Per la Kurtofsky Week
3rd day – Kurtofsky
as kids
~
Save my castle
Se c’era
una cosa che Kurt amava dell’estate, quella non era il sole, il cielo azzurro,
oppure il mare. Ciò che il piccolo Kurt amava di più al mondo erano i castelli
di sabbia. Passava i pomeriggi in spiaggia a costruirne sempre di diversi:
strutture grandi o piccole, alte o basse, con fossati che perimetravano il
tutto, oppure semplicemente con delle stradine puntigliosamente delimitate con
delle conchiglie.
Tutti
i bambini, ogni volta, nel vedere le sue meravigliose creazioni, rimanevano
incantati e gli facevano un sacco di complimenti. Spesso gli chiedevano se
voleva insegnare loro a farne di così belli e il piccolino ne era lusingato.
Grazie a quelle meravigliose costruzioni, riusciva a diventare importante tra i
bambini con cui normalmente giocava di rado. Le bambine, per esempio, non lo
invitavano mai all’ora del tè, che organizzavano con la signorina Barbie e la
sua sorellina Shelly, perché insomma, lui era un
maschio e non poteva. Dal canto suo, Kurt non era molto propenso ad andare a
rotolarsi nella terra con i maschietti, solo per inseguire un pallone da calcio.
Quello, pensava, era un gioco stupido e non aveva per niente senso.
Quindi
era bello restare al sicuro sotto il suo ombrellone, in quello spazio soltanto
suo, in cui poteva ergere un castello e farci abitare i suoi amati Power Rangers. A loro serviva una
base diversa ogni volta, se non volevano essere scoperti dalla cattiva strega Bandora, e lui era felice del suo lavoro, soprattutto quando vedeva gli altri bambini fermarsi ad
osservarlo da lontano, stupiti.
Un
pomeriggio, perfino Azimio si avvicinò a lui e gli
domandò come faceva a farlo stare in piedi, quel castello, al che Kurt si
prodigò in una spiegazione che, agli occhi di un bambino, era abbastanza
complessa da essere ritenuta scientifica. Azimio, che
solitamente Kurt non sopportava neanche un po’ per la sua arroganza, rimase per
molto tempo inginocchiato a guardarlo armeggiare con palette e rastrelli, senza
dire una parola, con la bocca spalancata e, assorto com’era, quasi sobbalzò
quando il suo fidato compagno di partite a pallone lo chiamò.
‹‹Z,
ti muovi?›› esclamò quello in lontananza e Azimio si
alzò molto lentamente, iniziando ad allontanarsi a marcia indietro, non
distogliendo lo sguardo neanche per un istante dalla torre altissima che stava
venendo fuori a Kurt.
Il
suo amichetto, di nome David, si avvicinò a lui e gli afferrò un lembo della
t-shirt che indossava, per poi trascinarlo verso la riva del mare, dove era in
atto la loro partita.
‹‹Ma
non hai visto che ficata che è quel castello?›› rispose Azimio
e, sentendolo dire ciò, Kurt sorrise compiaciuto dal suo posto all’ombra,
prodigandosi a rastrellare ancora un po’ la sabbia che aveva tutt’intorno.
David
osservò il visino contento di Kurt e sbuffò, ostentando un’espressione
indifferente.
‹‹È
solo un castello›› borbottò, palesemente invidioso dell’ammirazione che gli
altri bambini mostravano nei suoi confronti, ‹‹Andiamo a giocare››.
Azimio annuì e i due tornarono
alla loro partita, dimenticandosi del castello di Kurt.
Una
mezz’oretta dopo, accadde nello stesso momento che la palla, grazie ad un
potente calcio di cui David andava fiero, volasse lontano dal loro improvvisato
campo di calcio, e che Kurt si avvicinasse alla riva per raccogliere
dell’acqua.
Azimio imprecò con qualche
frase a caso, prima di recarsi a riprendere la palla, ma le sue parole non
arrivarono completamente a David, che si era messo a seguire con lo sguardo, e
poco dopo anche coi piedi, il piccolo ingegnere. Ghignò sotto i baffi e poi
sorpassò Kurt, come per precederlo. Quest’ultimo non si accorse di nulla.
Fissava attentamente il contenuto del suo secchiello e camminava piano per
evitare di rovesciare l’acqua per strada. Poco prima di giungere al traguardo
però, non riuscì ad identificare il piede che David aveva sporto davanti a sé,
con finta nonchalance, e ruzzolò in avanti. Il secchiello si rovesciò
completamente, qualche Power Ranger finì spiaccicato
nella sabbia sotto il suo peso e il castello andò distrutto.
Kurt
rimase immobile, lungo disteso a terra, forse cercando di accertarsi che non
fosse accaduto proprio quello che più temeva: la nuova base era stata demolita.
I suoi occhioni azzurri iniziarono a riempirsi di lacrime, mentre si metteva in
ginocchio sui resti della sua amata fortezza. Singhiozzò più volte, poi non ce
la fece più e scoppiò a piangere.
David
sembrò andare nel panico. Si guardò attorno e vide che gli altri bambini
stavano alzando lo sguardo dai loro giochi per concentrarsi su ciò che era
accaduto sotto l’ombrellone di Kurt. Le femminucce dischiusero le labbra con
sguardo sconvolto, nel vedere il disastro, mentre i maschietti se ne stavano a
guardare dispiaciuti. David scorse Azimio che lo
fissava e scuoteva la testa come a dire “Che diamine hai combinato, D?”. Tornò
a rivolgere la sua attenzione a Kurt, i cui lamenti erano diventati più forti e
stridenti e le cui lacrime stavano iniziando a gocciolare sulla sabbia. Si mise
i palmi sulle orecchie, visto che iniziava a non sopportare più quei guaiti, ma
quello non gli servì perché la voce del bambino era così forte da aver fatto
preoccupare perfino gli adulti. Tutti gli sguardi erano su di loro e David
doveva fare qualcosa.
‹‹Ehi,
su, non piangere›› gli disse, ma le sue parole non riuscirono a superare il
tono di voce di Kurt, così urlò più forte, ‹‹Smettila di piangere!›› al che il
bambino sobbalzò, zittendosi ed iniziando a guardarlo con un cipiglio irritato.
‹‹Pe-
perché mi hai fatto cadere?›› mugugnò Kurt tra un singhiozzo e l’altro.
David
si grattò la testa.
‹‹Non
l’ho fatto apposta›› mentì.
‹‹Bugiardo…››
pigolò Kurt, mettendo il broncio e singhiozzando più forte.
‹‹Scemo,
non iniziare di nuovo a piangere!›› gli ordinò David e l’altro, a
quell’insulto, aggrottò di più le sopracciglia, furioso, continuando comunque a
frignare. ‹‹Il castello non si aggiusta mica da solo!›› lo rimproverò. Era
strano a dirsi, ma vederlo gettare la spugna dava un fastidio enorme a David,
soprattutto dopo averlo visto costruire certe stupende roccaforti.
‹‹Non
ce la farò mai›› si lamentò Kurt, ‹‹La strega Bandora
arriverà prima che io finisca e i miei Power Rangers non avranno scampo››.
Adesso
David capiva. Kurt doveva salvare i suoi eroi. Il suo non era un modo per
mettersi in mostra, ma solo per riuscire a tenerli al sicuro. Doveva aiutarlo.
‹‹Allora
ti darò una mano›› esclamò risoluto, chinandosi per raccogliere il secchiello
di Kurt.
‹‹Mi
aiuterai davvero?›› domandò Kurt incredulo, trovando finalmente la forza per
alzarsi in piedi.
Le
guance di David si colorarono di rosa e gli rispose, impacciato: ‹‹C- certo!
Non voglio avere sulla coscienza i tuoi Power Rangers››.
La
bocca di Kurt divenne una piccola “o” e i suoi occhi si illuminarono alla vista
del suo nuovo eroe.
‹‹Grazie,
David›› sussurrò ammirato.
‹‹Dave, chiamami Dave. Adesso abbiamo
una missione da compiere insieme›› spiegò l’altro bambino e per loro quella
cosa sembrava avere un senso vero e proprio, un senso che solo loro potevano
percepire.
Kurt
annuì e gli rivolse un sorriso radioso.
‹‹Allora
mettiamoci al lavoro, Dave››.
Fine.