Cap.17
Mi
svegliai la mattina dopo che il cielo era ancora
scuro. Nell’ora prima dell’alba, regnava il
silenzio più profondo e irreale:
centinaia di persone erano raccolte assieme in un tentativo disperato
di
salvezza, eppure nessuno fiatava- non ora, almeno: era tutto
così calmo… mi
sfilai dall’abbraccio di Boromir, che mi guardò
con fare assonnato mentre mi
allontanavo e iniziai a muovermi sul pavimento lastricato di corpi, in
cerca
delle latrine.
La
testa mi scoppiava, il ventre mi doleva e la
nausea era così intensa che potevo sentire lo sgradevole
odore del reflusso
nelle narici. Mi chiesi se anche mia madre si fosse sentita
così quando
aspettava me e Giulia, ma non volli pensarci: non sapevo nemmeno se ero
in uno
stato interessante e pensarci non faceva che aumentare il senso di
malessere.
Stanca di girare a vuoto, chiesi informazioni ad una sentinella e
questa mi
indirizzò verso l’esterno della fortezza, nella
zona ovest, dove la latrina
comune era situata. L’idea non mi piaceva affatto, ma non
potevo fare la
schizzinosa, non con quel terribile mal di pancia…si, ne
avevo assolutamente
bisogno.
Entrai
nella latrina vuota, e la trovai stranamente
pulita. Sentii anche rumore di acqua corrente, e mi stupii:
evidentemente, doveva
esserci qualche fiumiciattolo sotterraneo, e questi doveva portare con
se i
liquami. “
Helm man di martello sei un
genio “ pensai, mentre mi calavo le brache e mi sedevo su un
buco. Rimasi li a
lungo, tanto che la sentinella di guardia dovette bussare per chiedere
se stavo
bene. Gli risposi che non ero caduta nel buco, ma che avevo bisogno di
tempo.
Lui non mi chiese più niente.
Il
male non cessava, pulsava e bruciava nella parte
bassa del ventre e serpeggiava su per lo stomaco, fino a prendermi i
lombi e
lambirli col suo calore. Sudavo freddo, mentre spingevo, ma non
accadeva
niente. “ Che mi succede? “ continuavo a chiedermi,
preoccupata, “ Che succede
al mio corpo? “ Avrei voluto Giulia al mio fianco, ma dovetti
accontentarmi di
quei pezzi di carta che avevo sgraffignato dal suo zaino.
L’avevo vista usarli
spesso, quei fazzoletti di carta (
così li chiamava lei ), e quindi la imitai: stufa di star
seduta, certa che il
male sarebbe passato nel corso della giornata, mi passai un fazzoletto
fra le
gambe, sentendolo dopo un attimo viscido di qualcosa che sicuramente
non era
urina. Lo portai davanti agli occhi, a poca distanza da essi a dir la
verità, e
trattenni il respiro: era sangue,
quello?
Fissai
il fazzoletto sporco, appoggiandomi alla
parete alle mie spalle, certa che di li a poco sarei svenuta:
Valar… era
davvero sangue? Per quanto fossi ignorante in materia, sapevo benissimo
cosa
comportasse una perdita di sangue in una donna. Le opzioni erano due: o
il mio
ciclo aveva ricominciato a presentarsi, o avevo appena abortito.
Senza
nemmeno accorgermene, inizia a piangere, di
felicità o tristezza non lo so, dato che la mia mente era
completamente
confusa: ero terrorizzata dall’idea di avere un figlio in un
clima così
incerto, eppure ora che avevo la certezza di essere fuori
pericolo… la cosa mi
dispiaceva da morire. Ecco, era quella la sensazione: morire.
Senza volerlo, mi ero già immaginata madre felice
di uno
splendido lattante androgino, né maschio né
femmina, fiera di allattarlo al mio
seno e crescerlo nell’amore per me e il proprio padre. E
Boromir … lui nulla
sapeva. Povero amore mio, quasi padre, all’oscuro di tutto!
Gettai il
fazzoletto sporco nel buco e posai l’altro sul cavallo dei
pantaloni, sperando
di non macchiarmi. Quando mi alzai per sistemarmi mi sentii svuotata.
Aprii la
porta e tornai indietro, mentre la vita nel Fosso di Helm iniziava a
svegliarsi.
Boromir
se ne stava disteso sul suo mantello mentre
il mio era gettato con non curanza sulle spalle, gli occhi chiusi,
eppure mi
sentì arrivare. << Che fine avevi fatto?
>>Mi chiese, facendomi
segno di andargli vicino. Mi stesi al suo fianco e poggiai la testa
nell’incavo
del suo braccio, con gli occhi alla stessa altezza. Nella prima luce,
lo vidi
preoccupato e addolorato. << Cos’hai piccola?
>> mi sussurrò,
accarezzandomi i capelli annodati. << Non ne vuoi
parlare? >> Me lo
sussurrò in un modo così tenero, così
dolce, che non potei fare altro che
raggomitolarmi contro di lui e sospirare piano, le lacrime tristi che
mi
bagnavano il viso. Sentii la sua confusione per quelle lacrime, mentre
mi
sfuggiva un debole singhiozzo. Senza dire una parola, Boromir mi
strinse a sé e
mi lasciò li, contro i suoi pettorali, a sentire il suo
cuore battere impazzito
e confuso esattamente come il mio. Piangevo per tutto: per la
disperazione, la
rabbia, l’impotenza. Piangevo per il mio bambino che forse
non era nemmeno
esistito, piangevo per non averlo detto a lui, piangevo
perché stavo così
dannatamente male e non sapevo che altro fare. Invocai Giulia, e la
sentii
gemere nel sonno da qualche parte dietro di me. ma no, forse no,
stavolta non
avevo bisogno di Giulia: avevo bisogno di stare un po’ da
sola o, magari, con
Boromir.
Lentamente,
i nostri cuori ricominciarono a battere
normalmente, le lacrime si asciugarono, e restammo
così, abbracciati, avvinghiati, stretti
l’un
l’altro come un baluardo. Scostai appena il capo dal petto di
Boromir, e lui
subito cercò i miei occhi.
<<
Non ti chiederò di dirmi cos’hai. >>
mi disse. << Non te lo chiederò
perché so che ogni tanto si ha bisogno
del silenzio. Ma sappi,>> mi prese il viso fra le mani,
<< Sappi,
amore mio, che io sono qui. E anche Giulia è qui. Se non
vuoi parlare con me,
almeno fallo con lei. Io mi accontento di non vederti così.
>>
Quelle
parole mi furono fatali: mi aveva dato
incondizionatamente il suo appoggio, e io non avevo il coraggio di
dirgli che
fino a poco prima aspettavo un figlio da lui? mi sciolsi come un
ghiacciolo al
calore del sole, e gli rivelai ogni cosa.
Boromir
non ebbe la reazione che mi aspettavo: non
pianse; non se ne andò; non mi abbracciò. Rimase
semplicemente li, a guardarmi,
il suo braccio come mio poggiatesta, i miei sussurri nelle sue
orecchie, i
tumulti a lambirgli il cuore. Gli dissi ogni cosa, gli spiegai i
sintomi, lo
istruii su cosa significava l’aborto e come esso avveniva,
eppure lui rimase
li, senza battere ciglio, continuando a fissarmi coi suoi occhi che,
lentamente, divenivano sempre più chiari. Alla fine, quando
gli dissi del
fazzoletto fra le gambe, non riuscì a trattenere un sorriso.
<< L’ho
sempre detto che sei una donna intraprendente …
>> Mi sussurrò,
accarezzandomi i capelli e fissandomi come se fossi qualcosa di strano,
<< Ma guardati, Anna. Sei una donna, la mia donna
… e potevi darmi un
figlio. >>
<<
Non ne ero affatto certa, Boromir …
>>
<<
Fa niente, ne hai avuto la potenzialità. Tu
hai la potenza di diventare madre, lo capisci questo? >>
Mi posò un bacio
in fronte << Tu vivrai ancora a lungo, piccola mia, e
riuscirai a darmi
un altro figlio. Non temere, >> Si lasciò
sfuggire un sorriso malizioso,
<< Mi darò da fare per fartene avere almeno
dodici! >>
Anche
io sorrisi, sollevata e confortata dalla
tenerezza con cui Boromir cercava di consolarmi della mia perdita.
Perché si,
anche se non ne ero sicura, io mi sentivo come se un pezzo di anima si
fosse
staccato da me- che fosse scattato in me l’istinto materno?
Strofinai il naso
contro la fronte di lui, sospirando. << Hei.
>> Mi chiamò, <<
Anna. >>
<<
Si? >>
<<
Ti amo. >>
Quando
il sole fu sorto dalle cime dei monti,
illuminando il cortile del Fosso, venne data la sveglia generale a suon
di
squilli: per quell’ora, tutti dovevano essere in piedi, anche
i bambini, per
aiutare e preparare la resistenza- perché si, era
chiarissimo che Theoden
avrebbe usato il Fosso come baluardo per proteggere il suo popolo, ed
era
disposto a restare chiuso dietro quelle mura fino alla morte per fame,
pur di
non essere sconfitto. << Come è possibile che
abbiano le provviste per un
assedio? >> Si domandò Legolas, mentre
facevamo colazione. <<
Domanda arguta. >> Constatò Giulia, dandogli
di gomito, <<
Effettivamente, me lo domando anch’io. >>
<<
Ce lo domandiamo tutti. >> Ribadì
Boromir, azzannando con voracità la carne secca presa ad
Edoras. << E soprattutto:
di quanti uomini effettivamente dispone per la difesa? >>
<<
Dovresti andare a chiederglielo. >>
Intervenni, << Hai una lunga esperienza alle spalle,
Capitano: Theoden
potrebbe aver bisogno dei tuoi consigli. >>
Boromir
sembrò rabbuiarsi << Theoden ha molta
più esperienza di me in questo campo. >>
Borbottò. Giulia scacciò quel
pensiero con la mano. << Che vuol dire questo? Si, ok,
avrà più
esperienza, ma fidati di me, a volte serve una mente giovane per
concepire
buoni piani. Secondo me dovresti seguire l’idea di Anna, la
nostra saggia Anna…
si, vai a parlarci. >>
<<
Renditi disponibile. >> Intervenni
con garbo.
<<
Ma sii cauto. >> Lo avvisò Gimli,
ridacchiando << Theoden ha la spada facile.
>>
<<
Ha il carattere difficile di tutti i re
>> Ribadì Boromir, alzandosi in piedi
<< Ma non più difficile di
quello di mio padre. Si, credo che seguirò i vostri
consigli. >> Si chinò
verso me, accarezzandomi il capo e scendendo a massaggiarmi la nuca.
<<
Tu stai bene? >> Mi chiese, colmo di riguardo. Sorrisi a
tutte quelle
preoccupazioni, ed annuii in silenzio. << Vai, e fai
ciò per cui sei nato.
>>
Se ne andò
con un sorriso, sparendo nel mezzo della folla.
Gimli
mi chiese del corno, e si fece accompagnare da
Legolas nella ricerca di fucine dove potersi mettere
all’opera. Rimasi da sola
con Giulia che, da quando cin eravamo svegliate, non mi aveva staccato
gli
occhi di dosso. << Sei molto silenziosa, questa mattina.
>> Iniziai
<< Come vanno le cose con Legolas? >>
Lei
sbuffò << Come devono andare, male?
E’
strano, stare assieme ad una persona così
vecchia…antica, oserei dire. Si,
comunque le cose vanno abbastanza bene, non posso lamentarmi, anche se
sembriamo più amici che amanti. >>
Ridacchiò << Ma va bene
così… è
la prima volta che mi capita una relazione simile. >>
<<
E’ così strana, questa vostra relazione?
>>
<<
E’ molto…platonica. >> Vedendo la
mia
espressione perplessa, Giulia si spiegò <<
Significa immaginaria, un
amore non consumato! Hai capito adesso? >>
<<
Si. >>
Dopo
un momento di silenzio, Giulia mi fece un cenno
col mento << E tu? Come stai? >>
Strinsi
le labbra << Io… >>
<< E a
te sono venute le tue cose, lo so. >> Ribadì
Giulia, sorridendo con aria
triste della mia espressione stupita. << Ti ho sentita,
questa mattina,
mentre piangevi. >>
Chinai
il capo << Io…io non volevo svegliarti.
>>
<<
E non l’hai fatto. In compenso, mi hai
fatto venire degli incubi pazzeschi. >>
Ridacchiò, mentre Jadis le
metteva il muso in grembo per farselo grattare. << Povera
sorella
mia…come ti senti adesso? >>
Come
dovevo sentirmi? Il ventre era in subbuglio, in
mezzo alle gambe mi doleva come se vi fosse un palo e la testa mi
pulsava. Non
riuscivo a guardare la carne essiccata per più di cinque
minuti, la trovavo
disgustosa, nonostante mi piacesse tantissimo. << Bene,
no? >> Risposi,
sporgendomi per carezzare le orecchie pulite di Jadis. Giulia rise
più
apertamente.<< Sei una bugiarda, Anna. >>
Mi fece un cenno col
capo. << Avanti, passami lo zaino che ti do un busco pan.
>>
Lasciai
che mia sorella estraesse dallo zaino un
sottile rettangolo bianco, pieno di gobbe regolari; la osservai mentre
ne
schiacciava una e, con un piccolo “ crac”,
vidi comparire una piccola briciola nella sua mano.
<< Che
briciola è quella? >> Le chiesi, incuriosita.
<< Non è una briciola,
Anna, ma una pillola. >> Se la rigirò fra
indice e pollice. <<
Vedi, questa cosina è un concentrato di cose buone che ti
farà sicuramente
passare il male sia alla pancia che la sotto…
>> Giulia me la posò con
delicatezza sul palmo della mano. La guardai in controluce, stupita da
questa
novità del mondo di Giulia. << E da voi questa
è una cosa…normale?
>>
<<
Cosa? >>
<<
Prendere… pillole invece di erbe. >>
Lei
fece spallucce. << Strano, vero? Per noi è
l’esatto opposto: prendere erbe invece di pillole…
sarebbe una cosa fuori di
testa! >> Rise della mia espressione sconvolta, per poi
invitarmi a
mangiare un po’ di pan di via e a bere dell’acqua
per ingoiare la pastiglia.
Dopo varie peripezie, un principio di soffocamento e un sacco di
risate, riuscii
a ingoiarla. Dopo qualche ora, i dolori erano cessati e sembrava che il
mio
corpo stesse meglio. Anche io stavo meglio: non avevo più
tormenti, più malinconie
per il mio bambino mai nato. Era stato prematuro pensare che fossi
incinta,
anche se avevo imparato a fare attenzione: non mi sarei più
esposta a simili
rischi. La guerra era lungi dall’essere conclusa, e Boromir
non aveva il tempo
di correre dietro ad una donna incinta, anche se quella donna era la
sua. Mi
offrii volontaria per aiutare delle donne che contavano e
ammonticchiavano in
un angolo delle dispense dei sacchi di grano.
Passò
buona parte della mattinata e del primo
pomeriggio, quando un improvviso trambusto si fece largo nel Fosso,
simile ad
una scarica prodotta da un fulmine. Un nome solo viaggiava di bocca in
bocca,
sempre più veloce, sempre più veloce: quel nome
era Aragorn.
La
notizia la portò un ragazzino, che era corso
dalla madre per dirle della grandiosa novità.
<< Madre! Madre! >>
La chiamò, passandomi accanto mentre trascinavo sul terreno
un sacco di grano
particolarmente pesante. Attorno al ragazzino e alla madre si fece un
piccolo
gruppo, e non una delle donne trattenne grida di stupore e
felicità. Curiosa,
mi avvicinai anch’io al gruppo, e subito colsi il nome di
Aragorn. << Che
succede? cosa c’entra Aragorn? >>
Una
donna mi prese per le mani, stringendomele
forte. << Mia signora! È vivo! Il bambino dice
che è appena giunto al
Fosso su di un cavallo nero, lacero e stanco, ma vivo! >>
Mollai
tutto senza che nessuno mi desse il permesso,
e raggiunsi il Trombatorione fendendo la folla e cercando Giulia con la
testa.
La trovai in mezzo alla folla, diretta nella sala delle armi per vedere
se era
vero. Ma certo che era vero: a meno che Aragorn non fosse stato un
fantasma,
tutti l’avevano visto! Entrammo nella sala come fulmini,
interrompendo la
conversazione. Vidi Boromir sorridermi e Legolas guardare Giulia,
mentre
Aragorn si volse verso di noi e aprì le braccia.
<<
Cristo santo. >> Sbottò Giulia,
passandosi una mano sul viso, << Ma allora è
vero! >>
Gli
corremmo incontro, abbracciandolo. Era lacero,
sporco e ferito, ma era assolutamente, incredibilmente vivo.
<<
Sei…incredibile. >> Sorrisi, nel constatare
che al collo portava il
ciondolo di Arwen. << I Valar devono amarti in particolar
modo, se ti
hanno salvato anche questa volta! >>
La
voce lugubre di Theoden venne ad insinuarsi fra
noi, gelida. << Non ne sarei così sicura, mia
signora. >> Disse,
<< Digli cosa hai detto a noi, Aragorn. >>
La
felicità passò sul volto del ramingo rapida come
un soffio di vento. << Nel tronare, mi sono imbattuto in
un esercito di
Uruk-hai. Saranno qui prima del calar delle tenebre. >>
<<
Bene! >> Esclamò Giulia, attirando su
di sé sguardi scandalizzati. << Vengano pure!
Si infrangeranno come onde
sugli scogli >> Lanciò uno sguardo di
approvazione a
Theoden << Dico bene, no? >>
<<
Dici bene. >> Ammise Theoden.
<< Ma questa fortezza non ha mai visto un esercito di
diecimila orchi.
>>
Strabuzzai
gli occhi << Die-diecimila?
>> Tornai a guardare Aragorn, scuotendo il capo
<< No, è…è
impossibile! Non può esistere un tale esercito!
>>
<<
Fidati. >> Fu tutto ciò che mi disse
Aragron, posandomi una delicata mano sulla spalla << Esiste. >>
D.I.F.
Cosa
sarà stato…natale, forse? Oh Valar, da quanto
tempo manco su questi schermi! La primavera è giunta, ho
concluso il mio primo
stage e sono più strong che mai! I capelli stanno crescendo,
la pelle
abbronzando e va profilandosi una sessione d’esami very very
strong- oh
yeah…fatto sta che non è colpa di nessuno se non
mi sono chiù fatta viva- la
colpa è solo mia. Me pigra! Sono veramente una
socca… vabbe, vedrò di
rimediare- anzi: HO Già RIMEDIATO!
Se
siete ancora li, se siete ancora interessate a leggermi, se siete
ancora
interessate a recensire questa pelandrona…bè,
fatelo.
Un
giga kiss a chi c’è stato,
c’è ancora e sempre ci
sarà.
XOXO,
una soffice Anna.