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Autore: LadySherry    27/04/2012    6 recensioni
« Ci sono due cose che ho imparato da quando sono qui. La prima: mai fidarsi degli estranei. La seconda: mai fidarsi di Bill Kaulitz.»
(...)
«Ma tra il bivio del prendere o lasciare, avevo deciso di prendere.»
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 15.

 

Mi manca Amburgo.

Mi manca alzarmi la mattina e sapere che da lì a poche ore avrei rivisto i ragazzi.

Mi manca guardarmi allo specchio e notare il mio costante sorriso sulle labbra.

Ma soprattutto, mi manca il mio lavoro.

Sistemare vestiti firmati su degli scaffali non è mai stata tra le mie più grandi aspirazioni, eppure so perfettamente che questa è la cosa giusta da fare. Andare avanti, mettercela tutta e tornare alla mia vita di sempre. Quella vita senza problemi, senza complicazioni, senza superstar tra i piedi e senza uno skaterboy a farmi la morale su un amore che non conosce nemmeno lui.

Lo skaterboy in questione, purtroppo, non si è più fatto sentire, motivo in più per confermare quanto ripetevo in passato: tra me e lui non ci sarà mai niente.

Bill mi ha chiamato due giorni fa, ripetendo fino allo sfinimento quanto sia bella e fantastica la visuale dalla sua camera che dà su un giardino ricco di fiori di pesco.

L'Italia. Quanto mi manca, l'Italia.

Niente, ora come ora, mi impedirebbe di tornare a Milano. Eppure, con la fortuna che mi ritrovo, finirei per alloggiare nel loro stesso hotel. Finirei per incontrare Gustav e Georg, gli sguardi taglietti del signor Jost e di tutto il resto della squadra.

Non riuscirei a sostenere un simile groppone. E' troppo perfino per me.

Asciugo una lacrima con uno scatto veloce della mano, tornando poi in salotto a rimpinzarmi di gelato alla vaniglia.

Ultimamente piango spesso. Lo faccio involontariamente, senza pensarci. A volte mi ritrovo in mezzo alla strada con gli occhi velati di lacrime senza una motivazione precisa.

La televisione trasmette le solite, noiose sitcom che hanno il solo e unico scopo di farti venire la depressione. Premo il pulsante rosso all'istante e torna a regnare il silenzio.

Mi guardo attorno con la speranza di trovare qualcosa di storto da riaggiustare, qualche imperfezione da coprire o cose simili. Niente.

Questa casa è perfetta, in un modo quasi malato e ossessivo. Giulia non mi sopporta più, infatti cerca sempre di stare fuori casa il più a lungo possibile. Questo mi fa male, ma ancora una volta so perfettamente che è la cosa giusta.

Devo abituarmi all'idea di essere tornata alla normalità di sempre, dove tutti hanno i loro impegni e di certo il loro ultimo pensiero è quello di aiutare una semi-disoccupata in cerca di conforto e amore.

Senza pensarci due volte, prendo il mio cappotto ed esco di casa, assaporando un po' di sana aria berlinese. Le luci dei lampioni sono appena accennate, il giorno sta facendo spazio alla notte. Una notte come tutte le altre, una notte all'insegna delle domande. Chiedersi “Cosa starei facendo ora, se lavorassi ancora per loro?” oppure “Mi pensano?”.

Scaccio questi pensieri e continuo a camminare, fino ad arrivare quasi davanti alla Porta di Brandeburgo. Se penso che molti vorrebbero essere qui, ora e al mio posto, mi vengono i brividi. Io non vorrei essere nei miei panni, proprio no.

Mi fermo alla fermata dell'autobus approfittandone della piccola panchina per sedermi – l'unica libera, per altro.

Sento il cellulare vibrare nella tasca dei jeans e lo tiro fuori, sperando di non notare il nome di mia madre spiccare sul display. Ultimamente mi chiama spesso, non dico ogni due ore ma quasi.

E' Giulia, ringraziando il Cielo.

«Chiara, devi tornare a casa!» dice, in tono fermo e pacato.

Guardo l'ora. Sono passati venti minuti da quando ho lasciato l'appartamento e sono sicura di non aver lasciato il gas acceso, per cui non può essere saltato in aria o chissà che altro.

«Che succede?» chiedo, provando a capire.

Sbuffa, infastidita. Tipico di lei quando non vuole che le si facciano troppe domande.

«Vieni a casa. Ora. Subito!».

E riattacca.

Alzo gli occhi al cielo, esausta.

Ormai sono abituata a queste sue scenate, a questi suoi colpi di scena. Un po' me lo aspetto sempre, non mi faccio mai trovare impreparata.

A malavoglia mi alzo dalla panchina e mi avvio verso casa, con le mani nelle tasche della giacca e mille pensieri a occuparmi la testa.

Un po' deprimente, ma mi ritrovo a scavare nei ricordi più recenti. Ricordo la sera prima di quel maledetto concerto, ricordo che il mio rapporto con Tom stava migliorando. Ricordo come questa barriera si sia sgretolata alla velocità della luce, come sabbia tra le dita.

Ricordo i suoi messaggi rassicuranti e poi ricordo il vuoto. Il suo silenzio.

Le sue parole mi mancano, i suoi sguardi taglienti e le sue facce buffe, mi mancano.

Arrivata davanti a casa, apro il portone del palazzo e salgo le scale prendendo due scalini alla volta. In circostanze normai avrei preso l'ascensore, ma qualcosa mi dice che così faccio prima.

Faccio girare la chiave nella serratura ed entro, quasi in punta di piedi.

«Sono a casa!» urlo, per farmi sentire.

Sento dei passi pesanti farsi sempre più vicini e provo a capire il suo grado di arrabbiatura.

Chiara si avvicina con le braccia incrociate al petto e lo sguardo serio, determinato a farmi fuori anche senza parlare. Quando mi è davanti, però, sorride.

«Non sapevo che dal vivo fosse così carino» ammicca.

Allunga un braccio dietro di me per afferrare la giacca dall'appendiabiti e recupera le chiavi da sopra la mensola alla mia destra.

«Esco con Joe. Fate i bravi, mi raccomando. Al ritorno voglio tutti i dettagli!».

Mi fa l'occhiolino ed esce, lasciandomi impalata all'ingresso.

Il mio cuore inizia a battere impazzito, mentre a fatica provo a fare quei dieci passi che mi separano dal salotto.

I miei occhi saettano da una parte all'altra in cerca di indizi che mi possano portare alla verità con qualche secondo di anticipo.

Noto solo le chiavi con il ciondolo dell'Audi attaccato.

Gran bell'indizio, borbotto tra me, provando a non gridare.

Arrivo in salotto e il mio cuore si ferma. Inchioda dopo una serie innumerevole di battiti e mi abbandona definitivamente.

«Ciao» esclama Tom, quasi come se fosse sorpreso di vedermi.

«Che ci fai qui?» chiedo, senza pensarci.

Brava, Chiara! Complimenti! Tu sì che sai accogliere le persone in casa tua. Tra l'altro, non vorrei metterti ansia, ma lavoravi per lui fino a poche settimane fa!

Provo mentalmente a scacciare la vocina nella mia testa e sorrido, anche se son sicura di dare l'impressione di una ragazza abbastanza depressa.

«Vuoi qualcosa da bere? Dovrebbe essere del tè, succo alla pesca, una Coca Cola, una lattina di aranciata o non lo so. Giulia ha il vizio fastidioso di sbafarsi qualsiasi cosa piaccia anche a me!».

Ma che stai dicendo? Sei forse impazzita?

Tom sorride, scuotendo la testa. «Non preoccuparti, sono a posto così. La tua amica mi ha rifilato una birra cinque minuti fa» risponde, tranquillo.

«Ah!».

Mi siedo sul divano e strofino per un po' le mani sulle ginocchia, nervosa.

«Ho delle novità, riguardo all'episodio sulle chitarre...» inizia, buttandosi all'indietro per appoggiare la schiena allo schienale della poltrone. «Ricordo quel gruppo di ragazze fuori di testa che seguivano me e Bill un po' di tempo fa? Quelle specie di stalker?».

«Sì, ho presente».

«Pare siano state loro, sai? David vorrebbe...».

Non lo lascio finire di parlare. Scuoto la testa in segno di dissenso. «Non tornerò a lavorare per voi, Tom. Fattene una ragione!» dico, con la lacrime agli occhi.

Le asciugo veloce con una mano e cerco di nascondermi per quanto posso. Lui sorride, come se trovasse divertente il fatto che io stia piangendo per colpa sua e dei suoi amici del cuore.

Si alza dalla poltrone e mi raggiunge, mettendo un braccio attorno alle mie spalle, attirandomi appena a sé.

Lo lascio fare, non mi oppongo anche perchè sarei una pazza.

«Ehi, sto solo cercando di chiederti scusa, per quanto possibile» sussurra al mio orecchio.

«Scuse accettate» borbotto, mentre tento nuovamente di fermare le lacrime.

Sembro un fiume in piena. Odio piangere. Odio farlo per qualcuno che non merita le mie lacrime. Odio farlo, soprattutto, davanti a quel qualcuno.

Avvicina la sua mano alla mia guancia e con il pollice scaccia via una lacrima.

«Non devi piangere. Si sistemerà tutto, vedrai».

Annuisco, più per farlo contento che per altro.

Non tornerò a lavorare per loro, su questo ne sono sicura. Non sarei io se facessi una cosa del genere, andrei contro tutti i miri principi morali.

Mi attira ancora un po' a sé e mi ritrovo a poggiare la testa sul suo petto. Non sono mai stata così vicina a lui, credo di non averlo mai abbracciato in tutto il tempo che ho lavorato per loro – anche perchè erano più le volte che trascorrevamo le ore a litigare che altro.

Istintivamente circondo il suo petto con il braccio sinistro e chiudo gli occhi, provando a fissare nei ricordo il suo profumo.

Mi lascia un piccolo bacio sulla fronte e rimaniamo così in silenzio, come fossimo una vera coppia.

La cosa peggiore è che, purtroppo, l'idea di un futuro insieme mi piace anche troppo.

 

 

 

 

 

Note: Intanto ringrazio tutte quelle che hanno risposto al post che ho lasciato. Non rispondo a tutte quante perchè avete detto più o meno la stessa cosa e dovrei fare sei copia incolla e mi si incricca la mano destra (: Vi ringrazio perchè mi avete dato n po' al forza per andare avanti con questa fan fiction. Mi rendo che il capitolo è più corto degli altri ma, come avete notato, le cose si sono ben evolute e quindi può essere considerato come un “capitolo di grande passaggio!”.

Spero vi piaccia come i precedenti! Farò di tutto per continuare a pubblicare i capitoli fino alla fine. (Potrei avere già in mente un seguito, ma non assicuro niente!).

Ci vediamo al prossimo!

Xo xo,

Lady

  
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