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Autore: Hiraedd    29/04/2012    8 recensioni
James Potter, è esattamente come chiunque non abbia gli occhi rivestiti di prosciutto e i capelli rossi (qualunque riferimento a persone realmente esistenti è pienamente voluto) può osservare ogni giorno… simpatico, sempre pronto a far ridere gli altri, generoso, darebbe la vita per i suoi amici e per quelli più deboli.
Peter Minus, beh, è Minus. Facendo coppia con lui nell’aula di Trasfigurazione ho imparato a conoscerlo meglio. Sempre in seconda fila, senza essere visto, sembrerebbe più una pedina che un giocatore. In realtà, mi sono accorta, è un giocatore tanto quanto gli altri.
Sirius Black... Sirius definisce tutti i confini. Gira per il mondo con scritto in fronte “QUI FINISCONO I BLACK E COMINCIO IO”.
Remus Lupin è la mente diabolica del gruppo. È il classico esempio di persona che tira la pietra e nasconde la mano, non per codardia, ma per quieto vivere. O meglio, fa tirare la pietra agli altri, decisamente, e si mantiene la sua reputazione da Prefetto e bravo ragazzo. Tutto quello che ci mette, è il cervello. Decisamente un personaggio degno di stima, un idolo (Dai pensieri di Marlene McKinnon)
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mary MacDonald, Peter Minus, Remus Lupin | Coppie: James/Lily, Sirius Black/Marlene McKinnon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'oltre il fuoco comincia l'amore'
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So che mi odiate, ma ormai credo di aver iniziato a farci l’abitudine. La verità è che per le mie ff ho un sacchissimo di idee, me le sogno la notte, poi mi metto davanti al computer e vado in modalità “faccia da triglia-ameba”.
Coooooomunque….
Ho deciso che questa parte di ff si concluderà tra un capitolo. Quella dopo si chiamerà “L’amore ai tempi dell’odio” e inizierà dal ritorno a Hogwarts, anche se il metodo di narrazione verrà un po’ stravolto, se non altro per i primi capitoli. Finita anche quella seconda parte, ci sarà la terza che si chiamerà “L’amore ai tempi della fine”.
 
Una precisazione: tranquilli, anche se aggiorno più lentamente, non ho alcuna intenzione di lasciare incompleta questa storia. Ho intenzione di arrivare almeno fino almeno alla nascita di Harry.
 
Grazie come al solito per le recensioni, data l’ora risponderò domani, ma sappiate che le ho adorate, come sempre! Un bacio a tutti e un grazie a chi si ferma a dare un’occhiata a questa storiella,
buona lettura,
Hir
 
 
 
 
 
 
 
LILY
JAMES
SIRIUS
MARLENE
EMMELINE
REMUS
PETER
FRANK
ALICE
MARY
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
 
 
 
 
 
-tu, brutto…-
-Mary, basta!-
-ehi, McDonald, ritrai gli artigli-
-stupe…-
-Mary, siamo in un cimitero babbano!-
-lasciami, Emmeline, e tu, come osi…?-
-Caradoc, staccali!-
-Gid, portala via-
-tu, lurido pezzo di stron…-
-Mary, adesso basta, stai attirando trop…-
-Mac, che stai…?-
-con che faccia ti presenti proprio qui, Mocciosus?-
-Piton!-
-GIDEON, PRENDI LA RAGAZZA E PORTALA VIA!-
-mangiamorte bastardo!-
Crack.
 
Pop.
L’aria torna con un Pop soffocato, prendo una boccata, il respiro affannato mentre lotto duramente con queste braccia che mi stringono: troppo forti, non c’è niente da fare, anche se mi stringono con gentilezza hanno una morsa troppo salda per le mie misere forze.
Alla fine smetto di dibattermi inutilmente, cerco di riprendere fiato e di trattenermi a mani aperte le braccia doloranti, stringendomi il petto che nella confusione ha preso qualche colpo.
Quando sollevo appena lo sguardo, dopo qualche secondo di tregua, vedo due occhi curiosi e spiazzati fissarmi con uno sguardo di un azzurro lancinante, simile al colore del cielo in piena estate.
Fisso Gideon Prewett per qualche attimo, sento ancora il sangue scorrermi come fuoco nelle vene e il cuore battere a livello delle tempie con tanta forza da non lasciarmi modo di sentire il suono stesso del mio respiro affannato, vedo ancora rosso dalla rabbia e per un attimo, un attimo solo, vorrei mangiarmi questo ragazzo che ha avuto l’ardire di afferrarmi così velocemente e portarmi via da una vendetta che era giusto ci prendessimo.
Che affronto è mai questo?
Come ha potuto quel bastardo mostrarsi in un giorno tale, dopo le scelte che ha fatto, dopo quello che è successo?
Lui, che si diceva amico di Lils, come ha potuto darle tanto dolore da rischiare di spezzarla in mille pezzi?
E perché non c’è qualcuno in questo mondo che riconosca alla parola giustizia il suo vero significato, e non lasci quei bastardi nelle mani delle persone che hanno fatto soffrire con tale meticolosa cattiveria?
-lasciami andare- sibilo a meno di un palmo dal volto di Gideon, che mi guarda sorpreso e spiazzato da quando ci siamo smaterializzati.
Lo stupore, però, a quanto pare non gli impedisce di essere fermo nella risposta.
-non credo proprio-.
-ti ho detto di lasciarmi andare- intimo di nuovo, scaldandomi ancora pericolosamente.
-non fino a quando non ti calmerai, McDonald-.
-perché?- chiedo truce rivolgendogli uno sguardo che, se non è iniettato d’odio poco ci manca.
Lui mi guarda, sempre un po’ spiazzato, e all’improvviso qualcosa di quello che fa spiazza me, che non sono certo abituata a cambiamenti di umore tanto repentini.
Sorride, di un sorriso a trentadue denti di quelli che ti fanno dimenticare da che parte è girato il mondo, e se il cielo è sul soffitto o sul pavimento.
Non risponde, e si limita a guardarmi con quel sorriso stampato in volto, e ad allentare leggermente la presa, pur senza lasciarmi andare del tutto.
-non avevi nessuno diritto di portarmi via così- gli dico non appena riesco a schiodare il mio dal suo sguardo.
-beh, volevo evitare un omicidio a così breve distanza dagli ultimi, soprattutto visto e considerato che un Avada Kedavra nel bel mezzo di uno dei più famosi cimiteri babbani dell’Inghilterra avrebbe potuto infrangere il nostro famoso Statuto di Segretezza-.
-oh, al diavolo lo Statuto di Segretezza- è tutto quello che mi viene in mente –Severus Piton è l’essere più ignobile che io conosca-.
Quando scosto lo sguardo da quello di Gideon Prewett, che per un attimo aveva richiesto per se tutta la mia attenzione, non vedo altra soluzione che scrutare il panorama attorno a noi, se non altro per non fare la figura dell’idiota completa.
Avendo scelto lui di materializzarci, mi rendo conto di non essere a Godric’s Hollow come pensavo, bensì poco lontana dalla soglia di casa sua e di Fabian, casa in cui sono già stata il giorno di Natale.
-casa tua?- chiedo scettica domandandomi per quale motivo ci abbia materializzati proprio qui e non a Godric’s Hollow, luogo in cui sicuramente si aspettano di trovarci Dorea e Charlus Potter. Lui annuisce appena, indicandomi il luogo in generale.
-si, è qualcosa che abbiamo messo appunto noi dell’ordine. In caso di emergenza e di pericolo, ognuno di noi ha bene in mente un posto, uno solo, in cui materializzarsi per mettersi in salvo- mi spiega lasciandomi andare con un sorriso gentile, ora che si è accorto che mi sono calmata –deve essere una cosa istintiva, il luogo a cui pensi nelle brutte situazioni. Serve a non spaccarsi, se sei sicuro su dove andare e trasporti con te qualcuno, quel qualcuno non è in pericolo-.
Per un attimo rimango sorpresa da quello che dice.
E anche se riconosco la genialità del tutto, non lo ammetto ad alta voce, perché io, in teoria, sono arrabbiata con lui per avermi prelevato dal cimitero con la gentilezza di un gufo con una lettera.
-comunque questo non cambia nulla, o mi riporti davanti a Piton o io non ti rivolgo la parola per i prossimi duemila anni-.
Lui mi guarda e sorride di nuovo.
-credo che correrò il rischio-.
 

*

 
Guardo con occhi disgustati il punto esatto in cui è scomparso Severus Piton, andatosene immediatamente dopo aver lasciato sulla tomba dei coniugi Evans uno sguardo poco meno che addolorato.
Non ho mai sopportato Piton, non è mai stato il tipo di persona con cui avrei fatto amicizia facilmente: non è solare come James, intelligente come Remus, sfacciato come Mary o gentile come Emme. Era amico di Lily, e per questo ne tolleravo la presenza, per non offendere la mia amica con i miei giudizi. Ma è sempre stata un mistero, per me, quella loro frequentazione.
Non di rado mi capitava di chiedermi cosa ci trovasse, Lily, in lui. Spesso mi ponevo questa domanda quando Lils ci lasciava studiare da sole per fare compagnia a lui, o quando preferiva andare a Hogsmeade in sua compagnia anziché con noi.
Il tutto è culminato, poi, in un pomeriggio piuttosto caldo di giugno in cui, vuoi per lo stress dei G.U.F.O vuoi per lo stress delle torture subite dall’allegra compagnia dei Malandrini, Severus ha capitolato insultandola per le sue origini come, peraltro, ha sempre fatto con tutti i Nati Babbani di Hogwarts tranne lei.
Se non altro, tutto quello era bastato per aprire gli occhi a Lily, che aveva scelto la sua strada.
Non è malvagio, e poi è un amico di famiglia, è stato il primo mago che ho incontrato.
E adesso che dovrei fare?
L’ho visto andarsene dopo essere stato a questo funerale. Perché mai c’è venuto? Coraggio? O rimorso? Ne l’una né l’altra delle due caratteristiche si adegua al suo essere serpeverde.
Lily è la più calma, adesso, qui, e la posso vedere tracciare con lo sguardo lucido i caratteri che decorano la tomba dei suoi genitori senza alcun tipo di espressione dipinta sul volto. Mentre Lène si agita e Emmeline trattiene le lacrime, mentre James ringhia e Sirius scalpita dalla voglia di inseguire il serpeverde, mentre Peter tenta di consolare un abbattuto Remus Lupin, lei affronta il suo futuro guardandolo negli occhi: leggendo le parole che testimoniano che adesso non ha una famiglia vera. Petunia non sarà mai una famiglia, per lei, è un rapporto troppo rovinato per essere altro che rancore ed estraneità, e noi, per quanto bene possiamo volerle, non possiamo essere per lei qualcosa che non siamo.
Il mondo di Lily Evans è andato in pezzi, e con una fitta allo stomaco di dolore e rabbia mi accorgo che non saremo io o James o Lène o Mary a doverlo ricomporre. Noi siamo i pezzi, sarà Lily a doverci mettere a posto.

 

*

 
Il mio proposito di non rivolgere alcuna parola a Gideon Prewett per i prossimi duemila anni, come promesso, evapora con le candide volute di fumo che si levano da questa tazza sbeccata piena di tè.
Quanto sono riuscita a tenere il muso?
Due minuti, giusto il tempo di entrare in casa, sedersi al tavolo in cucina e scaldare l’acqua per il tè con un incantesimo.
Cercando di soffocare un sorriso, lo vedo benissimo, Gideon si porta la propria tazza alle labbra per inalare l’odore del tè prima di berlo. Da sopra una delle tante sbeccature della tazza, due curiosi occhi azzurro cielo mi scrutano vagamente divertiti, forse cercando di capire quanto fossi sincera asserendo di non aver intenzione di rivolgergli la parola in futuro.
Silenziosamente, ma solo perché non saprei proprio come intavolare con lui una conversazione, mi porto la mia tazza alle labbra, fissando il colore del tè con uno sguardo opaco, ancora un po’ irritata per tutto quello che è appena successo.
Penso che ultimamente mi sono ritrovata spesso in compagnia di questo ragazzo, del suo sguardo azzurro e limpido, non freddo o caldo, ma spesso divertito e pulito… e amichevole. Per certi versi assomiglia a Paul, mentre per altri è completamente diverso da lui. Ha un’aura, un alone intorno che ti fa capire che, per qualsiasi cosa, ti puoi fidare di lui, sempre e comunque.
E mentre io penso, il tempo passa.
Passa un minuto, ne passano due, e poi tre. Ben presto i minuti si accavallano l’uno sull’altro, e non mi bastano più solo le dita delle mani per contarli, e mentre passano, mentre scorrono lievi insieme al silenzio –presente ma non pesante- sento fluire via quell’irritazione che ancora mi annoda lo stomaco. Piano, lentamente, il residuo di amarezza evapora, come il ricordo accantonato dell’ombra di Severus Piton accanto alla tomba dei genitori di Lily, e come il disprezzo che non riuscivo a spegnere.
-hai deciso, poi, cosa fare con il Magpies?- mi chiede smettendo di sorseggiare il proprio te.
Scrollo le spalle, disinvolta, senza fornire una vera e propria risposta.
-Caradoc dice che dovresti accettare- dice poi leggero facendo un cenno con la mano, come se fosse normale che Caradoc –chiunque esso si… ah, si, il tizio della foto, il suo amico!- si interessi al mio futuro.
-e perché?- chiedo stranamente interessata, con un misto di divertimento e curiosità.
-beh, perché non hai motivi veri per rifiutare- mi risponde lieve guardandomi amichevole –e perché James parla di te come di una delle più brave battitrici che lui abbia mai visto e, onestamente, James ha il quidditch scolpito nelle ossa, compresa l’arroganza di chi è bravo e sa di esserlo. Mi ricorda un po’ Caradoc, per questo, ma Docco ha l’ego maggiore che io abbia mai incontrato. È una fortuna che James non sia così tanto presuntuoso-.
Con un sorriso non posso che concordare con lui, avendo una stima ben precisa dell’arroganza di James in questo come in altri campi… se lo fosse di più, non so quante persone potrebbero sopportarlo.
-non so cosa farò, ci penserò quando verrà il momento- taglio corto scuotendo ancora una volta le spalle, come a liquidare la faccenda.
In genere preferisco non pensare al futuro, non sono esattamente il tipo di persona che vive la giornata in funzione di uno o di molti domani… oggi, poi, con la giornata che è, il pensiero di un domani mi dà a dir poco la nausea.
E invece lui insiste.
-arriverà presto- mi dice infatti, riportandosi la tazza alle labbra e nascondendosi così per un attimo dietro alla porcellana rovinata –dovresti pensarci ben prima, potresti parlarne anche con lui… Caradoc, intendo. Sai, lui è giocatore professionista-.
Apro la bocca per ribattere che sono affari miei quando e come intendo decidere sul mio futuro, ma ovviamente quell’aggiunta alla fine, come un’appendice di poca importanza, mi blocca e attira la mia attenzione come un incantesimo di appello.
Maledetto ragazzo, deve avermi inquadrato bene fin da subito, se riesce a spiazzarmi così facilmente.
Richiudo la bocca assumendo un’aria se non meno interessata, sicuramente meno stupida.
-ah, si?- mi limito a rispondere dignitosamente.
-ha iniziato come riserva delle Vespe di Wimbourne, ora è Portiere-.

 

*

 
Alla fine, come una lenta processione, ci dirigiamo all’uscita del cimitero.
Tutti tranne Lily, che ci fa cenno di andare avanti e precederla. Vedo James esitare, fissare con uno sguardo triste la sua ragazza e fermarsi un attimo. Poi muove ancora un passo, si ferma ancora, e si muove un’altra volta. Sembra indeciso, e anche se rimane di qualche passo indietro a noi, tra tutta la combriccola e Lily, lo vedo assottigliare lo sguardo nocciola in direzione della ragazza e della tomba e scuotere piano la testa.
Lily alza lo sguardo su di lui, e gli lancia un leggero sorriso, che si perde un po’ tra quegli occhi verdi spalancati e lucidi e quella pelle un po’ pallida, dal colorito malsano. I capelli rossi, poi, spiccano come lingue di fuoco ad accarezzarle il collo e le spalle, coperte dal pesante mantello.
-ti aspettiamo fuori dal cancello- sento che le dice, dolcemente, prima di prendere una decisione e seguirci.
Sono arrivato a pensare che sia il ruolo più difficile, quello di James, incastrato in un silenzio che lui non è abituato a sopportare: James è per natura una persona rumorosa, scavezzacollo e allegra, sempre pronta a fare scherzi e a ridere degli altri quanto di se stesso.
A volte.
 

*

 
Dedico il mio ultimo sguardo a quella piccola folla di persone che d’ora in poi sarà tutto il mio mondo. Sono riuscita a mantenere gli occhi asciutti per gli ultimi venti minuti, venti lunghissimi minuti, da quando è scoppiata quella piccola baruffa e Severus, il mio Sev, se ne è andato con uno sguardo di rammarico. Ho sorriso di un sorriso amaro quando ho visto Gideon Prewett trascinare Mary –la mia accanita, furiosissima Mary- lontano dal mio ex migliore amico e smaterializzarsi con lei verso un luogo in cui speriamo non attenterà alla vita di nessuno.
La lenta processione non potrebbe essere più eterogenea, penso guardandoli sparire tra le lapidi di marmo bianco o pietra grigia e fredda, in questo grande cimitero. Dorea e Charlus, Remus, Peter, James, Lène, Alice, Frank e Sirius, Emmeline e Dorcas, Fabian, Caradoc, Benjamin, Sturgis, Hestia e la McGrannitt, affiancate da un Silente che mi ha rivolto un sorriso consapevole da sopra i suoi occhiali con le lenti a mezzaluna.
Alla fine, lentamente, svaniscono tutti, gli abiti da cerimonia di colori cupi e i mantelli di velluto pesanti, le scarpe invernali e le bacchette mezze sguainate.
E allora, solo allora, volto di nuovo lo sguardo sul marmo bianco e sulle scritte dorate, che in un primo, sentimentale momento non riesco nemmeno a decifrare.
Ci sono le date di nascita e di… morte, si, di morte. Credo sia giusto imparare a chiamare le cose con il proprio nome, e ho come l’impressione che non passerà molto tempo prima che io ne senta di nuovo la cupa presenza.
Poi ci sono i loro nomi, vergati in bella grafia, in un rilievo d’ottone ancora splendente e per nulla ossidato.
Trevor Dyfed Evans e Daisy Rosie McPherson Evans si erano conosciuti su una spiaggia di Barmourth*, ma questo lo sapevo io –grazie ai loro racconti, alle storie che mi raccontava la mamma quando con l’insistenza tipica di una bambina di tre o quattro anni volevo scorgere in quella di mio padre e mia madre un tralcio della favola della buonanotte popolata da principi e principesse- e pochi altri: lei, bella turista in vacanza, a rilassarsi sulla spiaggia con il cane al guinzaglio, lui, del personale dell’ufficio informazioni, a guardare il mare mentre, in pausa pranzo, si gustava il suo panino pomodoro e mozzarella.
E sotto quei due nomi, solo due parole.
Per amore.
Tracciando con lo sguardo quelle poche lettere, avverto le lacrime scendere debolmente sulle guance, rigarmi le gote in linee ordinate e precise, fino al mento e poi giù, oltre il dirupo verso il vuoto.
Avverto le mie gambe fare lo stesso, il mio corpo accasciarsi, e i palmi delle mani schierarsi come a evitare la catastrofe completa. Poi, semplicemente, singhiozzo rannicchiandomi con le ginocchia al petto, presa da questo disperato istinto di rimanere tutta intera, tutta attaccata, mentre tutto va in pezzi.
Per amore.
È per questo che sono morti. Per amore.
E l’ultima cosa che ho fatto, è stato mentire, mentire a tutti e due loro, dicendo che non tornavo per una malattia, perché da bambina egoista ho preferito rintanarmi lontana dai miei problemi, da mia sorella, dai miei genitori, da una vita che non capisco e da un mondo che non capisce me.
-lo sai, mamma, non volevo che finisse così- riesco a dirle, a dire a quella pietra bianca che non mi può sentire. Tiro su con il naso, mi asciugo le lacrime e mi raddrizzo sulla schiena, così da poter guardare ancora meglio quel tocco di marmo –anche se… non credo che “finire” sia il termine più adatto. Credo sia appena iniziato, tutto. Allora non volevo che iniziasse così-.
Sorrido, l’ultima volta che ho parlato con mia madre –parlato sul serio, per dire più di qualcosa senza importanza- è stato all’inizio dell’estate. Le ho detto che ero contenta di essere tornata, ed ero sincera. Non pensavo al fatto che probabilmente casa nostra mi sarebbe stata piccola, abituata come sono ad Hogwarts, alla folla in Sala Comune, agli allievi e ai professori, alle cene caotiche e alle partite di quidditch.
Sette mesi fa.
-mi sono unita all’ordine, e questo è il motivo per cui ci troviamo qui-.
Non è esattamente il mio più grande pregio saper indorare la pillola, né agli altri né a me stessa. E piango, mentre lo dico, rannicchiata per trattenere quelle parti di me che vogliono andarsene via.
-ho… ho fatto più amicizia con i ragazzi di Grifondoro, adesso dovresti vederci- mormoro ridacchiando stupidamente, eppur piangendo di continuo, senza poter in alcun modo frenare le lacrime –e poi c’è James… papà, tu non lo avresti proprio sopportato… o magari no, ti sarebbe piaciuto! Proprio non so, se c’è una cosa che Jamie sa fare maledettamente bene è stupirmi, e a volte farmi ridere… più spesso, farmi arrabbiare. Spero che dopo oggi, dopo questi giorni, saprà ancora farmi ridere… non so se ne sono ancora capace. Spero di si-.
Parlando, le parole escono fuori meglio. Sento il cuore battere con il tranquillo ritmo di sempre, come a volermi ricordare che ci siamo rimasti io e lui, a fare lo sporco lavoro.
-non sono ancora entrata nel pieno della guerra e già ho paura. Ho paura per James, e Lène, e Sirius e Emme e Mary e Alice e Frank e Peter. E anche per me, perché se mi portano via anche loro io sono peggio che polvere e…-
-loro ti hanno sempre voluto bene- mi interrompe la voce rigida di mia sorella, alle spalle. Sobbalzo, poi volto la testa e vedo la figura magra e alta di Petunia stretta in un cappotto nero, i capelli biondi e lunghi al vento, il viso severo e fermo. Ha lacrime sulle guance e una smorfia disgustata al viso, ma le sue parole non sanno di disprezzo. Sono amare, severe e un po’ irritate, forse. Ma capisco che questo, adesso, quello tra me e lei, è un addio più definitivo di quello che sto dando ai miei genitori in questo cimitero.
Perché se non c’è un incantesimo in questo mondo che possa riportare in vita i morti, non ce n’è nemmeno uno che possa riaggiustare un legame come il nostro, quando si è rotto tanto in profondità.
È un po’ come se si rompe una bacchetta, non la si riaggiusta a meno di non essere speciali: e io in questo momento sono tutto tranne speciale.
-quando non c’eri, mancavi, anche se hai scelto tu di andartene- mormora ancora mia sorella, il tono leggermente più acuto –hai scelto loro, e adesso te ne andrai via dietro quelle persone pazze nei loro pastrani scuri, perché è quello che sei sempre stata, e che ho sempre cercato di capire-.
Sospiro.
-non mi aspetto più che tu capisca, Tunia- rispondo io, il tono sommesso e stanco.
-nemmeno io- mi dice nello stesso identico tono, gli occhi ancora fissi alla lapide –hai vinto Lily-.
Mi volto, non capisco quello che dice.
-come?-.
-hai vinto- ripete –te li sei presi, tu e la tua magia che li ha uccisi. Hai dimostrato che il tuo mondo è più forte, hai vinto. Ora vattene con loro, con gli assassini, i tuoi magnifici maghi, e lasciami a disporre dei miei morti con la dignità che si dà ad un perdente-.
-non è giusto, Tunia- mi infervoro alzandomi in piedi –sono… erano anche la mia famiglia, non puoi…-
-cosa?- mi interrompe algida alzando il mento in segno di sfida –rinnegarti? Lo hai fatto tu per prima, Lily-.
La guardo con occhi sgranati mentre si stringe di più le braccia attorno al petto, limitandosi a fissare la tomba.
Non c’è una porta da sbattere, una finestra da chiudere, lo sento, eppure sento anche che non vuole più rivolgermi la parola. Mi ha come congedata, messa alla porta della sua vita, della sua famiglia, dell’intero mondo babbano.
Mentre me ne vado, voltandole le spalle, mi fermo un attimo.
-addio, Tuni-.
Il vincitore è solo.

 

*

 
-quindi tu fammi capire- ripeto ancora sconvolta davanti a un Gideon Prewett piuttosto divertito –Caradoc Dearborn sarebbe quel Caradoc Dearborn, portiere delle stesse Vespe di Wimbourne in cui gioca il miglior battitore degli ultimi cinquant’anni che poi, a conti fatti, è lo stesso battitore della nazionale inglese, Ludovic Bagman**-.
-si- mi risponde disinvolto Prewett, con un sorriso a trentadue denti.
Gli lancio la prima cosa che trovo a portata di mano, il mio cucchiaino da tè, e lo vedo destreggiarsi abilmente tra una smorfia oltraggiata –è il suo cucchiaino da te, che gli ho lanciato- e una divertita –sicuramente per il mio urletto stridulo da fan in visibilio.
-e questo… per cosa…?-.
-non me lo avevi detto!- esclamo io decisamente offesa, intrecciando le braccia al petto indispettita.
-beh, mica vado a dirlo a tutti- mi risponde lui con un sorrisetto.
-no che non va a dirlo a tutte- ci interrompe suo fratello, entrando in cucina con Dorcas al seguito e un sorriso ben stampato in volto –sennò poi Ludo gli frega le ragazze. Insomma, l’auror sottopagato non fa proprio testo quando si può avere il meglio dei battitori della nazionale inglese, è per questo che cerca sempre di starsene zitto su queste cose-.
Io e Dorcas scoppiamo a ridere contemporaneamente, mentre Gideon fa una linguaccia a suo fratello.
Non mi ero nemmeno accorta che fossero entrati, da tanto che ero impegnata a fingere di essere offesa.
-beh, Ludo Bagman secondo me è quello con cui rischi meno- sorrido io scuotendo il capo –è un po’ bruttino, se mi consenti l’espressione. Dearborn invece è proprio un bel pezzo di Merlino-.
Fabian e Gideon si guardando e scuotono il capo, come due maschere identiche.
-Docco è già fuori dal mercato- mi risponde Gideon con aria saputa.
-e comunque siamo più belli noi, no?- chiede Fabian in direzione della propria ragazza, speranzoso.
Vedo Dorcas esitare e poi glissare con lo sguardo verso un suppellettile estremamente interessante.
-stiamo insieme da sette anni e mezzo, Fab, hai ancora bisogno di rassicurazioni?- gli chiede alla fine la sua ragazza.
Wow. Sette anni e mezzo.
Sette anni e mezzo fa io giocavo ancora con la mia scopa giocattolo.
-sono già tornati a casa o sono ancora al cimitero?- si sta intanto informando Gideon, riportando sui presenti la sua bella cappa di tristezza, com’è ovvio che sia dopo un funerale.
-dovrebbero essere a casa, aspettavano che Lily uscisse dal cimitero- mormora Dorcas.
-si, è per questo che siamo qui, Doree si sta iniziando a chiedere se avevi intenzione di rapirla- aggiunge bonario Fabian.
Gideon scrolla la mano con fare leggero.
-nah, parla troppo- ribatte divertito.
-a proposito di parlare!- esclamo io puntandogli contro l’indice accusatore –io non ti dovevo più rivolgere la parola-.
-te l’ho detto che era meglio correre il rischio-.

 

*

 
-ehi, posso?-.
Un lieve bussare alla porta, poi l’anta viene aperta gentilmente e un volto con due caldi occhi color nocciola incastonati fa capolino nella stanza.
Rannicchiata nel mio letto, posso sentire in sottofondo i rumori della casa che riprende a vivere, Dorea che suona al piano e Charlus che traffica in cucina, la porta di casa che si apre per fare probabilmente entrare Mary –a giudicare dal chiacchiericcio di sottofondo di tutti i nostri amici- e il timido miagolare di Adone fuori dalla porta, probabilmente ad accompagnare la richiesta di James.
-si, vieni- mormoro facendomi da parte nel letto e guardando James voltarsi di spalle per chiudere la porta. Sono stanca di piangere, voglio chiudere gli occhi e dormire per tutta la giornata, magari per tutta la settimana. Non pensare più, questo aiuterebbe.
Vedo Adone saltare sul letto con modi aggraziati e rannicchiarsi tra le mie gambe, ma tanto so che poi si rialzerà e salirà più in su, accoccolandosi sul mio petto, perché credo di essere l’unica persona al mondo ad avere un gatto che anela il contatto fisico anche mentre dorme.
Alla fine, faccio cenno a James di stendersi al mio fianco, e lo sguardo mentre con gesti un po’ rigidi si toglie le scarpe e si stende accanto a me.
Mi avvicino di più a lui, ignorando i miagolii infastiditi di Adone, che non è molto contento del mio muovermi ininterrottamente per cercare la posizione migliore, poi appoggio la guancia sulla sua spalla e, respirando sul suo collo, mi limito a chiudere gli occhi.
-grazie Jamie- mormoro rivolta alla pelle della sua spalla, sotto la mia guancia.
-perché, Lils?- mi chiede appoggiando la mano sul mio fianco e la testa sulla mia testa.
-perché ci sei- sussurro ancora.
Lui sorride appena, lo sento.
-beh, dopo averti conosciuta andarsene è davvero impossibile-.
Sorrido, e quando mi addormento, il mio sonno profuma di James Potter.

 
 
 
 
 
*Barmouth, ridente località gallese affacciata sul mare, che ho visitato personalmente. Non so dire se i coniugi Evans fossero di Barmouth o meno, ma so che visitandone i cimiteri ho notato parecchi Evans sepolti intorno alle chiesette –molto pittoreschi, i cimiteri di tradizione celtica, sia quelli gallesi che quelli irlandesi, a parere mio- e la fantasia ha fatto il resto.
 
**non so se Ludo Bagman fosse esattamente il più grande battitore degli ultimi cinquant’anni, ma mi pare di ricordare fosse un battitore bravo delle vespe di Wimbourne, e ho letto che giocava proprio attorno agli anni ottanta secondo la Row. Caradoc Dearborn invece è un giocatore di quidditch perché io ho deciso così, e tanto basta, ok? =D
   
 
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