What colour is the snow?
Capitolo 29: L’ultimo segreto.
Georgiana
Varens, affondata fino alle ginocchia nella neve, sentiva freddo; aveva un
sorriso sulle labbra pallide e sottili, un sorriso un po’ troppo somigliante a
quelli di messere Metherlance. Con un movimento ipnotico e ripetitivo, correva
con gli occhi stanchi dalla figura eretta di Nathan, poi alla sua spada
gocciolante di sangue, infine al corpo riverso per terra, inerme e morto.
Definitivamente morto.
Le
sembrava quasi un sogno. Adam Forster era andato via
per sempre, e l’aveva fatto come il più vile dei vermi: scappando; e nel modo
più semplice possibile: abbattuto da un colpo solo, che gli aveva troncato la
testa di netto. Non aveva nemmeno provato ad opporre resistenza ai suoi
inseguitori, né si era mai voltato per lanciare loro uno sguardo. Si era
arreso, ma al contempo aveva cercato di darsela a gambe, forse nella speranza
disillusa di essere risparmiato o di seminarli.
Quell’evento
segnava davvero l’inizio di una nuova epoca; forse Georgiana avrebbe dovuto
esserne felice, eppure dentro di lei in quel momento non riusciva a trovare
altro che paura di un futuro dove non avrebbe più avuto nessuna guida, nessun
motivo per andare avanti. In qualche modo, i ricatti di quell’uomo erano
serviti a spingerla a sopravvivere, se non per se stessa almeno per chi amava.
Ed
ora, sebbene la sua gratitudine verso messere Metherlance per averla liberata
da quell’incubo fosse grande – Georgiana sapeva però bene che lui non lo aveva
fatto per lei, ma per riscattare il proprio onore -, non poteva fare a meno di
chiedersi che cosa avrebbe fatto del suo futuro.
Attualmente
non aveva voglia di pensarci, e neanche Nathan a giudicare da come le passò
accanto, impassibile. L’uomo sollevò una mano in un eloquente gesto per invitarla
ad alzarsi e seguirlo, lanciandole un ultimo sguardo pieno di aspettativa, e
Georgiana capì che non poteva deluderlo, non colui che le aveva appena tolto
dalle spalle un peso terribile. Dunque si mise in piedi, e facendo attenzione
che la coda dell’occhio non incontrasse il profilo di quel cadavere tanto
odiato si accodò al tedesco, a lenti e pesanti passi nella neve.
Tre giorni dopo – 07/01/1855
Tornare
in vita è una cosa innaturale.
Per
quanto ovvio e prevedibile, questa era stata la prima considerazione di
Annlisette Nevue nel momento in cui si era resa conto di esserci ancora. Convinta di essere ormai arrivata al capolinea, la
ragazza si era quasi lasciata uccidere dopo aver provato a fare resistenza
contro Nathan; ma ben presto si era lasciata vincere, consapevole di quanto
fosse infinitamente inferiore a quell’uomo dalla doppia faccia.
Si
dice che nell’attimo prima di morire ci si veda passare davanti tutta la
propria vita. Annlisette Nevue non aveva visto esattamente la sua vita – anche
se il suo ultimo pensiero era corso ai Nevue -, ma i tasselli di un puzzle che
a lungo avrebbe potuto connettere tra di loro nel modo più banale possibile, se
solo fosse stata superstiziosa come le altre persone di Hidel. Sotto questo
punto di vista Nathan era stato davvero fortunatissimo a trovare lei, perché
chiunque altri, avendo in mano ciò che aveva lei, lo avrebbe smascherato
velocemente.
Tutto
tornava al suo posto in modo quasi irritante: la pelle gelida, la saggezza
decisamente esagerata per un venticinquenne, la forza bruta, la velocità
sviluppata, la capacità di entrare nella testa delle persone e metterle in soggezione… la mancanza di un battito cardiaco.
Sì,
finalmente Annlisette era riuscita a ricordare il particolare che aveva notato
quella notte a Terren, quando si era concessa a lui, scoprendo però in che
razza di mani era capitata.
Il
modo in cui lui era riuscito a modificare la sua memoria le rimaneva tuttavia
oscuro, così come la maggior parte degli avvenimenti riconducibili a
quell’avvenimento.
E
se Nathan era un vampiro, anche gli “Angeli” lo erano, ormai c’era poco da
tergiversare. Quindi lo erano anche Damon, Sogno e Georgiana. E lei aveva
abitato in mezzo ai vampiri per un mese senza neanche accorgersene.
Ottimo.
Beh, non si poteva certo dire che fosse una persona a cui non sfuggiva niente…
In
realtà, se le fosse stato concesso di decidere per sé, Annlisette Nevue avrebbe
volentieri fatto a meno di svegliarsi, ecco perché inizialmente, pur avendo
piena cognizione di ciò che la circondava e ancor prima di se stessa e del suo
corpo, decise di non aprire gli occhi.
La
verità innegabile era che aveva paura; il suo corpo non era mai stato così
freddo e fermo, non aveva mai potuto continuare a vivere pur sentendo il cuore
immobile ed il respiro mancare. Con le dita della mano destra tastò ciò che
stava sotto di lei e riconobbe un tessuto dalla mediocre lavorazione, tuttavia
non riuscì a percepirne alcuna sensazione: non aveva freddo né caldo, pur
essendo sicurissima che attorno la temperatura fosse diversi gradi sotto lo
zero.
Intorno
a sé, non riusciva inoltre a percepire alcun suono vicino, come se si trovasse
in mezzo a delle statue. Eppure il suo udito, adesso stranamente fine, riusciva
a spingersi al di là della barriera in cui era prigioniera e correva verso
l’esterno, nella foresta, dove il vento muoveva furiosamente le fronde degli
alberi e la neve impazzava in una bufera. Di tanto in tanto qualche voce
sormontava questi suoni, ma era decisamente troppo lontana perché lei potesse
intendere ciò che diceva.
Il
problema era che non poteva rimanere in quello stato per sempre, con gli occhi
chiusi a far finta di dormire; ma se davvero il mondo esterno si prospettava
così spaventoso attraverso questa nuova visione… no,
si sarebbe fatta coraggio ed avrebbe dormito in eterno, qualsiasi cosa fosse accaduta…
«Penso che in realtà tu abbia
paura di realizzare che hai tradito il tuo Dio.»
Tra
tutte, proprio la voce che meno desiderava sentire le rispose. Istintivamente,
senza rendersi conto di essersi fregata da sola, la ragazza si accigliò ed
aggrottò il capo, pur mantenendo un ermetico silenzio.
«In tal caso, non hai da
sentirti in colpa.» continuò Nathan, accompagnato dal rumore di passi che
indicava il suo avvicinarsi «Dopotutto sei stata forzata. È colpa mia.»
A quelle parole, Ann non poté più trattenersi ed aprì la bocca per
rispondere acidamente… ma non ne uscì alcun suono. Lo
stupore fu tale da convincerla a spalancare gli occhi e provare ad articolare
altre parole, ma niente, nessun risultato. La ragazza alzò lo sguardo al
tedesco che stava davanti a lei, in piedi, in cerca di risposte.
«È normale.» le assicurò lui, per poi sedersi compostamente sulla
branda vecchia e mezza rotta dove la villica riposava; il suo volto appariva
quasi più stanco e pallido del solito, tanto che Ann, se non fosse stata in
preda alla rabbia, si sarebbe quasi preoccupata per lui «Inspira come se stessi
respirando normalmente.»
La ragazza si sentì profondamente smarrita: aveva bisogno dell’aiuto
di Nathan anche per parlare, adesso? Tuttavia, per quanto questa consapevolezza
la riempisse di rabbia e amarezza, dovette riconoscere che non aveva altra
scelta se voleva sopravvivere – in realtà però, Ann non era ancora sicura di
voler sopravvivere, non come vampiro.
Provò un paio di volte, ma solo al terzo tentativo, mentre sentiva i
polmoni riempirsi per la prima sotto uno stimolo volontario, le riuscì di
articolare uno strano verso che non somigliava a nessuna parola. Si sentì
demoralizzata, così decise di lasciar perdere e tornare ad abbattersi, sempre
più sull’orlo delle lacrime.
Quando le prime lacrime le solcarono le gote, Nathan allontanò lo
sguardo da lei e lo posò su un angolo a caso della buia tenda.
«So che hai paura, è normale. Anch’io l’ebbi…»
“più o meno” completò nella propria mente.
Sì, lui aveva avuto paura in un certo qual modo, ma solo perché al
momento del risveglio si era ritrovato senza una guida. Nonostante ciò, il
pensiero di tornare da sua sorella e dal suo mentore aveva ben presto avuto la
meglio e… sì, inizialmente era davvero stato felice
di essere “resuscitato” come vampiro. Dopotutto, lui aveva vissuto in mezzo ai
vampiri per così tanto tempo da non riuscire più a ricordare come viveva un
essere umano; Ann, al contrario, si era ritrovata catapultata in un mondo nuovo
e sconosciuto all’improvviso, senza aver mai neanche creduto nell’esistenza di
creature simili a loro. Tutta quella paura che proveniva dalla figura della
ragazzina spingeva Nathan a chiedersi se sarebbe riuscita a sopportare la sua
nuova “vita”, o se si sarebbe lasciata morire come molti di loro facevano.
Considerando la forte vena religiosa che la caratterizzava, era molto più
probabile la seconda ipotesi.
Ann abbassò la testa e curvò le spalle, si fece minuta e si chiuse in
se stessa, riflettendo sui pensieri più terrificanti e gelidi che fino a quel
momento aveva chiuso fuori dalla porta della sua mente.
Che cosa significava essere un vampiro? In base alle leggende con cui
era cresciuta significava essere delle creature dalle mostruose fattezze, ma
lei era ancora una normalissima umana, e non poter mai più camminare nella luce
del sole, ma Nathan lo faceva – per poco tempo e con difficoltà, in ogni caso -.
Significava doversi nutrire del sangue d’altri per vivere, anzi, per
sopravvivere.
E il solo pensiero la terrorizzava.
Ma c’era una cosa che la terrorizzava ancora di più: il rendersi conto
di essere morta ma al contempo viva; era come se il suo corpo fosse diventato
un oggetto, animato solamente da… cos’era rimasto,
ormai? Un’anima? O forse l’anima l’aveva venduta al diavolo senza rendersene
conto?
Questi e mille altri dubbi la colpirono così nel profondo da farle
passare i successivi dieci minuti piangendo senza ritegno, davanti ad un Nathan
che non provava nemmeno a consolarla e che si limitava ad ascoltarla attraverso
le sue emozioni. Quelle per fortuna c’erano ancora, sebbene Ann sospettasse che
se ne sarebbero andate anche loro con l’andar degli anni.
Dopo un tempo che le parve lunghissimo riuscì ad alzare il capo,
tenendo però gli occhi ancora bassi; voleva dire qualcosa, voleva rispondere a
Nathan, forse voleva persino ucciderlo per quello che le aveva fatto – peggio
di così non poteva andare, sarebbe stato solo il primo di una serie di omicidi.
Era certa che se fosse stata viva a quel punto avrebbe cominciato a
tremare di rabbia, tanto era il rancore che nutriva nei confronti di quell’uomo
che continuava a star lì davanti a lei, immobile e zitto, come se fosse
estraneo alla situazione. Come se non fosse stata colpa sua e delle sue bugie.
«Tu…» cominciò a dire, la voce talmente
piegata dal risentimento come non l’aveva mai sentita. Finalmente riuscì a
guardarlo, a scagliargli contro con gli occhi tutta la sua collera, ma non poté
sillabare una parola di più: non ne era capace, e persino il semplice “tu”
appena mormorato era a stento riconoscibile.
Seduto sull’altro capo della branda, il vampiro non sembrava però
risentire affatto né dello spettacolo che aveva davanti, né tantomeno delle
emozioni che lo tempestavano. Ann immaginò che fosse riuscito a recuperare la
sua barriera impenetrabile che lei aveva impiegato mesi e mesi per incrinare.
Erano bastati un omicidio e tre giorni di solitudine per trasformare
un rapporto amoroso in un rapporto dove il rancore regnava sovrano. Anzi,
Annlisette era ormai consapevole e convinta che il così detto “rapporto
amoroso” fosse stato a senso unico per tutto quel tempo.
“Tu mi hai presa in giro.”
Quelle parole avrebbe voluto urlargliele in faccia prima di avventarsi
addosso a lui, ma più provava a parlare meno sentiva le corde vocali venirle
incontro. In preda ad una furia crescente, si mise sulle ginocchia ed allungò
le mani per afferrarlo per il collo, forse con l’intento di strozzarlo – no,
troppo umano – o di staccargli la
testa dal resto del corpo. La sua visuale venne nuovamente offuscata dalle
lacrime quando si accorse che neanche quel gesto così violento ed esplicito sembrava
convincere Nathan a far almeno finta
di provare qualcosa.
E invece no, solo silenzio, la cosa che più poteva farle male. E in
silenzio, nonostante ora odiasse profondamente quell’uomo, si ritrovò a
piangere un’ultima volta sulla sua spalla.
Solamente dopo ore ed ore di tentativi Ann recuperò l’uso della
parola, dapprima zoppicando sulle sillabe, poi procedendo più tranquillamente,
fino a tornare quasi alla normalità. La sua voce era stanca e la gola era secca;
aveva una gran fame, ma non voleva saperne di mangiare: la sola idea che i
vampiri potessero presentarle un bicchiere di sangue al posto dei suoi pasti
abituali la nauseava.
Era completamente in balia di quella gente, ma decisa comunque a
rimandare il più possibile quella necessità che la terrorizzava.
Godette della compagnia rassicurante di Sogno e Damon per quasi tutta
la notte. Sebbene anche loro fossero Angeli
– fossero vampiri – non potevano
essere più diversi da Nathan: la incoraggiarono, le fecero forza e le
spiegarono che erano stati costretti ad agire in quel modo a causa di ordini
dai superiori, le raccontarono dell’inganno di Jen, di come erano riusciti a
sventare il suo orribile piano. Tacquero, invece, su ciò che era successo a
Hidel in quei giorni, facendo credere ad Annlisette che fosse andato tutto
davvero per il meglio, che fossero riusciti a fermarla in tempo.
Se da un lato la ragazza aveva paura di affrontare la sua nuova vita,
dall’altro i due fratelli si chiedevano con che coraggio potevano rivelarle
quest’ultimo, raccapricciante accaduto.
«Siete stati davvero eccezionali a non farvi scoprire…
quando abitavo a Terren…» disse ad un certo punto la
giovane, non senza difficoltà.
«Abbiamo i nostri trucchi.» le sorrise Sogno, che le stava seduta
accanto sulla branda «Li imparerai anche tu, vedrai. È impensabile che uno di
noi viva lontano dalla società: siamo diversi, è vero, ma non per questo non
abbiamo bisogno di-…»
«Sangue?» la interruppe Ann, spaventata.
La bionda scosse il capo «Non solo di quello: di rapporti umani.»
Quella frase non fu ben compresa dalla mora: di che genere di rapporti
umani può avere bisogno chi non è più umano? La sua perplessità fu ampiamente
notata dagli altri due, e stavolta fu Damon a rispondere, che si dondolava
pigramente sulla sedia malandata davanti al lettino, ad occhi rigorosamente
chiusi.
«La nostra condizione ci imporrebbe di stare lontani dagli uomini a
meno che non abbiamo bisogno di cibo, ma questo significherebbe estraniarsi
dalla società. Perdere ogni contatto con i vivi sarebbe triste…
non credi?» sulle ultime parole la sua voce andò sempre più abbassandosi, come
se si stesse rendendo conto di quanto fosse ingenuo il discorso improvvisato. Con
una risata per nulla allegra si rivolse poi a Sogno «Forse solo noi due
sentiamo questa necessità?»
La risata fu ricambiata dalla biondina, ma Ann non lo trovò affatto
divertente. Sogno le passò una mano intorno alle spalle, stringendola a sé
delicatamente.
«Nathan non ne ha sicuramente la necessità…»
commentò la villica.
Per qualche secondo seguì un profondo silenzio, che né Sogno né Damon
avevano il coraggio di rompere. Annlisette in quel momento sembrava la cosa più
fragile del mondo e Nathan la più corrosiva mai esistita: non era possibile più
metterli in relazione.
Mentre le carezzava affettuosamente i capelli scompigliati, Sogno
lanciò uno sguardo all’entrata della tenda, scorgendo nel buio della notte le
figure poco lontane di Nathan e Georgiana, che vegliavano quietamente sul loro
rifugio.
«È sempre stato così, lui…» cominciò a
parlare, spostando quindi gli occhi sull’unica lampada che li illuminava
soffusamente «Credo che lo faccia volontariamente, per non dover affrontare più
certe esperienze.»
«Ti riferisci… alla morte di sua sorella?»
chiese Ann dopo un profondo sospiro.
L’altra annuì con convinzione «In realtà noi non ne sappiamo granché… solo che furono traditi da una persona di cui si
fidavano molto.»
“Proprio com’è successo a me” pensò tra sé e sé Annlisette, che
proprio non riusciva ad accettare l’idea che la sua trasformazione fosse stata
decisa a tavolino da Jen. Se Nathan avesse tenuto almeno un po’ a lei avrebbe
fatto in modo di salvarla, e invece…
«È brutto essere traditi da chi si ama.» le sorse spontaneamente dalla
gola, senza potersi trattenere dal ricominciare a piangere in silenzio.
In tutta la “giornata” – la sua giornata vampiresca, ovvero quella che
un tempo era stata la sua nottata – non aveva fatto altro che piangere e
tormentarsi: senza dubbio, non c’era modo peggiore per cominciare una nuova
vita.
Nel momento in cui il sole sorse, Ann si addormentò quasi senza
rendersene conto. Fu orribile: la coscienza scivolò via velocemente, senza
darle il tempo di realizzare che cosa stava accadendo.
“Sono morta?” si chiese, non senza nascondere un barlume di speranza.
Ma quando il giorno morì e un giorno nuovo per i vampiri iniziò,
quella fievole speranza appassì, sostituita dalla consapevolezza che non si
trovava dentro un brutto sogno e che non si sarebbe più svegliata tra le
braccia di sua madre.
Si svegliò invece tra le braccia femminili ma fortissime di Sogno, che
la stava poggiando nuovamente sopra il guanciale.
«Che cos-…» fece per chiedere Ann, ma si interruppe non appena si
accorse del bicchiere che la bionda recava in mano. Non impiegò molto per
capire che l’avevano nutrita di nascosto durante il sonno, e realizzarlo le
fece quasi venire da rimettere.
Dall’esterno, Damon e Georgiana poterono udire le urla strazianti
della ragazza che si scagliava contro Sogno, e quest’ultima che cercava di
calmarla e spiegarle che era necessario per tenerla in piedi.
All’interno dell’accampamento tutti ormai erano consci della nuova
compagna e di quanto fosse una tipa difficile, tuttavia nessuno aveva
intenzione di prestarle attenzione, soprattutto ora che si stavano ritirando
verso l’intero, alla volta di Londra.
Già da due giorni più della metà degli occupanti del campo era
partita, lasciando forse per sempre quelle lande desolate. A breve anche Sogno,
Damon, Georgiana e Nathan sarebbero dovuti andare via, anche se erano liberi di
decidere autonomamente quando, poiché avevano ufficialmente abbandonato il clan
subito dopo l’arresto di Jen, la quale era già in viaggio verso Terren,
prigioniera.
Era stata una scelta ampiamente apprezzata da Marcus, che così non
avrebbe dovuto assumersi nessuna responsabilità quando Nathan Metherlance si
sarebbe presentato davanti al Tribunale Nero per giustificare l’assassinio di Adam Forster. L’udienza era stata fissata per fine mese.
Infine, il terzo giorno i quattro presero unanime la decisione di
rivelare ad Annlisette l’indomani la tragica sorte di Hidel e dei suoi
abitanti.
Il giorno dopo - 10/01/1855
Il campo era stato ufficialmente sgomberato, tutti i militari avevano
lasciato la zona ed erano in viaggio verso Londra; solamente due tende
rimanevano, piccole e isolate nel folto della foresta.
Ironicamente, quel piccolo gruppo di morti erano gli unici vivi nel
raggio di chilometri.
Per la prima volta dopo tanti giorni, Annlisette rivide Georgiana Varens.
Inizialmente la fissò con odio e rancore, ma quando Nathan entrò nella tenda
tali sentimenti vennero subito rivolti a lui.
“È una mia esclusiva…” pensò sarcasticamente
il tedesco mentre si accomodava su una delle due sedie.
Georgiana prese posto accanto a lui, per terra, mentre Damon occupava
l’altra seggiola e Sogno la metà di branda lasciata libera da Ann. Questa aveva
appena finito di costringersi a bere un bicchiere di sangue, ed i suoi occhi
lucidi erano testimoni della lotta furiosa che avevano combattuto il suo
istinto e la sua umanità.
Ancora una volta, si stava lasciando trasportare dagli eventi senza
prendere l’iniziativa, incapace di reagire a ciò che le accadeva intorno. Non
le piaceva trovarsi in compagnia di Georgiana e Nathan, ma non aveva altra
scelta che assecondarli, almeno per il momento.
Ciò che più tutti desideravano in quel momento, mentre un silenzio
carico di tensione li avvolgeva, era che qualcuno prendesse parola, e tutti,
ovviamente, riponevano le loro aspettative in Nathan, che era l’unico capace di
affrontare qualsiasi argomento senza fare passi falsi.
Il desiderio venne esaudito, ed il biondo prese parola dopo aver messo
le braccia conserte.
«A breve partiremo, Annlisette. Hai intenzione di venire con noi?»
chiese gelidamente, senza troppi preamboli.
La ragazza esitò un attimo prima di rispondere; curvò le spalle ed
abbassò il capo, visibilmente combattuta tra il bisogno di non rimanere sola e
la consapevolezza che stare con loro significava restare assieme a Nathan e
Georgiana.
«Non lo so…» ammise, evadendo con lo sguardo
«La mia casa è qui. Era qui…»
Sogno, Damon e Georgiana si scambiarono vicendevolmente occhiate
confuse, chiedendosi in silenzio se Ann sapesse già quanto volevano dirle, o se
avesse solo detto la prima cosa che le passava per la testa; Nathan, che non
avvertiva provenire dalla ragazza alcun sentimento di tristezza o dolore,
arrivò più facilmente alla conclusione che Ann non considerava più Hidel casa
sua da quando aveva smesso di essere umana.
«Non resta più niente qui.» proseguì l’uomo, attirando così l’attenzione
della ragazza «Né per te né per nessuno.»
«Che cosa vuoi dire…?» articolò lentamente
lei, inquieta.
In quel momento lui si mise in piedi, sfilò una mano da sotto il
mantello e la porse alla giovane.
«Lo vedrai.»
Passo dopo passo, più Hidel – o meglio, quel che ne restava – andava
delineandosi davanti a loro, più Georgiana poteva vedere gli occhi di
Annlisette farsi grandi, sgranati, increduli.
La ragazzina si chiedeva quanto quella villica potesse ancora
sopportare prima di collassare del tutto; fece scorrere lo sguardo preoccupato
su Nathan, che ricambiò con un cenno del capo, facendole implicitamente capire
che rivelare la verità ad Ann era un passo assolutamente necessario.
La verità viene sempre a galla, Georgiana lo sapeva bene questo, e in effetti
scoprire tutto successivamente, magari anche in modo più brusco e violento,
avrebbe potuto compromettere la salute mentale della novella vampira.
La osservò per un po’, chiedendosi quali emozioni le passassero per la
testa mentre si rimetteva a camminare, no, a correre a perdifiato verso le
rovine del villaggio.
Sogno la seguì subito, correndo sulla neve a sua volta, mentre lei e
Nathan rimasero indietro, procedendo con passo ritmico. Georgiana si affiancò a
lui, conscia che l’uomo non avrebbe detto neanche una parola finché non fosse
stato necessario, sebbene lei gli stesse rivolgendo mentalmente un’infinità di
domande.
Ci avevano pensato gli Angeli a far sparire i cadaveri, poiché il
Tribunale Nero non voleva che in un nessun modo le cause della morte fossero
ricondotte a qualcosa che andava oltre la comprensione umana. Sulla carta,
Hidel sarebbe apparso come un villaggio che all’improvviso si era svuotato dei
suoi abitanti, lasciando al loro posto solo chiazze di sangue ed armi sparse
qua e là.
Il dolore di Ann Georgiana non voleva nemmeno immaginarlo: la sua
famiglia, i suoi amici, le persone con cui era cresciuta o che conosceva anche
solo di vista erano tutti morti. Nessuno era riuscito a salvarsi dall’ondata
inferocita del popolo del suono, o almeno così avevano decretato gli Angeli; se
qualcuno era invece scappato grazie a qualche miracolo, probabilmente la fame e
il freddo lo avevano già ucciso.
Georgiana aveva visto Hidel solo da lontano, ma lo spettacolo che si
trovò davanti appena entrata le fece comunque male: niente, niente era più come
prima.
A poca distanza da Georgiana e Nathan, con le ginocchia affondate
nella neve e Sogno che la teneva stretta tra le braccia, Annlisette delirava.
Appena varcata la soglia del suo villaggio, là dove un tempo c’era stata la
piccola piazzetta dove i bambini si riunivano a giocare d’estate, un senso di
vuoto l’aveva stretta così violentemente che la ragazza si era chiesta se non
fosse morta una seconda volta.
Quello era senza dubbio il momento peggiore della sua vita.
Come prima cosa non poté fare a meno di correre disperatamente verso
casa sua, chiamando a gran voce la madre, il padre ed il fratello; come
prevedibile, nessuno però le rispose. Attorno a lei, Hidel non era più quello
che conosceva: le case distrutte e crollate, le macerie, riverse su quelle che
un tempo erano state strade, rendevano difficile il passaggio ed erano
ricoperte di chiazze rosse e di neve; ma la cosa più terribile era l’assenza di
persone ed il silenzio assordante.
Ann non voleva nemmeno immaginare che cosa fosse accaduto in sua
assenza.
Si ritrovò davanti a quella che un tempo era stata casa Nevue e che
adesso era una baracca disabitata, che non stava più a significare niente per
nessuno. Non c’era suo padre che tagliava la legna fuori, non c’era Gabriel che
si lamentava del freddo, non si intravedeva sua madre dalle finestre della
cucina. Non si arrese e si precipitò dentro, aggirandosi per le stanze come un
fantasma e urlando i nomi dei suoi familiari. L’interno era esattamente come se
lo ricordava prima di lasciare il villaggio alla volta di Terren, solo più
disordinato e sottosopra del solito, come se la sua famiglia fosse stata
costretta ad una fuga improvvisata.
Tornata fuori, per la velocità con cui scese le scale scivolò sul
ghiaccio e cadde sulla neve dura.
Sentì i passi sempre più vicini dei tre che l’avevano accompagnata, ma
non volle alzare la testa e rimase lì, provando a immaginare che al posto di
quei tre vampiri stesse sopraggiungendo la sua famiglia.
Quest’illusione ebbe solo il potere di farla stare ancora peggio.
Quale disumana forza era salita dalle fauci dell’Inferno? Esisteva
davvero qualcosa in grado di commettere tutta quella distruzione?
«Che cosa è successo qui?» furono le sue uniche parole prima di
crollare, preda di un pianto disperato.
Sogno, che tra tutti era sempre stata quella a lei sinceramente più
vicina, l’abbracciò con fare protettivo e le spiegò «Il piano del nostro
comandante prevedeva di lasciare una via libera al popolo del suono,
illudendoli di poter recuperare la Kharlan e distruggerci.»
«Sono stati… loro a fare tutto questo?»
continuò la ragazza, nella sua voce si poteva distinguere chiaramente l’ira
crescente.
Fu quando sentì Georgiana e Nathan raggiungerle che si divincolò dalla
presa di Sogno, si rimise in piedi così bruscamente da scivolar e ricadere,
stavolta non aiutata da nessuno; strinse con rabbia i pugni, sentendo la neve
insinuarsi tra le dita. Avrebbe voluto sfogarsi in modo violento, ma non poté
fare altro che alzarsi ancora, ignorando l’espressione perplessa di Georgiana e
quella preoccupata di Sogno, avventandosi poi contro Nathan, che stava fermo
davanti a lei e lasciava scorrere lo sguardo sulle macerie. Con un gesto veloce
gli afferrò il collo del mantello e lo tirò a sé, costringendolo a muovere un
passo in avanti.
«Perché non avete fatto niente se lo sapevate?!» gli urlò in faccia, a
brevissima distanza da lui.
Senza fare una piega, l’uomo le rispose «Quando lo abbiamo scoperto
era troppo tardi.»
Dentro di sé, Ann capiva che non avevano voluto rivelarglielo prima
per non farla soffrire più di quanto aveva già fatto, ma in quel momento,
accecata com’era dalla rabbia, non riusciva a ragionare lucidamente e li
malediceva per averla ingannata ancora una volta. Forse, si illudeva, avendolo
saputo prima avrebbe potuto vedere quella devastazione poco dopo il suo
compimento; ma era poi quello che desiderava? No, desiderava solo due cose:
svegliarsi ed essere accerchiata dalla sua famiglia, oppure sterminare tutti
coloro che avevano contribuito alla strage.
La sua presa si fece ancor più ferrea su Nathan, quindi riprese ad
urlargli in faccia.
«Dov’è?! Dov’è quella dannata arma?!»
L’avrebbe distrutta una volta per tutte, ma prima l’avrebbe usata per
farla pagare amaramente a tutti: non avrebbe avuto pietà come loro non avevano
avuto pietà di Hidel.
Ma Nathan, dopo qualche attimo di silenzio, scosse piano la testa «Non
esiste una Kharlan, Annlisette. Non c’era niente nei sotterranei della chiesa.»
La presa della ragazza tremò e si sciolse istantaneamente, Ann
barcollò diverse volte prima di lasciarsi cadere di nuovo, con un urlo di
rabbia che fendette l’aria e si espanse per il luogo desolato.
Sogno provò a metterle una mano sulla spalla, ma la villica la cacciò
via bruscamente, per poi ricominciare a piangere e maledire in tutti i modi
possibili vampiri, lupi mannari, Angeli o Demoni che fossero: ai suoi occhi
erano tutti diavoli.
Due giorni dopo – 12/01/1855
Il
paesaggio che aveva davanti a sé cambiava radicalmente a seconda della
stagione, Annlisette lo sapeva bene; molte volte durante il periodo d’assenza
di Nathan vi si era recata, lì, sul ciglio del dirupo che dava sulla valle. In
estate, quando vi aveva portato Nathan prima della partenza, la vallata era più
verde che mai, fino a raggiungere il mare del Nord, all’orizzonte. Ora, invece,
ciò che aveva davanti era una massa di neve bianca e spettrale, ed il vento,
soffiando tra i monti circostanti, creava strane eco simili a ululati.
Si
erano promessi che sarebbero tornati lì insieme, un giorno, e la promessa era
stata mantenuta.
Da
quel giorno la situazione era radicalmente cambiata, il grande amore che Ann
aveva provato in quell’occasione non c’era più, si era trasformato in rabbia ed
amarezza; confusa, non sapeva più cosa fare o pensare. Sapeva solo che avrebbe
lasciato quelle terre il prima possibile, da sola.
Non
intendeva rimanere oltre in compagnia di quelle persone: ai suoi occhi, chi più
chi meno, erano tutti colpevoli per ciò che era accaduto.
Dritta
in piedi ed avvolta in un lungo mantello blu scuro che le copriva il capo e i
lunghi capelli, provava a ragionare su ciò che avrebbe fatto da lì in poi.
Il
viaggio, questa era l’unica cosa certa: era l’inizio di un viaggio. Non sapeva
dove l’avrebbe portata, forse direttamente nella tomba considerando che aveva
insistito per essere sola in quella nuova avventura.
Nessuno
aveva cercato di convincerla troppo a lungo a cambiare idea: Nathan non aveva pronunciato
nemmeno una parola, Georgiana sembrava perdere la lingua quando erano insieme,
Damon diceva di capirla, poiché anche lui si era trovato in una situazione
simile all’inizio, Sogno invece le aveva più volte chiesto se era sicura,
arrendendosi poi all’evidenza dei fatti.
Forse
avrebbe visitato il famoso Tribunale Nero, dove avrebbe avuto un primo contatto
con la società dei vampiri. Oppure sarebbe morta per strada di sete; non
riusciva a concepire l’idea di strappare a qualcun altro la vita, così come era
stato fatto con lei.
La
sua vita, arrivata a quel punto, era un’incognita.
Lo
scalpitare degli zoccoli sulla neve attirò la sua attenzione in quel momento;
voltò appena il viso, notando il sopraggiungere di Nathan, con in mano strette
le briglie di un cavallo che stava guidando verso di lei. Quando le fu accanto,
l’uomo gliele passò, per poi voltarsi verso il paesaggio.
«Speravo che non finisse così.» ammise finalmente, mostrando
una vena di umanità che Ann credeva essersi esaurita.
Ella
sapeva che si stava riferendo più a lei che a Hidel, ma scosse piano la testa
per fargli intendere che non aveva la minima intenzione di parlarne ancora:
c’erano voluti due giorni perché si riprendesse dallo shock e ricominciasse a
parlare senza gridare o aggredire immotivatamente gli altri, e tornare
sull’argomento sarebbe servito solo a farla ripiombare nel baratro del dolore e
della rassegnazione.
Non
se ne sarebbe mai fatta una ragione, non avrebbe mai trovato un motivo
abbastanza forte da sostenere la necessità di uno sterminio simile, non avrebbe
mai perdonato coloro che l’avevano commesso.
Le
era stato spiegato che non aveva più da preoccuparsi per ciò che avrebbe fatto
in futuro, «Essere
uno di noi significa anche non dover più rispondere delle proprie azioni» le aveva detto Nathan, che
senza dubbio non rispondeva più delle sue da molto tempo. La sua anima era
stata venduta al Diavolo e non c’era più niente da fare.
Ann
inizialmente non ci aveva creduto e aveva provato a recitare una preghiera, ma
la voce le era inspiegabilmente morta, e non era tornata finché non aveva
rinunciato all’impresa. Se avesse provato a toccare un crocifisso o dell’acqua
santa la sua pelle sarebbe bruciata all’istante, stando a ciò che diceva Damon.
Avrebbe impiegato molto tempo per poterli sfiorare o toccare senza ustionarsi,
molto più tempo per resistere alla luce del sole per qualche minuto o per
entrare nelle chiese senza prendere fuoco.
«Quanto tempo ci vorrà per fare tutte le cose che fai
tu?» gli domandò
tristemente, senza guardarlo.
«Molti anni. Minimo una trentina.» rispose il tedesco.
Minimo
una trentina? La ragazza aggrottò la fronte, alzò il capo e lo squadrò «Ma tu quanti anni hai?»
La
domanda forse risultò comica al vampiro, che scrollò le spalle «Sono nato nel 1771.»
Ann non era
affatto brava in matematica – una delle mancanze a cui avrebbe rimediato, ora
che il tempo non le mancava -, ma riuscì comunque a capire che la sua età si
aggirava intorno agli ottanta anni.
Sarebbe riuscita
anche lei a sopravvivere così a lungo?
«C’è ancora una
cosa che vorrei dirti.» aggiunse lui, tornando ad incontrare i suoi occhi «Ma
non credo che tu sia ancora pronta.»
«Immagino che pur
minacciandoti non me lo dirai, allora.» la ragazza si avvolse meglio nel lungo
mantello e distolse lo sguardo con stizza, per poi avvicinarsi al cavallo che
fino ad allora era stato a pochi metri dietro di loro, sbuffando e di tanto in
tanto battendo con gli zoccoli sulla neve. Gli si accostò e poggiò una mano sul
suo dorso «Aiutami a salire.»
Sebbene volesse
suonare come un ordine, nessuno dei due lo intese in tal maniera. Con pochi
movimenti silenziosi Nathan le si accostò e la afferrò delicatamente per la
vita, issandola fin quando ella non riuscì a sedersi in sella, con entrambe le
gambe dallo stesso lato. Il destriero che le avevano dato era non troppo alto
né possente, di un comune colore marrone che sarebbe servito a mescolarlo tra
la folla senza attirare l’attenzione.
“E così è un addio… almeno per ora” rifletté Ann.
Era il momento di
partire. Volse un’ultima volta lo sguardo a Nathan, che la stava fissando a sua
volta, poco lontano dall’animale, ed incontrò ancora i suoi occhi chiarissimi e
pacifici.
No, nemmeno lei
avrebbe mai desiderato che finisse in quel modo così triste e sconsolato. Non
gli aveva neanche chiesto dove sarebbe andato o cosa avrebbe fatto; forse in
futuro l’avrebbe rimpianto, ma per ora no, voleva rimanere da sola, ritrovare
se stessa e dimenticare l’orrore che era rimasto a Hidel.
«Quando ti
sentirai pronta per conoscere anche l’ultimo segreto, cercami. Addio,
Annlisette Nevue.» la salutò lui, con un sorriso appena accennato né triste né
felice «E ricordati di considerare la tua non-vita non come una maledizione, ma
come una seconda opportunità.»
Annlisette
impresse le ultime parole di Nathan nella mente, pensando che prima o poi forse
sarebbe riuscita a coglierne il significato profondo. Il cavallo si avviò lungo
il sentiero, e lei poté osservare la figura ammantata di nero stagliarsi sulla
neve che fioccava finché non scomparve, come un fantasma.
«Addio, Nathan
Metherlance.» ricambiò, per poi voltarsi in direzione dell’orizzonte che
avrebbe inseguito.
Spronò il cavallo
al galoppo, l’aria fredda le sferzò il volto e le ricordò che da quel momento
in poi era completamente sola.
Il suo viaggio
aveva finalmente avuto inizio.
Rovine di Hidel – 28/12/1961
Certe
cose non cambiano mai, non importa quanto tempo passi: il destino, a volte, sa
essere davvero crudele.
Non
che lui credesse nel destino, per carità, ma aveva imparato con l’esperienza
che gran parte degli esseri umani tendeva ad attribuire a tale ignoto fattore
ogni evento, soprattutto quelli spiacevoli. E in un mondo dove o ti sforzi di
essere più simile ad un umano per passare inosservato oppure ti sveli alla luce
del sole in tutta la tua mostruosità, subendo così le conseguenze mai
piacevoli, era decisamente preferibile mescolarsi a loro e tramare solo quando
non si era visti.
Ecco,
questo era il principale motivo per cui una persona come Nathan Metherlance
aveva spontaneamente deciso di abbandonare la civiltà e vivere da eremita,
almeno finché gli fosse stato concesso tale lusso. Gli unici contatti che aveva
mantenuto erano quelli che lo legavano alle uniche persone capaci di soddisfare
il suo bisogno – raro bisogno – di parlare con qualcuno, senza però arrivare a
tediarlo: Damon e Sogno Darkmoon, Georgiana Varens,
raramente Sole Metherlance, e di tanto in tanto qualche altro “consanguineo”
incontrato più per calcolo che per caso.
E
poi, beh, poi c’erano gli spettri di Hidel. Ma loro erano un caso tutto particolare.
Si
ritirava lì, in quello sperduto angolo d’Inghilterra, una volta ogni due o tre
anni. La lunga seconda guerra mondiale e le successive ostilità tra inglesi e
tedeschi lo avevano tenuto lontano per molti anni da Hidel, ma lo scenario non era
cambiato mai: nessuno, non una Victoria né una Elizabeth, né tantomeno un
futuro erede al trono o chissà chi avrebbe mai provveduto a portare ordine lì
dove la natura, il destino, Dio o chi si voglia aveva preteso ed ottenuto un
eterno disordine. Tutto ciò appariva agli occhi di Nathan impressionate sia
positivamente che negativamente.
Quando
si trovava davanti a quelle rovine ormai quasi del tutto invisibili, coperte
dal bianco della neve accumulata durante l’inverno, spaziava come poche volte
aveva fatto nella sua vita: nessuno lo aveva mai interrotto, nessuno era mai
stato capace di sopportare troppo a lungo la vista delle macerie distrutte
dalla furia omicida di un branco di lupi mannari. Anche se, in effetti, nessuno
era a conoscenza di quel piccolo e trascurabile dettaglio.
Eppure,
quell’anno qualcuno era stato in grado di lasciare per un attimo Nathan
Metherlance sorpreso: non sbigottito né senza parole, ma ottenere già il
semplice stupore di una persona abituata ad apparire impassibile anche davanti
al Diavolo era già molto.
Il
giovanotto seduto sulla neve avrebbe dovuto essere fiero di sé.
Avvolto
in un grande e pesantissimo cappotto che Nathan reputava eccessivamente largo,
visto da dietro costui appariva poco più che ragazzino, almeno giudicando dalla
corporatura: abbastanza basso, poco robusto, leggermente tremante come un
bambino che provava troppo divertimento per smettere di giocare, nonostante sia
consapevole di avere le dita bluastre.
Curiosità,
era forse questa emozione che stava provando? No, anzi, che stavano entrambi
provando, l’uno verso Hidel e l’altro verso l’uno?
Sul
volto di Nathan si dipinse un sorriso appena accennato, quello che gli sorgeva
spontaneamente ogni qual volta che trovava un oggetto interessante da
analizzare.
Un
passo, un altro passo, e lo straniero fu in grado di distinguere qualcosa di
più, pur mantenendosi alla debita distanza di un metro e vagando solo con la
coda dell’occhio sul bifolco: i tratti, che inizialmente aveva reputato
immaturi, ora si rivelavano addirittura infantili; i capelli, colorati di un
castano gentile, ricadevano sul viso sospinti dal vento; gli occhi che
istantaneamente corsero sull’uomo ammantato di nero quasi invitarono il vampiro
a cercarli. Non tanto per il particolare colore giallo, quanto per
l’espressione che contribuivano a creare sul volto di quel ragazzino: l’espressione
di una persona sola, maledettamente sola e triste.
Sembrava quasi aspettare che Nathan spalancasse le fauci e lo
divorasse in un sol boccone!
Un minuto di silenzio intercorse tra i due, carico di irrequietezza e
forse paura; era già strano che una persona si recasse in quel luogo, figurarsi
due! Tuttavia, dopo un po’, il ragazzino finalmente decise di aprire bocca.
«Dove ci troviamo? E come ha fatto a trovarmi?» domandò placidamente.
«Qui un tempo sorgeva Hidel.» spiegò il tedesco, mentre una mano
correva nella tasca del lungo mantello «Un villaggio eroso dalla fede cieca dei
suoi abitanti e dall’inumanità di chi li aspettava alle porte.»
Ogni riferimento ovviamente non poteva che essere oscuro al giovane,
che forse però non era realmente interessato a quel cumulo di macerie: la sua
attenzione si era spostata su un elemento bardato di nero e dal linguaggio
decisamente estraneo agli anni sessanta, decisamente più interessante.
Poi, con un vago sorriso, Nathan aggiunse «Per quanto riguarda la seconda
domanda… mi sono limitato a seguire le sue impronte
nella neve.»
Ancora oggi, nel ventesimo secolo, esisteva qualcuno in grado di farlo
sorridere davanti a tanta ingenuità: sì, il mondo non finiva mai di stupirlo.
Il giovane parve per un attimo sorpreso e lanciò un cupo sguardo alle
impronte, che inequivocabilmente portavano a lui; sospirò e rivolse quindi lo
sguardo al tetro spettacolo di rovine e desolazione davanti a loro.
«Non importa. Chi verrebbe mai in un posto come questo?»
“Che ragazzo curioso…” considerò tra sé e sé
il vampiro, sebbene tutta quella insistenza non lo urtasse affatto, anzi. Fece
intercorrere un minuto tra domanda e risposta, forse per creare una sorta di
suspense smaliziata.
«Un inguaribile nostalgico, suppongo.»
E quelle sue stesse parole quasi fecero sorridere il biondo, che si
era sempre pensato troppo inumano per lasciarsi condizionare dal passato: in
realtà, e Nathan lo sapeva benissimo, l’unico legame che ancora lo spingeva a
recarsi a Hidel era una promessa fatta molti anni prima. Nel momento in cui
quella promessa fosse stata onorata, anch’egli sarebbe stato libero
dall’obbligo di visitare quel villaggio morto così spesso.
Seguì un pesante silenzio, al quale solamente il rumore del vento dava
disturbo. Dopo tantissimo tempo, Nathan sentì dentro di sé la voglia di
conoscere i pensieri di qualcuno: quel giovane ragazzo dall’aria perduta; anche
se la sua espressione mesta era già più che eloquente.
Egli aveva, e il tedesco sentiva di non sbagliare, la stessa
espressione che aveva visto in faccia ad Annlisette Nevue nel momento in cui
aveva realizzato di essere rimasta sola al mondo.
«Cosa cerca?»
La quarta, invadente domanda. Era forse uno di quei test che
ultimamente andavano tanto di moda? No, a dir la verità sembrava più una
conversazione tra padre e figlio: perché? Perché? E perché questo è così, papà?
Purtroppo però, Nathan non aveva una risposta a tutto. O meglio, a
quella specifica domanda l’aveva, ma era qualcosa di troppo personale per poter
essere spifferata così candidamente ad uno sconosciuto.
Sollevò gli angoli della bocca in un sorriso beffardo, posando
finalmente gli occhi sul suo interlocutore «E lei, messere?»
Con quella domanda inaspettata, il quadro del padre e del figlio si
frantumò in mille pezzi con tanta violenza che gli occhi dello stesso giovane
uomo sembrarono essere attraversati da una frattura: lo aveva fatto a pezzi
semplicemente rigirando un quesito?
Tuttavia, il ragazzo fu bravo a nascondere velocemente questo
particolare.
«Una cosa che ho perso da molto tempo, signore.» spiegò, richiudendosi
su se stesso come un riccio, con le gambe avvolte dalle braccia ed il mento
poggiato sulle ginocchia. Mentre era impegnato in tali operazioni, ecco però
che qualcosa tornò a minare la sua quiete: un intenso bruciore sulla gola. In
un gesto concitato corse con una mano ad essa, tentando di coprire lo strano
marchio nero a forma di cerchio che, in quell’attimo, si era illuminato di
rosso.
Quasi involontariamente Nathan lo aveva notato, ancor più
involontariamente aveva avvertito l’irrequietezza e la nota di timore che il
giovane bruno emanava senza saperlo.
Pochi elementi, che però bastarono a fargli afferrare qualcosa di più
su quell’individuo: solo, sperduto,
abbandonato da un padrone che stava morendo in quell’esatto momento.
Una
delle cose più utili che avrebbe mai potuto desiderare, e il destino glielo offriva lì, a portata di
mano: un demone capace di far avverare alcune circostanze propizie. Quello che
una persona comune avrebbe volgarmente chiamato “genio”, ma che “genio” non era
affatto.
Da
ciò che Nathan sapeva, si trattava di particolari demoni minori che si legavano
ad un “maestro”, del quale esaudivano un numero prestabilito di desideri, pur
essendo sottoposti a moltissime regole restrittive. Il legame col maestro
veniva suggellato con un marchio a forma di cerchio sulla gola, che quando si
illuminava di rosso annunciava la morte del suddetto.
La
loro situazione era sempre la stessa: venivano sfruttati fino ad essere
consumati, finché i loro poteri non svanivano, quindi cominciavano a morire
lentamente.
La
storia di quel ragazzo, pensò Nathan, non poteva essere molto diversa: non
aveva mai sentito parlare di uno solo di loro che non vivesse nella paura e
nell’infelicità.
Questa
considerazione, assieme alla mole di pensieri negativi provenienti dal giovane,
lo convinsero ad azzardare un passo che poteva rivelarsi pericoloso.
«Che mondo ingrato. Per quanti padroni tu abbia viziato
con i tuoi servigi nessuno di questi ha mai pensato veramente a te. Povero
demone.» sussurrò, evitando addirittura di usare un
tono formale per simulare una frase spontanea.
Neanche avesse
appena scavato nella sua anima!
Il ragazzino
sembrava assolutamente stupefatto: un’emozione incredibile trapelava dai suoi
occhi gialli, che fece quasi pensare a Nathan di aver detto la cosa giusta al
momento giusto. Si concesse un ulteriore sorriso, stavolta ingentilito «Ma mi
permetta di scendere nel personale: è lontana la meta che vuole raggiungere, il
tesoro che intende cercare?»
«Me lo dica lei,
di grazia. Io lo cerco da troppo tempo, ormai.» rispose l’altro con fare
rassegnato, come se avesse ormai perso ogni speranza.
Nathan pensò di
non essersi sbagliato nell’immaginare che razza di vita avesse potuto avere
quel giovane e, fissandolo ed essendo fissato a sua volta, sentenziò enigmatico
«Io? Ma io non posso saperlo. Sta a lei e solo a lei scoprirlo.»
E la discussione
sembrò terminare lì, almeno per volere del tedesco. Distolse lo sguardo
dall’altro uomo e lo poggiò sulle rovine di Hidel, così immobili ed eterne; per
quanto tempo anche lui era rimasto statico, lontano dalla civiltà, ad aspettare
un segno? Ora, invece, qualcosa si era mosso nella sua vita: un antico nemico
era pronto a giocare una nuova mossa nella partita a scacchi che avevano in
corso da più di un secolo.
E Nathan sapeva
che per vincerlo avrebbe avuto bisogno di tutto l’aiuto possibile, altrimenti
avrebbe miseramente fallito. Era tornato lì a Hidel per l’ultima volta, poiché
sapeva che negli anni a venire non avrebbe avuto il tempo di onorare la sua
promessa di proteggere Annlisette Nevue.
Ora aveva un nuovo
obiettivo, e per raggiungerlo avrebbe fatto l’impossibile. Anche raggirare
spietatamente chiunque si fosse trovato sulla sua strada.
«Io posso
aiutarla.»
E lo avrebbe
fatto, senza pietà.
Il ragazzo sollevò
la testa e cercò il contatto coi suoi occhi, trovandolo. Inizialmente parve
indeciso, poco determinato, ma secondo dopo secondo la speranza si impadroniva
di lui, pervadendolo completamente. Sì, gli stava davvero credendo: questa era
l’unica conclusione possibile.
«La accompagnerò
nella ricerca della felicità che tanto brama.» concluse Nathan.
Ma il ragazzo era
furbo, o forse la sua esperienza gli aveva insegnato che nessuno era
incondizionatamente gentile.
«Immagino che
vogliate qualcosa in cambio.» sospirò grave, per poi attendere pazientemente
che il patto col diavolo fosse proposto.
“No, non è questo
il momento” pensò invece il vampiro, che ora aveva la prova che i poteri del
ragazzo non si erano esauriti.
I poteri di quei
demoni minori erano troppo preziosi per essere sprecati alla prima occasione,
ed il tedesco sapeva quanto fosse orribile essere manipolati da altri,
principalmente per questo non aveva la minima intenzione di dare al giovanotto
la soddisfazione di vedere le sue aspettative realizzarsi, o di vederle
realizzarsi il più tardi possibile.
Lasciò dunque che
il tempo scorresse, che la neve intorno a loro continuasse a fioccare e si
posasse sulle loro figure, imbiancandole ed appesantendole. Quel silenzio così
profondo dovette far capire al ragazzo i pensieri di Nathan.
Si rimise in
piedi, fronteggiando l’immobilità delle rovine con un movimento fluido e lesto;
si avvicinò al tedesco e lo esortò con l’espressione di chi cerca risposte
«Maestro, mi mostri la via…»
Tra le case
distrutte e le macerie coperte di neve, in quell’attimo a Nathan sembrò di
scorgere il fantasma di una scena che aveva già visto: una ragazza che scivola
sulla neve, sorretta all’ultimo secondo da chi le avrebbe cambiato la vita.
Chinò leggermente
il capo, con un sorriso appena accennato sul volto, quindi diede le spalle al
villaggio e riprese la strada per cui era giunto. Alle sue spalle arrancava il
giovane demone, che gli si affiancò poco dopo.
«Posso chiederle
una cosa?»
«Prego?»
«Qual è il suo
nome?»
«È buon costume
presentarsi per primi, messere.»
«Oh, giusto,
dimenticavo. Io sono…»
Note dell’Autrice:
Bbbbbasta capitoli angst!
È da quando si è aperta la saga di Terren che scrivo solo capitoli deprimenti,
ma questo li ha superati tutti! Grazie al cielo era l’ultimo! O meglio, manca
ancora l’epilogo, ma non sarà deprimente almeno quello XD
Questo capitolo è
stato molto problematico: ho paura di aver reso Ann una Mary Sue con quella
mole assurda di urla isteriche e scenate simili, ma credo che si sarebbe
comportato così chiunque in una situazione simile…
non saprei. Ditemi voi, abbiate pietà XD
Non vi farò
aspettare per l’epilogo: l’ho già scritto. Lo posterò questa settimana, quindi
farò un bel click su “completa: sì”. Sarà emozionante *_*
Restate con noi
fino alla fi-… ehm, aspetta, ma È finito XD va beh,
restate con noi fino all’epilogo! ^^b
Grandissimi ringraziamenti
a tutti quelli che seguono la storia, in particolare a KikyoOsama, Milou e Yelllow, che mi hanno pure
lasciato un commento!
Un abbraccio,
Sely.