Capitolo 4: Uscita In Pigiama
Per una sorta di fortuna
perversa sapevo bene che c’era una chiave di scorta: mia madre, che mi
conosceva da sedici anni, essendo a conoscenza del mio ritardo mentale aveva
preso le dovute precauzioni.
La chiave di scorta si
trovava in garage (ma non ditelo ai vicini), messa su
una mensola alla quale nessuno si sarebbe avvicinato per paura delle pantegane. Effettivamente devo ammettere che il mio garage
è abitato da ratti cosi grandi che a volte entrando ti trovi la macchina parcheggiata
da un’altra parte. Per raggiungere il garage non dovevo far altro che scendere
una rampa di scale, uscire sulla strada, svoltare a sinistra per due volte e
scendere per la discesa che portava al paludoso terreno del parcheggio del
condominio. Fare tutto questo sarebbe stato facilissimo per un essere umano
vestito, purtroppo io, essendo in pigiama, avrei anche dovuto fare attenzione a non farmi vedere da nessuno: non mi
avrebbe fatto piacere trovarmi nella situazione “cosa fai in pigiama” “non lo
sai? Oggi è carnevale e io sono vestito da rincoglionito”.
Non sarebbe stato un problema
scendere le scale, il mio era un palazzo abitato principalmente da anziani
cristallizzati nei loro appartamenti (altra cosa da non dire ai vicini) quindi
le probabilità che, scendendo una ventina di gradini, si
verificasse un incontro erano praticamente nulle, in pratica bisognava
essere più sfigati di un protagonista di una tragedia greca. Cosi,
sicuro di me stesso, scendo il primo gradino e alzando lo sguardo noto alla
fine della rampa il signor Giovannini che mi guarda
come se andassi in giro in pigiama.
“buongiorno” sillabo mentre
gratto nervosamente i piedi sul marmo in un patetico tentativo di sotterrarmi
“come va?”
Il signor Giovannini
continua a guardarmi come se dovesse scannerizzarmi per qualche istante e poi esclama
“buongiorno giovanotto” nelle sue parole notavo una vena di imbarazzo che ci
mise poco a diventare sdegno: “dove vai cosi conciato?”
“ehm…” farfuglio mentre mi guardo i piedi “in realtà sto andando a correre e questa è
la mia tuta” esclamo inventando e sperando che l’uomo non conosca l’inglese.
“come mai allora sopra al
gufo c’è scritto che sei un animale notturno?”
Sapeva l’inglese.
In un istante mi resi conto
che tutto era perduto cosi dissi rimpicciolendo “èh,
c’è scritto perché lo sono, ehm, si, sono un gufo..”
Dopo aver ricevuto
un’occhiata di patetica compassione e aver fatto qualche rapido saluto continuai la mia discesa fino a raggiungere il portone di
casa.
Prima di aprirlo con molta
prudenza controllai la strada, nessuno, allora aprii il portone e con
l’accortezza di un elefante russo in un campo di ginestre mi misi a correre
verso il garage, non appena superata la saracinesca ripresi
fiato e mi resi conto che forse ero riuscito davvero a non farmi vedere.
Raccolsi tutto il mio
coraggio, avventurarsi nei meandri di quel posto senza armi da fuoco poteva
essere molto pericoloso, già immaginavo le pantegane assetate di sangue che mi spellavano vivo e si
facevano dire minacciandomi con un’accetta dove fosse il pentagono e poi…
E i loro eserciti uscirono dal tevere
E la loro grandezza era impressionante
E il loro numero era grande
E arrivarono al pentagono
E arrivarono alla nasa
E di tutto si impadronirono
Nessuno rimase vivo dopo di loro
Invece con
mia immensa sorpresa presi le chiavi senza che nessun topo gigante mi
aggredisse per conquistare il mondo.
Prese le chiavi non mi
rimaneva che effettuare il viaggio di ritorno, cosi,
sempre più sicuro di me stesso mi incamminai. Avevo quasi raggiunto il portone quando mi sentii chiamare, la voce veniva da dietro
ed era troppo familiare per essere ignorata: Marzia.
“Lorenzo!”
Non appena sentito il grido esitai
un po’ prima di voltarmi, lo feci molto lentamente e sul mio viso era dipinta
la faccia che poteva avere Napoleone durante la sua vacanza all’isola d’Elba.
Marzia era una bravissima
ragazza, assolutamente, ma aveva un po’ il vizio di essere
molto pettegola: credo che gridasse più cose lei ai quattro venti di quante ne
furono gridate durante la rivoluzione francese.
“Ciao Marzia, che bello
vederti” mentii “ora però ho molta fretta devo tornare
a casa”
lei mi guardò per qualche secondo e poi, un po’ incerta e
imbarazzata cercando un appigli di discussione esclamò “che belle scarpe che
hai!”
“èggià,
molto belle, non sono nemmeno costate tanto…”dopo un breve
attimo di silenzio ripresi a parlare “bèh, allora, alla prossima èh? Ciao!”
Marzia mi rivolse un cenno
con la mano prima di voltarsi e continuare per la sua strada.
Finita questa conversazione
più patetica di “affari tuoi” presentato da Pupo, correndo ero tornato a casa e
tutto quello che dovevo fare era vestirmi. Dovevo mettermi addosso
roba decorosa ma non troppo costosa, se si fosse sporcata di sangue
sarebbe stato un peccato, perciò scelsi un maglietta corta di pochi euro e
degli jeans più tarocchi dei filmati sugli alieni che mandano in onda su Televita.
Avevo deciso di non portare
con me il celulare, non volevo correre il rischio che
lo prendessero dal mio cadavere, ma ero comunque
pronto ad uscire.
Aprii la porta dopo aver
controllato di essere vestito, rivolsi un ultimo saluto al mio cane che stava
guardando la TV che avevo acceso mentre mi vestivo,
lui nemmeno mi diede l’imbocca al lupo quindi uscii molto offeso sbattendo la
porta dietro di me.
Desidero scusarmi per il
ritardo della pubblicazione di questo quarto capitolo, non mi starò a inventare scuse, semplicemente non mi andava di scriverlo,
ma oggi mi è presa bene quindi siete
(s)fortunati.
Un grazie per le bellissime
recensioni, continuate cosi che mi date un briciolo di
voglia di proseguire, detto questo ci vediamo alla prossima pubblicazione,
commentate numerosi!