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Autore: Hellionor    01/05/2012    3 recensioni
Si dice che Deimos, un giorno, quando l'attrazione di Marte diventerà troppo forte, si schianterà sul pianeta stesso; mentre Phobos scivolerà verso gli inesistenti confini dell'Universo.
Altri, invece, ipotizzano che anche il secondo, dopo l'impatto del primo, finirà a collidere con Marte.
E così, i due satelliti verranno divisi e distrutti proprio dallo stesso che li aveva avvicinati.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buooongiorno!
Eccomi qui, in questi due giorni ho scritto un capitolo, quindi posso tranquillamentissimamente (?) aggiornare, con vostra grande gioia.
Be', questo capitolo è un po' lunghetto, lo so, ma succedono talmente tante cose...
Buona lettura a tutti,
Nora



Capitolo 16
19 ore



“Posso rapirti domani pomeriggio?”
Nimhea sorrise. E questa volta non poté permettersi di negarlo a se stessa: era davanti ad uno specchio, aveva visto arcuarsi le labbra, le aveva osservate tendersi verso gli occhi illuminati all'improvviso, lasciando allo scoperto i denti bianchi.
“Non credo avresti mai molto successo come rapitore.” rispose lei, aggirando la domanda. Sapeva che in un modo o nell'altro sarebbe riuscito a portarla fuori.
'Ciao Shannon, domani partiamo e torno in Italia, quindi lasciami stare, ti prego.' quello sì che sarebbe stato un attacco più convincente. 'Ciao Shannon, non fare altri casini e lascia che ti dimentichi in santa pace.' questo invece era troppo triste, nonostante coincidesse alla perfezione con il piano che si era prefissata.
L'uomo, in piedi in cucina, tamburellò con le dita sul piano del tavolo, e decise di stare al gioco, squarciando il velo di silenzio pensieroso dall'altro capo del telefono.“Tu dici?”
“Dico.”
“Allora non resta che scoprirlo.” disse con voce calma, calda quasi come il sole.
Nim finse di non sentirsi come l'asfalto che straziato, fuori dalla finestra della stanza, implorava d'avere un po' d'ombra, almeno per evitare di sciogliersi.
“Ecco, io non so se posso... vedi, Andrea....”
“Passamela.”
Il suo tono era deciso, come se si fosse preparato a dover affrontare una situazione del genere. Il suo tono sembrava ancora più deciso di quanto fosse in realtà, in confronto al balbettio di Nimhea.
“Come?” finse di non capire lei.
“Posso parlare con lei?”
“Perché?”
“Perché sì!” disse ridendo Shannon. “Dai, su, non temere. Due secondi!”
Nimhea lanciò uno sguardo implorante all'amica, pregandola di non accennare minimamente al fatto che l'indomani sarebbero ripartite.
“Non ti preoccupare. È tutta tua.” la sentì rispondere, dopo qualche secondo.
“Tutta tua? No, ma grazie Nare, vendimi così!” le sussurrò in italiano ridendo, mentre riprendeva in mano il telefono.
“Passo a prenderti verso le quattro.”
“Va bene. Hai intenzione di venire in moto?”
Shan rise per il tono preoccupato della ragazza. “Ok ok, non vengo in moto, promesso.”
“No, puoi, cioè, fai come ti pare insomma... è solo che mi devo preparare!” rispose con una risata. Come le era venuto in mente di pensare alla moto?
“Allora passo tra due ore.”
“Sì, a tra” Nim prese un respiro profondo, quasi le costasse fin troppo fiato pronunciare anche solo un'altra parola “poco.”
“Ciao.”
Quando la telefonata finì, Nimhea si sedette sul letto, percorse con due dita della mano destra l'arcata delle sopracciglia per poi muoversi verso i capelli, che spostò con un gesto nervoso. Poi si lasciò scivolare supina sopra alle lenzuola morbide.
Andrea guardò gli occhi chiari dell'amica chiudersi sui pensieri.
“Nim, non avere paura.”
“Io non ho paura.”
“Devi dirgli che domani partiamo.”
“Lo so.” rispose alzandosi e sfoggiando un sorriso melanconico. “Non ti dispiace che vada? Volevo stare con te, l'ultima sera qui.”
“Siamo state insieme due settimane, vai.” sorrise Andrea passandole una mano dietro alla schiena e stringendosi a lei.
“Però usciamo a cena.”
“Questo è ovvio.”
Nimhea sorrise e si guardò intorno. Le valigie erano ormai piene e difficili da chiudersi, i biglietti dell'aereo e tutti i documenti, preparati per la mattina successiva, riposavano sul tavolo in attesa di rendersi utili.
Anche le foto per il concorso erano pronte, Nare entusiasta e sicura del successo, Nimhea un po' meno.
In fondo non sarebbe stato così difficile sopravvivere alla serata. Bastava accettare quel limite. Bastava rassegnarsi ad avere un tempo contato: 19 ore. In 1140 minuti avrebbe detto addio a quella città che le aveva accolte due settimane prima. Avrebbe salutato l'albergo, il cuscino che ormai aveva il suo profumo nonostante le federe fossero state cambiate, le strade caotiche, il sole cocente, i grattacieli abbaglianti. Avrebbe salutato Shannon e quel saluto, a differenza di tutti gli altri, sarebbe stato eterno. L'albergo, i grattacieli, il sole... tutto sarebbe rimasto. E forse, la cosa che faceva veramente più male e che sembrava incastrare il cuore nel tempo, era che 1140 minuti sembravano quasi tanti, davanti a lei.


“A cosa devo questa puntualità incredibile?”
Nim si voltò verso destra, e osservò l'uomo quasi cercasse una conferma della sua reale presenza.
“Eravamo su a non fare niente e sono scesa in anticipo.” spiegò brevemente. Sistemò la borsa a tracolla sulla camicia chiara sbottonata e lisciò il lembo inferiore della canottiera sui pantaloncini di jeans.
“Sarà che non vedevi l'ora vedermi?”
“Sicuramente.” rispose con un sorriso e accettando il braccio che le aveva offerto, anche se con qualche secondo di indecisione, timorosa che la sua fragilità potesse essere distrutta dalla sua forza, o ancor peggio protetta. La sua pelle combaciava alla perfezione, in quel poco spazio concessole, all'avambraccio dell'uomo.
Abbassò lo sguardo, cercando di sfuggire alla strana sensazione di imbarazzata agitazione che la percuoteva.
“Belle scarpe.” sussurrò, notando i colori improponibili ai piedi dell'uomo.
Shannon la guardò. Sembrava rassegnato e allo stesso tempo divertito, quasi quella constatazione fosse già stabilita da un copione, ma tutte le volte si stupisse di non trovare una risposta giusta da dare. “Non capisco perché vi accanite tutti sulle mie scarpe. Cos'hanno di male?”
“Niente no, cioè, ecco, ammiro il tuo coraggio.”
“È una presa in giro implicita?”
“Non credo sia molto implicita.” disse Nim scuotendo la testa con fare saccente e stringendo inconsapevolmente il braccio, come se avesse paura di poter essere allontanata così rapidamente.
“Mi chiedo perché non ti sia candidata a Miss simpatia 2011.”
“Probabilmente perché avrei rischiato di batterti.”
“Vuoi avere sempre l'ultima parola, eh? Sei una cosa pazzesca.”
“Spero per te che sia un complimento.” ribatté con un sorriso.
Shannon rise e le diede una spinta leggera verso destra, a cui lei provò a rispondere con poco successo.
“Allora, come hai intenzione di portarmi non so dove, questa volta?”
“Il taxi è una scelta così tragica?”
“No, credo sopravviverò.”
“Non volevo farti morire di caldo, tesoro.”
“Ancora con 'sto tesoro?” rise Nimhea. Si sentì bella in quell'istante, forse senza un vero motivo. Si sentì bella per le gambe abbronzate che fendevano l'asfalto a ritmo, si sentì bella per il sorriso splendente e per gli occhi illuminati, si sentì bella perché era felice, si sentì bella perché era accanto a lui. Ecco a cosa non era disposta a rinunciare.
“Faccio così ridere?”
“Non devo ridere?”
“No. Sei bella quando ridi.”
Nimhea arrossì e si rese conto di averlo guardato fino a quel momento, quando di nuovo distolse lo sguardo. “Questa volta te lo concedo, va bene.”
“Ti ho fatta imbarazzare!” esultò l'uomo, avvicinandosi ad un taxi.
“Devo farti i complimenti?” domandò lei scontrosa, salendo sulla vettura, mentre alla sua mente balenò il ricordo del pomeriggio a Venice beach. Non era possibile che fosse già passato così tanto tempo.
“Che hai?”
“Niente.” rispose voltandosi verso di lui, con un sorriso che voleva apparire rassicurante.
Shannon dettò un indirizzo al conducente nascosto dal sedile e la vettura partì. Questa volta il viaggio fu silenzioso e sembrò terribilmente lungo. Nimhea osservava la città strisciare fuori dal finestrino e non aveva nessun'intenzione di osservare l'uomo alla guida, né quello che, seduto accanto a lei, si tormentava per trovare qualcosa da dire, senza riuscirci.
Quando scesero dall'auto, il sole sembrò restituire alla ragazza un po' di tranquillità. Tornò a sorridere, distese lo sguardo e aprì le spalle, si sentì stupida e si dispiacque per quel suo comportamento incomprensibile ed infantile.
Si lasciò guidare fino ad entrare nel giardino di una casa chiara. Tra loro e l'ingresso, si trovava una piscina, la cui acqua chiara sembrava invitarli a lasciarsi andare alla sua freschezza, scappando dal caldo.
“È casa tua?” domandò Nim, spezzando il silenzio. Nel suo tono si nascondevano anche quelle scuse che tanto avrebbe voluto dire, ma che si erano incastrate in gola.
“No, in realtà è di mio fratello. Però diciamo che è un po' condivisa.”
Il suo sorriso sembrò rispondere a tutto quello che non era riuscita a dire, dimostrando ancora una volta che quell'uomo era in grado di capirla più di quanto sperasse. Poi, le sue labbra si arcuarono ulteriormente e i suoi occhi si dipinsero di una nuova luce.
“Scommettiamo che mi tuffo?”
“È una scommessa inutile!” rispose ridendo Nimhea e osservando i suoi occhi di quell'indefinibile e ineguagliabile colore.
“Non è inutile, è una scommessa, bisogna solo decidere qual è la posta in gioco.”
“Sì che è inutile. Se vuoi ti tuffi, altrimenti non lo fai! Non è una scommessa.”
“Se vinco io, ti tuffi anche tu.”
“Non ho nessuna intenzione di farlo, Shannon! Dipende tutto da te. Non puoi perdere, qui.”
“Appunto.” disse lui, svuotando le tasche lontano dall'acqua e lanciandosi in piscina.
Nimhea, incredula, sbatté le palpebre più volte. A quanto pareva era destinato a finire in acqua vestito, quell'uomo.
Shannon tornò a galla, con un sorriso che lo fece sentire in qualche modo vincente, seppure cosciente di aver barato spudoratamente.
“Vuoi uscire o no?” chiese Nim con voce seria.
“Mi devi ancora un bagno in piscina.”
Sembrava calmo. Troppo calmo. “Io non ti devo niente. Non ho accettato nessuna scommessa.”
Prese un altro respiro e, cercando di essere il più convincente possibile, disse: “Esci, dai!”
Sul suo volto troneggiava un sorriso, ma, visto che l'uomo non dava intenzione di muoversi e anzi, si avvicinava al bordo della vasca, osservandola dal basso in alto, si sfilò la camicia e la infilò nella borsa, lasciandola per terra lontana dall'acqua e allungò una mano verso di lui, più che altro per abitudine o simbolismo: di certo non sarebbe mai riuscita a tirarlo su così.
Lui le afferrò il polso con una stretta troppo forte per potersi svincolare, nonostante la pelle bagnata. Nim lo guardò con occhi taglienti, e rimase interdetta nel vedere che non aveva nessun'intenzione di rompere quel contatto. “Shannon lasciami andare immediatamente.” scandì con la mascella serrata.
“Altrimenti cosa fai? Vieni qui?” aveva un'espressione vittoriosa e spavalda.
“Sei scorretto.”
Quelle, che riecheggiarono come l'ultimo desiderio di un condannato a morte, furono le ultime parole che le sue labbra incisero nell'aria, prima che finisse velocemente in acqua.
“Tu sei” Nimhea prese un respiro enorme, tentando di calmarsi, poi continuò a parlare “Tu sei un pazzo, idiota, deficiente. Tu... guarda come sono adesso!”
“Sei bellissima.”
“Vaffanculo Shannon. Vaffanculo.” rispose senza muoversi e guardando ancora incredula i suoi vestiti bagnati e sentendo l'acqua che la separava dal fondo della vasca.
“Non farla tragica. Fa così caldo, fuori.” disse avvicinandosi a lei.
“Sì, e ti dovrei ringraziare, suppongo!”
Nim alzò lo sguardo verso di lui. Sperava che i suoi occhi, tra il sole e l'acqua, si fossero schiariti e fossero gelati, almeno quanto bastasse a farlo riflettere.
“Prego.”
Le sue iridi, il suo volto, lui... era troppo vicino.
“Non credere che non mi sappia vendicare!” esclamò allontanandosi quanto bastava per riprendere il controllo di sé.
“Cosa vorresti fare?”
“Non lo so, ma inizio così!”
Nimhea iniziò a schizzarlo velocemente, divertita, mentre guardava le espressioni sulla sua faccia tempestata di gocce passare da una sfumatura all'altra.
“Ferma!” tuonò lui ridendo e cercando di afferrarle le braccia per fermarla. Quando riuscì a bloccarla, si spostò di qualche metro in modo da riuscire a toccare il fondo. I loro occhi si scontrarono per diversi secondi. Erano così diversi e così simili. Erano in fondo così terribilmente vicini. Erano insieme e tutto sembrava essere così maledettamente facile.
-Nimhea, inventati qualcosa ti prego. Siete da soli, in piscina. Siete troppo vicini. Sei sempre scappata, no? Sai farlo anche ora.-
Sentiva le sue mani sciogliere piano la stretta intorno alle braccia e lasciarla libera. “Avrei potuto provare ad affogarti, ma sarebbe stato più difficile.” gli disse, ruotandogli intorno per sfuggire al suo sguardo.
“Credo non riusciresti mai.”
“Senti vecchietto, avrai due bicipiti grandi più o meno otto volte i miei, però questo non ti autorizza a sottovalutare le mie capacità.” ribatté Nim, completando il giro e tenendo l'indice ben alzato davanti al suo naso, quasi ad indicare che anche le alte sfere approvavano quel suo ragionamento.
Shannon scoppiò a ridere e si avvicinò di qualche centimetro, sussurrandole quasi sulle labbra con un sorriso provocatorio “Basta spingere.”
“Come se io non lo sapessi!”
Perché era cambiata anche la sua voce? Il suo tono adesso sfiorava una provocazione decisamente eccessiva. Doveva distrarsi, immediatamente.
Shan la osservò curioso. Per un istante, sembrò vedere chiaramente quello che stava accadendo, come se improvvisamente un lampo li avesse illuminati per poi lasciarli di nuovo nell'oscurità. Per la prima volta, in realtà, si fermò a pensare che, se avesse voluto, sarebbe benissimo riuscito ad averla. Le sue labbra erano così vicine, il suo corpo quasi a contatto con il suo. E la voleva. Eppure non mosse un muscolo, non ripeté quei movimenti che ormai non sembravano più suoi e che ripeteva ritmicamente. Non doveva farla scappare, non adesso che era riuscito ad avvicinarsi così tanto. Insomma, per quale motivo l'aveva invitata lì? Per potersi divertire ancora? Perché diventasse una delle tante?
Si allontanò e si issò con le spalle fino ad uscire dall'acqua. “Non puoi stare con tutti i vestiti fradici, vieni.” le disse con un sorriso e l'aiutò ad uscire.
Nimhea si limitò ad annuire, confusa, e recuperò la borsa. Non aveva dovuto fare niente, nemmeno tentare di scappare. E, senza agire, si ha tutto il tempo di pensare a quello che si sta facendo, torturandosi per trovare motivazioni ugualmente insensate.
“Vuoi fare una doccia?”
“Farò più tardi in albergo. Adesso ti ruberei solo una maglietta, se posso.” rispose con un sorriso. Si lasciò guidare all'interno della casa, senza fare in realtà troppa attenzione a ciò che la circondava. Le scarpe bagnate si appiccicavano al suolo con un rumore umido e scomodo.
Entrarono in una camera da letto. Di sicuro non era la principale, anzi, probabilmente era quella che il fratello aveva lasciato a Shannon. Questi si diresse verso un cassettone, lo aprì, ed estrasse velocemente una maglia e un paio di pantaloni, mentre Nimhea rimaneva poco più indietro ad osservarlo.
“Vediamo cosa posso darti... saranno in tutto tre magliette, quindi non c'è molta scelta.” annunciò con aria pensosa. “Questa credo proprio di no.” continuò con una risatina, cacciando una canottiera in fondo al cassetto.
“Perché?” domandò incuriosita.
“È meglio che non ti veda con una cosa così addosso.”
Quello che non era riuscito ad essere chiaro nelle sue parole, fu sintetizzato da un lungo sguardo, dopo di che Shan si voltò, guardò nel cassetto e prese un'altra canottiera che le lanciò velocemente con un sorriso.
Nim si sentiva lontana da tutto, sembrava impossibile concepire quella situazione. Non era nei piani, no. Non sarebbe dovuto accadere niente del genere. Anche se di fatto non era successo nulla. Anche se di fatto... di fatto aveva desiderato che succedesse qualcosa.
“A cosa stai pensando?”
La voce dell'uomo la strappò alle sue condanne. Chissà che ore erano, chissà quanto tempo era passato ormai...
“A niente.” rispose, osservandolo mentre toglieva la maglietta inzuppata e la lasciava a terra. Ne osservò la schiena e tracciò i confini di ogni muscolo, provando l'impulso irrefrenabile di permettere alle sue dita di sfiorare piano la spina dorsale, arrivando a quel tatuaggio che non aveva mai notato veramente, prima. Un globo, le Americhe. Per qualche strano motivo le parve di ritrovarsi anche lei, lì, nascosta in un puntino sperso nel nulla. Insieme a lui.
“Fai pure, eh?” disse sarcastica, riprendendo il controllo di sé.
“Cosa? Ah, giusto.”
I suoi occhi, particolarmente verdi quel pomeriggio, sembravano smarriti e la sua voce aveva un tono così calcolatamente innocente, che Nimhea, se prima si era lievemente lasciata andare, ritrovò completamente le briglie e si impose su se stessa. In qualsiasi caso, preferì distogliere lo sguardo mentre passava accanto a lei, per lasciarle la stanza libera.
“Sei imbarazzata.” constatò divertito, prima di chiudere velocemente la porta alle sue spalle e di concederle un po' di solitudine.
Nim alzò la voce, in modo da farsi sentire. “Io non sono imbarazzata!”
-Io non sono imbarazzata.- ripeté mentalmente mentre si cambiava il più rapidamente possibile, cercando di riflettersi nel vetro della finestra per guardare in che stato pietoso fossero i suoi capelli, che imprigionò in uno chignon sulla nuca. Di sicuro non aveva alcun problema con il trucco, visto che aveva messo solo un po' di mascara assolutamente resistente all'acqua (e di questo era ben sicura: faceva fatica persino a toglierlo quando lavava il viso a fine giornata).
Squadrò poi la maglia che avrebbe dovuto indossare e strabuzzò gli occhi, infilandola senza pensarci troppo. Sul tessuto scuro era raffigurato un cavallo bianco, incorniciato, sopra e sotto, dalla scritta 'white horse'. Appoggiata al cavallo, una ragazza...
-Nim, non pensarci. Non pensarci. Non pensarci.- si disse, sollevando con l'indice il tessuto e pensando a come sistemare i profondi tagli laterali che le lasciavano scoperti i fianchi.
-Non voglio sapere come doveva essere l'altra maglietta.-
Fortunatamente, ricordò di avere in borsa la camicia e per un istante pensò anche di poter indossare solo quella, rimanendo delusa dal fatto che avesse il reggiseno bordeaux bagnato che di certo si sarebbe visto alla perfezione sotto al tessuto leggero e bianco.
Senza esitare ancora, infilò l'indumento di salvezza sopra a quello prestatole ed uscì dalla stanza.
“Ti sta bene.” disse lui. Non sembrava prenderla in giro, ma sul suo volto c'era un sorriso divertito. “Sembri così piccola.” sussurrò abbassando lo sguardo.
“Sei tu ad essere troppo grande.”
“Troppo grande per te?” il suo mento tornò ad alzarsi, in segno di sfida.
“Forse.”
Shannon rise, sollevando le braccia come a dire che non l'avrebbe mai capita. E in fondo sapeva bene che, almeno in quel caso, non era poi così difficile arrivare alle sue verità. Inoltre, doveva ammettere che quel suo continuo rispondere e sfuggirgli, sebbene lo innervosisse, lo divertiva oltremodo.
“Giro della casa?”
“Va bene.” sorrise lei.
Era più che altro curiosa di guardarsi intorno e impossessarsi mentalmente di tutti quei dettagli che non avrebbe più rivisto. Voleva ricordare tutto, come se stesse scattando una fotografia ad ogni millimetro di quella casa.
“Un attimo, ho lasciato su il telefono. Aspettami qui, siediti!” disse Shannon, sparendo sulle scale e lasciandola nel salotto luminoso che si apriva proprio all'ingresso. Rimase un po' interdetta in piedi a guardarsi intorno, poi si lasciò scivolare su di un divano e si sedette. Ma, non appena riuscì a tranquillizzarsi un attimo, seduta lì, sentì la porta alla sua destra aprirsi e si scontrò con le iridi chiare di Jared.
“Ciao Nim!”
Si alzò velocemente. “Oh, ciao Jared.” perché il suo nome in bocca a lei usciva come un balbettio insignificante? “Scusa l'intrusione, io non...”
“Non ti preoccupare. Shannon mi aveva avvisato.” rispose lui con un sorriso splendente. “Visto che mio fratello è troppo testardo per chiedertelo: quanti anni hai?”
Il suo tono di voce non era invadente, né fastidioso. Sembrava semplicemente curioso.
“Ventisette.”
“Sappi che mi hai appena fatto vincere una scommessa con... be', non importa con chi. Avevo indovinato!”
“Credo sia tuo fratello, quello che sconvolge il mondo dicendo la sua età.”
“Non è l'unico.”
“Oddio, tu quanti anni hai? Ottanta?!” chiese ridendo e puntandogli addosso i suoi occhi chiari. Non aveva paura di sfidare il ghiaccio, no.
“Trentanove.”
“Ma non è possibile.” sussurrò in un misto di disperazione e ironia la ragazza, prima di rendersi conto d'indossare di fronte ad un uomo sconosciuto, famoso, e quasi quarantenne, solo una lunga canottiera del fratello che arrivava a coprirle anche i pantaloncini bagnati.
“Non arrossire, ormai ci sono abituato.”
“Sono io quella non abituata.”
“E così sei caduta anche tu. Un'altra vittima.” andò avanti con un sorriso beffardo lui. Sembrava stupito e infastidito, quasi avesse scommesso di più su di lei e sulla sua capacità di resistenza.
“Io? Cosa?” domandò Nimhea imbarazzata. “Veramente mi ha catapultata in piscina e mi ha prestato una sua maglietta, tutto qui.”
“Ah. Voi non...?”
“Noi niente!” esclamò arrossendo ancora più violentemente e sentendosi stringere dalla schiena. La pelle scoperta dei fianchi rabbrividì al contatto con le braccia dell'uomo.
“Noi niente cosa?” disse Shannon con voce suadente a qualche centimetro dal suo orecchio.
Nimhea spostò prima un braccio, poi l'altro, sillabando a ritmo un 'Niente', mentre osservava Jared ridere e alzare gli occhi al cielo, scuotendo lievemente il capo.
Il tempo trascorse, non senza incespicare qualche volta perché finito in situazioni troppo rischiose, tra chiacchiere e discorsi interessanti.
“Ah, Shan, andremo a Parigi, la città della moda.” disse Jared, mentre le iridi azzurre si ingigantivano luccicanti.
“La città della moda è Milano.” si lasciò sfuggire Nimhea. Non che osasse andare contro l'adorazione per quella città che ristagnava negli occhi dell'uomo, ma era stato più forte di lei aprire bocca per difendere casa sua.
“Ma quale Milano! L'unica città della moda è Parigi.”
“Ma ti prego, cos'hanno in più di noi i parigini? Le baguette?”
“Nim, direi che è ora di andare.” disse Shannon tutto d'un fiato, tirandola per un braccio e inserendosi tra lei e il fratello.
“Ciao Jared, noi andiamo.”
“Ciao.” ridacchiò lui e trascinandola all'esterno, dove il sole e il caldo si riaffacciarono su di loro e sull'acqua della piscina, che rifletteva disegni d'onde sulle pareti bianche della casa.
“Tu sei pazza! Pazza, pazza, pazza!” esclamò ridendo e bloccandosi davanti a lei. In quel 'pazza', probabilmente, si erano nascoste tante di quelle parole che i suoi occhi sentirono la necessità di rafforzarla e di chiarirsi con uno sguardo importante.
“E perché mai?”
“Mio fratello ama Parigi, abbiamo origini francesi e...”
“Ops.” rispose con aria innocua ed innocente.
“Ops?”
La risata dell'uomo risuonò ancora, mentre si dirigevano verso la stessa auto che due sere prima le aveva accompagnate alla festa.
“Direi che lasciamo perdere i taxi ora, eh?”
Nim annuì e salì in macchina, elencando mentalmente tutte le cose che aveva quando era arrivata lì qualche ora prima e cercandole, sperando di non aver dimenticato niente. Non lì. Non per sempre.
Il viaggio fu breve e silenzioso, proprio adesso che iniziava a desiderare che il tempo tirasse fuori qualche coccio di vetro e bucasse le ruote dell'auto, rallentandoli. Eppure, desideri o meno, i secondi continuavano a scorrere, e di sessanta in sessanta incidevano minuti pesanti, fangosi, difficili.
Doveva dirglielo, tirare fuori il coraggio e parlargli.
-'Shannon, domani parto.' Non è poi così difficile, no? 'Shannon, domani parto e boh, addio.' Non è difficile. È un addio. Addio e difficile non sono sinonimi. Addio è... è troppo difficile. Tutto troppo difficile.-
I pensieri di Nimhea continuarono su questa scia fino a quando sentì l'auto fermarsi e vide fuori dal finestrino il suo hotel e si maledisse per non aver aperto bocca.
“Se aspetti due secondi o vuoi salire, cambio la maglietta e ti restituisco la tua.” disse sorridendo, prima di aprire la portiera e scendere.
“Non ce n'è bisogno, me la ridarai.”
Nim si dondolò un po' sulle punte, continuando a passare lo sguardo su ciò che la circondava, senza avere il coraggio di soffermarsi su di lui. “Domani parto.” annunciò poi tutto d'un fiato.
“Oh, e quanto aspettavi a dirmelo?”
Si era incrinato qualcosa, l'aveva sentito. Si era incrinato qualcosa e, nonostante rimanesse dritto e forte, sembrava si stesse accartocciando.
“Te l'avrei detto.”
“Forse domani, quando ormai saresti stata sull'aereo.”
“Non è vero. È solo che detesto queste situazioni.”
“Cosa?”
“Detesto gli addii. Ed evita di rispondermi 'non è un addio', perché è una grandissima stronzata e lo sai.”
“Ci rivedremo.”
“Non credo, non questa volta. Ma va bene così. Perché dovresti ricordarti di me? Ti darei solo noie. Lasciami stare, davvero. Hai altro da fare.”
“Ti odio quando parli così. Credi di sapere tutto. Credi che qualunque cosa possa riguardarti sia stupida, inutile, tempo sprecato. Credi di essere tempo sprecato, di affondare senza trascinare nessuno con te.” quel crescendo di analisi terribilmente precise si concluse sprofondando in un silenzio di lotta colossale tra i loro sguardi.
Gli occhi di Nimhea lo scrutarono: il grigioazzurro sanguinante e sconfitto che non voleva ammettere d'essere stato messo indiscutibilmente allo scoperto, le barriere innalzate ora completamente distrutte. Si lasciò abbracciare, portando le mani dietro al suo collo e stringendosi a lui, mentre una timida lacrima strozzata le scivolava senza alcun seguito lungo il viso, disinfettando le ferite alle iridi. Sfiorò piano con l'indice della mano destra la triade dietro l'orecchio sinistro dell'uomo, e, con un gesto delicato e continuo, la seguì piano, gli occhi fissi sull'asfalto serale.
“Devo andare. C'è quell'odioso portinaio che ci sta squadrando da un'ora.” provò a distrarsi ridendo, quando decise che quell'abbraccio era ormai durato troppo a lungo, sebbene iniziasse a temere che avrebbe voluto rimanere tutta la vita in quella posizione.
Shannon le sorrise, senza aggiungere altro. Si fermarono, ancora una volta circondati da nessun rumore, mentre entrambi aspettavano che qualcuno venisse a trascinarli via, separandoli definitivamente: aspettavano di diventare mandanti, scappando dalla vera colpevolezza.
Lei si avvicinò di nuovo, posando piano le labbra sulla guancia dell'uomo. Era la prima volta che si azzardava a farlo. Inspirò profondamente e si impose di non pensare troppo a quel contatto che la stava stravolgendo.
Il batterista sorrise ancora e voltò piano il viso, quanto bastasse perché il suo labbro inferiore sfiorasse quello superiore di Nimhea, che si stava già allontanando. Unica certezza che si fossero incontrati davvero era quell'incredibile bruciore alle guance. E al cuore.
“Scusa.” le disse, senza specificare veramente se fosse per le parole di prima, per il fatto che ormai si dovessero salutare o per quello che non si poteva definire un bacio, ma che, sicuramente, aveva distrutto l'inesistente e tanto proclamata voglia di partire della ragazza.
“Non sarebbe giusto, vero, se tu rimanessi qui?” le chiese.
Nim si sentì improvvisamente adulta, forse più di lui. Si vide per la prima volta veramente in bilico, come funambola sul mondo: unica salvezza era quella corda che l'aveva spinta a sfidare la morte.
“Non credo, no. O forse non possiamo parlare di giusto o sbagliato. Non sarebbe semplicemente possibile.” provò a sorridere, per sembrare almeno più convincente.
“Già. Buonanotte Nim. Ci sentiamo.”
“'Notte Shan.” concluse lei, per poi voltarsi, con uno sguardo di sfida rivolto a quel portinaio che ancora la squadrava.
Sfrecciò tra i turisti che affollavano la hall e si infilò velocemente in ascensore. Non avrebbe pianto, non l'avrebbe fatto per lui, lì. No. Mai.
Quando entrò in camera, chiudendosi alle spalle il continuo e disastroso rovesciamento dei ruoli nascosto nel '69', trovò Andrea che stava sistemando le ultime cose, con un ordine del tutto insolito per la sua personalità.
“Ciao tesoro com'è andata?” domandò senza voltarsi.
“Bene.”
Nonostante gli innumerevoli sforzi, la sua voce uscì piatta e in terribile contraddizione con l'affermazione.
“Nim.” disse Nare voltandosi e arrivando ad abbracciarla, come se qualsiasi parola non sarebbe mai potuta essere utile ad esprimersi. E in quel momento, in effetti, c'era solo un'estrema necessità di lasciare il suo nome sospeso, precipitante nell'aria, aggrappato alle braccia che le circondavano.
“Sto bene, sto benissimo. È giusto così. È... è troppo grande.”
“Non regge Nimhea, lo sai.”
“Troppo lontano.”
“Questa potrebbe essere una motivazione valida.” sorrise Andrea allontanandosi un po' per guardarla negli occhi.
Nim la scrutò attentamente. Sapeva bene che non sarebbe riuscita a simulare gioia o normalità, né tanto meno voleva davvero farlo con l'amica. “Usciamo a cena, su.” disse poi. Aveva bisogno di distrarsi, di non pensare. E, soprattutto, non avrebbe pianto. Ormai l'aveva promesso a se stessa.
“Sicura?”
“Sì.”
   
 
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