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Autore: Flaqui    16/04/2012    11 recensioni
"Vincere significa fama e ricchezza.
Perdere, invece, significa morte certa.
Niente di più.
Ma vincere, perdere, non cambia molto. Se perdi muori. Se vinci, vivi. Ma vivi senza speranza, assillato da incubi che ti tortureranno e ti faranno impazzire, togliendoti il sonno.
Quanto sei disposto a perdere?"
Quando Rose viene scelta per partecipare alla trentaquattresima edizione dei Giochi della Fame, sa benissimo di aver firmato la sua condanna a morte. Ognuna delle dieci scuole magiche europee deve sorteggiare, ogni anno, due studenti, una ragazza e un ragazzo, fino alla maggiore età; questi verranno gettati in un arena a combattere fino alla morte.
Rose sa benissimo che non riuscirà a farcela. Ma ha promesso che farà di tutto per tornare a casa, e non intende arrendersi.
In squadra con lei c'è anche Scorpius, un ragazzo gentile che però non ha la stoffa per farcela. Lui vuole dimostrare di non essere una inutile pedina e fa una appassionata dichiarazione davanti alle telecamere di mezzo mondo. Ma nei Giochi della Fame non c'è spazio per l'amore, per l'amicizia e per i sentimenti.
Che i Giochi della fame abbiano inzio.
E possa la buona sorte essere sempre dalla vostra parte!
Genere: Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Victorie Weasley
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Buona Sorte -Il Fuoco Sta Divampando-'
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Angolo Autrice

Innanzitutto ci tengo a ringraziare le meravigliose sette (SETTE!!!! *.*) ragazze che hanno recensito il prologo!
Non mi aspettavo certo che la mia storiella ottenesse tutto questo successo e, quando ho letto il numero delle recensioni, stavo per svenire! E dico stavo perchè alla fine mi sono messa a saltellare come una pazza isterica per tutta la stanza e sono persino inciampata nel filo del computer!
In ogni modo ci tengo a ringraziare personalmente le meravigliose ragazze che hanno recensito
*tira fuori un foglio di pergamena e inizia a dire i nomi mentre delle trombe e tamburi suonano*
Harry Potterish  _Valerie_96   Rosie_96  Jo_94 freak the freak   BurningIce  Rochi grazie di esistere!
Spero che anche questo capitolo possa essere di vostro gradimento!
Fra


 

Dedicato a tre persone speciali.
A Giulia, perchè questo, ricordalo, non è la fine, ma solo un inizio non molto convenzionale.
A Veronica perchè le tue parole mi scaldano il cuore
A Federica perchè in breve sei diventata parte di me e, davvero, non sai quanto sei importante.


 

Capitolo I

 

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Nel giardino della mia vecchia casa, nel Devonshire, c’era un enorme melo. Era altissimo, mastodontico, con lunghi rami frondosi e marcate venature sul legno.
Era la principale fonte di divertimento mia, di mio fratello e, quando venivano a trovarci, anche dei miei cugini.
A quei tempi, anche se il mondo era in piena rivolta e la carestia che i “Giorni delle Tenebre” si erano lasciati dietro imperversava, portando buio e desolazione, tutto si riduceva a quel vecchio albero, alla buffa altalena che Teddy aveva cercato di montare su uno dei rami più bassi e ai pomeriggi afosi e umidi di fine estate.
Quando successe quello che sto per raccontarvi, avevo undici anni o, per lo meno, stavo per compierli. Io e Hugo eravamo stesi di schiena sul prato e cercavamo di distinguere qualche forma familiare nelle nuvole di ovatta che veleggiavano in cielo. Avevo appena distinto una mano mozzata quando mi venne in mente la brillante idea di sfidare mio fratello ad una gara di arrampicata.
Issandoci in piedi sull’altalena e cercando di mantenerci in precario equilibrio avremmo dovuto issarci sui rami più bassi del melo e, poi, mano a mano, salire fino alla cima.
Il tentativo di Hugo non andò a buon fine, inciampò sulla catenella dell’altalena e cadde di faccia a terra senza neanche aver avuto il tempo di alzare un piede.
Io, invece, riuscii ad arrivare fino ad una discreta altezza e, alla fine, quando ero ormai a metà salita, mi girai per lanciare un’occhiata di sfida a mio fratello, imbronciato e dolorante in basso.
Nel farlo le mie mani persero la presa sui rami e i miei piedi con un movimento brusco persero terreno, strofinando sul tronco ruvido senza trovare appigli.
Cercai di trattenere con le mani delle foglie o dei rametti, ma non servì a nulla e io atterrai di schiena contro il suolo duro. La botta sembrò svuotarmi i polmoni, lasciandomi in preda ad una sensazione di soffocamento e asfissia che ho provato raramente nella mia vita.
Quella volta, mentre sentivo Hugo urlare come un pazzo per richiamare mia madre e il mio petto si rifiutava di abbassarsi normalmente, pensai davvero che fosse finita lì, che il mio ruolo in questa stupida recita chiamata vita si fosse concluso, con un tragico sipario rosso.
Quella sensazione di impotenza, di sconfitta, di terrore profondo l’ho provata pochissime volte.
Quando è morto mio padre, nella grande esplosione che mise fine ai “Giorni delle Tenebre” e segnò la riconquista del potere da parte degli americani. La prima volta che entrai ad Hogwarts dopo l’incidente con mia madre, al mio secondo anno. Quando Hugo si ruppe una gamba e io non sapevo che fare.
In questo preciso momento. Mentre Lily viene sorteggiata e va verso la morte.
Sento qualcosa afferrarmi il braccio e, girandomi indietro, vedo un ragazzo dai capelli scuri che mi sostiene da dietro. Evidentemente sembro sul punto di svenire. Sto per svenire.
Mi sento soffocare.
Non può essere lei, maledizione. Non può. Aveva solo un biglietto, una misera, infinitesimale, irrilevante strisciolina di carta. Un possibilità su milioni.
La buona sorte sarebbe dovuta essere dalla sua parte.(1)
Lily, accanto a me, lascia la mia mano e stringe le sue in due pugni, le braccia pallide che, così tese, sembrano ancora più magre. Ha un’espressione mai vista prima sul viso e che mi fa paura.
Perché una Lily che non sorride non è Lily.
Perché il mondo non può vivere senza Lily, senza le sue risate, senza il suo sorriso, senza le sue battutine. Perché il mondo non può continuare ad esistere senza i suoi capelli rossi, senza i suoi occhi troppo grandi e i suoi vestitini svolazzanti.
Perché io non posso continuare ad esistere senza di lei.
Quando, passandomi accanto, noto che le sue calze color carne sono smagliate mi sembra di tornare alla realtà.
Mi focalizzo su questo dettaglio e cerco, annaspando, di trovare un senso a questa situazione, di capire cosa sta succedendo, se davvero morirò in questo istante.
Non mi serve nemmeno prendere la rincorsa per raggiungere il palco dove Rachel Conti ha il suo stupido sorrisino e la professoressa Sinistra uno sguardo drammatico. Non mi serve nemmeno guardarmi intorno per sentire lo sguardo di Albus, colmo di dolore, sulla mia schiena, impotente.
Perché lui non può fare niente.
Non può nemmeno offrirsi volontario, perché è un ragazzo e perché Lily non glielo permetterebbe.
Ma io si.
-Mi offro volontaria!- non so da dove mi esce, questo suono. Non so nemmeno se è stato abbastanza forte da essere udito da quei signori, lì sopra.
Non so niente. So solo che nessuno toccherà Lily, finchè ci sarò io. Perché lei è un fiore delicato. Perché io, ho delle spine, a difendermi. Lei ha solo il suo dolce profumo, ad attirare gli insetti.
C’è subbuglio, sul palco.
Non ci sono volontari da anni, ad Hogwarts. Nessuno è così impaziente di morire, di condannarsi a morte autonomamente.
Rachel sta confabulando con un signore in giacca e cravatta e sta agitando le mani con gesti ampi.
-Splendido!- si gira verso di noi e fa un sorriso scintillante, contenta di assistere ad un po’ di azione, finalmente –Anche se, secondo la procedura, bisognerebbe chiedere se ci sono altri volontari e…-(2)
La sua voce si affievolisce e le sue spalle si stringono in un movimento involontario. Nemmeno lei sa cosa fare.
-A che serve?- Victoire mi guarda con i suoi occhi celesti ed ha in viso un’espressione strana. È anche lei su quel palco in quanto unica vincitrice di Hogwarts delle edizioni precedenti dei Giochi. Non abbiamo più parlato molto, dopo che è uscita dall’arena. Ma mi conosce. Sono Rose, sua cugina. Quella che le intrecciava i capelli con i fiorellini di campo che raccoglievamo alla Tana. Quella che l’aiutava a mettere in riga James, da piccola. Quella che, la sera prima che lei partisse per i Giochi, piangeva disperata contro il suo petto e la implorava di non andarsene. Chissà se lo ricorda. –A che serve?- e questa volta non c’è dubbio, c’è sofferenza nella sua voce –Lasciate che venga-(3)
Lily, dietro di me, grida e si dimena come una pazza, dicendo che vuole andare lei, che non mi permetterà di fare questa stupidaggine. Mi stringe il braccio e implora.
Quando questa sera verranno trasmessi i sorteggi su quella specie di TV gigante che gli Americani hanno modificato e che viene seguita da tutti i paesi assoggettati, non voglio che mi vedano piangere.
Penseranno che io sia una frignona, un bersaglio facile. Da eliminare prima ancora che inizino i veri giochi.
Perciò me la scrollo dalle spalle e cerco di assumere un tono fermo e deciso.
-Lasciami andare, Lily. Ora-(4)
Sento che qualcuno me la stacca dalla schiena e faccio appena in tempo a fare un cenno di ringraziamento ad Albus, ai suoi occhi verdi spalancati dal terrore e dalla consapevolezza di non mostrarsi debole, che Rachel mi afferra per il braccio e, con una forza che non mi sarei mai aspettata da lei, mi trascina sul palco.
-Come ti chiami, cara?- esclama poi, saltellando allegramente. Scandisce bene le parole come se si aspettasse che non la capisca fino in fondo.
-Rose Weasley-
-Oh, una piccola eroina! Coraggio, allora! Che ne dite di un bel applauso alla nostra rossa, gente?-
Con una piccola spintarella mi fa girare verso il gentile pubblico, le telecamere puntate sul mio viso, a fronteggiare il mio meritatissimo applauso.
Ma, per la prima volta da che i Giochi della Fame sono stati istituiti nessuno applaude. C’è silenzio.
E, per la prima volta da che vivo, sento calore. Un calore strano, di quelli che senti dentro, di quelli che ti scaldano tutta e ti fanno formicolare le gambe.
Questa gente sta apertamente sfidando gli americani, il mondo intero, per me.
Ok, forse non lo fa per me. Lo fa per la causa, per far capire a tutti che noi non ci stiamo. Che quello che ci fanno non è una cosa normale, che non l’accettiamo.(5)
Che è sbagliato.
E so che, anche se in minima parte, lo fanno anche per me. Perché, anche se non sono una persona molto socievole e potrei contare sulle dita di una mano le persone con cui mi intrattengo, anche solo per qualche convenevole, sanno chi sono.
Sanno che sono quella ragazzina dai capelli rossi che arrivò in questa scuola sette anni fa, quella ragazzina che non sorride mai, ma che c’è sempre. Quella ragazzina che ora è cresciuta e sta per morire davanti ai loro occhi. E che non vogliono la mia morte.
E loro rimangono in silenzio.
Un silenzio assordante che mi perfora i timpani.
Rachel si schiarisce la voce, e, spezzando l’atmosfera carica di tensione che si è venuta a creare, mi spintona leggermente verso il fondo del palco.
Approfitto di questo piccolo istante per emettere un gemito di dolore e frustrazione che sa di disperazione e di non detto.
-Ed ora è giunto il momento di scoprire chi sarà il nostro fortunato ragazzo che parteciperà ai giochi!-
Rachel ha estratto dalla boccia a destra del tavolo una nuova strisciolina, quella del ragazzo che verrà con me a morire a Royàl, la nuova capitale del Mondo Magico Americano.
Non faccio nemmeno in tempo a formulare la supplica che non sia Albus che Rachel sta già leggendo il nome.
-Scorpius Hyperion Malfoy-
Scorpius. Malfoy.
Oh, no. Non lui.
La fortuna non è dalla mia parte, oggi, evidentemente.(6)
Lo osservo mentre si fa strada verso il palco, mentre i suoi compagni di Corvonero lo lasciano passare, aprendogli un varco.
È alto, molto più di me, ha le spalle larghe e i capelli biondissimi. Ha scritto in faccia lo shock del momento e, nonostante cerchi di rimanere impassibile, nei suoi occhi grigi riesco a vedere il terrore che lo sconvolge dentro.
Si avvicina con calma e sale senza esitazione sul palco, rifiutando l’aiuto del tizio in giacca e cravatta e avvicinandosi con espressione neutra a Rachel che saltella eccitata. È elettrizzata che ben due figli di eroi di guerra vengano con lei alla capitale, dopo anni di ragazzini senza alcun tipo di fibra morale o fama, evidentemente.
Rachel, dopo un attimo di pausa, inizia con il suo solito discorso su quanto siano favolosi i Giochi. La professoressa Sinistra che sembra invecchiata di una ventina d’anni in qualche minuto, tiene la sua orazione ripercorrendo la storia di Royàl da quando gli americani hanno preso il potere. Victoire ringrazia e ricorda quanto è fortunata ad essere lì, ma i suoi occhi sono spenti.
Scorpius sposta il peso del suo corpo da un piede all’altro, in un movimento quasi invisibile se non lo si ha davanti e non lo si fissa attentamente.
Io, invece, rimango immobile.
-Perché lui?-penso.
Poi cerco di convincermi che non ha importanza.
Scorpius Malfoy e io non siamo amici. Nemmeno vicini. Non ci parliamo. La nostra unica interazione risale ad anni fa. È probabile che lui se lo sia scordato. Ma io no, e so che non lo farò mai…(7)
Rachel conclude il suo discorso con una risatina sciocca e dice a me e a Scorpius di stringerci la mano.
La sua è solida e calda. È la stretta di una persona che non scapperà, che non si arrenderà senza lottare, di una persona che non vacillerà quando sarà il momento.
Ma, mentre incontro i suoi occhi grigi l’unica cosa che riesco a pensare è che non voglio che muoia, che non voglio essere responsabile della sua morte.
Perché sono in debito con lui.
E io odio essere in debito con la gente.
Bhe, saremo venti, in quell’arena. Ci sono buone probabilità che qualcuno lo uccida prima che possa farlo io. Non che le probabilità siano state molto a mio favore, ultimamente.(8)
 
La stanzetta dove io e Scorpius siamo stati spediti comunica con la Sala Grande attraverso uno stretto corridoio e, le sue piccole dimensioni non mi aiutano a mantenere il controllo.
Mi sento soffocare.
Scorpius ha gli occhi fissi sulla mia schiena da quando siamo entrati qui. Li sento, e mi infondono uno strano senso di malinconia, un qualcosa di… diverso, ecco.
Diverso da cosa, poi?
Suppongo sia senso di colpa. Per quello che è successo. Il fatto che siamo entrambi sorteggiati, intendo.
Dopo la proclamazione dei sorteggiati la folla ha iniziato a rumoreggiare, come fa sempre. Chi conosce i poveri martiri di questo gioco di guerra, ha un’aria cupa e addolorata. Alcuni scoppiano anche a piangere.
Altri, invece, sollevati di non essere loro i prescelti, rilassano le spalle contratte e si affrettano verso il castello, cercando di gettarsi alle spalle l’accaduto il più velocemente possibile.
È una strana sensazione non poterlo fare io. Girare le spalle, correre nella mia stanza, ficcare la testa sotto il cuscino e cercare di togliermi dalla testa quelle orribili immagini. Famiglie distrutte, innamorati separati, amici costretti a dirsi addio.
Gli Americani sanno giocare bene. La partita è loro.
Alzo lo sguardo di colpo e, per la seconda volta in questa interminabile giornata, incontro gli occhi di ghiaccio di Scorpius. Una più dettagliata scansione mi fa capire che non sono proprio grigi.
Anzi, c’è anche qualche piccola traccia di verde, al limitare delle pupille. E, se lo si guarda in controluce, assumono una tonalità che ho visto solo una volta, in tutta la mia vita, mentre correvo per la Foresta Proibita e, nella velocità, i colori del bosco si erano mischiati tutti insieme, a creare una nuova cromatura.
Dovrei proprio andare nella Foresta Proibita, prima di morire, mi dico.
Improvvisamente mi rendo conto che non mi capiterà mai più di vedere quel posto. Che, probabilmente, l’unica cosa che osserverò prima di dare il mio definitivo addio al mondo saranno le cupole di metallo o le testate dei grattacieli di Royàl. Niente più Foresta Proibita, niente più Hogwarts, niente più Rose.
Mi alzo di scatto e borbottando qualcosa di indefinito corro nel piccolo bagno della stanzetta, chiudendomi alle spalle l’aria soffocante che si respira, i sospiri stanchi di Victoire e gli occhi color Foresta di Scorpius.
Tiro un impercettibile sospiro di sollievo, apro il rubinetto e mi sciacquo il viso, lasciando che il contatto con l’acqua fresca mi scuota come uno schiaffo.
Appoggio pesantemente le braccia sul bordo del lavandino e poi chiudo gli occhi, imponendomi di non perdere il controllo.
Sono forte. Sono in gamba.
Morirò, certo. Ma non darò loro la soddisfazione di vedermi piangere e supplicare.
Espiro sonoramente e cerco di dissolvere le strane vertigini che mi annebbiano il cervello, imponendomi di non pensare.
Sollevo gli occhi e vedo il mio riflesso.
All’improvviso tutto sembra avere un senso.
Perché la ragazza allo specchio mi sta guardando e io non posso deluderla.
C’è un legame irresistibile, fra me e gli specchi. Non vanità, non superbia o idotralazione. Solo insicurezza.
Perché, quando il coraggio viene meno, quando non riesco più a comprendere per quale assurdo motivo esisto, quando domande esistenziali di vario genere mi offuscano la mente, mi basta guardarmi negli occhi per ritrovare me stessa.
Il mio viso non è ingenuo come quello di mio padre o particolarmente vispo come quello di mia madre. È marcato, deciso, aggressivo. I miei capelli non sono “Rosso Weasley” , come quelli di Lily o Hugo, ma vertono su una tonalità ancora più scura. I miei occhi non sono marroni cioccolato o azzurro chiaro. Sono blu scuro. Lily dice che sono bellissimi ma a me sembrano più che altro un pozzo di cui non riesco a vedere il fondo, un qualcosa che mi spaventa e mi attrae allo stesso tempo.
E, mentre osservo incantata il mio riflesso, capisco che non esiste niente di più eccitante che affrontare la tua inquietudine guardandoti dritta negli occhi.
Afferro con un movimento brusco l’asciugamano pulito e lo calo rabbiosamente sul mio viso. Ogni segno della debolezza che sto provando in questo momento deve sparire, senza lasciare traccia.
I Giochi Della Fame non sono per ragazzini piagnoni.
E io, fortunatamente, non lo sono.


(1-2-3-4-5-6-7-8) - Citazioni tratte dal libro di Suzanne Collins, Hunger Games.
L'intero episodio del sorteggio, nel libro chiamato "la mietitura" è stato rielaborato da me, per quanto l'idea e la situazione di fondo sia la stessa. Fondamentalmente diverso è il rapporto di Rose con Victorie, le due si conoscono, si vogliono bene, in fondo. Nel libro, invece, Katniss sarà accompagnata a Capitol City da Haymitch, ubriacone e di mezza età, che non ha mai intrattenuto rapporti con lei.
Nel libro Katniss (la mia Rose) si offre per salvare Prim, la sua sorellina.
Scorpius è Peeta e, il debito che ha la mia ragazza ha contratto con lui sarà diverso da quello spiegato nel libro. La scena finale di Rose che si guarda allo specchio non esiste nel libro ed è inventata da me.


Prima di chiudere il capitolo bisogna che io specifichi una cosa.
"Credevo che, avendo scritto nel primo capitolo che la storia era ispirata a Hunger Games e che conteneva molte citazioni e episodi del libro mi fossi liberata da tutte le implicazioni e le accuse.
Ragionando bene ora, posso dire che ho avuto torto marcio.
So benissimo che avrei dovuto affrontare la questione con più calma e mettermi a segnalare le varie citazioni e il non averlo fatto è deplorevole.
Questa storia era nata come un omaggio al mio libro preferito e, alla fine, rischia quasi di essere cancellata, solo per una mia stupida mancanza."
Questo è una parte della risposta che ho inviato ad una ragazza che mi ha, giustamente, fatto presente quanto la mia dimenticanza nel segnalare ciò possa essere quasi considerato un plagio.
Ci tengo a precisare che, davvero, non so come chiedervi scusa.
Perchè non era assolutamente mia intenzione quella di impossessarmi delle idee altrui ma solo di poter far conoscere a più persone questa magnifica storia, magari modificandola un pò e mettendoci nel mio.
Dunque, per meglio risolvere la questione, vi dico questo.
La storia, tutti gli avvenimenti e i personaggi appartengono a Suzanne Collins e, per quanto io possa modificarli, farli vivere, parlare e pensare come voglio, essi saranno sempre quelli che vengono descritti nel libro.
Mi impegnerò a segnalare, comunque, tutti gli episodi in cui, per mia mancanza, avete potuto pensare che fosse farina del mio sacco.
Spero possiate perdonarmi.
   
 
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