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Autore: Vals Fanwriter    01/05/2012    6 recensioni
Se c’era una cosa che Kurt amava dell’estate, quella non era il sole, il cielo azzurro, oppure il mare. Ciò che il piccolo Kurt amava di più al mondo erano i castelli di sabbia.
Per la Kurtofsky Week | 3rd day – Kurtofsky as kids
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Dave Karofsky, Kurt Hummel | Coppie: Dave/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Kurtofsky Week 2012'
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Per la Kurtofsky Week

3rd day – Kurtofsky as kids

 

~

 

Save my castle

 

 

 

Se c’era una cosa che Kurt amava dell’estate, quella non era il sole, il cielo azzurro, oppure il mare. Ciò che il piccolo Kurt amava di più al mondo erano i castelli di sabbia. Passava i pomeriggi in spiaggia a costruirne sempre di diversi: strutture grandi o piccole, alte o basse, con fossati che perimetravano il tutto, oppure semplicemente con delle stradine puntigliosamente delimitate con delle conchiglie.

Tutti i bambini, ogni volta, nel vedere le sue meravigliose creazioni, rimanevano incantati e gli facevano un sacco di complimenti. Spesso gli chiedevano se voleva insegnare loro a farne di così belli e il piccolino ne era lusingato. Grazie a quelle meravigliose costruzioni, riusciva a diventare importante tra i bambini con cui normalmente giocava di rado. Le bambine, per esempio, non lo invitavano mai all’ora del tè, che organizzavano con la signorina Barbie e la sua sorellina Shelly, perché insomma, lui era un maschio e non poteva. Dal canto suo, Kurt non era molto propenso ad andare a rotolarsi nella terra con i maschietti, solo per inseguire un pallone da calcio. Quello, pensava, era un gioco stupido e non aveva per niente senso.

Quindi era bello restare al sicuro sotto il suo ombrellone, in quello spazio soltanto suo, in cui poteva ergere un castello e farci abitare i suoi amati Power Rangers. A loro serviva una base diversa ogni volta, se non volevano essere scoperti dalla cattiva strega Bandora, e lui era felice del suo lavoro, soprattutto quando vedeva gli altri bambini fermarsi ad osservarlo da lontano, stupiti.

Un pomeriggio, perfino Azimio si avvicinò a lui e gli domandò come faceva a farlo stare in piedi, quel castello, al che Kurt si prodigò in una spiegazione che, agli occhi di un bambino, era abbastanza complessa da essere ritenuta scientifica. Azimio, che solitamente Kurt non sopportava neanche un po’ per la sua arroganza, rimase per molto tempo inginocchiato a guardarlo armeggiare con palette e rastrelli, senza dire una parola, con la bocca spalancata e, assorto com’era, quasi sobbalzò quando il suo fidato compagno di partite a pallone lo chiamò.

‹‹Z, ti muovi?›› esclamò quello in lontananza e Azimio si alzò molto lentamente, iniziando ad allontanarsi a marcia indietro, non distogliendo lo sguardo neanche per un istante dalla torre altissima che stava venendo fuori a Kurt.

Il suo amichetto, di nome David, si avvicinò a lui e gli afferrò un lembo della t-shirt che indossava, per poi trascinarlo verso la riva del mare, dove era in atto la loro partita.

‹‹Ma non hai visto che ficata che è quel castello?›› rispose Azimio e, sentendolo dire ciò, Kurt sorrise compiaciuto dal suo posto all’ombra, prodigandosi a rastrellare ancora un po’ la sabbia che aveva tutt’intorno.

David osservò il visino contento di Kurt e sbuffò, ostentando un’espressione indifferente.

‹‹È solo un castello›› borbottò, palesemente invidioso dell’ammirazione che gli altri bambini mostravano nei suoi confronti, ‹‹Andiamo a giocare››.

Azimio annuì e i due tornarono alla loro partita, dimenticandosi del castello di Kurt.

Una mezz’oretta dopo, accadde nello stesso momento che la palla, grazie ad un potente calcio di cui David andava fiero, volasse lontano dal loro improvvisato campo di calcio, e che Kurt si avvicinasse alla riva per raccogliere dell’acqua.

Azimio imprecò con qualche frase a caso, prima di recarsi a riprendere la palla, ma le sue parole non arrivarono completamente a David, che si era messo a seguire con lo sguardo, e poco dopo anche coi piedi, il piccolo ingegnere. Ghignò sotto i baffi e poi sorpassò Kurt, come per precederlo. Quest’ultimo non si accorse di nulla. Fissava attentamente il contenuto del suo secchiello e camminava piano per evitare di rovesciare l’acqua per strada. Poco prima di giungere al traguardo però, non riuscì ad identificare il piede che David aveva sporto davanti a sé, con finta nonchalance, e ruzzolò in avanti. Il secchiello si rovesciò completamente, qualche Power Ranger finì spiaccicato nella sabbia sotto il suo peso e il castello andò distrutto.

Kurt rimase immobile, lungo disteso a terra, forse cercando di accertarsi che non fosse accaduto proprio quello che più temeva: la nuova base era stata demolita. I suoi occhioni azzurri iniziarono a riempirsi di lacrime, mentre si metteva in ginocchio sui resti della sua amata fortezza. Singhiozzò più volte, poi non ce la fece più e scoppiò a piangere.

David sembrò andare nel panico. Si guardò attorno e vide che gli altri bambini stavano alzando lo sguardo dai loro giochi per concentrarsi su ciò che era accaduto sotto l’ombrellone di Kurt. Le femminucce dischiusero le labbra con sguardo sconvolto, nel vedere il disastro, mentre i maschietti se ne stavano a guardare dispiaciuti. David scorse Azimio che lo fissava e scuoteva la testa come a dire “Che diamine hai combinato, D?”. Tornò a rivolgere la sua attenzione a Kurt, i cui lamenti erano diventati più forti e stridenti e le cui lacrime stavano iniziando a gocciolare sulla sabbia. Si mise i palmi sulle orecchie, visto che iniziava a non sopportare più quei guaiti, ma quello non gli servì perché la voce del bambino era così forte da aver fatto preoccupare perfino gli adulti. Tutti gli sguardi erano su di loro e David doveva fare qualcosa.

‹‹Ehi, su, non piangere›› gli disse, ma le sue parole non riuscirono a superare il tono di voce di Kurt, così urlò più forte, ‹‹Smettila di piangere!›› al che il bambino sobbalzò, zittendosi ed iniziando a guardarlo con un cipiglio irritato.

‹‹Pe- perché mi hai fatto cadere?›› mugugnò Kurt tra un singhiozzo e l’altro.

David si grattò la testa.

‹‹Non l’ho fatto apposta›› mentì.

‹‹Bugiardo…›› pigolò Kurt, mettendo il broncio e singhiozzando più forte.

‹‹Scemo, non iniziare di nuovo a piangere!›› gli ordinò David e l’altro, a quell’insulto, aggrottò di più le sopracciglia, furioso, continuando comunque a frignare. ‹‹Il castello non si aggiusta mica da solo!›› lo rimproverò. Era strano a dirsi, ma vederlo gettare la spugna dava un fastidio enorme a David, soprattutto dopo averlo visto costruire certe stupende roccaforti.

‹‹Non ce la farò mai›› si lamentò Kurt, ‹‹La strega Bandora arriverà prima che io finisca e i miei Power Rangers non avranno scampo››.

Adesso David capiva. Kurt doveva salvare i suoi eroi. Il suo non era un modo per mettersi in mostra, ma solo per riuscire a tenerli al sicuro. Doveva aiutarlo.

‹‹Allora ti darò una mano›› esclamò risoluto, chinandosi per raccogliere il secchiello di Kurt.

‹‹Mi aiuterai davvero?›› domandò Kurt incredulo, trovando finalmente la forza per alzarsi in piedi.

Le guance di David si colorarono di rosa e gli rispose, impacciato: ‹‹C- certo! Non voglio avere sulla coscienza i tuoi Power Rangers››.

La bocca di Kurt divenne una piccola “o” e i suoi occhi si illuminarono alla vista del suo nuovo eroe.

‹‹Grazie, David›› sussurrò ammirato.

‹‹Dave, chiamami Dave. Adesso abbiamo una missione da compiere insieme›› spiegò l’altro bambino e per loro quella cosa sembrava avere un senso vero e proprio, un senso che solo loro potevano percepire.

Kurt annuì e gli rivolse un sorriso radioso.

‹‹Allora mettiamoci al lavoro, Dave››.

 

Fine.

   
 
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