Capitolo 11 – But where's your heart? (PARTE 2)
“Is it hard understanding?
I'm incomplete
A love that's so demanding
I get weak
I am not afraid to keep on living
I am not afraid to walk this world alone
Honey if you stay, I'll be forgiven
Nothing you can say can stop me going home”
(Famous last words – My Chemical Romance)
Somewhere
in Italy
A
couple of days later...
Serena scese dall'auto di fronte
all'imponente cancello in ferro battuto antistante la villa, immersa nel verde
delle dolci colline marchigiane. Si avvicinò all’inferriata per sbirciare
dentro, riparandosi gli occhi dal sole. Si chiese come fosse possibile che il
tempo non avesse intaccato minimamente l'edificio, né la tenuta. Dalle mura
esterne non riusciva a vedere molto, solo il piazzale ed il cancello interno,
dal quale si accedeva direttamente al cortile e al porticato. Da lontano scorse
il ciliegio, proprio di fronte alla finestra della sua camera, in fiore e
rigoglioso come era sempre stato. Tutto era esattamente come nei ricordi,
indelebili nella sua memoria. Eppure era tutto diverso, proprio come accade nei
sogni.
Trasse un respiro profondo, suonò il
campanello, si annunciò ed entrò, trascinandosi dietro la valigia.
I suoi passi sembravano troppo
rumorosi alle sue orecchie, mentre si avviava con lentezza, eppure decisa su
per il vialetto di ghiaia. Il giardino ed il porticato sembravano deserti, ma
Serena riconobbe all’istante le due auto parcheggiate nel vialetto laterale,
che conduceva verso la terrazza sul retro: la Jaguar verde scuro di suo padre
ed il Range Rover di sua madre.
Bene! A quanto pare Federico e Ania non si sono neanche
degnati di tornare per il funerale! Che bella famiglia di stronzi, che mi
ritrovo…
Il giardino era curato come sempre, e
i roseti, orgoglio di sua madre, erano ancora al loro posto. Una scalinata
imponente conduceva fino al portone di quercia ottocentesco, sovrastato dai
blasoni delle casate nobiliari alle quali appartenevano i suoi nonni materni i
quali, prima dell’affermazione della libertà di classe e il relativo
decadimento dei privilegi nobiliari, erano conosciuti come il Barone e la
Baronessa Antici. Quante volte da bambina aveva sognato di essere anche lei una
nobile, mentre sua nonna le raccontava di quando era giovane e la notte
sgattaiolava fuori di casa di nascosto per incontrare il suo futuro marito, che
la aspettava fuori dal cancello della villa. Il titolo nobiliare era decaduto
nel momento in cui sua madre aveva sposato un non-nobile, ma sua nonna l’aveva
sempre cresciuta insegnandole il galateo, il portamento ed i balli tradizionali
“Ricordati Serena che una vera Signora si riconosce sempre da queste due cose:
testa alta e buone maniere. Cambieranno i tempi, ma questo non cambierà mai.”
Quanto
mi mancherai nonna. E il rimorso di averti lasciata qui, in balia di queste
arpie
che
non ti hanno mai apprezzata per ciò che valevi davvero,
mi
torturerà per sempre, lo so....
“Allora è proprio vero che chi non
muore si rivede. Non pensavamo che ti saresti fatta viva.”
Un uomo sui sessant'anni, brizzolato,
ma con un portamento ed un cipiglio degno di un ragazzo di trenta, le aprì la
porta. I suoi occhi di un azzurro intenso, le avevano sempre ricordato quelli
di Jared, benché quelli di suo padre fossero molto più freddi e distaccati.
“Sì, beh....ciao papà, è un piacere
anche per me rivederti, dopo tutto questo tempo...” mormorò Serena con tono
risentito.
A
quelle parole, il vecchio e mal celato risentimento dipinto sul suo volto si
incrinò e gli occhi dell'uomo si inumidirono di lacrime.
“Tutto
questo tempo...e senza darci notizie....tua madre e io abbiamo passato un
inferno, cosa credi? Ma ormai sei qui...vieni dentro, questa è sempre casa
tua.” Così dicendo la abbracciò con forza. Serena rimase spiazzata da quella
manifestazione di emotività ed affetto da parte di suo padre. Tutto si sarebbe
aspettata, tranne che l'avesse accolta a braccia aperte. Ma in quel momento,
lasciarsi andare a quell'abbraccio così confortante, era l'unica cosa che si
sentiva di fare e probabilmente ciò che attendeva da una vita. Che senso aveva
cercare di trovare una spiegazione razionale?
Il
suo arrivo non era passato inosservato: una donna stava percorrendo il
corridoio con le braccia protese verso di loro, il viso rigato dalle lacrime,
noncurante del mascara che colava lungo
le guance. Sua madre li raggiunse e li abbracciò, lasciandosi andare ad un
pianto liberatorio.
“Non
mi importa ciò che è successo, l'importante è che tu sia tornata”
Quell'ultima
parola le riecheggiava in testa e più la risentiva più suonava come una
minaccia.... “tornata”??? Decise che per il momento, non era il caso di
farsi venire una crisi isterica per così poco, ma di dare loro una
possibilità....magari in quel periodo di tempo trascorso separati, i suoi
genitori avevano imparato qualcosa dai propri errori. E poi magari erano veramente
pentiti e pronti ad accoglierla. Serena avrebbe preferito morire piuttosto che
ammetterlo: le mancavano la sua famiglia e la sua casa. Anche se sentiva che
lei e New York si appartenevano, le sue radici erano ancora in Italia e non
poteva sopprimere il desiderio recondito di mantenere quantomeno una porta
aperta, così da essere libera di tornare se un giorno avesse voluto.
Per
questi motivi, socchiuse gli occhi e ricambiò l'abbraccio dei suoi genitori.
***
“Il
funerale è tra mezzora, stavamo per partire. Ma magari prima vorrai sistemare
le tue cose in camera...quanto tempo ti fermi?” Sua madre stava armeggiando in
cucina, riponendo le tazzine del caffè ed i biscotti, che avevano appena
consumato.
“Riparto
domani sera, ho il volo alle 21,45 da Roma...”
“Oh”
sua madre si immobilizzò e, nonostante voltasse le spalle a Serena, lei intuì
che avesse assunto l'espressione di chi ha appena ricevuto un ceffone in piena
faccia “neanche sei arrivata, già riparti? Hai preso casa tua per un albergo? È
questa la considerazione ed il rispetto che hai per la tua famiglia?”
“Casa
mia ormai è a New York, mamma. Sono tornata solo per il funerale, ripartirò
domani. Se per voi è un problema avermi sotto lo stesso tetto, posso andare
a dormire in hotel” Serena strinse i pugni, cercando di tenere a freno la lingua.
L'ultima cosa che voleva era iniziare l'ennesima lotta con i suoi genitori,
specialmente in quel giorno di lutto.
“Non
essere sciocca, cosa penserebbe la gente se ti vedesse andare a dormire in
albergo? La tua camera è sempre lì dove l'hai lasciata. Ora vai a cambiarti,
non voglio fare tardi in chiesa” disse suo padre.
Tipico.
Facciamoci vedere in prima fila in chiesa, a capo chino e tutti belli
allineati. Quanta falsità... Questa volta però dovrò prendere parte a questa
sceneggiata anch'io, ma lo faccio solo per te nonna. So che non avresti mai
voluto vederci litigare davanti alla tua bara....
Serena
strizzò lievemente gli occhi, sentendoli gonfiarsi di lacrime a questo
pensiero. D'istinto voltò le spalle ai suoi genitori, raccolse la valigia e si
avviò su per la scalinata di marmo bianco che conduceva al piano nobile. Ad
ogni gradino sentiva i ricordi sempre più nitidi nella sua mente. Percorrendo
il corridoio del primo piano, si rese conto che avrebbe potuto percorrerlo
anche bendata, tanto quel luogo le era familiare. Forse è proprio questa
sensazione, che ti fa capire che sei veramente a casa: la certezza di poterne
riconoscere ogni centimetro anche camminando ad occhi chiusi.
La
sua camera era la prima porta sulla destra. Probabilmente la più piccola
delle cinque camere da letto della casa, ma l'unica ad avere un balcone
tutto per lei, teatro di tanti pomeriggi primaverili passati a studiare accampata
lì fuori. Un letto a baldacchino in legno bianco dominava la stanza, di fronte
alla cabina armadio a quattro ante, ricoperte da specchi. Alla destra del letto
c'era un piccolo scrittoio, con decine di libri accatastati in pile ordinate e,
di fianco, una libreria semi vuota. Si era fatta spedire gran parte dei libri e
cd, quelli ai quali era più affezionata. E gran parte della parete era rivestita
dalle foto dei suoi Eroi, di lei con i suoi amici e.....di lei e Marco.
Automaticamente
spalancò le pesanti tende di velluto e la finestra, lasciando che il sole
investisse la camera. Serena si guardò attorno con attenzione: sembrava che
nessuno avesse più messo piede lì dentro, se non per pulire. Tutto era in
ordine e non c'era traccia di polvere, sebbene si respirasse aria di chiuso.
Con
un colpo al cuore, le tornò in mente il suo tesoro e si precipitò a controllare
che nessuno ci avesse messo le mani. Aprì la porta dell'armadio che dava sulla
piccola cabina interna, accese la luce e rovistò freneticamente tra le scatole
di scarpe nel ripiano più alto, fino a che non trovò quel che cercava: una
scatola tappezzata di adesivi e foto, nella quale aveva accumulato negli anni
tutti i biglietti dei concerti, spillette, biglietti dei treni, foto ed
autografi delle sue band preferite. Quella scatola aveva il gusto dolce amaro
delle lotte per la prima fila e dei lividi del giorno dopo, come prove tangibili delle emozioni
della serata precedente. Lì dentro c'era tutta la sua adolescenza. Stavolta non
l'avrebbe lasciata in quella casa, l'avrebbe portata con sé.
Visto
che aveva poco tempo, ignorando il richiamo del letto confortevole e
l'incombere del jet lag, decise che senza una bella doccia bollente, non
sarebbe riuscita a superare quella giornata.
Estrasse il computer dalla borsa, lo accese e fece partire la sua
playlist marziana preferita, prima di entrare in doccia. L'avrebbe aiutata a
smetterla di torturarsi con i pensieri negativi, come sempre. Incrociò gli
occhi blu di Jared che le restituivano lo sguardo dal poster, mentre partivano
le prime note di Attack:
I won't suffer, be broken, get tired, or
wasted
Surrender
to nothing,
or
give up what I started and stopped it, from end to beginning
A new day is coming, and I
am finally free
***
Cercare di ricordare il momento esatto in cui era diventata
Echelon le era impossibile. Sarebbe stato come cercare di ricordare il momento
in cui aveva iniziato a camminare, o a parlare. Era successo e basta.
Probabilmente era stata più un'evoluzione naturale....o una presa di coscienza
graduale, chiamatela come vi pare. In un momento imprecisato tra il suo periodo
Nine Inch Nails e quello dei suoni graffianti e stonati dei Pixies.
Ripensando alla sua adolescenza, rivedeva se stessa,
diciassettenne, seduta a quella stessa scrivania, i libri di scuola sotto il
naso, ma lo sguardo che tornava immancabilmente verso di loro. I vari Kurt
Cobain, Jonathan Davis, Billy Corgan, Sid Vicious, Jerry Cantrell, Eddie
Vedder, Trent Raznor e soci, che le restituivano lo sguardo, immortali e fieri,
dall'alto dei poster affissi alle pareti. Ricordava la sensazione che provava,
mentre cercava di assorbire il più possibile da ciò che i loro occhi
comunicavano. Sicuramente molto più di quanto non le avrebbe mai trasmesso un
manuale di Storia del Novecento o di Fisica Applicata, comunque.
Qual'era il loro segreto? Si domandava la nostra riottosa. Perché
di sicuro quella gente doveva aver scoperto qualcosa che lei ignorava. Nello
stesso momento in cui lei era chiusa lì dentro, cercando di barcamenarsi tra
Hegel e Schopenhauer, per costruire un futuro al quale non voleva prendere
parte, loro erano là fuori, chissà dove, a vivere la loro vita in pieno, nel
bene e nel male, urlando al mondo tutta la loro rabbia e passione attraverso la
musica. Sembravano voler dire “noi siamo così, o vi sta bene, oppure andatevene
affanculo”.
Mentre lei, davanti a sé, non vedeva altro se non l'elettrizzante
prospettiva di prendere una laurea, per poi gestire l'azienda di famiglia,
sposarsi ed avere almeno due figli – nell'ordine: un primogenito maschio e una
femmina, possibilmente - e probabilmente camere separate tempo una decina
d'anni, come i suoi genitori, e le ferie d'agosto al mare, e d'inverno in
montagna e...
...e questo a lei non sarebbe mai bastato.
Voleva bene a Marco, erano già fidanzati da qualche anno, quando
gli ultimi anni del liceo scivolavano via rapidamente, ma si chiedeva spesso se
lui si rendesse conto di quanto lei volesse disperatamente di più. Non aveva
ancora ben chiaro cosa, ma sognava una vita diversa, vissuta in pieno,
affinché un giorno - nella sua immaginazione intorno ai 40 - 50 anni - avrebbe
potuto sostenere con fierezza il suo sguardo allo specchio, certa di non avere
rimpianti. Parlare di queste cose con lui (il ragazzo modello ambito da tutte
le sue coetanee, circondato da amici che lo veneravano, con i quali divideva il
suo tempo tra le partite a calcetto il venerdì sera e
tutti-allo-stadio-a-sputare-addosso-agli-arbitri la domenica pomeriggio, gli
animi ancora caldi per i postumi della sera prima) era inutile, non l'avrebbe mai
capita. Col passare degli anni, il Marco del quale si era innamorata, quello
che la sera si arrampicava sul ciliegio del giardino per raggiungere il balcone
della sua camera e rimanere a dormire con lei fino all'alba, si stava
gradualmente trasformando in altro. Stava scomparendo quel ragazzo spericolato
e temerario, capace dei gesti più coraggiosi e romantici che nessuno avesse mai
compiuto per lei. Pian piano l'uomo in giacca e cravatta del lunedì mattina,
rolex al polso e festini in barca nei week end, stava prendendo il sopravvento.
Il giro di volta c'era stato quando lui se ne era volato in
America, ad Harvard, per frequentare l'ultimo anno della facoltà di economia.
In teoria avrebbe dovuto impiegare quell'anno accademico per scrivere la tesi
di laurea, in pratica bruciò consistenti pacchi di soldi nel giro di pochi
mesi, in alcol e droga, insieme ai suoi degni compari, figli di imprenditori,
politici e star del cinema. Quando tornò a casa, la conversione era stata
ultimata e lui era diventato...corrotto. Non trovava un termine migliore per
definirlo. Come se qualcuno avesse tagliato via la parte di lui ancora in grado
di provare emozioni. Ma ormai il suo destino e quello di Serena erano stati
scritti. Lei si sentiva come risucchiare da una spirale autodistruttiva dalla
quale, ogni qualvolta cercava di uscire, riusciva solo a sprofondare sempre più
in basso. Per quanto si sbattesse, non trovava una via d'uscita semplice da
quella situazione, quindi cercò di rassegnarsi ed auto convincersi che, magari col
tempo, avrebbe finito per trovare un modo di adattarsi a quella situazione. Era
l'Agosto 2005. Era appena uscito A Beautiful Lie e l'intensità di quelle
canzoni e la scoperta di un mondo legato alla simbologia e l'ideologia della
band, la affascinava sempre di più. Era qualcosa di grandioso e potente, la
genialità e la creatività di ogni aspetto che caratterizzava la band. Sì, era
riduttivo definirla così, era più che altro un “progetto” o uno stile di
vita...sentiva di appartenere a quel mondo sempre di più. Col passare del tempo
iniziò a rispolverare i suoi sogni, dall'angolo angusto della sua mente nel
quale li aveva seppelliti.
Almeno finché Marco non tornò dall'America...
In capo a qualche anno, l'inarrestabile “macchina” del matrimonio,
ordita e portata avanti dalle rispettive famiglie, procedeva ormai a pieno
ritmo. Secondo i loro genitori era ormai giunto il momento perfetto: lui - in
un modo o nell'altro - si era laureato e già lavorava al fianco di suo padre in
azienda. Ora bastava solo che lei si licenziasse dal suo impiego in TOD'S, che
“tanto che te ne fai di quel lavoro? Non ne hai bisogno, specialmente non
ora che ti sposi...e poi dovrai anche aiutarci in azienda. Tua madre ed io non
ci saremo per sempre ed è ora che ti prenda le tue responsabilità, signorina”.
Rivedeva davanti a sé l'espressione di suo padre, mentre
pronunciava quelle parole. Come se desse per scontato che quella fosse la cosa
giusta. L'unica opzione disponibile, non ve n'erano altre. E ricordava come
fosse ieri, il momento in cui tornò a casa sconvolta, dopo aver colto in
flagrante Marco che la tradiva e le parole di sua madre, che la trapassarono
come una lama gelata “Lascia perdere. Capisco che tu adesso sia sconvolta,
ma devi imparare a passare sopra a queste cose, soprattutto quando sarai
sposata. D'altra parte lui è sempre stato un così bravo figliolo, non puoi
mollare tutto alla prima difficoltà”. Serena rimase ad ascoltarla in
silenzio, con sguardo vacuo, finché non ebbe finito di parlare. Non
era più tempo per le lacrime. Guardò gli occhi di Jared che
le restituivano lo sguardo dal poster affisso alla parete....Fight for what
you believe in....This is my chance I want it now....It's the end here today,
but I will build a new beginning...Believe in your dreams no matter what...
E capì.
Non c'era abbastanza spazio lì per lei, si sarebbe sempre sentita
soffocare se non fosse riuscita a prendere in mano la sua vita.
Aveva preso una decisione.
Si fece tatuare la triade sul collo
ed il giorno dopo partì per l'America, decisa a non tornare mai più.
FINE
CAPITOLO 11 (PARTE II)
Vi chiedo umilmente perdono per il
vergognoso ritardo…colpa in parte del VyRT che ha assorbito gran parte della
mia concentrazione -.-‘’ e in parte degli impegni lavorativi. Capitolo intenso
e tristissimo, lo so, ma spero vi sia piaciuto….non preoccupatevi, il nostro
amatissimo Shan tornerà prestissimo! ;)
Un grazie super speciale a Lexie e Ila (vi
lovvo donne!) e a tutte voi che leggete e recensite <3
See you soon,
pretty soon, really soon ;)
XoXo
NOTE:
Casa di Serena:
fronte: http://www.google.it/imgres?um=1&hl=it&biw=
1680&bih=935&tbm=isch&tbnid=yZ9ZZ8mKtJTs5M:&imgrefurl=http://www.appartamentivacan
zeitalia.it/dettaglio_pagina.php%3Fregione%3D10%26page%3D66&docid=Jk--JmBdwmM7VM&i
mgurl=http://www.appartamentivacanzeitalia.it/images/gallery/upload/pagine/big/7f7fb8f1394e2
4084e3c.jpg&w=800&h=600&ei=qFKZT4LwFcmD4gTA-u3EBg&zoom=1&iact=rc&dur=229&s
ig=107780725728483663314&page=1&tbnh=140&tbnw=187&start=0&ndsp=40&ved=1t:429,r:23
retro: http://www.google.it/imgres?um=1&hl=it&biw=1680&bih=935&tbm=isch&tbnid=Issb5yXqmB-
F2M:&imgrefurl=http://lunachrome.blogspot.com/2010/04/gioielli-marchigiani.html&docid=Gkp
Fo3Xt4i3JKM&imgurl=http://lh6.ggpht.com/_akadJdBOFcI/S8Mye8jvzJI/AAAAAAAAAMw/i3
HR5hEzH1g/villa.jpg&w=1600&h=1071&ei=X1CZT7OAIIOH4gSRhunEBg&zoom=1&iact=hc&
vpx=1111&vpy=153&dur=9&hovh=184&hovw=275&tx=202&ty=133&sig=107780725728483663
314&page=1&tbnh=132&tbnw=176&start=0&ndsp=41&ved=1t:429,r:5,s:0,i:74