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Autore: Beauty    30/04/2012    5 recensioni
Ciao a tutti! Questa storia è una mia personale rivisitazione de "La Bella e la Bestia", la mia favola preferita...
Catherine, diciottenne figlia di un mercante decaduto, per salvare il padre dalle grinfie di un misterioso essere incappucciato, accetta di prendere il suo posto. Ma quello che la ragazza non sa è che nelle vesti del lugubre e malvagio padrone di casa si cela un mostro, un ibrido mezzo uomo e mezzo animale. Col tempo, Catherine riuscirà a vedere oltre la mostruosità dell'essere che la tiene prigioniera, facendo breccia nel suo cuore...ma cosa succede se a turbare la felicità arrivano una matrigna crudele e un pretendente sadico e perverso?
Riuscirà il vero amore ad andare oltre le apparenze e a sconfiggere una maledizione del passato? E una bella fanciulla potrà davvero accettare l'amore di un mostro?
Genere: Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il mostro e la fanciulla'
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Henry entrò al Leone d’oro a passo svelto, spalancando la porta con furia. Era accaldato, con la camicia impregnata di sudore e le punte dei capelli biondi attaccati al cranio. Ansimava, respirava a fatica, ma era sobrio.

Oh, se era sobrio…Abbastanza sobrio per capire che quella volta non avrebbe avuto via di scampo, aveva fatto il passo più lungo della gamba, e se non avesse trovato una soluzione alla svelta sarebbe stato rovinato.

Aveva bisogno di bere, si disse, appoggiandosi di peso al bancone.

- Portami qualcosa…- biascicò, rivolto all’oste, infischiandosene altamente di tutti quegli altri ubriaconi dei clienti che si erano voltati a fissarlo come se fosse stato un pazzo.

- Che cosa?- domandò l’oste, un omone basso e grasso, guardandolo di sottecchi.

- Non importa, idiota! Qualcosa, qualsiasi cosa!- urlò Henry, guardandosi intorno come alla ricerca di qualcuno.

L’oste si allontanò un attimo, per poi ritornare ponendogli malamente di fronte una pinta di birra.

- Ce li hai i soldi per pagare?

- Mettilo sul conto…- borbottò Henry, sorseggiando dal boccale.

- Bada bene che se non paghi il conto questa è l’ultima volta che…

- Dov’è Lord William?- chiese Henry, interrompendo la minaccia dell’oste.

- E’ laggiù - l’omaccione indicò un angolo buio, dove, isolato da tutti gli altri, era seduto Lord William.

Henry abbandonò la sua birra al bancone, dirigendosi sveltamente dove l’oste aveva indicato. Si piazzò di fronte a Lord William, appoggiandosi di con le mani al tavolo.

- Buongiorno, Henry, come vi sentite stamattina?- domandò educatamente Lord William, con il suo solito sorriso simile a un ghigno.

- Bene…molto bene, grazie…

Starei meglio se non fossi pieno di debiti senza i soldi per pagarli…

- Qualche giorno fa avevate detto di voler fare una partita con me, non è vero?- incalzò Henry, tergendosi il sudore con un fazzoletto.

- Sì, è così - confermò Lord William, apparentemente noncurante, sorseggiando tranquillamente la sua bevanda.

- Ebbene, eccomi qui. Che ne dite, vogliamo cominciare?- ansimò frettolosamente Henry.

Lord William si finse stupefatto.

- Ora?- fece, posando il bicchiere.- Volete giocare ora?

- E perché no?- Henry si sforzò di sorridere e di assumere un’aria rilassata, ma Lord William vide benissimo che era agitato, e quasi non riusciva a stare fermo.

- Sono le otto del mattino, Henry…- obiettò Lord William, per il puro gusto di tormentarlo ancora di più.

- E allora? Vorrà dire che avrò la mente lucida - ribatté Henry, con un altro sorriso tirato.

Lord William fece per rispondergli, quando la sua attenzione venne attirata da un uomo alle spalle di Henry, un ometto sulla cinquantina con abiti di pelle e un fucile sottobraccio, che gli stava facendo cenno con la mano con aria impaziente. Lord William ghignò.

- Arrivo subito, Marchese Van Tassel!- disse, alzandosi in piedi.

Gettò due o tre monete sul tavolo, quindi guardò Henry.

- Mi rincresce molto, Henry, ma ora proprio non ho tempo…Un impegno improrogabile…- disse, con aria di scuse.

- Ma…

- Non temete - lo bloccò Lord William, alzando una mano. - Non preoccupatevi, ho tutta l’intenzione di tener fede alla mia promessa. Ma non ora. Vi manderò a chiamare presto, e allora giocheremo la nostra partita, intesi?

- Io…certo, certo, come volete…- acconsentì Henry, cercando di mascherare la delusione.- Ma sarà presto, vero? Insomma, cercate di capire, anch’io devo tener fede a degli impegni che…

- Presto, Henry. Molto presto.

Lord William gli passò accanto, dirigendosi con aria compiaciuta verso il Marchese Van Tassel, anche lui con un sorriso forzato sulle labbra, lasciando Henry deluso e stralunato alle sue spalle.

Lord William ghignò; avrebbe davvero voluto togliersi la soddisfazione di battere quell’imbecille subito, per mettere fine alla faccenda, ma aveva davvero un impegno improrogabile.

Aveva un appuntamento a caccia…

 

***

 

Era passato un mese. Per Catherine, trenta giorni che erano stati come trent’anni.

Nonostante Constance continuasse a ripeterle che presto si sarebbe abituata a quella vita, la ragazza si sentiva ogni giorno sul punto di crollare.

All’apparenza, poteva sembrare che la sua vita non fosse molto cambiata, da quella che faceva a casa. Era sempre molto mattiniera, non perdeva mai tempo e con Lady Julia era comunque costretta a lavorare tutto il giorno. Ma in realtà le cose erano molto cambiate.

Tanto per cominciare, il lavoro che il padrone di casa le assegnava si faceva di volta in volta più faticoso e difficile; certo, poteva dire che il castello fosse migliorato, da che era arrivata, e poi Constance sembrava abbastanza felice di avere qualcuno che l’aiutasse – Ernest aveva settantacinque anni, e faceva quello che poteva, così come Peter, con la scusa che era solo un ragazzino.

Ma era una ben magra consolazione.

A casa, c’era Lydia ad aiutarla; lì al castello, invece, il lavoro era talmente tanto che ognuno pensava per sé, e Catherine si ritrovava sempre più sfinita, con la schiena dolorante a fine giornata e senza neanche un minimo di ringraziamento. Beh, a dire il vero, neanche Lady Julia la ringraziava mai, ma se facevi il lavoro come si deve, allora si limitava a tacere e a non starnazzare come una papera alla vista di una macchiolina.

Catherine pensava che il suo ringraziamento fossero suo padre, sua sorella, un letto caldo e una bella cena a fine giornata. Invece, al maniero, non aveva nemmeno quello.

Quello che la ragazza pativa di più era il freddo. Dormiva nel grande stanzone assieme agli altri domestici, ma la camera era piena di spifferi, il camino sempre spento e le coperte così leggere e bucherellate che la notte erano costretti a rintanarsi sotto anche con la testa, per trovare un po’ di calore.

Catherine ormai stava quasi aspettando il momento in cui si sarebbe presa una bella polmonite, e tanti saluti. A dire il vero, quando la vedeva rabbrividire dal freddo, Peter le offriva sempre una delle sue coperte, ma lei non se l’era mai sentita di sottrarre una delle poche fonti di calore in quel posto ad un ragazzino di tredici anni, e spesso si andava a stendere accanto al camino per trovare un po’ di sonno vicino alle braci ancora calde.

La giornata cominciava alle sei, cinque e mezza, se si voleva godere di un briciolo di colazione. Tutti si lavavano nel catino messo a loro disposizione; si lavavano solo a pezzi, chiaro, insaponandosi in piedi con il sapone e sciacquandosi con l’acqua. Catherine si trovava ogni volta ad avere la nostalgia di un bel bagno caldo, anche perché, con il freddo che faceva lì dentro, spesso l’acqua era gelata, e Constance aveva dovuto più di una volta rompere il ghiaccio con uno spillone.

Dopodiché, tutti dovevano svolgere le loro mansioni, sempre più faticose e ignobili; in quel castello sarebbero serviti almeno dieci domestici per svolgere tutti quei compiti, ma…

- Per carità, non dirlo mai al padrone!- aveva esclamato Constance, terrorizzata.

Un’altra cosa che a Catherine non andava giù era il fatto che, in un mese, non fosse mai riuscita a mettere piede fuori da quel posto, mai, nemmeno per uscire in giardino. Se ne restava sempre chiusa in casa, a lavorare insieme a Constance, che neppure lei metteva mai il naso fuori da lì.

Gli unici che uscivano erano Peter ed Ernest; Peter andava spesso nel bosco a raccogliere frutta, mentre Ernest si avventurava addirittura fino in paese. Con il tempo, Catherine aveva capito come funzionassero le cose, in quel posto. Constance aveva un orto, in giardino, dove coltivava la verdura, mentre Peter le riportava qualche frutto dalla foresta. Ernest si recava in paese una volta a settimana per comprare le altre cose, carne e pesce perlopiù, anche se Catherine non aveva mai avuto la soddisfazione di vederseli servire a tavola.

Già, perché, insieme al freddo, un’altra cosa che si pativa al maniero era la fame. La carne e il pesce erano esclusivamente per il padrone, le aveva spiegato Peter, a loro non era concesso mangiarla; e per Catherine era una vera tortura dover cucinare pezzi di manzo e di tacchino, avendoli lì sotto gli occhi e senza poterli neanche assaggiare.

Era dimagrita di cinque chili in un mese, e ogni volta che incrociava lo specchio rabbrividiva nel vedersi così pallida e provata. Da che era stata fatta prigioniera – perché era una prigioniera, tanto valeva guardare in faccia alla realtà – non aveva mangiato altro se non delle minestre di verdura a cena, così lunghe e acquose da dare il voltastomaco, spesso si trattava semplicemente di una brodaglia in cui galleggiavano carote e piselli e, se andava bene, qualche pezzo di pane o di patate.

Mangiava poco, dormiva ancor meno, e la sera era così stanca per il lavoro che più di una volta fu sul punto di addormentarsi sul piatto.

Insomma, una tortura.

Tuttavia, non poteva lamentarsi di trovarsi in cattiva compagnia; andava abbastanza d’accordo con i domestici, il più delle volte. Con Ernest andava d’accordo, Peter era un ragazzino davvero fantastico, molto vivace e solare, e perfino sua madre, quando non si faceva prendere dall’ansia del lavoro, risultava simpatica.

Ma il momento migliore della giornata per lei era la notte; Catherine, intenta al lavoro, si ritrovava spesso a sorridere fra sé e sé al pensiero del bel sogno che, da un mese a quella parte, faceva ogni notte. Era sempre lo stesso: un giovane bello e gentile, con cui parlava, rideva, ballava, e una voce femminile, lontana eppure molto vicina, che le sussurrava sempre le stesse parole…

Andrà tutto bene…

Ma poi il mattino arrivava sempre troppo presto, e lei si risvegliava in un incubo. Le mancava la sua famiglia, soprattutto suo padre, anche se ormai si stava abituando all’idea che non l’avrebbe rivisto mai più, e il lavoro duro la sfiniva, ma lo affrontava sempre con tenacia.

Quello che la spaventava davvero era il padrone.

Già, il padrone…I domestici tendevano a parlare di lui il meno possibile, e si vedeva lontano un miglio che ne avevano un timore reverenziale, quasi un vero e proprio terrore che, col tempo, avevano involontariamente trasmesso a lei. Ogni volta che si ritrovava a pensare a lui l’assaliva un senso di ansia, e quando se lo ritrovava davanti i battiti del cuore aumentavano furiosamente.

Ernest aveva detto che lui li controllava sempre; Catherine non aveva ancora capito come facesse, dato che se ne stava sempre chiuso nelle sue stanze, ma col tempo si era convinta che fosse vero.

Ogni volta che si rilassava, che osava prendersi una pausa dal lavoro per anche solo un minuto, lui usciva immediatamente da dove era nascosto, e la trattava in una maniera così prepotente e ignobile da farle rimpiangere di essersi riposata.

Ce l’aveva soprattutto con lei, era evidente che la controllava.

Era cattivo; cattivo, questa era l’unico aggettivo che Catherine riusciva a trovare per lui. Sembrava godere non solo a schiavizzarla, ma anche a trattarla male. Se c’era qualcosa di malfatto, allora la umiliava per delle ore, facendole pesare ogni cosa. Quando non riusciva a terminare un lavoro, allora poteva anche scordarsi la cena…a meno cha non se la beccasse in faccia, la cena, quando non era di gradimento al padrone. Poco importava chi avesse cucinato; era sempre a lei che dava la colpa di tutto.

Ma il peggio era quando decideva di chiuderla nella stanzetta dove aveva dormito la prima notte, la più buia e fredda del castello, cosa che succedeva regolarmente quando lei cercava di ribellarsi a tutte quelle vessazioni, cioè quasi sempre.

Era cattivo…e il fatto che la controllasse rimaneva un mistero.

Così come anche il suo aspetto…

Catherine aveva cominciato ad incuriosirsi, e la sua curiosità aumentava ogni giorno di più. Tutte le volte in cui aveva provato a chiedere a Constance, Peter ed Ernest quale fosse l’aspetto del padrone, aveva avuto in risposta solo un religioso e imbarazzato silenzio.

Quanto a lui, indossava sempre quegli abiti neri, con le mani rigorosamente inguantate e quel dannato mantello il cui cappuccio nascondeva completamente il viso.

Catherine avrebbe dato qualsiasi cosa pur di scoprire come fosse chi si celava lì sotto, pur di avere una risposta.

E una risposta la ebbe molto presto.

Quella mattina era stata peggio delle altre; aveva saltato la colazione, l’acqua nel catino era ghiacciata e le era toccato pulire la latrina, compito a cui avrebbe volentieri preferito il suicidio. E, dulcis in fundo, ora doveva anche pulire l’intero salone d’ingresso, che era all’incirca il doppio di casa sua.

Catherine era inginocchiata sul pavimento, con i suoi soliti abiti stracciati e i capelli corvini che le ricadevano in continuazione sugli occhi. Stava sfregando con furia lo straccio sulle piastrelle, aveva pulito male, in più di un angolo c’erano cumuli di polvere e qua e là spuntavano delle macchie di sporco. La ragazza sapeva di non stare facendo un granché, eppure sentì il cuore fare una capriola nel petto, quando udì dei passi scendere velocemente le scale.

Catherine emise un gemito soffocato, ma s’impose di far finta di niente e di continuare a strofinare; poteva anche darsi che avrebbe tirato dritto.

Macché, si disse poi mentalmente, non appena sentì che i passi si erano fermati di fronte a lei e scorse due stivali neri con la coda dell’occhio.

- Ti sembra questo il modo di lavorare?- tuonò il padrone.

Catherine pensò che fosse meglio non rispondere, e continuò a passare lo straccio per terra, senza alzare lo sguardo.

- Allora, sei diventata sorda? Hai sentito quello che ti ho detto?

- Mi dispiace…- mormorò alla fine, smettendo di pulire ma senza alzare lo sguardo.

- Sai che me ne faccio del tuo dispiacere! E guardami in faccia quando ti parlo!- urlò.

Catherine sollevò lentamente lo sguardo. Il padrone indossava ancora il cappuccio, e probabilmente la stava fissando attraverso di esso.

- Che cos’è questo?- e indicò l’intero salone.- Tu questo me lo chiami pulito?

- Faccio quello che posso!- ribatté Catherine.

Il padrone lanciò un urlo di rabbia molto simile ad un ringhio, e sferrò un calcio al secchio d’acqua. Catherine si precipitò a raccoglierlo, perché l’acqua non bagnasse dappertutto, strisciando in mezzo al sapone e inzuppandosi la gonna.

- Non ti azzardare mai più a rispondermi, sguattera!- gridò il padrone.- E voglio che sistemi questo sfacelo e pulisci di nuovo tutto, sono stato chiaro?

Catherine chiuse gli occhi, e non rispose. Era stanca, sudata, aveva le mani rosse dal troppo sfregare, le unghie spezzate e non era più sicura da che parte fosse la sua schiena.

Quello era veramente troppo.

- Chiaro?- ripeté il padrone.

Catherine non smise di guardarlo, mentre si alzava in piedi. Era a pochi centimetri da lui.

- No - rispose, cercando di mantenere la calma.- No, non è chiaro per niente.

- Come ti permetti, insulsa ragazzina che non sei altro?!- ululò il padrone.- Giù, in ginocchio. Non permetterti mai più di rivolgerti a me con quel tono, altrimenti ti ammazzo come la cagna che sei!

- Io non sono una cagna!- strillò Catherine.- Non sono né una cagna né la vostra schiava. E voi siete un essere spregevole, un uomo che non merita il minimo rispetto. Non vi siete fatto alcuno scrupolo ad approfittare di una ragazza che ha dato se stessa per salvare suo padre, e…

Il padrone non la lasciò terminare, scoppiando in una risata sgangherata.

- Chi ti credi di essere, stupida?- la beffeggiò.- Se sei qui, non è per causa mia, la colpa è solo tua. Tu hai voluto prendere il posto di tuo padre, tu hai scelto di sostituirti a lui…e per che cosa? Il tuo amato padre non ha nemmeno avuto il coraggio di venire a cercarti, non ha neanche tentato di riprenderti, di liberarti…

- L’avete minacciato!

- E allora? Credi davvero che basti una semplice minaccia, per un padre? Bel gesto che hai fatto, davvero…essere schiava e prigioniera per tutta la vita a causa di uno che se ne frega di te!

Catherine si sentì salire il sangue alla testa. Senza pensarci, si lanciò contro di lui.

- Come vi permettete…?- gli strattonò il mantello con rabbia.

Il cappuccio scivolò indietro.

Catherine si dimenticò per un attimo di respirare. Le parole di suo padre le rimbombarono nella mente.

Lui è un mostro, Catherine…è un mostro…

Non era un uomo. La faccia era umana, e ricoperta di pelle umana. Ma sugli zigomi, sulla mascella e la mandibola spuntava del folto pelo scuro, che si confondeva con i capelli castani. Le orecchie erano appuntite, pelose e animalesche, come quelle di un lupo. Il collo era per metà umano, ma sul lato sinistro era ricoperto da squame verdastre, che si estendevano anche su parte della mandibola. Gli occhi erano di un azzurro chiaro e gelido, quasi volessero penetrarti l’anima, e la pelle dello zigomo sinistro era cascante, ripiegata su se stessa e lasciava intravedere la carne.

Catherine soffocò un grido, mentre il mostro di fronte a lei la guardava come se volesse ucciderla, emettendo un ringhio animalesco sfoderando una fila di denti bianchissimi e aguzzi.

L’afferrò per la gola. La ragazza vide che anche le braccia erano ricoperte da pelle umana, ma dalle nocche si estendeva sull’intero avambraccio del pelo scuro, che si alternava con la carne, mentre al posto delle unghie c’erano dei lunghi e affilati artigli.

Il mostro urlò, scaraventando con un colpo Catherine sul pavimento. La ragazza annaspò, scivolando sull’acqua e il sapone, cercando di indietreggiare.

- Non avresti dovuto farlo…- sibilò il padrone, avanzando minacciosamente verso di lei, mentre Catherine continuava a scivolare indietro sul pavimento, incapace di staccare gli occhi da quel volto mostruoso.

Peter, Ernest e Constance erano accorsi al rumore, ed ora se ne stavano immobili e atterriti sulla soglia del salone, osservando la scena.

Il mostro la raggiunse; l’afferrò per la veste, mentre Catherine lanciava un breve grido di spavento. La sbatté violentemente contro la parete, tenendovela immobilizzata contro.

- Non avresti dovuto farlo!- ripeté, avvicinando il volto orribile a quello atterrito della ragazza.- La pagherai per questo…

- Padrone, no…- provò ad intervenire Constance.

- Vi prego, padrone…- implorò Ernest.

- Silenzio!- ruggì il mostro.

Tutti si zittirono, ritraendosi.

- Quanto a te…- sibilò il padrone, rivolgendosi di nuovo a Catherine.- Te la farò pagare…

La ragazza lanciò un altro grido, cadendo a terra mentre lui la trascinava di nuovo nella torre, in quella che era diventata la stanza delle punizioni.

Ce la scaraventò dentro, lasciandola cadere sul pavimento di marmo.

- Vedrai…- minacciò, prima di uscire e chiudere la porta.

Catherine sentì lo scatto della serratura che veniva chiusa a chiave.

 

***

 

C’era silenzio nella foresta. L’unica eccezione era rappresentata da qualche sporadico canto di uccello e dal rumore degli zoccoli che i due cavalli picchiavano sul terreno.

I due cavalieri non parlavano, guardandosi intorno come in attesa di qualcosa.

Fu il primo a parlare, rivolgendosi al suo compagno, in sella ad un maestoso cavallo bianco.

- Lord William, non pensate che dovremmo…

- Shhht…- fece Lord William, calmo, avvicinando l’indice alle labbra.- Pazienza, Marchese…

Il Marchese Van Tassel tacque, ascoltando un lieve fruscio che si fece via via più forte. Infine, dalla macchia spuntò un branco di cani, bulldog, pitbull, ma soprattutto un grosso doberman nero, che reggeva in bocca la carcassa sanguinante di un coniglio.

- Bravo, Rolf - si complimentò Lord William, prendendo il coniglio dalla bocca del cane e infilandolo in un sacco di juta.

Il Marchese era visibilmente impressionato.

- Avete dei cani molto ben addestrati, Lord William.

- Non sapete quanto…- ghignò Lord William, osservando il Marchese allungare la mano nel tentativo di accarezzare Rolf, ma ritraendola immediatamente quando il doberman tentò di morderla.- Rispondono solo a me. E non hanno troppa simpatia per gli estranei…

- Capisco - fece il Marchese, osservando con aria diffidente il branco di cani che lo osservavano ringhiando e schiumando bava dalla bocca.- Comunque…sono molto bravi…nella caccia, intendo…Avete detto che una volta hanno catturato addirittura un cinghiale, vero?

Lord William sospirò, scuotendo il capo con aria rassegnata.

- Vi prego, Marchese…Non perdiamo tempo in chiacchiere inutili. Sappiamo entrambi perché siamo qui.

Il Marchese distolse lo sguardo, tentando di reprimere la vergogna.

- Io voglio i miei soldi, Marchese - sibilò Lord William, guardandolo minacciosamente.

- Non ce li ho, quante volte ve lo devo dire?- sbottò il Marchese Van Tassel.- Mi avete succhiato via tutto il sangue, non mi avete lasciato più niente…Niente, il mio intero patrimonio è andato in fumo!

- Avreste dovuto pensarci, prima di giocarvelo tutto a poker…

- Io non ho il denaro che vi devo, Lord William.

- Non vi credo!- disse Lord William.- Forse non avrete denaro, ma avete di sicuro altri possedimenti…terre, castelli…quelli basterebbero a pagare i vostri debiti…- ghignò.

- Non vi darò mai i miei possedimenti!

- L’alternativa è la prigione, Marchese.

- Preferisco marcire in prigione che lasciare nelle vostre mani tutti i miei averi, razza di avvoltoio!- ringhiò il Marchese.

Lord William non rispose, limitandosi a guardarlo con quel suo solito ghigno, così il Marchese proseguì:

- Siete una sanguisuga, uno schifoso verme. Vi siete impossessato del patrimonio del Conte DeBourgh e di tutti gli altri solo perché sono morti!

- Già, è vero…- Lord William si finse pensoso.- Quegli uomini mi dovevano dei soldi e sono morti…

- Avete ereditato il loro patrimonio solo perché loro…

- Ho ereditato il loro patrimonio, perché loro se l’erano giocato a carte e l’avevano perso. Più o meno la stessa cosa che accadrebbe se anche voi moriste…

Il Marchese tacque di colpo; i cani continuavano a fissarlo ringhiando minacciosamente. Lord William assunse di nuovo quell’aria rassegnata.

- Siete tutti uguali. Così testardi…anche loro, sapete?- spiegò, tranquillamente.- Anche il Conte DeBourgh e tutti gli altri avrebbero preferito finire in galera piuttosto che pagare i loro debiti…Ma io volevo i loro soldi…non me ne faccio nulla di un uomo vivo dietro le sbarre.

Lord William fece un breve cenno ai cani, i quali iniziarono ad avanzare in direzione del Marchese; l’uomo spronò il cavallo ad indietreggiare.

- Certa gente ha un valore solo da morta…- sibilò Lord William.

- No…- mormorò il Marchese, cominciando a capire.- No, voi…non potete farlo…

- E invece temo proprio che lo farò, Marchese…- Lord William si finse dispiaciuto.- Ne farei a meno, capite, ma è l’unico modo per avere il vostro denaro…

- No…

- Peccato. Eravate un bravo compagno di caccia.

Lord William fece un cenno ai cani, i quali si avventarono contro il Marchese; il cavallo nitrì, disarcionandolo e dandosi alla fuga. I cani azzannarono il Marchese, puntando alla gola, ma lui si difese. Si rialzò, iniziando a correre, scomparendo nel folto della foresta, con i cani alle calcagna.

- Addio, Marchese…- ghignò Lord William, mentre le urla di dolore e disperazione dell’uomo squarciavano l’aria.

 

***

 

Catherine rimase nella cella per tutto il giorno, raggomitolata su se stessa, sconvolta.

Ma dov’era finita? Era prigioniera di quel…quel…quell’essere…quel mostro.

Era riuscita a chiudere occhio per un’ora; non aveva sognato il bel giovane, ma aveva di nuovo sentito quella voce che diceva che tutto sarebbe andato bene. Ma non ci credeva.

Aveva paura; ora era davvero spaventata. La vista di quel volto, quel viso mostruoso l’aveva sconvolta. E quell’essere, quella bestia, aveva giurato che gliel’avrebbe fatta pagare…

Scattò in piedi, osservando fuori dalla finestra. Era scesa la notte.

Non sarebbe rimasta lì in attesa della punizione, si disse. Non sarebbe rimasta in quel luogo, con quel mostro, un attimo di più.

Si sfilò una forcina dai capelli, avvicinandosi alla porta. Fece passare il fermaglio nella serratura, armeggiando con cura finché non sentì il sonoro clack della porta che si apriva.

Sorrise di soddisfazione a quel suono.

Era notte, era buio, ma non importava. Lì fuori c’era la foresta, con chissà quali animali pronti a farle la pelle, ma non aveva nessuna importanza. Avrebbe camminato al buio nel bosco, a piedi e da solo, ma sarebbe tornata a casa, da suo padre, dalla sua famiglia.

Sarebbe scappata.

Non sarebbe rimasta in quel castello, con quel mostro.

 

Angolo Autrice: Alzino la mano tutti coloro che si sono sentiti profondamente delusi da questo capitolo! **l’intero popolo di EFP alza la mano**. Ehm…ok, lo so che a molti di voi la “bestia” sembrerà deludente, ma io me lo sono immaginato così, una specie di ibrido, insomma, metà uomo e metà…qualcos’altro…:P

Scusate, se ci siete rimasti male, prometto che non succederà più…consigli e critiche sono ben accetti, anche con qualche lancio di pomodori, se necessario…

Dunque, ora si capisce chi è il fautore di tutti quegli omicidi…Ma cosa c’entrano con Catherine e la sua avventura? E riuscirà la nostra Cathy a fuggire dal castello del mostro, o incontrerà qualche difficoltà? E ancora, il padrone di casa è veramente un mostro?

Nel prossimo capitolo lo scopriremo, e daremo anche una sbirciata a quello che succede in casa di Catherine…Come si sente il mercante, dopo aver perso la sua figlia maggiore? E, soprattutto, che combina Lady Julia, ora che Cathy non è più lì a tenerla d’occhio?

Ve lo anticipo, niente di buono…J

Dunque, ringrazio tutti coloro che leggono, in particolare Ishimaru e Renesmee94 per aver aggiunto questa storia alle seguite, ed Ellyra per aver recensito.

Ciao a tutti, al prossimo capitolo!

Dora93

  
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