandò placidamente.

«Qui un tempo sorgeva Hidel.» spiegò il tedesco, mentre una mano correva nella tasca del lungo mantello «Un villaggio eroso dalla fede cieca dei suoi abitanti e dall’inumanità di chi li aspettava alle porte.»

Ogni riferimento ovviamente non poteva che essere oscuro al giovane, che forse però non era realmente interessato a quel cumulo di macerie: la sua attenzione si era spostata su un elemento bardato di nero e dal linguaggio decisamente estraneo agli anni sessanta, decisamente più interessante.

Poi, con un vago sorriso, Nathan aggiunse «Per quanto riguarda la seconda domanda… mi sono limitato a seguire le sue impronte nella neve.»

Ancora oggi, nel ventesimo secolo, esisteva qualcuno in grado di farlo sorridere davanti a tanta ingenuità: sì, il mondo non finiva mai di stupirlo.

Il giovane parve per un attimo sorpreso e lanciò un cupo sguardo alle impronte, che inequivocabilmente portavano a lui; sospirò e rivolse quindi lo sguardo al tetro spettacolo di rovine e desolazione davanti a loro.

«Non importa. Chi verrebbe mai in un posto come questo?»

“Che ragazzo curioso…” considerò tra sé e sé il vampiro, sebbene tutta quella insistenza non lo urtasse affatto, anzi. Fece intercorrere un minuto tra domanda e risposta, forse per creare una sorta di suspense smaliziata.

«Un inguaribile nostalgico, suppongo.»

E quelle sue stesse parole quasi fecero sorridere il biondo, che si era sempre pensato troppo inumano per lasciarsi condizionare dal passato: in realtà, e Nathan lo sapeva benissimo, l’unico legame che ancora lo spingeva a recarsi a Hidel era una promessa fatta molti anni prima. Nel momento in cui quella promessa fosse stata onorata, anch’egli sarebbe stato libero dall’obbligo di visitare quel villaggio morto così spesso.

Seguì un pesante silenzio, al quale solamente il rumore del vento dava disturbo. Dopo tantissimo tempo, Nathan sentì dentro di sé la voglia di conoscere i pensieri di qualcuno: quel giovane ragazzo dall’aria perduta; anche se la sua espressione mesta era già più che eloquente.

Egli aveva, e il tedesco sentiva di non sbagliare, la stessa espressione che aveva visto in faccia ad Annlisette Nevue nel momento in cui aveva realizzato di essere rimasta sola al mondo.

«Cosa cerca?»

La quarta, invadente domanda. Era forse uno di quei test che ultimamente andavano tanto di moda? No, a dir la verità sembrava più una conversazione tra padre e figlio: perché? Perché? E perché questo è così, papà?

Purtroppo però, Nathan non aveva una risposta a tutto. O meglio, a quella specifica domanda l’aveva, ma era qualcosa di troppo personale per poter essere spifferata così candidamente ad uno sconosciuto.

Sollevò gli angoli della bocca in un sorriso beffardo, posando finalmente gli occhi sul suo interlocutore «E lei, messere?»

Con quella domanda inaspettata, il quadro del padre e del figlio si frantumò in mille pezzi con tanta violenza che gli occhi dello stesso giovane uomo sembrarono essere attraversati da una frattura: lo aveva fatto a pezzi semplicemente rigirando un quesito?

Tuttavia, il ragazzo fu bravo a nascondere velocemente questo particolare.

«Una cosa che ho perso da molto tempo, signore.» spiegò, richiudendosi su se stesso come un riccio, con le gambe avvolte dalle braccia ed il mento poggiato sulle ginocchia. Mentre era impegnato in tali operazioni, ecco però che qualcosa tornò a minare la sua quiete: un intenso bruciore sulla gola. In un gesto concitato corse con una mano ad essa, tentando di coprire lo strano marchio nero a forma di cerchio che, in quell’attimo, si era illuminato di rosso.

Quasi involontariamente Nathan lo aveva notato, ancor più involontariamente aveva avvertito l’irrequietezza e la nota di timore che il giovane bruno emanava senza saperlo.

Pochi elementi, che però bastarono a fargli afferrare qualcosa di più su quell’individuo: solo, sperduto, abbandonato da un padrone che stava morendo in quell’esatto momento.

Una delle cose più utili che avrebbe mai potuto desiderare, e il destino glielo offriva lì, a portata di mano: un demone capace di far avverare alcune circostanze propizie. Quello che una persona comune avrebbe volgarmente chiamato “genio”, ma che “genio” non era affatto.

Da ciò che Nathan sapeva, si trattava di particolari demoni minori che si legavano ad un “maestro”, del quale esaudivano un numero prestabilito di desideri, pur essendo sottoposti a moltissime regole restrittive. Il legame col maestro veniva suggellato con un marchio a forma di cerchio sulla gola, che quando si illuminava di rosso annunciava la morte del suddetto.

La loro situazione era sempre la stessa: venivano sfruttati fino ad essere consumati, finché i loro poteri non svanivano, quindi cominciavano a morire lentamente.

La storia di quel ragazzo, pensò Nathan, non poteva essere molto diversa: non aveva mai sentito parlare di uno solo di loro che non vivesse nella paura e nell’infelicità.

Questa considerazione, assieme alla mole di pensieri negativi provenienti dal giovane, lo convinsero ad azzardare un passo che poteva rivelarsi pericoloso.

«Che mondo ingrato. Per quanti padroni tu abbia viziato con i tuoi servigi nessuno di questi ha mai pensato veramente a te. Povero demone.» sussurrò, evitando addirittura di usare un tono formale per simulare una frase spontanea.

Neanche avesse appena scavato nella sua anima!

Il ragazzino sembrava assolutamente stupefatto: un’emozione incredibile trapelava dai suoi occhi gialli, che fece quasi pensare a Nathan di aver detto la cosa giusta al momento giusto. Si concesse un ulteriore sorriso, stavolta ingentilito «Ma mi permetta di scendere nel personale: è lontana la meta che vuole raggiungere, il tesoro che intende cercare?»

«Me lo dica lei, di grazia. Io lo cerco da troppo tempo, ormai.» rispose l’altro con fare rassegnato, come se avesse ormai perso ogni speranza.

Nathan pensò di non essersi sbagliato nell’immaginare che razza di vita avesse potuto avere quel giovane e, fissandolo ed essendo fissato a sua volta, sentenziò enigmatico «Io? Ma io non posso saperlo. Sta a lei e solo a lei scoprirlo.»

E la discussione sembrò terminare lì, almeno per volere del tedesco. Distolse lo sguardo dall’altro uomo e lo poggiò sulle rovine di Hidel, così immobili ed eterne; per quanto tempo anche lui era rimasto statico, lontano dalla civiltà, ad aspettare un segno? Ora, invece, qualcosa si era mosso nella sua vita: un antico nemico era pronto a giocare una nuova mossa nella partita a scacchi che avevano in corso da più di un secolo.

E Nathan sapeva che per vincerlo avrebbe avuto bisogno di tutto l’aiuto possibile, altrimenti avrebbe miseramente fallito. Era tornato lì a Hidel per l’ultima volta, poiché sapeva che negli anni a venire non avrebbe avuto il tempo di onorare la sua promessa di proteggere Annlisette Nevue.

Ora aveva un nuovo obiettivo, e per raggiungerlo avrebbe fatto l’impossibile. Anche raggirare spietatamente chiunque si fosse trovato sulla sua strada.

«Io posso aiutarla.»

E lo avrebbe fatto, senza pietà.

Il ragazzo sollevò la testa e cercò il contatto coi suoi occhi, trovandolo. Inizialmente parve indeciso, poco determinato, ma secondo dopo secondo la speranza si impadroniva di lui, pervadendolo completamente. Sì, gli stava davvero credendo: questa era l’unica conclusione possibile.

«La accompagnerò nella ricerca della felicità che tanto brama.» concluse Nathan.

Ma il ragazzo era furbo, o forse la sua esperienza gli aveva insegnato che nessuno era incondizionatamente gentile.

«Immagino che vogliate qualcosa in cambio.» sospirò grave, per poi attendere pazientemente che il patto col diavolo fosse proposto.

“No, non è questo il momento” pensò invece il vampiro, che ora aveva la prova che i poteri del ragazzo non si erano esauriti.

I poteri di quei demoni minori erano troppo preziosi per essere sprecati alla prima occasione, ed il tedesco sapeva quanto fosse orribile essere manipolati da altri, principalmente per questo non aveva la minima intenzione di dare al giovanotto la soddisfazione di vedere le sue aspettative realizzarsi, o di vederle realizzarsi il più tardi possibile.

Lasciò dunque che il tempo scorresse, che la neve intorno a loro continuasse a fioccare e si posasse sulle loro figure, imbiancandole ed appesantendole. Quel silenzio così profondo dovette far capire al ragazzo i pensieri di Nathan.

Si rimise in piedi, fronteggiando l’immobilità delle rovine con un movimento fluido e lesto; si avvicinò al tedesco e lo esortò con l’espressione di chi cerca risposte «Maestro, mi mostri la via…»

Tra le case distrutte e le macerie coperte di neve, in quell’attimo a Nathan sembrò di scorgere il fantasma di una scena che aveva già visto: una ragazza che scivola sulla neve, sorretta all’ultimo secondo da chi le avrebbe cambiato la vita.

Chinò leggermente il capo, con un sorriso appena accennato sul volto, quindi diede le spalle al villaggio e riprese la strada per cui era giunto. Alle sue spalle arrancava il giovane demone, che gli si affiancò poco dopo.

«Posso chiederle una cosa?»

«Prego?»

«Qual è il suo nome?»

«È buon costume presentarsi per primi, messere.»

«Oh, giusto, dimenticavo. Io sono…»

  

 

Note dell’Autrice:

Bbbbbasta capitoli angst! È da quando si è aperta la saga di Terren che scrivo solo capitoli deprimenti, ma questo li ha superati tutti! Grazie al cielo era l’ultimo! O meglio, manca ancora l’epilogo, ma non sarà deprimente almeno quello XD

Questo capitolo è stato molto problematico: ho paura di aver reso Ann una Mary Sue con quella mole assurda di urla isteriche e scenate simili, ma credo che si sarebbe comportato così chiunque in una situazione simile… non saprei. Ditemi voi, abbiate pietà XD

Non vi farò aspettare per l’epilogo: l’ho già scritto. Lo posterò questa settimana, quindi farò un bel click su “completa: sì”. Sarà emozionante *_*

Restate con noi fino alla fi-… ehm, aspetta, ma È finito XD va beh, restate con noi fino all’epilogo! ^^b

Grandissimi ringraziamenti a tutti quelli che seguono la storia, in particolare a KikyoOsama, Milou e Yelllow, che mi hanno pure lasciato un commento!

 

Un abbraccio,

Sely.

 

  
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