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Autore: SellyLuna    29/04/2012    6 recensioni
Urla. Grida strazianti. Insulti.
E tanto freddo, gelo. Non riusciva a capire come mai quel nascondiglio le desse l’impressione di essere un luogo sinistro e dimenticato da Dio. Nessuno ci metteva piede, anche il maestro Orochimaru veniva molto raramente e se ne andava via subito. Anche dopo le sue visite fugaci, l’atmosfera non cambiava, anzi rimaneva sempre la stessa, facendosi ancora più cupa e lei si sentiva oppressa da tutta quell’oscurità.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Karin | Coppie: Karin/Suigetsu
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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MENO MALE CHE CI SEI
 


Urla. Grida strazianti. Insulti.
E tanto freddo, gelo. Non riusciva a capire come mai quel nascondiglio le desse l’impressione di essere un luogo sinistro e dimenticato da Dio. Nessuno ci metteva piede, anche il maestro Orochimaru veniva molto raramente e se ne andava via subito. Anche dopo le sue visite fugaci, l’atmosfera non cambiava, anzi rimaneva sempre la stessa, facendosi ancora più cupa e lei si sentiva oppressa da tutta quell’oscurità.
Ormai si era convinta che nemmeno il Sannin riusciva a sostenere quella situazione, per questo fuggiva il più in fretta possibile da quel luogo.
E lei si sentiva sola. La sua unica salvezza di libertà sfumava appena sentiva riecheggiare, lontani e sordi, i passi del ninja leggendario. Nel suo cuore la consapevolezza che non sarebbe più tornato e lei sarebbe rimasta lì per tutta la vita.
Così si ritrovava a sospirare rassegnata. Ma d’altronde non poteva fare altrimenti; lei era proprietà di Orochimaru e se lui avesse voluto che rimanesse a custodire i suoi segreti in quel freddo nascondiglio sperduto, lei doveva obbedire senza opporre resistenza.
Ma non poteva negare che odiasse con tutta se stessa quell’umidità pungente, che s’insinuava fin dentro la sua anima, rendendola più fredda. Credeva persino che le avesse alterato il chakra, diventando più scuro e percependo il suo movimento farsi più caotico e spezzettato. Anche la sua energia vitale diffidava di quel posto, dove la sua unica compagnia erano voci non del tutto umane che sbraitavano e inveivano contro qualcuno di indefinibile, giacché in quei loro lamenti si riusciva a percepire parole di senso una volta su dieci. Ma nonostante fosse una litania incomprensibile, il loro dolore e odio, che le facevano compagnia scandendo così la sua giornata, stavano per impadronirsi di lei. Ne aveva paura. Stava impazzendo, o forse era già sulla via del non ritorno?
La disperazione le attanagliò il cuore, che non credeva più di possedere ormai sepolto e sopraffatto da tutto quel male, nella sua morsa micidiale; lo stritolò provocandole una ferita invisibile di enorme profondità. Dal dolore si mise ad urlare più forte che poteva, anche se sapeva che nessuno l’avrebbe sentita.
In quel momento era l’unica cosa che riteneva giusta da fare. Il suo grido era così denso di sofferenza e di disperazione che avrebbe fatto accapponare la pelle agli altri prigionieri, suoi unici compagni di sventura.
Chiuse persino gli occhi per rigettare quell’orrenda visione, anche se quello strano e nauseabondo odore di carne mista a pesce triturata con aggiunta di altre miscele ignote aleggiava nell’aria, dandole sensi di nausea.
L’immagine di quella caverna era così impressa nella sua mente che la vedeva ancora davanti a sé così nitida, anche se si stava facendo sempre più sfuocata, rimpiccioliva sempre più, lasciando al buio di diventare nuovamente il padrone della scena.
Lentamente aprì gli occhi e la prima cosa che vide fu la luce, che la colpì ferendole gli occhi. Com’era possibile? Quando si adattò alla luminosità, si guardò attorno per vedere dove si trovasse. Constatò di trovarsi in una stanza accogliente e luminosa e di essere seduta su un morbido letto matrimoniale. Era confusa. E il suo stato di smarrimento aumentò quando, voltandosi dall’altra parte del letto, vide che era occupata: un ragazzo con una capigliatura azzurro marino dormiva beatamente. Come poteva spiegarselo? Lei non era una ragazza  così facile da passare la notte con uno sconosciuto.
Voleva mettersi a urlare, ma così facendo lo avrebbe svegliato. S’impose la calma e cercò di riordinare le idee.
Ricordava di essere nel covo di Orochimaru. Sì, ma come mai ora si trovava in una stanza a condividere il suo letto con un ragazzo qualsiasi? Un attimo. Guardandolo meglio, forse, non era un ragazzo qualunque. Era sicura di averlo già visto. Sì, era probabile, ma con lui non c’era forse qualcuno?
Ora ricordava. Sasuke era venuto a salvarla da quel covo nefasto e le aveva chiesto di unirsi al suo team. Con lui c’ era anche Suigetsu.
Non tutti i conti tornavano; aveva scoperto il nome del ragazzo, ma non riusciva a capacitarsi di averci dormito assieme. Che relazione intercorreva tra loro? Se non errava, non si erano mai sopportati, o così dicevano entrambi. Ma in seguito doveva essere accaduto qualcosa che aveva sconvolto il loro rapporto.
Sconvolto, forse, non era la parola adatta, perché Suigetsu con lei si comportava come prima, la stuzzicava sempre e lei aveva compreso che questo era il suo modo per farsi notare e per chiederle le sue attenzioni. Anche Karin, del resto, non aveva cambiato atteggiamento nei suoi confronti ed era sempre pronta a rispondergli a tono e a scansarlo malamente, ma non con troppa convinzione, da sé. Ovviamente tra questi loro siparietti non mancavano i baci e le carezze.
Chi li osservava dall’esterno non riusciva  a capire veramente che tipo di rapporto vi era fra loro, perché un attimo prima li vedevano batti beccarsi e quello subito dopo intenti a baciarsi con trasporto.
E se qualcuno lo faceva loro presente, negavano con troppa veemenza, facendo intuire l’esatto contrario.
A lungo andare gli abitanti di Konoha si abituarono allo strano modo di manifestazione d’affetto dei due ex membri del team Taka e non furono più oggetto dei loro pettegolezzi. E a loro non importava più di tanto, continuavano la loro vita, anche se, dovevano ammetterlo, si sentivano sollevati a non essere più al centro dell’attenzione, in particolare, di casalinghe annoiate e frustrate dalla propria vita.
Pensandoci bene, non sapeva esattamente quando si era innamorata di Suigetsu e soprattutto quando lo aveva ammesso a se stessa. Era un sentimento che era cresciuto, giorno dopo giorno, dentro di sé in modo così spontaneo e impalpabile per cui non aveva potuto fare niente per arrestare la sua crescita. Aveva sentito i suoi primi frutti quando Suigetsu non c’era e allora la prendeva una strana tristezza e fino all’ultimo lo cercava con i suoi occhi sperando che saltasse fuori dal suo nascondiglio mettendo fine a quel gioco così seccante. Ad ogni rumore scattava, rivolgendo lo sguardo in quella direzione per rimanere delusa ancora una volta. Le mancava la sua voce, la sua allegria, perché in fondo lo sapeva, lui era in grado di farla divertire. E si accorse che, senza di lui, la sua vita era vuota,triste, senza più risate.
E quando lo rivedeva non poteva non sorridere e apprezzare di più la sua presenza, la sua compagnia, anche se a volte esagerava un po’ mandandola su tutte le furie.
E notava delle caratteristiche inconfondibili, grazie alle quali avrebbe potuto riconoscere Suigetsu. Partendo da quel suo ghigno. La prima volta che glielo aveva visto stampato in faccia, le erano saltati i nervi e fra sé si era detta che era la cosa più odiosa che avesse mai visto; si era convinta di odiare in modo permanente la persona che potesse lasciarsi andare ad espressioni simili, ovvero Suigetsu. Ma quanto si sbagliava.
Ora quello stesso ghigno era capace di mandarla in visibilio, semplicemente lo adorava.
Era così sensuale ed accattivante a cui non sapeva resistere. Non sapeva esattamente cosa l’avesse attratta, forse quella leggera strafottenza con cui voleva mostrare che aveva tutto sotto controllo o forse quella lieve presa in giro. Non lo sapeva, ma di una cosa era certa: se non vedeva quel ghigno sentiva che le mancava qualcosa.
E poi Suigetsu aveva un odore particolare; la sua pelle sapeva di salsedine e ogni volta che arrivava alle sue narici, nella sua mente si presentava l’immagine di una spiaggia che veniva bagnata da piccole onde marine. Riusciva a sentire persino il rumore regolare che facevano le onde quando raggiungevano la battigia, bagnandole i piedi immersi nella sabbia soffice. Immaginava, inoltre, la sensazione fastidiosa dei granelli di sabbia sotto ai piedi e in mezzo alle dita. E la musica dell’ oceano la cullava.
Aveva sempre associato Suigetsu alla distesa sconfinata del mare anche grazie al tipo di chakra che possedeva. E l’associazione conseguente che si era trovata a formulare era quella tra il mare e la libertà. Il mare era senza confini, proprio come doveva essere la possibilità di agire di una persona libera.
Era consapevole che non potesse fare tutto quello che desiderava, poiché doveva sottostare a delle regole, a delle consuetudini. Questo lo sapeva bene, ma non poteva non sentirsi grata di poter decidere da sola cosa fare, senza dover rendere conto a qualcuno delle sue azioni. Era libera, non era legata a nessun altro essere vivente con nessun tipo di espediente. Ed era diventata una cittadina, faceva parte di una comunità.
Aveva importanza, molto di più di quanto ne aveva avuto in passato e le sue idee potevano essere espresse senza timore di sbagliare.
Non era male la sua nuova vita a Konoha. Aveva tutto, aveva degli amici, non era più considerata un nemico e lo stesso valeva anche per Suigetsu e Jugo.
Però a volte aveva degli incubi, che le ricordavano i momenti peggiori della sua vita: il periodo passato da guardiana per Orochimaru.
Si voltò ad osservare Suigetsu; dormiva tranquillo. Si alzò dal letto e, senza far rumore,  andò in bagno. Si lavò la faccia con l’acqua gelida per scacciare, oltre ai brutti segni che le aveva lasciato quella nottata, i ricordi e le immagini infernali e angoscianti.
Quel metodo non le aveva allontanate del tutto, ma aveva alleviato un po’ della sua preoccupazione.
Ritornò in camera. Era talmente pensierosa che non notò lo sguardo vigile di Suigetsu, ormai sveglio e seduto, che la scrutava senza dire niente.
<< Stregaccia?>> la chiamò facendola sobbalzare. Ma si ricompose subito.
<< Sì?>> gli rispose, senza guardarlo,in costante movimento alla ricerca dei suoi vestiti.
Il ragazzo continuò ad osservarla affaccendata nella sua ricerca, ancora per un po’.
Si era accorto che qualcosa non andava, l’aveva sentita agitarsi nel sonno ed ebbe la conferma quando lei, invece di lamentarsi per come l’aveva chiamata, aveva lasciato correre prestandogli subito attenzione.
<< Karin. >> ritentò.
Questa volta la ragazza si fermò in mezzo alla stanza e puntò lo sguardo sulla sua figura.
<< Sei sicura che vada tutto bene?>> le chiese Suigetsu con un tono in cui si notava una preoccupazione latente. Cercò i suoi occhi rosso cremisi, che non si abbassarono ma si lasciarono sondare alla ricerca di indizi. Karin, qualunque cosa accadeva, non faceva mai scivolare i suoi occhi verso il basso, perché voleva vedere in faccia il suo nemico, la situazione in cui si cacciava.
<< Hai fatto ancora quell’incubo, vero?>>
Si sorprese. Non immaginava che Suigetsu la conoscesse così bene. Non poteva certamente negare ma allo stesso modo non poteva neppure acconsentire dando voce all’ovvietà. I suoi occhi bastavano come risposta. Infatti Suigetsu non se ne attendeva una precisa.
Rivolse nuovamente il suo sguardo ai suoi abiti, che erano ai piedi del letto, e s’incamminò in quella direzione. Si accucciò e li raccolse. Appena si rialzò fu raggiunta da Suigetsu, che si era mosso in modo silenzioso.
<< Tu sei solo mia. Ricordatelo.>> le sussurrò, malizioso, all’orecchio.
A quelle parole il suo corpo era stato percorso, da capo a piedi, da brividi irrefrenabili di piacere. Come se quel sussurro l’avesse toccata, accarezzandola sulla pelle. Le sue mani, poi, la cinsero e la trascinarono con sé tra quelle fresche e candide lenzuola.
Forse Suigetsu non aveva molto tatto e non era la persona più indicata a consolare una persona con le parole, ma tutto sommato non le dispiaceva il suo metodo alternativo. Era sicura che le avrebbe fatto scordare quelle orrende visioni, riempiendole la mente con altrettante immagini piacevoli da ricordare.
 
 
 
 
 
Hola gente,
eccomi di nuovo qui! Questa volta, come avrete certamente notato, ho provato a cimentarmi in una SuiKa. Molto probabilmente non sono riuscita a cogliere la vera essenza della coppia e della personalità dei due personaggi. Forse è vero che sono due personalità abbastanza lontane da ciò che sono io, nonostante questo ho provato a comprenderli (perché a volte non capisco del tutto il comportamento di Suigetsu, anche se lo stimo, insomma è un personaggio molto divertente =D).
E non so perché, ma credo di aver scritto un sacco di castronerie. Se così fosse, spero possiate perdonarmi. ^^ Non avevo tante informazioni su Karin e di conseguenza neanche riguardo i suoi stati d’animo, quindi molto è frutto della mia immaginazione.
Anche del titolo non sono molto convinta, sembra un po’ troppo sdolcinato, ma non mi veniva niente di meglio… O.o
Detto questo, ringrazio chi è passato e chi vorrà darmi un suo parere.
A presto ;)
Selly
 
 
 

   
 
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