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Autore: Flaqui    27/04/2012    11 recensioni
"Vincere significa fama e ricchezza.
Perdere, invece, significa morte certa.
Niente di più.
Ma vincere, perdere, non cambia molto. Se perdi muori. Se vinci, vivi. Ma vivi senza speranza, assillato da incubi che ti tortureranno e ti faranno impazzire, togliendoti il sonno.
Quanto sei disposto a perdere?"
Quando Rose viene scelta per partecipare alla trentaquattresima edizione dei Giochi della Fame, sa benissimo di aver firmato la sua condanna a morte. Ognuna delle dieci scuole magiche europee deve sorteggiare, ogni anno, due studenti, una ragazza e un ragazzo, fino alla maggiore età; questi verranno gettati in un arena a combattere fino alla morte.
Rose sa benissimo che non riuscirà a farcela. Ma ha promesso che farà di tutto per tornare a casa, e non intende arrendersi.
In squadra con lei c'è anche Scorpius, un ragazzo gentile che però non ha la stoffa per farcela. Lui vuole dimostrare di non essere una inutile pedina e fa una appassionata dichiarazione davanti alle telecamere di mezzo mondo. Ma nei Giochi della Fame non c'è spazio per l'amore, per l'amicizia e per i sentimenti.
Che i Giochi della fame abbiano inzio.
E possa la buona sorte essere sempre dalla vostra parte!
Genere: Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Victorie Weasley
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Buona Sorte -Il Fuoco Sta Divampando-'
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Angolo Autrice

Ma voi volete farmi venire un infarto?
No, sul serio, 10 recensioni? 10?
Se l'altra volta stavo saltellando adesso son praticamente svenuta!
Insomma non pensavo che questo omaggio al mio libro preferito potesse ottenere davvero tutto questo successo!
In ogni modo cerco di non tirarla per le lunghe e rimando le note importanti, le segnalazioni e le citazioni alle note finali!
Intanto però, permettetemi di ringraziare le dieci meravigliose ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo!
Fatemi sapere cosa ne pensate anche di questo!
Grazie a _Valerie_96 freak the freak  Alexiel94 Rosie_96 RoseBlack98 MissTata55 BurningIce sweetcorvina Harry Potterish Jo_94 che ci sono sempre e che mi hanno fatta emozionare con le loro parole!
Vi amo!
Fra



Dedicato alle mie tre care/carogne preferite, Giulia, Ivana e Ale (N. mia cara, so quanto ti da fastidio che ti chiami con il tuo nome, quindi, rassegnati, tu sei e sarai sempre la mia Ale)
Dedicato a Federica perchè gli uomini, si sa, vanno presi per le palle!
Dedicato alle mie nuove fan/new-eantry/disperate che leggono la mia storia che hanno fatto gonfiiare il mio ego a dismisura!
Dedicato a Vale, Vero e Ro, perchè, comunque, ci sono sempre!

 


Capitolo II - Quello che sono

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La prossima volta?
Non ci sarà una prossima volta.
-Eminem

 
È con un sospiro profondo che mi preparo a questa ultima, interminabile ora in cui dovrò congedarmi dalla mia vita, dai miei famigliari e dai miei amici, e, soprattutto, da me stessa, prima di diventare a tutti gli effetti, il rappresentate di Hogwarts ai Giochi della Fame.
Mi sembra tutto ancora così… strano.
Dopo la paura iniziale e la lunga fase della rabbia che ne è conseguita e che mi ha fatto rompere con un pugno lo specchio nel piccolo bagno della stanzetta dietro la Sala Grande, ora sto passando lo stadio dell’incredulità.
Come può, una giornata come questa, così simile alle altre, iniziata così bene, essersi conclusa in modo così travolgente e disastroso?
Questa mattina, quando mi sono svegliata, ho fatto con Al il solito giro nella Foresta Proibita. È diventata una tradizione, ormai. Sono gli ultimi giorni prima delle vacanze di Natale, questi –ovviamente per chi riuscirà a finirla, ovviamente per chi non è stato sorteggiato e non riuscirà nemmeno a salutare decentemente la sua famiglia prima di essere ammazzato- e i controlli sugli studenti sono meno rigidi.
In ogni modo, come tutti gli anni, la mattina del sorteggio, io e Al ci siamo fatti la nostra lunga sfacchinata fino alla piccola grotta semi nascosta dal sottobosco. Lì abbiamo tirato fuori i panini dolci che abbiamo fregato in Sala Grande e ci siamo limitati a mangiare in silenzio.
Io e Al non parliamo molto. Siamo entrambi due persone molto chiuse e, anche se sappiamo benissimo di poterci fidare cecamente l’uno dell’altro –cosa davvero rara di questi tempi- preferiamo i gesti a inutili discorsi.
-Potremmo andarcene, sai?-(1) mi ha detto stamattina, inclinando un po’ la testa e evitando di guardarmi negli occhi, come fa sempre quando dice qualcosa che ritiene importante.
Io ho alzato le sopracciglia visto che, questo, centrava poco con la relazione di Erbologia per la settimana seguente, l’ultimo argomento di cui avevamo discusso.
-Andarcene?-
-Si. Io e te. Potremmo farlo. Rubare del cibo dalle cucine, scappare per la Foresta Proibita. Scappare da questo schifo di posto-
Per un attimo ho soppesato l’idea, davvero. Sarebbe stato… liberatorio, ecco. Passare la mia vita con Albus, in un posto lontano, magari dove gli americani non avevano ancora gettato la loro ombra.
-Se non ci fossero i bambini, ovvio-
Albus si è stretto nelle spalle.
Ovviamente noi non abbiamo bambini, certo. Ma, dopo l’esplosione al Ministero della Magia, sei anni fa, quando sono morti entrambi i nostri padri, siamo diventati in automatico capifamiglia.
Io, almeno. Albus un po’ di meno, perché Zia Ginny, nonostante tutta non si è arresa, ha continuato e continua a lottare.
Mi piace molto Zia Ginny.
Quando è morto Zio Harry era una donna con tre figli a carico e un lavoro vacillante –chi mai vuole leggere articoli sul Quidditch, quando c’è una guerra in corso?-, ma si è rimboccata le maniche e si è data da fare per trovare una soluzione a tutto.
Mia madre, invece, non si è mai ripresa del tutto. Il dottore babbano che l’ha visitata, uno pissicologo, disse che era in shock post-traumatico. Questa era la definizione, la teoria astratta. Nel concreto, io e Hugo, non avevamo più una mamma.
Era come se non ci vedesse, ne sentisse più. Rimaneva ferma sulla sua sedia, gli occhi persi nel vuoto e le mani rovesciate sulle ginocchia. A volte si alzava all’improvviso, come se si fosse ricordata di qualcosa di molto importante che doveva assolutamente fare e poi, dopo pochi passi, ricadeva sulla sedia più vicina.
Durante il mio secondo anno, feci promettere a Hugo, ancora troppo piccolo per venire a scuola, che, se avesse avuto qualche problema, sarebbe andato a Casa Potter.
Che io sappia ci è andato solo una volta.
In ogni modo, mia madre ora è migliorata, parla, mangia, si comporta come un essere vivente, normale. Ma non ha più quella scintilla negli occhi che le vedevo ogni sera quando, papà, tornando da lavoro, le si avvicinava e le dava un bacio sulla guancia.
È uno dei motivi per cui non voglio avere figli. Oltre, ovviamente, alla possibilità che questi vengano sorteggiati per i Giochi della Fame.
-Io non voglio bambini- gli ho risposto, stamattina.
-Io li vorrei, se non vivessi qui-
Albus non avrebbe problemi, comunque. Se vuole dei figli c’è un intera armata di ragazzine a scuola che farebbero carte false per lui. È un bel ragazzo, Al.
Ha i capelli nerissimi e sempre scompigliati anche se non c’è un minimo alito di vento e gli occhi più verdi e luminosi che io abbia mai visto.
Io ne sono gelosa, ma non per il motivo che credono tutti. Semplicemente è il mio migliore amico, lo conosco meglio di me e so che merita di meglio.
-Ma ci vivi-
Albus si è rabbuiato e mi ha tenuto il muso per un po’. Si è messo ad affilare con una pietra un rametto di legno che aveva trovato per terra ed è rimasto in silenzio per il resto della mattinata.
Avevo pensato che mi sarei scusata con lui, una volta terminato il sorteggio.
Ma io, ora, sono stata scelta e chiedergli scusa, dirgli che vorrei avere dei figli, che ha ragione lui… oramai non ha più senso ne importanza.
Mi chiedo se riuscirò a salutarlo, ora, anche se solo per i pochi istanti che ci saranno concessi.
I primi ad entrare nella stanza singola che mi hanno assegnato per svolgere i miei addii sono mia madre, Hugo e Lily.
Mio fratello sta visibilmente cercando di non piangere mentre Lily non tenta nemmeno di nascondere gli enormi lacrimoni che trasbordano dalle sue lunghissime ciglia e le lasciano sulle guance dei rivoletti scuri di mascara. Mia madre ha un’espressione più viva di quelle che usa di solito.
Suppongo che il fatto di stare per perdere una figlia sia un qualcosa che, anche nel piccolo mondo di cristallo in cui si è rifugiato, sia di qualche importanza.
Lily mi si getta addosso facendomi quasi cadere dal divanetto rosso dove sono seduta e singhiozza animatamente sulla mia spalla, sussurrando frasi indistinte e urla addolorate.
Mio fratello si siede accanto a me e mi mette un braccio attorno alle spalle, senza dirmi niente.
Mia madre rimane in piedi, davanti a noi.
Quello che ci siamo detti in quella stanza non riesco a dirlo, nemmeno a pensarlo, a ricordarlo. Fa male.
Ma una cosa, una promessa che ho fatto a Lily devo ricordarla per forza. Perché è una promessa, perché, anche se non riuscirò a mantenerla, è una cosa per cui lotterò fino alla morte, letteralmente.
-Vinci, Rose-
Ma non posso vincere. Nel profondo del suo cuore Lily deve saperlo. I ragazzi degli altri paesi si saranno preparati a lungo, per questo momento. Ci sono ragazzi più grandi, più forti, più abili, più intelligenti. Io non sono niente in confronto a loro. Io sono una di quei concorrenti che verranno eliminati subito, prima che il gioco entri nel vivo.
-Forse-
Hugo si muove contro la mia spalla e, finalmente, da quando è entrato in questa stanza, mi guarda negli occhi. –Tu vincerai, Rose. E ora basta con questi piagnistei isterici. Quando tornerai e saremo ricchi da fare schifo mi comprerò tutte le Cioccorane che voglio e anche un sacco di vestiti a te, Lils. Ma smettetela di piangere perché qui Rose non è morta, e non morirà!-
Adesso sto per piangere io.
Perché è il discorso più lungo che Hugo abbia mai fatto dopo la morte di papà. Perché, sicuramente, per quanto possano giurarmi il contrario, questa è l’ultima volta che lo vedo, che li vedo tutti.
Il tizio in giacca e cravatta che era sul palco qualche minuto prima entra nella stanza e dice ai miei famigliari che il loro tempo è scaduto. È inutile chiedere altro tempo, servirebbe solo ad allungare lo strazio.
Li abbraccio forte e sussurro loro che li amo. E cerco di mettere in quella stretta tutto quello che non ho mai detto loro.
Quando escono dalla stanza affondo la testa nei cuscini rossi del divanetto e spero che questi possano soffocarmi o, in alternativa, abbiano proprietà obliviatrici e mi costringano a dimenticarmi di questo dolore straziante che mi tengo dentro.(2)
Qualcun altro entra nella mia stanza.
Quando alzo gli occhi rimango immobile per un istante, troppo sorpresa anche solo per sillabare un saluto.
Draco Lucius Malfoy, il padre di Scorpius, rimane fermo sulla porta in una posa rigida e controllata.
Il mento è alto e sporgente e le spalle sono dritte, ma, da come su i suoi occhi è scesa una patina che ne offusca il luccichio, capisco che ha appena detto addio a suo figlio.(3)
Non riesco a capire perché sia venuto a farmi visita. Dopotutto da qui a qualche giorno cercherò con tutte le mie forze di uccidere le sue nobili progenie.
Mi agito sul divanetto, a disagio, poi, però, quando il silenzio sembra diventare troppo pesante per le mie spalle stanche, mi schiarisco la voce.
-Buongiorno-
Lui non risponde ma si avvicina e si siede sulla poltroncina di fronte alla mia postazione. Il divano è leggermente più alto del normale, tanto che riesco a guardarlo dritto negli occhi senza dover nemmeno alzare il viso. Ma lui fugge il mio sguardo.
Rimaniamo in silenzio per tutto il tempo della visita e, dopo tutti questi anni, da quando lo vidi a King’s Cross per la prima volta, dopo tutti questi anni a considerarlo, sotto la guida dei racconti di mio padre, il diavolo in persona, vedo in lui quello che tutti dovrebbero vedere.
Un uomo distrutto dalla guerra che ha cercato e lottato con tutte le forze per rialzarsi, per sollevare la sua maschera di codardia e vigliaccheria e poter costruirsi una vita. Un uomo a cui stanno per portare via un figlio.
Un leggero bussare alla porta ci avverte che anche il nostro tempo è scaduto e, mentre si alza, finalmente incontro i suoi occhi.
Non sono come quelli del figlio.
Sono grigi, certo. Ma non hanno il calore di quelli di Scorpius. Sono affilati e sottili come una lama di un coltello. Ma non sono occhi cattivi.
Sono occhi che non mentono sulla loro natura.
Ho ormai abbassato lo sguardo quando lui mi richiama e parla, per la prima volta.
-Non sembri affatto una Weasley, ragazzina- dice, girato verso la porta, una mano sulla maniglia e l’altra stretta in un pugno –E non hai gli occhi dei tuoi genitori. Cerca di non morire nei primi cinque minuti, d’accordo?-
Poi, prima che io possa anche solo pensare di aprire bocca si chiude la porta alle spalle.
L’arrivo del mio, inaspettato, ospite successivo mi distoglie dalle cupe elucubrazioni che mi stanno sconvolgendo la mente.
Mary Orwell, una ragazza del mio anno, si chiude lentamente la porta e avanza dritta verso di me. Non è emozionata o taciturna, anzi, sembra mossa da una sorta di fretta, un urgenza tale che la fa precipitare sulla poltroncina davanti a me in pochi secondi.
Io e Mary non siamo amiche. Siamo entrambe molto silenziose e non abbiamo molti amici. Perciò capita spesso che finiamo in coppia insieme a Pozioni o a svolgere lavori di gruppo. A volte, quando Al non può, mangiamo anche insieme.
-Puoi portare un portafortuna, a Royàl, vero?- chiede, si mangia anche qualche sillaba per quanto parla velocemente –Per ricordarti di casa o qualcosa del genere-
Io annuisco, cercando di capire perché è qui. In effetti si, è permesso portare qualcosa di proprio nell’arena. Ovviamente nulla di troppo pericoloso o che abbia speciali proprietà magiche. Nulla che possa uccidere gli altri al posto tuo, insomma.
Mary annuisce, di nuovo. Poi si indica il petto. È molto carina, oggi. Ha una maglia bianca, semplice, infilata in una lunga gonna a cerchio, rosa scuro, in modo da formare una sorta di rigonfiamento. I capelli biondi sono legati in una specie di treccia arrotolata con un nastro rosa confetto. All’altezza del cuore porta una spilla d’oro.
Deve valere molto.
Alzo lo sguardo, interrogativamente.
Lei, per tutta risposta, si toglie la spilla e me la mette in mano. La osservo attentamente. È in oro massiccio e sembra quasi brillare di luce propria. Una più attenta analisi mi fa comprendere che rappresenta una fenice avvolta dalle fiamme.
Le fenici non esistono più, ormai. Il Ministero Americano le ha debellate tutte, anche se, probabilmente, in qualche sperduto angolo di mondo ne esistono ancora alcuni esemplari. I ribelli che avevano organizzato la rivolta dei “Giorni delle Tenebre” l’avevano scelta come simbolo della rivoluzione.
La fenice che rinasce dalle sue ceneri.
Dopo la riconquista del potere, gli Americani mandarono la Grande Bomba su Londra, distruggendo i ribelli e tutto ciò che rappresentavano e distrussero le fenici, disperdendo le loro ceneri e spegnendo le loro fiamme.
-La tua spilla?- chiedo e qualcosa si muove dentro di me.
-Era di mia zia-(4) si stringe nelle spalle lei –Vieni, te la metto, va bene?- non aspetta nemmeno una risposta e la aggancia alla mia camicetta, le sue dita pallide e lunghe che lavorano febbrilmente per assicurarla bene. –Prometti che la indosserai, lì dentro? Me lo prometti, Rose?-
-Si- dico, e non ha davvero la forza di dire niente di più.
Mary si china veloce su di me e mi da un bacio sulla guancia. Poi corre via, senza girarsi indietro. Riesco quasi a sentire un singhiozzo prima che la porta si chiuda definitivamente e mi nasconda la vista dell’unica quasi-amica che io abbia mai avuto.
Alla fine arriva Albus. Magari non c’è niente di romantico fra di noi, ma, poi, lui spalanca le braccia e io mi ci tuffo dentro. Non siamo mai stato vicini come lo siamo adesso, mai, nemmeno quando eravamo piccoli.
Ha un buon profumo. Sa di alberi, di erba appena tagliata. Di libertà, di sicurezza. Mi sento bene. Vorrei poter imbottigliare il suo odore, il colore dei suoi occhi, il suono della sua voce e portarlo con me nell’arena.
Vorrei poter sempre sentire il battito del suo cuore.
-Ascolta- mi dice, allontanandomi quel tanto che basta per potermi parlare senza dover lasciare la presa sul mio braccio –Devi assolutamente mettere mano su delle armi. La bacchetta ce l’hai e la sai usare. Trova un bel posto dove nasconderti, magari. E dell’acqua. Trova subito l’acqua….-
-Non sempre ci sono alberi dove arrampicarsi. E non so usare nessun arma- ribatto, perché con lui posso essere sincera e non devo fare nessuna promessa che non riuscirò a mantenere.
-Invece si. Ci ho pensato e bhe… Ti ricordi quell’estate che andammo al campeggio babbano? Ci insegnarono a tirare con l’arco. Tu eri una delle più brave! Non sarà troppo difficile procurarsene uno-
-Al, è stato anni fa! Non si tratta solo di andare lì e infilzarli con una freccia come se fossero dei manichini! Loro sono in grado di pensare!- obbietto e sento la disperazione farsi largo dentro di me, sempre di più, spedendomi in un abisso senza fondo.
-Anche tu. E tu hai più esperienza. Esperienza materiale. Tu sai come si uccide, Rosie-(5)
Se si riferisce a quegli stupidi conigli che abbiamo provato ad ammazzare nelle campagne vicino a Casa Potter, quando non avevamo nulla di meglio da mangiare, bhe… evidentemente si sta arrampicando sugli specchi. Io non so uccidere le persone.
-Non la gente- gli dico, infatti.
-Ma c’è poi tanta differenza?-
E la cosa più spaventosa di tutta questa situazione è che, se davvero riesco a dimenticarmi che quelli lì sono esseri umani, persone come me, che ora stanno salutando anche loro la loro vita, bhe… non ci sarà assolutamente nessuna differenza.
Il signore in giacca e cravatta rientra e, quando Al gli chiede altro tempo, glielo nega. Devono intervenire altri due uomini per trascinarlo via da me.
-Albus! Sta attento a Hugo!-
-Lo farò. Lo sai che lo farò!- esclama lui, cercando di dimenarsi dalla stretta di una guardia, divincolandosi –Rose, ricordati che io…-
Ma uno dei tizi in divisa lo spinge fuori dalla porta e chiude la porta. E io non saprò mai cosa voleva dirmi, cosa dovrei ricordarmi.
 
Quando arriviamo al binario ferroviario dove, ogni anno, parte il treno che ci riconduce a King’s Cross, Londra, realizzo che non ho la più pallida idea di come faremo ad arrivare a Royàl.
Di solito le telecamere si limitano a riprendere quando i due sorteggiati salgano sul treno e glissano sul loro lungo viaggio, per poi riprendere il loro arrivo nella capitale americana e la parata di inizio.
Perciò non so proprio come faremo a percorre una così lunga distanza e un intero oceano in così poco tempo. Non credo che ci materializzeremo, quindi, penso che faremo un breve tratto in treno e poi, magari, una nave o un altro mezzo di trasporto che ci porti alla meta.
Non mi va di fare domande, comunque, perciò, quando raggiungo la stazione, la mia faccia è una maschera impassibile. Quando riesco a scorgere le telecamere appollaiate tutto intorno, capisco che ho fatto bene a non piangere. Mentre passo lungo la banchina colgo una mia fugace apparizione sui finestrini del treno e, improvvisamente, la mia schiena si fa più dritta, il mio mento più alto e la mia espressione quasi annoiata.
Invece risulta più che evidente che Scorpius abbia pianto.(6) Non sembra nemmeno volerlo nascondere, il che, penso, potrebbe essere una sua strategia per impietosire quelli di Royàl. Magari, se si mostra debole e piagnucoloso, poco pericoloso insomma, quelli del gioco riterranno che non sia necessario ucciderlo da subito.
Non che con le sue spalle larghe possa tanto apparire deboluccio e innocuo, certo.
Stranamente, questa volta, evita il mio sguardo e io mi sento molto sollevata. I suoi occhi sono troppo simili a quelli della Foresta. La Foresta dove sono stata con Al questa mattina. Al che è il fratello di Lily. Lily che è stata sorteggiata stamattina e di cui ho preso il posto.
Tutto, ogni pensiero, ogni collegamento sembra ricordarmi la mia imminente morte e sento le mie gambe mandarmi segnali contrastanti. Come se volessero cedere all’improvviso o immobilizzarsi rigide, allo stesso tempo. Stringo le mani in dei pugni, nella disperata speranza che tutto ciò possa aiutarmi a non crollare sul pavimento sporco e freddo della stazione.
Aspettiamo qualche minuto, in modo che le telecamere e i fotografi possano riprendere per bene tutti i particolari dei nostri visi. Poi, qualcuno in un posto indeterminato, fischia e le porte dello scompartimento si aprano.
Rachel è la prima a entrare saltellando. Poi le due guardie e il tizio in giacca e cravatta. Quest ultimo offre con un gesto galante una mano a Victoire, che, però, la respinge con un gesto veloce e sale il gradino con la sua innata grazia.
Io e Scorpius ci fissiamo.
Poi lui fa uno strano cenno con la testa, come a darmi la precedenza e, anche se il mio cervello mi urla di non fidarmi, che sta soltanto cercando di conquistarmi per poi colpirmi alle spalle, lì nell’arena, io lo precedo, senza fare una piega.
Quando anche lui sale, le porte del treno si chiudono e io mi preparo a lasciare per sempre tutto ciò che mi ha reso quello che sono.




ANGOLO AUTRICE
Citazioni 1-2-3-4-5-6: Da "Hunger Games" di Suzanne Collins
IMPORTANTE!
Allora questo capitolo è una parte importante della storia perchè spiega la maggior parte dei rapporti fra i personaggi... visto che, comunque, il libro, così come i protagonisti e la trama sono del libro Hunger Games, i dialoghi (segnalati con i numeretti) sono gli stessi del libro.
I peniseri di Rose, ovviamente, non sono quelli di Katniss, ma, comunque, i dialoghi e le conversazioni, così come gli episodi che si svolgono in questo capitolo, sono uguali!
Nel libro il padre di Katniss muore in una miniera, la madre finisce in shock e Katniss deve assumere il ruolo di capofamiglia. Lei e Gale, il suo migliore amico, passano la mattina prima della mietitura, o sorteggio, nei boschi fuori dal Distretto 12, dove abitano. La ragazza che dona la spilla a Katniss nella storia è Madge, la figlia del sindaco. Hugo e il suo discorso strappalacrime, così come le riflessioni di Rose prima di salire sul treno, sono farina del mio sacco, invece. Infine il padre del tributo maschio, nella mia storia Scorpius, nel libro Peeta, fa davvero visita a Katniss. Ovviamente, i due, non conoscendosi, rimangono in silenzio per motivi assolutamente diversi da quelli che fanno tacere Rose e Draco.
La frase finale che Draco rivolge a Rose prima di andarsene è mia e, con il tempo, ne scoprirete i significati nascosti!
Detto questo, un bacio e alla prossima!
Fra
   
 
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