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Autore: pikaendpichu98    30/04/2012    2 recensioni
ecco la vera storia di pikachu, non quella che vi aspettate di leggere, ma lievemente fantascientifica e un po fuori dal comune.
pero vale la pena leggerla!
leggete e recensite numerosi!!!
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ash, Pikachu
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Riabituarmi alla vita selvatica non fu facile, ma lo fu ancora meno abituarsi alla solitudine.
Non avevo mai vissuto da solo, la mia vita si era sempre svolta all’interno di un branco, di una famiglia, e non sentire più il canto gioioso dei Pichu, ne le chiacchere dei miei vecchi amici risuonarmi nelle orecchie mi faceva provare una sensazione del tutto nuova, la solitudine mi attanagliava il cuore, portando le lacrime a scorrere sulle mie guance.
Quando tornai a vivere nella  boscaglia ai margini di Pallet non ricordavo più le regole della sopravvivenza.
I miei sensi erano sempre stati eccellenti, ma  col tempo si erano sopiti, dopotutto che bisogno avevo di udito e vista amplificati al massimo quando viaggiavo con uno squadrone di umani, umani che mi volevano bene, che mi avrebbero sempre protetto, quegli stessi umani che mi hanno offerto il loro cuore, gli stessi umani che non rivedrò più…
Mi dispiace, sapevo che raccontare questa vecchia storia avrebbe fatto riaffiorare ricordi dolorosi, ma non immaginavo che ricordare mi avrebbe fatto tanto male… cercherò di essere il più distaccato possibile.
Come stavo dicendo i primi giorni della mia nuova vita selvatica non furono facili.
Non ricordavo più come distinguere le bacche commestibili da quelle velenose essendo ormai abituato al cibo per Pokemon, e non poche volte mi presi un bel mal di pancia.
Anche cercarsi una tana non fu una passeggiata, mi imbattei spesso in rifugi abitati da altri Pokemon e spesso ebbi la peggio negli scontri, ne sono la prova le cicatrici che ho sul corpo.
Ricordo che un giorno provai a intrufolarmi in una tana dentro un pino.
Quando vi entrai mi trovai davanti tre piccoli Spearow che cinguettavano terrorizzati dalla mia presenza.
Io non avevo intenzione di far loro del male, ma evidentemente le mie intenzioni erano state fraintese.
Mentre stavo scendendo, scivolando lungo il tronco,  un nuovo odore mi pervase le narici.
Mi bloccai all’istante ancora aggrappato al fusto dell’albero, tesi le orecchie, rallentai la respirazione e annusai attentamente l’aria.
Ma quasi senza che la vedessi, con la rapidità di una saetta, mamma Fearow mi attaccò brutalmente, ruggendo.
Io caddi a terra già gravemente ferito alla zampa anteriore dal suo becco  letale.
Ma lei aveva appena cominciato.
Quando mi rialza a fatica lei era davanti a me.
Nei suoi occhi  l’ira, l’odio, la rabbia...
Mi attaccò pesantemente per minuti che mi sembravano ore mentre schivavo appena i suoi attacchi d’ala e le sue beccate.
Ma per lei non era ancora abbastanza.
Cercai disperatamente di capire il perché della sua reazione, cosa aveva innescato nella sua mente quella collera assurda. Non poteva essere stata la mia presenza nelle immediate vicinanze dei suoi piccoli, si sarebbe limitata a cacciarmi via.
Ma nel momento in cui innalzò un grido verso le nubi grigie addensatesi da poco e scorsi all’orizzonte almeno una decina di sagome in volo verso di me, ebbi la risposta.
Per un istante il mio cuore smise di battere.
Una manciata di secondi più tardi, lì impalato, pietrificato dal terrore, potei constatare che quello che mi veniva incontro era uno stormo di Fearow, e che era lo stesso stormo di Spearow che attaccò me e Ash il giorno in cui iniziammo la nostra avventura.
La Fearow si mise a capo dello stormo e mi fissò con odio, era la stessa Spearow che Ash aveva stuzzicato credendola un Pidgey.
 Un ghigno diabolico le increspò il muso.
Quel gesto mi fece meccanicamente voltare e correre.
Ad ogni passo la zampa ferita mi lanciava scariche dolorose che mi percorrevano tutto il corpo, mentre correvo sotto la pioggia che mi sferzava il muso, incalzato dalle stridule grida di scherno dei Fearow.
Quella folle corsa per la vita mi portò a ripercorrere ogni singolo tratto che attraversai durante la fuga con il mio migliore amico, sotto lo stesso cielo cereo, sotto la stessa pioggia battente.
Mentre percorrevo la strada che portava alla cascata i ricordi mi assaltarono, più dolorosi, mentre le lacrime cominciavano a scendere dai miei occhi e  a mescolarsi con le gocce di pioggia.
Mi gettai senza esitazione nel fiume, pur essendo consapevole che non ci sarebbe stato nessuno a ripescarmi, che nessuno avrebbe rubato una bicicletta per adagiarmi nel suo cestino.
Mentre la corrente mi sballottava di qua e di là alcuni frammenti di ricordi mi mostrarono Ash che nuotava rapido tenendomi stretto tra le braccia.
Ritornai a galla e cercai in tutti i modi di nuotare il più veloce possibile per raggiungere la riva.
Alla fine riuscii a uscire dall’acqua e ripresi fiato per qualche secondo mentre i brividi mi attraversavano dalle orecchie alla punta della coda.
Ma il ricordo di Misty che ci tirava fuori dall’acqua con la sua canna da pesca irruppe con violenza nella mia mente, mozzandomi il fiato.
Mi voltai e avvistai i Fearow, così scossi il capo e ricominciai la corsa.
In men che non si dica me li ritrovai di nuovo alle calcagna.
Le lacrime ripresero a rigarmi il muso mentre attraversavo la pianura che avevo percorso a bordo della  bicicletta.
Caddi pesantemente mentre correvo nella stessa discesa in cui io e Ash eravamo caduti dalla bici, sporcandomi della stessa terra.
Riuscii ad alzarmi a fatica.
Sollevando lo sguardo incrociai quello della Fearow.
Illuminata dai fulmini la Fearow ghignò, e lo stormo si gettò in picchiata verso di me, proprio come allora.
Ma questa volta nessuno si sarebbe più messo davanti a me per proteggermi, nessuno avrebbe  sacrificato la sua vita per salvare la mia.
Con il muso fradicio di lacrime liberai un grido disperato e generai la scossa.
La stessa scossa che tanti anni prima aveva suggellato l’inizio di un legame che non si sarebbe mai spezzato, che  avrebbe sempre unito il mio cuore a quello di quella persona così speciale per me, il legame che supera le barriere della memoria, del tempo, della lontananza,
il legame chiamato amicizia.
 
 
 
 
Successivamente decisi di partire.
Non avrei resistito molto a lungo stando così vicino all’origine di tutti i miei ricordi, vicino a quelle persone così familiari, così vicino alla mia vecchia vita.
Quindi mi misi in viaggio.
Ma decisi di attraversare la regione passando per le città, per assaporare un’ultima volta il mio passato.
La prima città che attraversai fu Viridian City.
Appena ne varcai l’entrata si fece vivido nella mia mente il ricordo della nostra prima vera lotta, quella contro il Team Rocket, quella in cui un mio attacco Tuonoshock fece letteralmente esplodere il centro pokemon della città.
Naturalmente non dimenticai di  fermarmici un lungo istante davanti.
Un sorriso malinconico mi apparve sul muso mentre l’immagine del centro pokemon in fiamme riemergeva dalla mia memoria.
Il nostro primo disastro……
 
 
In un paio d’ore arrivai a Plumbeopoli.
Pensai che avrei tanto preferito perdermi una decina di volte all’interno del bosco Smeraldo, sentire  Ash e Misty che litigano per chi debba decidere da che parte andare e le grida della ragazza che ha avvistato un coleottero, ronzarmi nelle orecchie, piuttosto che essere costretto a quel silenzio, sembrava volermi ricordare che la mia vita sarebbe stata scandita solo dal suo suono.
Passando davanti alla palestra di pokemon di tipo roccia, un imponente edificio incastonato di lastre di pietra enormi, svoltai per percorrere la piccola strada che portava alla casa del capopalestra, mentre immagini della nostra prima lotta in palestra e del nostro allenamento “speciale” mi si affollavano nella mente.
Arrivai.
Mi trovai davanti un’abitazione modesta ma dall’aspetto accogliente, il vialetto in marmo e un accenno di rugiada sul prato minuziosamente curato.
Le luci erano accese nonostante fosse notte inoltrata.
All’interno erano visibili almeno nove ragazzini che correvano, saltavano, giocavano… insomma, la famiglia di Brock!
Mi avvicinai, celato dall’oscurità, a una finestra semi aperta, arrampicandomi appena sul davanzale sporgente.
Vidi i genitori di Brock rincorrere uno a uno i bambini e portarli al piano di sopra di peso per metterli a letto, “buona fortuna !” pensai.
Guardai a destra e a manca per trovare un alto ragazzone dai capelli a punta e alla fine lo vidi.
Era seduto ad un tavolo, e concentrato com’era su un gigantesco librone, pareva non accorgersi di tutto il caos che aveva attorno.
-Tesoro chiudi quel libro o ti verrà il mal di testa! Tanto ormai devi solo aspettare i risultati degli esami-
Gli disse sua madre, mentre prendeva tra le braccia un bambino addormentato sul divano.
-Sto controllando delle cose sul libro, non ce la faccio a non fare niente, sono troppo nervoso- rispose con aria assorta lui.
Sua madre sorrise e ritornò alle sue “pratiche”.
Evidentemente aveva appena dato l’esame per diventare medico Pokemon, il suo nuovo sogno, quello per cui aveva deciso di lasciare il viaggio.
Se n’era andato da poco, eppure già mi mancava da morire.    
Sorrisi al ricordo del vecchio Brock, quello che correva dietro a ogni bella ragazza che incontrava sul suo cammino.
Ma in quel momento Brock mi sembrava davvero cambiato, maturato.
All’improvviso squillò il telefono e Brock rispose.
-Pronto?- disse e spiccò all’istante un balzo enorme gridando –INFERMIERA JOYYYYY!!!!- .
…… no, Brock era rimasto lo stesso di sempre!
Lo sentii dire parole sdolcinate all’infermiera, fin quando si bloccò di botto sgranando gli occhi.
Il caos si fermò istantaneamente, i genitori di Brock e i suoi fratellini gli si avvicinarono e i bambini che erano stati portati di sopra scesero di nuovo.
Il ragazzo sussurrò qualcosa sottovoce e poi interruppe la chiamata.
Si girò lentamente verso la sua famiglia e poi disse -…… CE L’HO FATTA!!!-  e il caos ricominciò più chiassoso di prima, sua madre scoppiò in lacrime per la gioia e corse ad abbracciarlo seguita a ruota dal padre e dai fratelli più grandi, mentre i piccoli danzavano gioiosi intorno al loro fratellone.
In quel momento provai una grande gioia, tanto che gli occhi mi diventarono lucidi.
Inaspettatamente mi sentii come un padre, un padre felicissimo che i sogni di suo figlio si siano realizzati.
Mi asciugai gli occhi umidi, ero così felice, non riesco ad esprimere la gioia che mi pervase fino a farmi fremere.
Ormai le lacrime avevano iniziato a scendere, erano di gioia, ma anche di dolore, perché non avrei mai potuto sapere se Brock sarebbe diventato il miglior medico pokemon al mondo, non avrei potuto accompagnarlo nel suo sogno.
Un singhiozzo mi premette in gola e non riuscendo a soffocarlo squittii un piccolo “Chu”.
Brock girò il capo nella mia direzione e io mi abbassai immediatamente sotto la finestra.
Corsi il più silenzioso possibile, non volevo rattristare quel momento di gioia con le mie stupide lacrime, ma improvvisamente sentii un colpetto alla nuca.
Mi voltai di scatto e nell’oscurità, rischiarata dalle luci della casa, constatai che quella che mi aveva colpito era una pokemella.
Alzai lo sguardo davanti a me, ero ancora vicino alla finestra.
Raccolsi la pokemella.
Un sorriso sincero mi dipinse il muso.
Grazie Brock, grazie di cuore, non ti dimenticherò mai.
Così mi rifugiai nel bosco da dove ero venuto, sotto un cespuglio rigoglioso.
Mi accovacciai e presi tra le zampe il boccone.
Una lacrima lo inumidì, ma fu solo la prima di molte…
 
 
 
Il sole era prossimo al tramonto quando arrivai a Cerulian City.
Respirai a pieni polmoni l’aria di mare che aleggiava in tutta la città, una folata più forte delle altre mi colpì il muso arruffandomi il pelo e facendomi starnutire.
Mi incamminai per  le strade piene di negozi, quel giorno c’era molta gente.
Ad un certo punto vidi davanti a me un mucchio di persone di ogni età raggruppato davanti alla vetrina di un negozio di elettrodomestici.
Mi feci strada tra le persone zigzagando tra le loro gambe.
Quando arrivai davanti vidi che un televisore esposto trasmetteva gli ultimi attimi dell’incontro tra un capopalestra di chissà quale regione, e Ash, il mio migliore amico.
Mi si mozzò il fiato all’istante.
Le grida di incitamento degli spettatori diventarono un suono remoto, mentre guardavo Ash rispondere alle domande della giornalista con aria imbarazzata.
Vederlo di nuovo così, all’improvviso, mi aveva spiazzato, la ferita che si stava lentamente rimarginando fu aperta di colpo.
-Allora Ash, come ti senti dopo aver vinto la tua ottava medaglia nella regione di Unima?- chiese la giornalista.
Wow, era passato davvero tanto tempo dal nostro addio.
-Be, l’ottava medaglia è il biglietto di ingresso per la lega di Unima, è un traguardo importantissimo! E ora mi concentrerò al massimo per battere la lega, il nuovo Campione di Unima sarò io!-
rispose Ash facendo il suo gesto di vittoria, eppure dietro alla determinazione dei suoi occhi c’era altro. Avrebbe potuto ingannare ogni singolo spettatore, ma non me.
Il mio migliore amico si sentiva come me, l’uno senza l’altro non potevamo che essere incompleti.
Volse lo sguardo verso la sua spalla destra, per un attimo il suo corpo fu scosso da un fremito e nel suo sguardo una traccia di panico, ma poi chiuse lentamente gli occhi espirando pesantemente.
Mentre io sentivo gli occhi farsi sempre più umidi, pensando che  non sarei più salito su quella spalla.
Gli occhi della giornalista ebbero un guizzo –Sai Ash, gira voce che prima di venire a Unima tu avessi un altro Pokemon con te, e che nessuno sappia che fine abbia fatto, è vero questo?-  Ash posò lo sguardo lucido sulla donna, aprì la bocca per dire qualcosa ma poi si fermò, abbassò il capo e uscì dall’inquadratura mormorando un flebile “scusi”.
La giornalista guardò stupita e con aria interrogativa un ragazzo dai capelli verdi e una ragazza di carnagione scura sul fondo della scena. La ragazza parlò –Forse è solo un po’ nervoso…-
Istantaneamente una rabbia incontrollabile mi montò dentro.
Come osava quella stupida ragazzina  presumere di sapere cos’avesse Ash, lei che lo conosceva appena.
Non poteva conoscere i sentimenti di Ash, non sarebbe mai riuscita a superare la determinazione dei suoi occhi, non sarebbe mai riuscita a scorgere neanche un angolo di ciò che c’era dietro.
Ma io sì.
Io potevo vedere la disperazione della sua anima, la nostalgia, la preoccupazione, la paura.
Gli occhi di Ash erano un libro aperto per me, anche attraverso uno schermo, lontani migliaia di chilometri.
Io SAPEVO cosa provava Ash, perché era ciò che provavo anch’io.
Mi riscossi e mi affrettai ad andarmene da lì, rimanere ad ascoltare le stupide supposizioni di quella giornalista e di quei ragazzini mi avrebbe solo ferito di più.
Quindi attraversai le stradine ripercorrendo con la memoria ogni istante passato in quelle vie, fino a trovarmi di fronte un  edificio a cupola dai colori sgargianti e con la sagoma di un enorme Dewgong sopra.
Mi appostai dietro a un cespuglio di un’aiuola lì vicino.
Dalla grande porta principale uscirono tre ragazze con dei colori di capelli assurdi che parlavano a voce alta con gridolini di gioia.
Dopo qualche minuto uscì lei.
Quella ragazzina dai capelli rossi a cui volevo un mondo di bene.
Impulsivamente compii un passo, la terra sfrigolò sotto le zampe, ma poi mi bloccai, non potevo dar retta al mio cuore e saltarle tra le braccia, sarebbe significato un altro addio, altre lacrime, e non sarei riuscito a sopportarlo, non volevo farle male e non volevo riaprire quella dannata ferita che mi attraversava il cuore.
La osservai mentre inseriva la chiave nella serratura.
Non potei fare a meno di notare che il suo sguardo era diverso, i suoi occhi erano stanchi, tristi, spenti…
Mi salì un groppo in gola.
Oh Misty, è soltanto colpa nostra se nei tuoi occhi non c’è più la scintilla di vitalità che ti ha sempre accompagnata, se solo avessimo cercato di impedirti di partire, se solo avessi fatto capire a quella testa di legno del mio allenatore che lasciarti andare sarebbe stato l’errore più grande della sua vita…..
Scossi la  testa, gli occhi straripavano di lacrime.
Ti prego Misty, scusaci!
La capo-palestra di Cerulian rimise le chiavi in tasca, le sue sorelle la chiamarono, lei imprecò sottovoce per poi rispondere svogliatamente  “sto arrivando”.
 Vedere la sua figura voltarsi di spalle e incamminarsi verso le sue sorelle, la testa bassa, i pugni stretti e lo sguardo così dannatamente infelice, mi ferì quanto l’ultima volta che avevo incrociato gli occhi di Ash.
Perché in lei non vedo solo un amica, una compagna di viaggio, lei rappresenta la figura materna che in qualche modo mi è sempre mancata,  la cui assenza ha inevitabilmente creato un vuoto nel mio cuore, che non potrà mai essere riempito da nessun altro.
Mi spostai dietro un altro cespuglio, dovevo convincermi ad andare.
Lei si girò nella mia direzione udendo il fruscio.
Non saprò mia se mi abbia visto oppure no, fatto sta, che un sorriso malinconico increspò il suo viso, e che sulla sua guancia scivolò, lenta, una lacrima risplendente della luce del tramonto.
 
 
Eccomi qui in ritardo come al solito con un altro cappy!!!
scusate l'ennesimo ritardo, ormai i motivi li saprete a memoria!
be almeno è abbastanza lungo no?
povero Pikachu lo sto facendo deprimere sempre di più!
comunque non si vede per niente che il suo pensiero riflette il mio vero?
ringrazio :

 penguy_chan
pikajunior01
per aver recensito lo scorso cap
ringrazio anche  vegeta princess98 per il grande aiuto che mi da con i dubbi sulla grammatica, grazie Marty!!
ringrazio anche chi legge soltanto ovviamente!
ciao a tutti alla prossima!!

  
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