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Autore: Hypnotic Poison    21/11/2006    3 recensioni
Erano sei anni che poteva considerare la sua vita – quasi – normale. Anche se di cose ne erano cambiate parecchie. [...]
« Beh! Che c’è, non si salutano più gli amici da queste parti? »
« Cosa ci fai tu qui! »
[...]
« Stamattina… non è scattato nessun allarme, niente di niente, ma i computer si sono riaccesi automaticamente sui dati del progetto Mew. » [...]
« Ora voi parlate. E vi conviene dire tutta la verità. »

[ATTENZIONE: STORIA IN REVISIONE. Aggiornati al 04/02/2024: 1-18]
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Mint Aizawa/Mina, Nuovo Personaggio, Ryo Shirogane/Ryan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter Five – Another spring

 

 

 

 

 
 
 
 
I giorni passarono, la pancia di Ichigo cresceva, e un altro suo compleanno trascorse festeggiato in compagnia – anche se in maniera molto più tranquilla e a casa Shirogane, ora diventato il secondo luogo di ritrovo preferito dopo il Caffè (senza ovviamente che il padrone di casa potesse lamentarsi troppo della cosa), visto anche che le abilità deambulatorie della rossa – di cui già non aveva spiccato in precedenza, geni felini o meno – andavano via via abbassandosi. I risentimenti di Shintaro nei confronti dell’americano, invece, non accennavano a diminuire, identificando in lui il solo responsabile della circuizione della sua adorata figlioletta; i mille interventi pacificatori di Sakura, che era passata dalle blande moine nei confronti del marito a vere e proprie minacce tra cui l’esilio perpetuo sul divano, avevano ottenuto almeno l’esito di un passaggio verso un trattamento del silenzio invece che un continuo borbottio di disapprovazione ad ogni incontro con i futuri genitori.
Parimenti, e in concomitanza con la sempre maggiore evidenza che gli esseri di sesso maschile che bazzicavano più spesso per il locale erano già stati accalappiati, crescevano le animosità delle cameriere del Caffè verso le loro colleghe più veterane e compagnia, in un tumulto di falsi sorrisetti e bisbigli dietro le spalle che avevano il risultato di far ridacchiare Purin sotto i baffi, agitare Retasu, e scatenare gli ormoni già poco controllabili di Ichigo.
In quel momento, difatti, la rossa se ne stava appollaiata sullo sgabello della cassa in abiti quotidiani (l’uniforme aveva smesso da un bel pezzo di andarle bene e tutti avevano concordato non avesse alcun senso aggiustarla) a lanciare occhiatine di fuoco a due delle sue collaboratrici.
« Guardale, le vipere, » sibilò non appena Retasu le si avvicinò con un sorriso e in mano un conto di uno dei tavoli, « È tutto il giorno che sghignazzano nell’angolo, ma che avranno tanto da dirsi? »
La verde seguì la direzione del suo sguardo: « Credo che Kisshu-san sia sceso dopo aver fatto la doccia, ho sentito qualcosa come maglietta appiccicata… »
Ichigo emise qualcosa di simile a un ruggito, ignorando totalmente il disagio dell’amica a dover rivelare quella notizia, gli occhi che le brillarono maligni: « Possibile che Minto-chan non se ne sia accorta? Lei sì che saprebbe metterle a posto… »
Retasu quasi boccheggiò e rise nervosamente, dandole dei piccoli colpetti sulla mano: « Su, Ichigo-chan, non credo bisogni arrivare a tanto… »
« Magari chiedo a Shirogane di licenziarle. Per oltraggio a una collega. »
L’amica sospirò afflitta, ben conscia che in realtà a Ichigo pesasse molto il fatto che le altre la ritenevano in qualche modo privilegiata solo perché, vista l’ingombrante pancia di più di otto mesi e il bisogno tassativo di riposo che continuava a ignorare perché a casa si annoiava, era stata spostata a marcare la cassa per le tre ore al giorno che Ryou le concedeva di passare al Caffè.
« La cosa migliore è lasciarle perdere, » insistette pacata, continuando a picchiettarle il polso, « Altrimenti darai solo loro soddisfazione. E poi non ti fa bene agitarti. »
Ichigo si accarezzò il ventre e sospirò più forte, piegando la testa da un lato: « Reta-chan, a volte vorrei tanto essere come te. Io vorrei solo… uugh! »
La rossa strinse forte i pugni, mimando qualche tipo di risposta fisica nei confronti delle altre cameriere, e la povera Retasu tentò nuovamente di blandirla, terrorizzata che potesse in qualche maniera causarsi da sola un travaglio prematuro lì sul pavimento del Caffè o – peggio – che Ryou la beccasse in piena crisi nervosa quando le ripeteva ogni venti minuti che doveva star calma.
« Ichigo-chan, ci stiamo dando al karate? » Purin uscì dalla cucina con un vassoio strapieno e le rivolse uno sguardo divertito, « Pensavo saresti passata da me, in caso. »
« No, sto solo progettando come liberarmi di Tamiko-san e Kayio-san, » replicò in un borbottio, « Se hai qualche idea, spara pure. »
« Chieko-san però non è male, » la biondina lanciò un’occhiata alla terza cameriera, con un infausto taglio a scodella, impegnata a prendere un ordine dall’altra parte del locale, « Se ne sta quasi sempre in disparte, a volte mi fa tenerezza. »
Ichigo emise un verso di superiorità col naso che alle altre due ricordò molto una certa loro amica: « Per fortuna che qualcuno che si fa i cavoli suoi c’è! »
Mentre le altre due si scambiavano un’occhiatina divertita e Purin andava a consegnare gli ordini, la rossa esalò l’ennesimo sospiro e poi uno sbuffo più accennato quando la creaturina dentro il suo ventre cominciò a scalciarle precisa la milza.
« Uguale a Shirogane, » scherzò verso Retasu, che l’aveva guardata un po’ preoccupata, massaggiandosi piano il punto dolente per cercare di placare il nascituro, « Sempre a sgridarmi! »
La verde rise e allungò piano una mano per sentire anche lei i calcetti, Ichigo che parve dimenticare la questione precedente lanciandosi in risolini complici e mostrandole una sfilza di foto dei vari completini, giocattoli e accessori acquistati, e per qualche istante sembrò tornare il sereno.
Almeno finché la porta d’ingresso non annunciò con un tintinnio l’entrata di Kisshu e Minto, lui come al solito ghignante e lei corrucciata e presa da un’evidente predica. Le due alla cassa si scambiarono solo un’occhiatina divertita – ormai abituate anche alle strane dinamiche di quei due – e poi Retasu rivolse all’amica mora un’occhiata un po’ preoccupata.
« Buongiorno, Minto-chan, Kisshu-san. Tutto bene? »
Arrivata alla cassa, l’ex ballerina mollò con un pesante tonfo la borsa sul bancone di legno.
« Qualcuno qui si è dimenticato di avvisare che fosse il suo compleanno, oggi, » berciò con tono di supponenza, guardando Kisshu in cagnesco, « E adesso ha deciso che vuole una festa! »
« Kisshu-san! » perfino a Retasu scappò una nota di rimprovero, « Alla fine l’hai scoperto? »
« Come volevasi dimostrare, il cervellone di sotto ha fatto i conti. Voi vi gasate sempre così tanto, non volevo perdermi l’occasione, » lui ghignò e poi lanciò un’occhiata alla mora accanto a lui, « Comunque non voglio una festa, l’unica cosa che mi interessa è la torta con le candeline, e visto che abbiamo una pasticceria di riferimento… »
Minto scosse appena la testa, serrando le palpebre per un secondo: « Se ti fossi ricordato prima del tuo pozzo senza fondo di stomaco avremmo potuto organizzare qualcosa di meno infantile e non prendere la prima torta rimasta. »
« Non tutto deve essere fatto in grande, tortorella, » continuò invece lui a prenderla in giro, impassibile, « E non capisco perché tu te la prenda così tanto. »
 « Perché ti sembra che io non sappia quando - » la mora s’interruppe e sbuffò contrariata, girando il viso dall’altra parte, rivolgendosi direttamente a Retasu, « C’è qualcosa che possiamo usare o no? »
La verde, già agitata dal nervosismo di Minto – mentre Ichigo continuava a sogghignare sotto i baffi, trovando il puntiglio della mora molto divertente – si sforzò di fare il sorriso più convincente che potesse: « Sono sicura che Akasaka-san troverà una soluzione. E possiamo fare una merenda tutti insieme sulla terrazza, alla chiusura. »
« Grazie, Retasu-chan, sei molto più utile di altre persone, » Minto rilassò appena le spalle ma lanciò comunque occhiatacce a Kisshu e Ichigo, poi si ravvivò i capelli e riprese la sua borsa, « Ma magari non sbandieratelo ai quattro venti, non vorrei che certa gente si mettesse strane idee in testa. »
« Ah-ah! » Ichigo esclamò trionfante, battendo un pugno sul bancone mentre seguiva lo sguardo altezzoso dell’amica verso il cruccio della sua giornata, « Lo sapevo che te n’eri accorta! »
« Non sono molto discrete, » commentò lei a naso arrogantemente in su, « E sono tentativi un po’ disperati, siamo oneste. »
Retasu sospirò pesantemente, scambiandosi un ultimo sguardo con Kisshu mentre le altre due cominciavano a confabulare minacciose, e tornò ad occuparsi dei clienti anche per non dare adito ad ennesimi scontri con le altre cameriere.
Tuttavia, forse anche lei doveva ammettere che Tamiko e Kayio sembravano cercare molte opportunità per non risultare particolarmente simpatiche. Quando ritornò in cucina con un vassoio ricolmo di stoviglie sporche, la scena che le si palesò davanti fu al tempo stesso ridicola e fastidiosa.
La larga schiena di Pai era infatti rivolta verso di lei mentre l’alieno, giustamente camuffato, si concedeva un sorso di tè freddo e una pausa dal laboratorio – probabilmente anche in cerca del fratello scansafatiche; accanto a lui, impegnata ad arrotolarsi una ciocca di capelli castani sul dito con un sorriso inequivocabile, stava Kayio, l’altro braccio a tenere il vassoio poggiato contro al ventre e il corpo inclinato da una parte nel chiaro tentativo di risultare più avvenente.
Nemmeno si accorse – o più probabilmente la ignorò di proposito – dell’entrata di Retasu, che quanto più silenziosamente possibile nonostante i bicchieri che tintinnarono minacciosi cercò di spostarsi lungo il lato della stanza e raggiungere il lavandino accanto a loro; persistette invece a parlottare e ridere quasi da sola, sbattendo le ciglia e ammiccando quanto più sensualmente possibile.
Ciò che nonostante tutto tingeva di comico la scena per Retasu e le calmava un pochetto il rombare del suo stomaco era il fatto che Pai sembrava nemmeno non dare adito alla presenza di Kayio accanto a lui. Continuava imperterrito a sorseggiare dal suo bicchiere, come se davanti a lui ci fosse stata solamente il muro e non una ragazzina in tenuta da cameriera che stava palesemente flirtando con lui. Quasi quasi, Retasu l’avrebbe encomiata per la sua faccia tosta e il suo coraggio ad esporsi in maniera così aperta quando la risposta era quella.
E lei ne sapeva qualcosa dell’impassibile glacialità dell’alieno.
Senza dire una parola, Pai si voltò verso di lei – dando quindi quasi completamente le spalle a Kayio, che si zittì dopo circa dieci secondi – e le prese il vassoio dalle mani, posandolo per lei vicino al lavandino.
« Grazie mille, Pai-san, ma non c’era bisogno che - »
« Oh, Midorikawa-san, non far fare le cose ai nostri ospiti, » commentò l’altra cameriera con velenosa dolcezza, « Non sono certo qui per questo. »
« Veramente io - »
« Yuu-uuuh, Kayio-san, » la testa di Ichigo spuntò dal passavivande all’improvviso, « Il tavolo cinque e il nove stanno aspettando, e il dodici è da sparecchiare. »
Il viso di Kayio divenne un’educata maschera di stizza: « Arrivo subito, Ichigo-san, grazie dell’avviso. »
Con un’ultima occhiataccia a Retasu e una più languida a Pai, la morettina si dileguò a schiena dritta e mento all’insù.
« Vipera, » sussurrò di nuovo Ichigo prima di voltarsi ancora verso la cassa. Con una risatina e l’animo pieno di gratitudine nei confronti della sua amica, che dalla prima volta in cui l’aveva trovata in difficoltà a causa del suo carattere docile era stata in guardia anche per lei, la verde seguì la larga schiena di Pai verso il corridoio esterno.
« Non so se sia confortante o snervante che voi femmine vi comportiate alla stessa maniera anche in galassie diverse. »
Retasu si aggiustò gli occhiali sul naso, leggermente indispettita: « Voi femmine non è una cosa molto carina da dire, Pai-san. »
« Hai ragione, » lui si fermò quasi bruscamente sul primo gradino che portava al laboratorio, voltandosi verso di lei ora praticamente alla stessa altezza, « Ma non capisco i vostri… bisticci. »
Ogni tanto anche la ragazza stessa si domandava come una mente così geniale poteva essere così ottusa.
« Kayio-san ha evidentemente un debole per te, » commentò con nonchalance, « E ciò la rende… sgradevole nei confronti di altre persone. Ichigo forse a volte esagera, ma cerca di proteggermi perché… »
« Perché tu sei troppo buona, » concluse lui al posto suo.
Retasu sentì le guance arroventarsi e annuì con la lingua impastata: « Io non… non amo litigare con le persone, soprattutto per motivi futili. »
Si arrischiò a incontrare le iridi ametista sopra il bordo degli occhiali, trovandole come sempre a scrutarla come per decodificare ogni centimetro di lei. Se solo avesse avuto il coraggio di dirgli che non era lui il motivo futile, ma che solamente, se lui avesse avuto altri interessi, lei non si sarebbe certo messa in mezzo.
« Mi sembra intelligente, » commentò lui sottovoce, con un abbozzo di sorriso, « Cosa che non si può dire di Kayio, visto che pare non comprendere la necessità di non disturbare la gente. »
« Pai-san! » Retasu non riuscì a evitare la risatina che le sgorgò dalle labbra, prontamente coperte dalle dita, né il rossore che le continuò sul volto a udire anche lo sbuffo basso e divertito di lui.
Prese un altro respiro e lo scrutò ancora: « Kisshu-san ci ha detto che oggi è il suo compleanno, stiamo pensando di organizzare qualcosa dopo lavoro in terrazzo. Di semplice, però. »
Pai sbuffò: « Gli date troppo retta. »
« Trovo carino che si voglia… integrare del tutto, » commentò lei un po’ esitante, « La sua curiosità per certe cose è quasi… dolce. Anche se un po’ infantile. »
« Dolce e Kisshu non possono stare nella stessa frase a meno che tu non ti stia riferendo a quelli commestibili. »
La verde quasi si strozzò con il suo stesso fiato; possibile che quel giorno l’algido alieno fosse così in vena di spirito? Cos’era quella nota positivamente ironica che sentiva nelle sue frasi e che le faceva sfarfallare il petto a ogni risata?
« Ma ti do pienamente ragione sull’infantile, » Pai la osservò un paio di secondi mentre lei continuava a ridacchiare, lo sguardo cobalto rivolto verso il basso, « Tra pochi giorni sarà anche il tuo compleanno, giusto? »
Se possibile, Retasu assunse una sfumatura ancora più violacea mentre annuiva velocemente, intontita dal fatto che lui era in possesso di quella informazione.
« Non… non ci hai mai detto quand’è il tuo, invece. »
« Fine dicembre. Giorno più, giorno meno. »
« Ma… allora non abbiamo festeggiato! »
Lui quasi si rammaricò dell’espressione abbattuta che le passò sul volto: « Non mi piace festeggiare. E mi avevi già fatto un regalo, » si affrettò ad aggiungere.
« Già, » la ragazza si morse il labbro e gli lanciò un’altra occhiata, schiudendo le labbra, « Sai, pensavo che - »
« Nee-chan! » la voce allarmata di Purin la fece sobbalzare e quasi venire un infarto, « Nee-chan, sono arrivate tipo dieci pensionate tutte insieme, ci serve una mano! »
Con una mano sul petto, Retasu si voltò verso la biondina, alla fine del corridoio con un vassoio straripante di piatti e bicchieri vuoti.
« A-arrivo subito. »
« Ichigo-chan sta continuando a battere conti alla cassa, tra poco le verrà una sincope. »
La verde sentì Pai sbuffare dal naso in maniera un po’ ironica mentre lei si accodava già dietro a Purin; girò il viso – rischiando di inciampare brutalmente – e lo guardò da sopra la spalla: « A… dopo? »
Anche nella penombra delle scale che lui aveva iniziato a scendere, scorse l’ombra di un sorriso di conferma.
 
 
 
 
A fine giornata, si ritrovarono effettivamente tutti – meno le sgradite compagnie – sul balconcino del Caffè, in cui Keiichiro aveva allestito un tavolo centrale con sopra vari stuzzichini, più dolci che salati viste le preferenze di Kisshu, e una semplice ma bella torta al triplo cioccolato sormontata da ventitré candeline.
« Visto, non c’era niente di cui lamentarsi, » gongolò il festeggiato a Minto dopo aver esaudito il desiderio di concedersi quell’umana tradizione, « In cinque minuti, tutto fatto. »
La mora alzò gli occhi al cielo, sbuffando in maniera esagerata fin per lei: « Devi solo ringraziare l’estrema gentilezza di Akasaka-san, disorganizzato che non sei altro. »
« Nee-chan, guarda che è vietato arrabbiarsi coi festeggiati. »
« Grazie, scimmietta, tu sì che sai mantenere lo spirito dell’occasione. »
« Oh ma per favore, solo perché siete entrambi appena usciti dall’adolescenza! »
Mentre, giusto per continuare a innervosirla, Kisshu e Purin si prodigavano in strane smorfie e atteggiamenti decisamente infantili, Ichigo ridacchiò e ingollò una generosa forchettata di torta, che fu però seguita da una smorfia e uno sbuffo mentre la creaturina nel suo ventre reagiva fin troppo entusiasticamente all’arrivo di zuccheri extra.
« Tutto okay, Ichigo? »
La rossa alzò appena lo sguardo verso Zakuro, comparsa con discrezione accanto a lei, e annuì massaggiandosi il costato: « Mi sa che non ne posso più mangiare… »
La modella rise appena della sua espressione afflitta mentre abbandonava il piattino sul tavolo e si poggiava le mani dietro la schiena per stiracchiarsi.
« Manca poco, no? »
Ichigo annuì e ricambiò il sorriso, però poi abbassò un po’ la voce, accarezzandosi protettiva il ventre: « Anche se in realtà vorrei rimanesse qui dentro ancora un po’, » mormorò con una punta di preoccupazione, « Finché è qui, sento che posso fare da… bolla di sicurezza. Invece quando sarà fuori ci saranno così tante cose che non potrò controllare, tante cose da decidere… poi pensa se mi esce pelosa e con le orecchie da gatto! »
Zakuro, divertita dall’ultima affermazione, scelse di non farle notare che aveva accidentalmente utilizzato il femminile e le sorrise affettuosamente mentre le sfiorava la pancia: « Vedrai che andrà tutto bene. In caso contrario, ce la prendiamo con Shirogane. »
Anche Ichigo sogghignò, poi la guardò da sotto in su: « Tu come stai, nee-san? »
La mora annuì piano: « Tutto a posto, Ichigo, » commentò pacata, « Solo un po’ stanca, con la primavera cominciano a moltiplicarsi gli impegni in vista della pausa estiva. »
La rossa sembrò accettare la risposta senza troppi dubbi, e ricominciò a parlottare allegramente con lei. Non era necessariamente tutta una bugia, alla fine. Stava lavorando molto di più, quello era vero; che avesse scelto lei stessa di prenotarsi molti più impegni era solo un dettaglio collaterale. Un piccolo effetto indesiderato del suo desiderio di indipendenza.
E di quella lealtà che, in effetti, aveva imparato a dimostrare anche ad altri e non solo a sé stessa.
Alzò lo sguardo velocemente su Retasu, che con un sorriso timido fingeva di ascoltare una Purin completamente su di giri mentre chiaramente il suo corpo era più impegnato a cercare di non andare in iperventilazione vista la vicinanza di un certo alieno dagli occhi ametista, il viso inespressivo ma assolutamente rilassato. Ed era un’espressione che nemmeno lei aveva visto spesso.
« Retasu è innamorata di te, » gli aveva detto chiaro e tondo una sera di fine febbraio, quando lui si era palesato senza annunciarsi da lei. Non aveva mai avuto bisogno di molti giri di parole, li trovava solo uno spreco di tempo, ed erano sempre stati molto chiari su cosa fossero. Dato che aveva percepito qualcosa, un’esitazione, un’incertezza, nel comportamento di Pai da dopo il più che timido tentativo di Retasu di dichiararsi a San Valentino (Ichigo ne era in qualche modo venuta a conoscenza e non aveva fatto segreto con nessuno di quanto disapprovasse il fatto che l’alieno, a parer suo, non avesse ringraziato o fatto abbastanza di ritorno), aveva deciso lei stessa di agire, di mettere le cose in chiaro. Di chiuderla, e non pensarci più, prima che diventasse troppo tardi.
« Lei è innamorata di te, e tu ci tieni a lei, » si era quasi divertita dell’espressione impercettibile che aveva attraversato il viso di marmo, quasi offeso dall’essere anche leggermente leggibile da qualcun altro, « Quindi smettiamola di prenderci in giro. È meglio per tutti. »
Cosa facesse o pensasse lui in quel momento, o perché ci stesse mettendo così tanto a fare qualcosa con la dolce Retasu, non erano più fatti suoi.
Zakuro aveva fatto ciò che necessario. Come ogni volta. Il sorriso contento dell’amica le sarebbe bastato.
« Vedo che come al solito battete la fiacca. »
Ryou spuntò dall’entrata con un sorriso irriverente e un sopracciglio alzato.
« È il compleanno di Kisshu nii-san! »
« Come se non scroccasse abbastanza, » il festeggiato e l’americano si lanciarono la solita occhiataccia sarcastica, il primo troppo impegnato a riempirsi ancora la bocca di cioccolato per essere davvero infastidito.
Il biondo ignorò il tavolo di cibo e si diresse a passo deciso verso Ichigo, che sfoderò la sua miglior espressione innocente.
« Ne ho mangiato un pezzo piccolissimo, giusto un assaggio, Zakuro-san può confermare! »
La modella nascose un sorrisetto dietro il bicchiere di succo di frutta alla stoica faccia dell’amico: « Confermo. »
« Non voglio sentire lamenti, poi, » Ryou picchiettò con l’indice il naso della rossa, poi afferrò una delle sedie arrangiate lì attorno e quasi la costrinse a sedersi.
Ichigo alzò gli occhi al cielo, sedendosi con uno sbuffo, e all’improvviso sembrò recuperare tutta la sua energia: « C’è qualcosa di cui mi devo lamentare, quelle insopportabili e scortesi cameriere che tu hai deciso di assumere! »
« Ginger, please… »
« Sono delle vipere! Anche stamattina non hanno fatto altro che parlottare alle nostre spalle, e quell’odiosa di Kayio stava anche trattando male Reta-chan! Vero?! »
Sentendosi chiamata in causa, Retasu tossicchiò su una tartina e scosse la testa: « Ma… ma no, era solo che… »
« Stava facendo la smorfiosa come al solito, e per farlo stava mettendo in cattiva luce Reta-chan, » insistette Ichigo, una chiara smorfia di disgusto in volto, « Le ho detto di tornare al suo lavoro. »
« Ichigo! »
« Be’! Come cameriera più senior credo di avere dell’autorità! Non è che si può passare il tempo a flirtare! »
« Tu dici, Ichigo? »
La rossa guardò in cagnesco Minto, che a sua volta le stava rivolgendo un sarcastico sopracciglio arcuato: « Stamattina eri d’accordo con me riguardo i commenti su Kisshu. »
« Uh? Che commenti? »
« Scordatelo. »
« Vai in giro un po’ troppo svestito, nii-san. »
« Fa tutto parte del fascino, scimmietta. »
« Ma per favore… »
In previsione del battibecco in arrivo, Ryou smise di ascoltare e poggiò entrambe le mani sulle spalle di Ichigo a mo’ di avviso di non agitarsi troppo, e lei lo guardò da sotto in su: « Potremmo… trovarne di più simpatiche. »
« Direi che non è per niente il momento, Momomiya, ho altre cose a cui pensare. E infatti, io e te dobbiamo andare, anche perché sta per venire un temporale. »
« Dai, non essere negativo, capo! » lo rimbrottò Purin, un dito sollevato tra due vassoi a fare la conta su quale dei cinque dolcetti fare il bis, « È ancora un bellissimo pomeriggio. »
Il tuono che risuonò lontano sembrò solamente accentuare l’espressione di Shirogane.
 
 
 
 
« Sei ancora arrabbiata? »
« Non sono arrabbiata, sono contrariata. »
« Non riesco a capire dove sta la differenza. »
Minto sbuffò e si aggiustò la sciarpa leggera intorno al collo, un sorrisetto supponente: « Così impari. »
Kisshu roteò gli occhi al cielo, insistendo a giocherellare con uno dei suoi boccoli neri: « Non mi hai ancora detto perché te la sei presa. »
« Mi piacciono le cose fatte bene, » rispose lei, abbassando lo sguardo sulla maglietta di lui, « Organizzate, pensate. E non mi piace essere l’ultima a venirle a sapere. »
L’alieno le cinse la vita con le mani e la tirò un po’ di più a sé: « Cosa ti dico sempre riguardo al voler controllare tutto? »
« … non è per quello. »
« Ah no? E allora per cosa? »
La mora storse visibilmente il naso alla sua espressione sarcastica e poi alzò il mento con decisione: « Ho ben altri impegni che dover star dietro ai tuoi ghiribizzi. »
« Tortorella, non fare l’antipatica, » la voce di Kisshu si abbassò di qualche nota, « Ti accompagno a casa, che dici? »
« Per tua informazione, sono a cena con delle mie vecchie compagne del teatro. Se me l’avessi detto prima… ! »
Lui nascose il naso appena sotto al suo orecchio: « D’accordo, allora vengo dopo, okay? »
Con un sorriso intenerito, e una punta di vergogna, Retasu attese appena dietro l’angolo dello spogliatoio, ben attenta a non farsi notare da Minto. Non stava origliando, ovviamente, ma sapeva bene che astio provasse l’amica verso qualunque forma esplicita di pubbliche dimostrazioni di affetto, quindi meglio nascondersi fino al momento giusto. E il fatto che la conversazione si fosse interrotta segnalava che sicuramente l’elegante ex ballerina non era in un momento disponibile al pubblico, anche se la verde pensò tra sé e sé che forse avrebbe fatto meglio a non appartarsi proprio davanti all’entrata del Caffè. Dopotutto, al contrario, Kisshu non era certo uno che si facesse molti problemi.
A Retasu scappò un altro sorriso e si arrischiò ad affacciarsi quando la campanella trillò sopra la porta, segnalando il via libera. A volte non capiva le sue amiche, ma più di tutte a volte non capiva Minto, il suo essere sempre così rigidamente in controllo di sé per poi infilarsi in situazioni come quella. Seppur l’espressione che le aveva intravisto fare sull’uscio fosse stata particolarmente rivelatoria.
« Sono contenta per Minto-chan, anche se non scuce un dettaglio, » aveva commentato divertita Ichigo qualche mese prima con una nota di malizia, in un pomeriggio in cui l’aveva accompagnata a cercare giocattoli per il bebè in arrivo, « È giusto che si lasci andare, una volta ogni tanto. Se lo merita. »
Aspettò che anche Kisshu svanisse da qualche parte, probabilmente al piano di sopra ora che non c’era più nessuno nel locale e poteva evitare di fare le scale, ed uscì dal suo angolino, pronta ad avviarsi verso casa e infilarsi sotto una doccia calda per scacciare quel fastidioso freddo primaverile portato dalla pioggia.
« Non puoi uscire ora. »
Alla verde sfuggì un gridolino stridulo e, per la seconda volta, sobbalzò vistosamente, coprendosi la bocca con i pugni. Possibile che stessero cercando tutti di ucciderla, quel giorno?!
Pai, grondante da capo a piedi appena davanti all’entrata sul retro, la guardò come se non capisse il perché del suo spavento.
« Sta piovendo troppo, ora. Se esci così ti prenderai un malanno. »
Retasu spalancò gli occhioni blu, confusa dalla sua apprensione così caustica – le sembrava quasi la stesse accusando di avere una salute cagionevole – e dal fatto che tra i due quello che pareva sul punto di beccarsi la polmonite fosse lui.
« Cosa stavi… sei fradicio… » riuscì solo a balbettare.
Pai annuì e prese fuori dalla tasca una fialetta piena d’acqua: « Sto raccogliendo campioni delle vostre piogge per determinare il livello di acidità del tempo, controllare la presenza di Mew Aqua, e altre misurazioni interessanti anche per il nostro pianeta. Le differenze di condizioni atmosferiche sono centrali nelle mie ricerche. »
« Ma… il malanno… »
Le sembrò che la sua espressione si addolcisse di una frazione: « Non sono suscettibile a queste temperature, Retasu. »
Il ventre le diede una potente fitta a sentire il proprio nome scivolare così facilmente sulla lingua di lui quando se lo trovava completamente bagnato davanti, con la frangetta scura appicciata al volto diafano e la maglietta nera più stretta che mai.
Si impose di respirare mentre, già lo sapeva, le sue guance si arroventavano.
Non ci pensare, Retasu.
« È giusto che si lasci andare. Se lo merita. »
« Devo… andare a casa. »
Bofonchiò distratta, più per riempire il silenzio che per un’effettiva necessità di allontanarsi. Anzi.
« Se lo merita. »
« Mi accompagni? »
Un tuono rombò nello stesso istante in cui lei ebbe posto la domanda, accompagnando il suo raccogliere tutto il coraggio che aveva in corpo per fissarlo dritto negli occhi. Le iridi ametista si contrassero appena, e Retasu ci rivide per un secondo quello sguardo affranto ma deciso che le aveva rivolto così tanti anni prima, come ultima scelta.
Si sgonfiò come un palloncino, tutto l’ardire di quella situazione che le defluì dal petto come una cascata; strinse i pugni e distolse il viso, sospirando piano per mascherare il groppo in gola.
« Scusami, è evidente che sei impegnato, non preoccuparti posso - »
« Retasu. »
Si morse il labbro fino a farlo impallidire a quel richiamo, incapace di distrarsi dalla punta delle proprie scarpe.
Non avrebbe dovuto fare tanto male. Il suo nome sulle labbra di lui non avrebbe dovuto suonare così angosciato.
« Davvero, non fa niente, » continuò a mormorare, forse anche un po’ più a sé stessa, « Troverò un modo. E dopotutto l’acqua… »
Quasi si strozzò quando percepì la punta calda delle sue dita lunghe accarezzarle uno zigomo come se avesse paura di ricevere la scossa al solo sfiorarla.
« Retasu… » la voce di Pai fu più un soffio roco, così basso da sembrare l’eco del tuono stesso, « Tu sei… così buona, e tenace. »
« Lo dici come se fosse un insulto… » riuscì a borbottare lei, quasi stupendosi, e lo udì sbuffare piano.
« Ci sono delle cose che io… ho fatto, che… »
« Non mi interessa. »
Le dita del ragazzo tornarono sulla sua guancia, più tese questa volta: « Com’è possibile? »
« Perché sei tu. »
Fece un passo avanti e, ancora, piantò gli occhi nei suoi, più decisa, nonostante la voce tremante e lo sguardo umido. Pai continuò a studiarla in silenzio per quella che le parve un’eternità, il pollice che continuava a toccarla leggero, avanti e indietro, guadagnando pochi millimetri alla volta, e Retasu rimase ferma così, le mani giunte in petto e il viso alzato.
« Io… non credo di meritarti, » le sussurrò infine, e il pollice divenne un intero palmo che le cinse la guancia, le dita che le presero ferme la nuca, « Ma posso provare a cambiarlo. »
La maglietta dell’alieno era gelida di pioggia, così come le punte della frangetta che le sfiorarono il naso; ma sotto di essa, lui era bollente, e fu l’unica cosa che Retasu percepì quando finalmente la tirò a sé per baciarla quasi con fame. Gli si strinse addosso più che poté, come mai aveva immaginato di poter fare, incurante degli occhiali storti sul naso o della propria camicetta che si stava inzuppando, o del fatto che qualcuno sarebbe potuto entrare in qualsiasi momento.
Pai la stava baciando, erano le sue labbra quelle che premevano con forza contro le sue, le sue mani che la esploravano decise ma prudenti. Suo il respiro che sentiva mischiarsi al proprio, suo il profumo, suo il calore, suo il battito del cuore sotto al suo palmo, ed era tutto ciò che aveva sempre desiderato.
Fu l’ennesimo rombo di tuono a separarli, perché Retasu sobbalzò un po’ spaventata, un pigolio che le scappò dalle labbra.
« Scu-scusa… » balbettò, senza fiato, una mano che salì automaticamente ad aggiustarsi gli occhiali e l’altra che tentò di coprirle le guance scarlatte mentre pian piano ricomponeva i pezzi.
Pai non poté evitare di trovarla estremamente adorabile, ma decise di non commentare per non peggiorare ulteriormente la situazione, visto cos’era successo non appena aveva deciso di lasciar agire un po’ di più l’istinto. Così la portò di nuovo a sé, abbracciandola piano mentre lei posava la fronte contro al suo petto.
Come se fosse l’incastro perfetto.
« Ora devo proprio andare, » sussurrò Retasu controvoglia, « A casa si staranno chiedendo che fine ho fatto. »
Gli occhioni blu lo scrutarono come a cercare di capire se il momento ora spezzato non si sarebbe mai più ripetuto, e lui avvertì l’ennesima fitta di senso di colpa alla bocca dello stomaco, ma decise solo di sorriderle.
« Ti accompagno. »
Lei si illuminò contenta e annuì, scostandosi ancora di pochi passi, lentamente, mentre ancora cercava di ricostruire per bene gli eventi della giornata che l’avevano condotta fino a lì.
« Sai, pensavo - »
Si bloccò all’improvviso nel suo tragitto verso il soprabito, appoggiato a una delle sedie, e guardò Pai da sopra la spalla con aria interrogativa.
Lui piegò ancora le labbra in una smorfia: « Cosa fai per il tuo compleanno? »
Retasu avvertì distintamente il cuore perdere quattro o cinque battiti di fila; se Pai si metteva pure a fare dello spirito, lei sarebbe definitivamente morta stecchita.
 
 
 
 
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Ichigo aveva affrontato mostri zannuti e grandi tre volte lei, alieni invasori e anche un po’ insistenti, ed ex-fidanzati che condividevano il patrimonio genetico con un’antica divinità dal desiderio di conquista, ma la paura non era comparabile a quella che stava provando in quel momento.
D’accordo, forse la sua tendenza drammatica era particolarmente scatenata, ma in ogni caso, era letteralmente terrorizzata.
« Non sono pronta, non sono pronta, » continuò a ripetere a macchinetta, camminando avanti e indietro davanti al letto con le mani contratte sul pancione, « Non lo posso fare. »
« Sì che puoi farlo, » Ryou esclamò con estrema pazienza mentre dava un’ultima controllata al borsone poggiato sul materasso e ne chiudeva la zip, « You just have to breathe. »
« Guarda che non mi aiuti se – uuuuuuff! »
Si fermò a metà dell’ennesima vasca, storcendo il viso in una smorfia di dolore e piegandosi di più su sé stessa; il biondo la raggiunse e la tenne stretta in silenzio, scostandole poi i capelli dagli occhi per poterla guardare bene.
« Ogni cinque minuti, e per un minuto, » le mormorò, « Dobbiamo andare. »
Lei si limitò ad annuire e ad artigliargli le mani: « Come fai ad essere così calmo? »
« Qualcuno che mantenga il sangue freddo serve, ginger. »
Perché se pure Shirogane avesse ammesso che in realtà anche lui era parecchio agitato, la situazione non sarebbe sicuramente divenuta più gestibile.
« Chiamo i tuoi genitori e gli dico di raggiungerci in clinica, d’accordo? »
Ichigo deglutì rumorosamente ed annuì, seguendolo lenta verso l’uscita: « Però avvisa anche gli altri, o so già che Minto si offende. »
Il tragitto verso la clinica privata fu insolitamente silenzioso; Ichigo, che di solito riempiva sempre l’abitacolo di chiacchiere, era pallida e visibilmente distratta, concentrata a respirare come da manuale e un po’ a fissare solo davanti a sé, la mano contratta su quella di lui che le aveva poggiato sul ginocchio per darle un minimo di conforto. Non cambiò atteggiamento nemmeno durante l’accettazione, né quando la indirizzarono alla camera riservata a loro, molto più elegante di una normale sala parto, con un lettino extra per l’accompagnatore e una larga vasca in un angolo (anzi, si risolse solo a borbottare che Ryou non avrebbe nemmeno dovuto pensare a dormire se a lei non sarebbe stato concesso quel lusso), né tantomeno quando le fu comunicato che c’era ancora un po’ di strada da fare e avrebbe fatto meglio a rilassarsi più che poteva prima del momento cruciale.
Ryou ponderò che probabilmente non l’aveva mai sentita parlare così poco in vita sua, e ciò lo preoccupò più della situazione in sé. Quando l’ostetrica e l’infermiera di turno si chiusero la porta alle spalle per concederle un po’ di riposo, con la promessa di ripassare a regolari intervalli, lui trascinò la poltrona il più possibile vicino al lettino su cui si era raggomitolata e le prese le mani per lasciarle un bacio sulle nocche.
« Ho detto agli altri che siamo arrivati, » le disse sottovoce, carezzandole una guancia, « I tuoi non hanno voluto sentire ragioni, Sakura si è detta disposta a campeggiare in sala d’attesa pur di esserci, quindi arriveranno a breve. Le ragazze ti mandano un bacio e chiedono aggiornamenti regolari, ma ho fatto promettere di non avere invasioni. »
Ichigo emise uno sbuffò che avrebbe dovuto essere una risatina, poi si morse un labbro: « È così tua figlia che è in anticipo. »
« Solo di qualche ora, » la rimbeccò dolcemente lui, « E se ha preso dalla sua mamma, scommetto che si prenderà tutto il tempo necessario. »
Lei rispose solo con un mugolio incerto che però suonava molto come se lo stesse scimmiottando, e tenendo sempre la mano ben stretta tra le sue, iniziò a distrarsi con i vari strumenti che le erano stati appiccicati addosso e qualche chiacchiera poco importante.
L’arrivo dei coniugi Momomiya, poco più tardi, fu il solito ciclone in tempesta. Sakura sembrava più su di giri della figlia, nonostante una recondita promessa di comportarsi da faro nel buio vista l’esperienza, ma il più esagitato di tutti era proprio Shintaro, che sberciò ad alta voce richiamando l’assistenza di un medico non appena non ne vide comparire uno al capezzale della sua “dolce e povera bambina” entro i dieci minuti dalla sua comparsa.
« Non ce n’è bisogno, papà, » aveva tentato di blandirlo Ichigo, « Manca ancora molto e sono passati da poco. »
« Mi sembra una follia che in questa presunta super-clinica si abbandonino le partorienti, e per giunta così giovani e inesperte! »
La rossa aveva prontamente agguantato la mano di Ryou per impedirgli di ribattere: « Proprio perché sono così giovane dovrei avere meno problemi, papà. E poi guarda che bella la camera, posso anche scegliere di usare la vasca se volessi. »
« Come se queste cose new age fossero una rassicurazione! »
A quel punto, Sakura aveva percepito che fosse il caso di concentrarsi sul suo solito ruolo da mediatrice, visto anche il pronto arrivo di un’ostetrica altrettanto battagliera, e Shirogane aveva colto l’occasione per dileguarsi dal capofamiglia.
« Vi lascio soli dieci minuti, okay? » aveva preso la mano di Ichigo per lasciarle un bacio sulle nocche e al tempo stesso lanciarle un’occhiata acuta, « Così siamo meno in camera e puoi stare un po’ con i tuoi. Vado a prendermi un caffè. »
La rossa era stata abbastanza clemente da annuire e mormorare un torna presto a labbra chiuse. Lui si chiuse la porta alle spalle nello stesso istante in cui Shintaro cominciava a borbottare qualcosa riguardo il “ruolo del padre” e prese un lungo respiro; erano lì da meno di due ore e già era rimasto senza energia. S’incamminò verso la macchinetta automatica che aveva adocchiato alla fine del corridoio, passandosi le mani sul viso per rinvigorirsi, e nel frattempo ne approfittò per mandare un messaggio di gruppo di aggiornamento della situazione (cui Purin rispose con una sequela di GIF e faccine, alcune molto inopportune, che però gli strapparono una risata).
La sua pausa di ristoro, però, non poté durare a lungo; aveva appena finito di ingurgitare quella brodaglia amara pure per i suoi gusti quando un certo tono di voce dal capo opposto della corsia lo distrasse. Pensò che forse avrebbe dovuto pagare qualche cosa extra per tutto il disturbo che stava arrecando Shintaro, che stava indietreggiando dall’uscio sberciando contro l’ostetrica che, a sua volta, lo intimava a tranquillizzarsi.
« Mi sembra inaccettabile che io non possa rimanere dentro con la mia bambina! »
« La signorina Momomiya deve riposarsi e soprattutto non agitarsi, » lo rimbeccò l’energetica signora, « E ha espressamente richiesto che nella stanza ci fosse solo il signor Shirogane, e io sono tenuta a rispettare i suoi desideri per rendere l’esperienza più felice possibile. Visto che ora è il momento migliore perché possa riposarsi, le devo chiedere nuovamente di accomodarsi in sala d’aspetto. »
Forse avrebbe dovuto mandare direttamente una bottiglia di champagne e un vaso di fiori a lei.
« Su, caro, la dottoressa ha ragione, » lo calmò Sakura con altrettanto cipiglio, « Non è il caso di innervosire Ichigo, ora. Ma la prego, mi tenga informata su qualsiasi cosa. »
L’ostetrica, il cui cartellino rivelava il cognome di Nakagawa, la rassicurò mentre le indicava la sala d’aspetto riservata, due corridoi più a destra, e nel frattempo Ryou si intrufolò in camera, non senza uno scambio di occhiatacce con il suocero putativo.
« Ti ho portato in un posto troppo new age, bambina, » commentò velenoso, lanciando il suo bicchierino vuoto dentro al cestino.
Ichigo lo guardò implacabile: « Non è il momento. E pure tu mi chiami ragazzina. »
« Non fare certi paragoni, please. »
La rossa rise e affondò ancora di più tra i cuscini mentre espirava lentamente, allungandogli una mano in maniera molto chiara. Ryou fece il giro del lettino e riconquistò la poltrona, stringendole le dita e ricominciando a carezzarle la faccia.
« È il tuo momento, ginger, » la prese in giro affettuosamente, « Anche oggi ti tocca un pisolino. »
« Credo dovremo approfittarne, » ribatté lei con una smorfia, « Potremmo non averne molte altre occasioni. »
Ovviamente, Ryou non riuscì a chiudere un occhio. Ichigo si appisolò pian piano sotto le sue carezze, e lui non ebbe il coraggio né la volontà di spostarsi, il cervello troppo su di giri per poterlo sopire. Si concesse solo di spostare la poltrona, tenendo una mano stretta tra le quelle di lei mentre con quella libera perdeva del tempo al cellulare. Nel frattempo, la dottoressa Nakagawa e un altro paio di infermiere andarono e vennero in silenzio, controllando la situazione, così come una quietissima Sakura, che si premurò di portargli un po’ d’acqua e dei dolcetti ristoratori e fare con lui due chiacchiere sottovoce.
Al risveglio di Ichigo, incredibilmente – non che avrebbe mai ammesso l’uso di questo avverbio né l’attualizzazione del pensiero, ben conscio delle eventuali ripercussioni che avrebbe dovuto subire – Ryou osservò un cambiamento non indifferente nel suo comportamento post-intervento di Shintaro sul suo essere bambina e post-pisolino man mano che il travaglio avanzava. Lei che tanto era portata a lamentarsi per le cose più piccole e che tanto era stata angosciatissima quella mattina sembrava ora avvolta da una caparbietà che poche volte le aveva visto addosso (volte che, se doveva essere sincero, non aveva voglia di ricordare né avrebbe voluto associare alla nascita del suo erede). Gli aveva intimato di rimanere in poltrona a fare le sue cose da genio, in silenzio e senza starle addosso; lei, nel frattempo, se la sarebbe cavata da sola. Si aggirava perciò per la stanza, borbottando ed espirando tra i denti ad ogni forte contrazione, a volte appoggiandosi alla grande palla da yoga, altre contro al muro, richiedendo l'aiuto del biondo solo un paio di volte.
Naturalmente, Ryou stava solo fingendo di essere impegnato, continuava a tenerla d'occhio senza farsi notare, pronto ad intervenire in caso di necessità.
« Shirogane? » esclamò in quel momento la rossa, i palmi contro al muro e piegata in avanti mentre sopraggiungeva un'altra contrazione, « Un pochetto mi stai assolutamente sulle scatole ora. »
Lui non poté evitare di ridacchiare: « Non fa niente, ti perdono. »
« Qui quella che deve perdonare sono io, in caso. »
« Tu sei anche quella che mi ha teso un agguato dopo il bagno notturno al compleanno di Purin. »
« … non era un agguato! »
Ryou rise di nuovo del suo viso in fiamme e richiuse il tablet che si era portato per andare a raggiungerla, accarezzandole piano la schiena.
« Quindi la prossima volta dovrei dirti di no? »
« Sei fiducioso che ci sarà, una prossima volta. »
« Non iniziare con queste frasi fatte prese da tutti quei film idioti che hai visto, ginger, » la rimbeccò poco divertito, « Non ho mai sentito lamentele. »
Ichigo gli rispose solo con una lunga esalazione, ondeggiando piano da una parte e dall’altra.
« Mi devi dire che andrà tutto bene, » esclamò all’improvviso.
« Giuro che andrà tutto bene. »
« E che non la farò cadere appena me la daranno in braccio. »
« Sarai bravissima. E in ogni caso circondata da superfici morbide. »
« E che smetterai di essere sarcastico prima che ti infilzi con la flebo. »
« Quello non posso promettertelo, » rise sottovoce, mentre Ichigo abbandonava il muro per stringersi a lui e lui le baciava la testa, continuando a dondolare insieme a lei, « Non è stato espressamente vietato da tutti i corsi seguiti. »
« Secondo me non hai ascoltato abbastanza, allora. »
Ryou sbuffò, muovendo il naso tra i suoi capelli un po’ sudati e iniziando a mormorarle sciocche filastrocche in inglese con il solo scopo di aiutarla a rilassarsi mentre l’aiutava a ristendersi sul lettino.
Non passò molto prima del ritorno della dottoressa Nakagawa, che si scambiò uno sguardo d’intesa con i due giovani prima di ammiccare: « Ci siamo. »
 
 
 
 
« È una femminaaaaaaaaaa! » Purin fu la prima a scattare in piedi nel salotto di casa Fujiwara (che era stato preso d’assalto senza che la modella potesse opporsi più di tanto solo perché il più vicino alla clinica, e il cui tavolo era ricoperto di cartoni della cena d’asporto), brandendo il cellulare come un’arma e saltellando col rischio di pestare qualcuno, « È una bimba, è una bimba, è una bimba! Andiamo! »
« Purin, calmati, » la redarguì piano Retasu, con gli occhi lucidi e le guance rosse mentre leggeva anche lei il messaggio mandato da Ryou, « È letteralmente appena nata, avranno bisogno di qualche ora. E poi è sera, mica ci possiamo presentare così. »
« Ma io voglio vederla! La prima nipotina! »
« Andrò io in clinica causa timpano perforato. »
Keiichiro rise sommessamente, nonostante l’evidente emozione anche sul suo volto: « Fatemi telefonare a Ryou e vediamo come organizzarci, d’accordo? »
« Teletrasportiamoci! »
« Purin, ti scongiuro. »
Il pasticcere si ritirò in cucina in cerca di più calma per la chiamata, alla quale Ryou rispose con incredibile velocità.
« Congratulazioni, ragazzo mio. »
«  Grazie, » non scappò a nessuno dei due l’emozione nella voce dell’altro, « Ho appena mandato una foto. »
Keiichiro dovette in effetti tapparsi l’orecchio libero visto il boato di mugolii che scoppiò dall’altra stanza: « Sì, ho sentito. Sarà bellissima, ci scommetto. Come sta Ichigo? »
« She was a trooper, » (*) esclamò, « È cotta, ma è con i suoi genitori ora. Siamo riusciti a tenerli fuori finché non l’hanno risistemata un attimo. La bimba è alla nursery per alcuni controlli ma sta benone. »
Il pasticcere attese un secondo in linea, e Shirogane continuò dopo poco a voce più bassa: « I called Joel. Ha detto che ci pensa lui. Tu potresti - ? »
« Non preoccuparti. Tu rilassati e goditi la tua famiglia, noi aspettiamo un vostro segnale. Prometto che terrò le truppe a bada. »
« Good luck with that, » scherzò il biondo, « Voglio che Ichigo si riposi, cerca di contenerli fino a domattina, per favore. »
« Non posso assicurare che non apriranno i cancelli alle otto, però. »
« Meglio di niente. »
Si scambiarono ancora qualche parola di conforto e felicitazioni, Keiichiro che portò il cellulare in vivavoce in salotto così che la baraonda potesse raggiungere Ryou direttamente. Dopo la promessa di mandare ulteriori fotografie, inclusa di Ichigo, e di mandare i saluti alla neomamma, Shirogane terminò la comunicazione e ritornò nella loro camera.
« È la bambina più bella del mondo, » stava tubando Sakura, china sopra il fagottino stretto tra le braccia di Ichigo, « Forse anche più bella di com’eri tu, cara. »
« Grazie, mamma, » replicò la rossa più giovane, ma era troppo stanca e piena di emozioni per darci davvero peso.
La signora Momomiya fece ancora qualche smorfia alla nipotina, poi incrociò gli occhi di Ryou, accuratamente in un angolo, e gli sorrise calorosa: « Ora vi lasciamo un po’ da soli. Andiamo a casa a riposarci e torniamo domani, d’accordo? »
Shintaro aprì la bocca per protestare, ma la moglie lo zittì con un gesto della mano: « I ragazzi hanno bisogno dei loro momenti e sono stanchi. Su, forza, saluta, o domani sarai un nonno rintronato dal sonno. »
«Ciao, mamma, papà, grazie ancora. »
« Signora, Momomiya-san. »
Sakura rispose al saluto di Ryou dandogli un’affettuosa stretta sul braccio e una carezza veloce, uscendo prima del marito in un chiaro monito da seguire. Shintaro arrancò dietro di lei, fermandosi appena per incrociare lo sguardo dell’americano:
« Ottimo lavoro, ragazzo. »
Quando la porta si chiuse, il ragazzo in questione non poté evitare di voltarsi con estremo stupore verso Ichigo, che lo guardava altrettanto divertita: « Me lo devo segnare: due maggio, il primo complimento che ricevo da Shintaro Momomiya. »
« Non farci l’abitudine, » lo prese in giro prima di sbadigliare, poi però si riconcentrò di nuovo sulla bimba avvolta da una morbida copertina rosa, « Però è vero, abbiamo fatto un lavoro perfetto. »
Ryou cercò di non far notare il suo inspirare lentamente e si appoggiò al bordo del letto, scostando piano la coperta per sfiorare una guanciotta arrossata.
« Vedi che non l’hai fatta cadere. »
Ichigo rise e strofinò il naso contro quello in formato mignon: « Non mi sono ancora spostata però. È così piccola… »
« Pesa quattro chili, darling. »
« È piccola lo stesso, » la rossa le rivolse un altro sorriso innamorato, sfiorandole la peluria biondo-rossiccia che le ricopriva la testolina, « Tocca di nuovo a te. Sei pronto? »
Onestamente, avrebbe voluto rispondere di no; per quanto bramasse risentire quel calore tra le braccia, era terrorizzato di fare una mossa falsa, causare un pianto improvviso o qualche dolore. Che ne sapeva lui del legame che c’era tra un neonato e la sua mamma, o di come affrontare quell’incredibile necessità di proteggere con tutto se stesso quella creaturina dai tratti così simili ai suoi?
« Io l’ho detto che sarebbe somigliata a te, » gli sussurrò di nuovo Ichigo, porgendogliela un po’ di più.
Si concentrò come non mai per fare in modo che le sue mani sostenessero tutti i punti giusti, e la piccola quasi scivolò naturalmente nell’incavo delle sue braccia, solo uno sbadiglio sonoro come reazione che lo fece sorridere: « You sure about that? »
Ichigo rise e si appoggiò al suo braccio, ormai più stanca che mai nonostante la voglia di non perdere neanche un secondo.
« Credo che il nome che hai scelto sia perfetto, » mormorò sottovoce.
Il petto gli si gonfiò in maniera esagerata. Com’era possibile contenere tutto quello?
« Era il nome di mia madre. »
Sentì le dita di Ichigo stringersi attorno al suo braccio mentre gli si faceva più vicina e accarezzava il profilo della bimba: « Allora benvenuta, Kimberly Shirogane. »
 
 
 
 
Purin fu quasi praticamente imbavagliata il mattino dopo, quando le altre quattro ex Mew Mew si presentarono nel reparto maternità, visto il suo incredibile entusiasmo alla vista della nuova mascotte onoraria del gruppo. Sotto la rigida direzione della dottoressa Nakagawa, le ragazze furono fatte entrare in coppia per non travolgere troppo la neonata, e Zakuro fu predisposta a contenere l’energia della più giovane di loro.
Nonostante ciò, i suoi mugolii estasiati erano ben udibili anche attraverso la porta chiusa, davanti alla quale Minto e Retasu chiacchieravano amabilmente con il neopapà e Keiichiro.
« È andato tutto bene, quindi oggi pomeriggio torniamo a casa, » sospirò Ryou, « Anche se devo ancora montare la culla, Ichigo è stata presa da non so quale credenza che portasse sfortuna farlo prima che nascesse. »
« Dovete farne altre tre! » scoppiò Purin, aprendo la porta di scatto, « Una nipotina a testa! »
« Ssssh! »
« Intanto basta così, grazie. »
Keiichiro rise del pallore di Ryou mentre le ragazze si davano il cambio e ricominciava lo scambio di gridolini eccitati, poi il biondo si passò una mano tra i capelli e offrì l’altra all’ex tutore.
« A proposito, » esclamò con un sorriso, « Non c’è nessun altro che potrebbe farle da padrino. »
Il pasticcere gliela strinse di ricambio, mascherando a fatica l’emozione: « Ne sarei onorato. »
Purin emise un altro gridolino di gioia e si buttò al collo di entrambi, praticamente dondolandosi con i piedi staccati dal suolo nonostante non ci fossero più così tanti centimetri di differenza.
« Ah, siamo una famiglia bellissima! »
« Cosa le hai dato per colazione? »
Zakuro nascose una risata: « Non guardare me, il pigiama party è stato a casa di Minto. »
Ryou riuscì a staccarla prima che gli spezzasse l’osso del collo, ma Purin gli rimase lo stesso appiccicata al braccio, sommergendolo di parole su come lei adorasse i bambini e fosse sempre disponibile a fare da babysitter, vista l’esperienza con i suoi fratellini. Non sapeva se fosse la mancanza di sonno, la montagna russa che erano stati quei due giorni, o il nuovo ruolo che si trovava a ricoprire, fatto sta che per una volta Shirogane si sentì pieno e felice come non mai.
« Potrei prenderti molto alla lettera sul discorso babysitter, » scherzò con un occhiolino verso la biondina.
Lei gli gongolò accanto: « Poi ci siamo coordinati con i tuoi suoceri, tutti i nostri regali vi aspettano già a casa, inclusa una montagna di cibo congelato made in Reta-chan. Be’, io ho fatto le shizitou(**). E Zakuro nee-san ha organizzato qualcosa di speciale. »
« Una cena al ristorante preferito di Ichigo già assicurata per quando sarete più in forma, » si affrettò ad aggiungere la modella, « Per un momento per voi. »
L’americano non mancò l’occhiata sibillina che gli rivolse, ma era troppo stanco per ricambiare con una altrettanto alterata dalla sua simpatia.
« La smettete di parlare di cibo? Io ho fame! »
La voce di Ichigo risuonò cristallina e divertita quando anche Minto e Retasu uscirono dalla stanza, Purin che ne approfittò per intrufolarsi di nuovo.
« Guarda che adesso bisogna rimettersi in forma, Momomiya. »
« Minto, ti sta per essere revocato il titolo. »
« Resisti ancora qualche ora, principessa, e troverai un sacco di cose ottime a casa. »
Ryou si passò una mano nei capelli e guardò sconsolato il suo migliore amico: « C’è un enorme orso di peluche in salotto, vero? »
« E chi lo sa. »
La dottoressa Nakagawa rispuntò in quel momento, in mano una cartellina e sul viso un sorriso affabile ma deciso.
« Mi dispiace ma è ora di sgombrare il campo. È ora di assicurarsi che tutto vada bene prima di tornare a casa. »
E così dicendo, scoccò uno sguardo eloquente alla biondina ancora piegata sulla culla, che sfoggiò un sorriso smagliante ed uscì dalla stanza con le mani dietro la schiena.
« Allora io vado al Caffè. Mi aiuti tu, Reta-chan? »
« Seriamente siete aperti anche oggi? »
« Chiedi al capo, Minto-chan. »
« Ne ho due da sfamare adesso, sai. »
Keiichiro gli batté un’altra volta la mano sulla spalla e rise: « Ci vediamo domani. Se avete bisogno di qualsiasi cosa, chiamate. »
« Sì, non importa l’ora, mi raccomando. »
« Ciao piccoletta! »
« Purin, ssssh! »
 
 
 
 
Il buonumore della biondina perseguì anche durante la mattinata, passata a servire i clienti fischiettando e sorridendo più del solito. L’aria frizzante di inizio maggio filtrava dalle finestre portando con sé l’odore dei fiori e rendendo l’atmosfera al Caffè ancora più romantica.
Oppure erano davvero solo gli ormoni di quel periodo.
Purin sorrise sotto i baffi mentre beveva un bicchiere di tè freddo – quello che Akasaka teneva da parte appositamente per loro – e prendeva un respiro in vista della pausa; stava anche iniziando a fare caldo, il che voleva sempre dire un aumento notevole di clienti in cerca del refrigerio dell’aria condizionata, ovvero nugoli di coppiette in amore e teenagers sospiranti.
Un po’ come tutte le sue amiche.
Rise ancora e lanciò uno sguardo a Retasu, concentrata a non sbagliare mentre prendeva l’ordinazione a un tavolo chiaramente impegnato in un’uscita a quattro. Non sapeva molto di ciò che era successo nelle ultime tre settimane, Retasu era notoriamente timida e Ichigo – fortunatamente per l’amica – troppo impegnata tra falsi allarmi e ultimi preparativi per concentrarsi troppo sui gossip, ma lei non aveva certo non captato gli sguardi e i sorrisi tra la dolce ragazza dai capelli verdi e un certo alieno immusonito. Né le battutine di Kisshu a riguardo.
Il ghigno di Purin si allargò: se Minto era riuscita, almeno in parte, a schivare le domande più infime sulla sua attuale situazione sentimentale (e giusto per la soddisfazione di far finta di non ammettere nulla, non certo perché facessero le cose di nascosto), lo stesso trattamento non sarebbe certo stato riservato a Retasu; bastava solo aspettare che Ichigo si riprendesse un secondo per tornare alla carica. Forse sarebbe stata la volta buona che Pai le avrebbe incenerite tutte in un colpo solo.
Ripose la caraffa in frigo e si sistemò il grembiule a forma di cuore; non poté fare a meno di pensare, ancora, al terzo componente mancante degli Ikisatashi. Era ovvio che avesse sentito la mancanza di Taruto, in quegli anni; era stata la prima a fidarsi di quell'alieno dai buffi codini e un pessimo carattere, la prima a capire che c'era del buono dentro di loro. Così com'era ovvio che le mancasse ancora di più ora che i suoi fratelli maggiori erano tornati e si erano integrati così bene nel loro gruppo.
Le sembrava quasi strano che fosse già passato un anno dal loro arrivo, perché per lei era quasi come se ci fossero sempre stati, come se quella fosse la condizione normale della loro vita.
Meno il suo buffo ed irascibile, grande amico.
Con la complicità di Kisshu, Purin era riuscita a mandare qualche messaggio a Taruto; niente di che, ovviamente, solo vaghi saluti anche un po’ in codice per non sfruttare in maniera esagerata comunicazioni che – per quanto ne avesse capito lei – rimanevano ufficiali e militari. E qualche risposta le era arrivata, certo, filtrata dall’ironia del più grande e dalla naturale reticenza di Taruto che lei era sicura non fosse cambiata. Solo che le sarebbe piaciuto sapere un po’ di più di lui, su cosa stesse facendo, se avesse terminato questa fantomatica accademia militare… se si sarebbe mai unito ai fratelli.
Sbuffò piano e si diresse fuori dalla cucina. Non era molto saggio soffermarsi su certi ragionamenti, riuscivano sempre a farla sentire malinconica e non era uno stato d’animo che le piacesse sfoggiare. Ma forse un saluto poteva farlo.
Invece che ritornare in sala, si affrettò su per le scale, allungando il collo per vedere se Kisshu fosse ancora in camera sua. Dalla sequela di parolacce che sentì sibilare fuori dalla porta socchiusa, capì di aver avuto successo.
« Ma come diamine… »
« Toc toc, » rise divertita, « Cosa stai combinando, nii-chan? »
« Questi aggeggi sono demoniaci! » rispose lui, roteando tra le mani lo smartphone che era stato dato sia a lui che a Pai qualche tempo prima per fare in modo che fossero contattabili nella maniera più umana possibile, « I nostri comunicatori erano molto più intuitivi. Cosa diavolo sarebbe un sms? »
Purin rise e gli si avvicinò saltellando, bloccandosi appena prima di prendere il telefono: « C’è qualcosa che non dovrei vedere? »
Kisshu ghignò malizioso: « Ma magari. »
« Sei proprio terribile. »
Gli smanettò davanti, mostrandogli i passaggi principali di quella che per lei, a confronto di ciò che gli aveva visto fare, era la cosa più semplice del mondo.
« Poi premi qui e fatto. E puoi vedere l’intera conversazione qui. »
Il verde studiò ancora il rettangolo che teneva in mano, poi scosse la testa: « Se lo dici tu… allora, che ti serve? »
Purin sorrise innocentemente, dondolandosi sui talloni con le mani dietro la schiena: « Niente. Pensavo. »
Kisshu la guardò poco convinto, il solito ghigno sardonico in faccia: « Dai, sputa. Quando sei così calma mi fai paura. »
La biondina ridacchiò e poi lo guardò da sotto in su: « … l’hai sentito? »
Il verde sbuffò, piegando la testa da una parte: « Non andiamo a controllare le comunicazioni da un paio di settimane. Io continuo a dire a Pai di installare un dispositivo qui, ma sai com’è testardo, e ultimamente… » si scambiarono un’occhiata divertita, poi lui continuò con una stretta di spalle, « Qualcosa dovrebbe esserci, ma non ne sono mai sicuro, lo sai. »
« Mmmh, » Purin sembrò ponderarci su, poi fece un passo avanti, « E… questa vostra scuola militare… quanto dura? »
« Dipende da quello che vuoi farci, scimmietta, » rispose lui, poggiandosi con i palmi sul letto per mettersi più comodo, « Se nella vita vuoi essere come Pai, può durare molto a lungo. Il ciclo obbligatorio di educazione, se così lo vogliamo chiamare, dalla rinascita del nostro pianeta è stato istituito dai cinque ai sedici anni. Ma adesso stanno ancora cercando di far recuperare a chi, come noi, è vissuto sotto Deep Blue. In più, noi tre abbiamo saltato parecchi gradi dell’esercito a causa della nostra scorrazzata sulla Terra, cosa che non è piaciuta a tutti, come ti ho detto. Quindi il buon Taruto deve fare un po’ di gavetta. » (***)
« Sì, ma me lo hai detto l’anno scorso però. »
Kisshu ridacchiò, la osservò con le iridi dorate più ambrate del solito: « So dove vuoi andare a parare, ma non posso dirti nulla. Non perché non voglia, ma perché non ho la minima idea di cosa pensi il Comando Generale. E se posso essere sincero, preferisco evitare domande che pongano l’attenzione sulla nostra permanenza qui. »
Purin annuì, leggermente contrariata, e l’alieno tentò di sfoderare il suo sorriso migliore.
« Prometto che continuo a salutartelo, okay? Posso anche tentare di strappare un video, se riesco a convincere Pai a creare un canale riservato per meno di tre minuti. »
« Tanto adesso è di buon umore. »
Ridacchiarono insieme, poi la ragazza gli fece l’occhiolino: « Magari un giorno mi porti a vedere l’astronave. »
« Dillo che vuoi che mio fratello mi appenda in camera a mo’ di trofeo di caccia. »
« Mh, con quei capelli forse fai più da scendiletto. »
« Fila via, pidocchia! »
Ascoltando la risata divertita di Purin che ritornava al lavoro, Kisshu giocherellò ancora un po’ con il cellulare, diventando pensieroso all’improvviso.
Avrebbero fatto meglio a installare un comunicatore in laboratorio il prima possibile.
 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) Letteralmente trooper = un soldato, un poliziotto, ma viene anche utilizzato per indicare qualcuno che affronta situazioni di avversità in maniera stoica e persistente. Quando si dice a qualcuno “You were a real trooper”, gli si sta facendo un complimento per la caparbia nell’aver affrontato un momento o svolto un’azione.

(**) Alla lettera teste di leone (獅子頭, è un piatto della cucina cinese consistente di polpette di carne di maiale solitamente stufate con cavolo cinese e altre verdure. Il nome deriva dal fatto che la forma delle polpette ricorderebbe quella della testa del leone guardiano cinese.

(***) Capitolo 2

   
 
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