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Autore: rolly too    06/05/2012    6 recensioni
Kidd ha tirato troppo la corda, e il suo migliore amico si è trasformato nel nemico più pericoloso con cui abbia mai avuto a che fare. Perché Killer è forte, determinato, e soprattutto è stanco di lui e del suo comportamento. Davanti a una minaccia tanto grande e tanto dolorosa, nemmeno il Capitano Kidd sa più che cosa fare, e forse nemmeno il suo storico nemico e amante può aiutarlo, e anzi, potrebbe anche essere in pericolo.
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Killer | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Il locandiere e alcuni uomini, inspiegabilmente, li avevano aiutati a riportare tutta la ciurma sul sottomarino. Penguin, dopo aver lasciato a Kidd il compito di ringraziare quelle persone, aveva brontolato qualche cosa riguardo al fiore e alla necessità di svuotare lo stomaco, e Kidd non aveva capito cosa avesse in mente fino a quando si rese conto che i farmaci che Penguin aveva propinato ai compagni servivano solo a farli vomitare.
Mentre Penguin si occupava di tenerli sotto controllo e di ripulire, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, lui preferì rintanarsi nella cabina di Law, che al momento era libera dato che il capitano era in infermeria insieme a tutti gli altri.
Perché Killer si comportava così? Ormai era fin troppo chiaro che ce l'aveva con lui. Ma perché non l'aveva attaccato direttamente? Non era da Killer comportarsi in quel modo. Avrebbe potuto avvelenare lui, e lasciarlo morire. Invece aveva pensato bene di colpire l'intera ciurma di Trafalgar, e lasciare stare lui. E Penguin, naturalmente.
Quindi l'obiettivo non poteva essere il massacro della ciurma di Law, perché Killer sapeva che Penguin li avrebbe curati. E dunque voleva solo spaventarlo? Voleva mostrargli che, anche se lui non sapeva dove fosse, invece Killer sapeva dov'era lui, ed era anche pronto a colpirlo?
Ma forse Killer non l'aveva attaccato perché non poteva. Forse era ferito, e temeva uno scontro fisico. Già, non c'erano altre spiegazioni. Killer non era tipo da piani strategici e sotterfugi. Era più uno che cercava lo scontro diretto, come lui. Se non l'aveva fatto era perché non poteva.
Ma questo voleva dire che, ora, aveva un nemico pericoloso alle calcagna. Perché Killer lo conosceva bene, e sapeva che cosa era in grado di fare e cosa no. E soprattutto, sapeva dove colpire. Il messaggio era fin troppo chiaro: il suo obiettivo adesso era Trafalgar. Kidd non aveva nessun dubbio in proposito.
Killer voleva Law morto.
La questione era decidere se era in grado di ucciderlo oppure no. Conosceva il proprio vice – ma poteva ancora considerarlo tale, a questo punto? – e sapeva che cosa era in grado di fare, quello su cui nutriva dei dubbi era Trafalgar. Oh, non che pensasse che non fosse in grado di difendersi contro Killer, tutt'altro. Kidd non aveva il minimo dubbio che Law fosse perfettamente in grado di uccidere anche lui, magari impegnandosi un pochino.
Ma quale sarebbe stata la sua reazione davanti alla minaccia di Killer? Aveva il dubbio, e non capiva per quale motivo, che Law non avrebbe combattuto seriamente contro Killer. Perché lo pensasse, non ne aveva idea, ma era così.
Non aveva ancora finito di ragionare che la porta della cabina si aprì ed entrò Penguin. Kidd gli rivolse un'occhiata feroce, perché aveva interrotto i suoi pensieri e poi perché lo odiava, e non voleva essere disturbato da lui, ma sapeva bene che, in una situazione del genere, non doveva ignorarlo.
«Che c'è?» gli ringhiò contro.
«Trafalgar ti vuole.»
Kidd annuì. Sì, era comprensibile. Se l'idiota si era ripreso quel tanto che bastava per parlare era ovvio che avrebbe voluto fare il punto della situazione. Era lui che non ne aveva per niente voglia.
Nonostante questo si alzò dal letto e seguì Penguin fino all'infermeria, ma non fu lì che dovette entrare. Penguin lo portò dritto dritto alla cabina in cui Law faceva i suoi esperimenti, e Kidd avrebbe seriamente preferito andare ovunque, ma non lì.
Era la prima volta che entrava in quella stanza, e già da fuori aveva deciso che non gli piaceva neanche un po', e quando entrò la sua idea fu confermata.
C'era un odore nauseabondo di farmaci, lì dentro, e l'aria era pesante e irrespirabile. Non c'era nemmeno un oblò o un'apertura qualsiasi, ma dei grandi fari sopra a un tavolo di metallo sì, e Kidd non aveva nessuna difficoltà a immaginare che cosa ci facesse Law con quel tavolo e, soprattutto, con quello che ci finiva sopra.
Gli ci volle un po' per accorgersi del lettino incastrato tra due sporgenze della parete. Trafalgar era lì, più pallido del lenzuolo che lo copriva, madido di sudore, con le mani e le braccia che gli tremavano. Se si accorse della sua presenza, Kidd non avrebbe saputo dirlo, ma si avvicinò al letto e rimase a guardare l'altro capitano che respirava pesantemente.
«Mi pare evidente» gracchiò Trafalgar all'improvviso, con gli occhi coperti dal braccio «che Killer ce l'ha con te.»
«Già.»
«Come stanno gli altri?»
«Non ne ho idea. Chiedi a quel tuo pinguino scocciatore.»
«È impegnato.» mormorò Law. Con gesti lenti spostò il braccio da davanti agli occhi e a Kidd mancò il fiato vedendo quanto fosse distrutto. Se di solito le occhiaie di Law erano evidenti, in quel momento erano indescrivibili, di un nero pesto che gli dava un aspetto più che mai malato, e gli occhi gonfi, rossi e lucidi come se avesse avuto la febbre alta, risaltavano ancora di più nel volto scarno che aveva raggiunto una tonalità gialla malsana che a Kidd non piacque per niente.
Killer avrebbe dovuto pagarla, per quello.
«Se fosse morto qualcuno te l'avrebbe detto.» stabilì.
«Sì, immagino di sì.» soffiò Law. Anche solo a guardarlo, Kidd riusciva a vedere il senso di pesantezza che l'altro provava. Ogni movimento sembrava costargli una fatica immensa, e ogni volta che si spostava, anche di poco, un sudore freddo dall'odore acre gli scorreva dalla fronte lungo le tempie, tra i capelli fradici, e bagnava il cuscino.
«Che cosa vi ha dato?» chiese Kidd.
«Non saprei.» borbottò Law a voce tanto bassa che Kidd fu costretto ad avvicinarsi per sentirlo. «C'era un fiore, no?»
«Sì, con i petali viola.»
«È Penguin quello che conosce i veleni.» tagliò corto Law. «Che cosa intendi fare, adesso?»
Kidd sospirò e si sedette ai piedi del letto, senza guardare l'altro.
La verità era che gli girava la testa, si sentiva debole e forse doveva vomitare. Killer... Era l'ultima persona da cui si sarebbe aspettato tutto quell'odio. Ma al di là di quello che effettivamente era successo, era ovvio che le ferite che aveva sul corpo se le era procurate combattendo contro di lui, o non c'era modo di spiegare quell'attacco alla ciurma di Law. Killer ce l'aveva con lui per qualche motivo, e fin qui ci stava. Aveva ricordato quell'episodio della cabina, quando aveva tentato di iniziare un rapporto che Killer non voleva, ma su ciò che era successo dopo non sapeva nulla. Nonostante questo, sapeva che non era nulla di buono. La prossima volta che avesse incontrato Killer, avrebbe dovuto combattere di nuovo, e non voleva.
«Non lo so.» ammise alla fine. Tanto valeva essere sinceri, a quel punto. Che cos'aveva da dimostrare, ormai? Non era nemmeno capace di tenersi stretti i suoi uomini. Se era arrivato al punto d'aver combattuto contro il suo migliore amico in una battaglia che doveva per forza essere stata terrificante, se lui c'aveva addirittura perso il braccio, allora non meritava né stima né rispetto. Non aveva più alcun motivo per mostrarsi coriaceo. La verità era che aveva soltanto voglia di piangere e disperarsi, e lasciare che fosse qualcun altro a sistemare quel casino, se mai c'erano possibilità di sistemare qualcosa.
«Che cosa faresti al posto mio?» domandò quando gli fu chiaro che non sapeva più da che parte sbattere la testa.
A quella domanda Trafalgar lo guardò in silenzio per qualche istante, poi, dopo quella che sembrava essere stata una lunga riflessione, mormorò:
«Lo cercherei.»
«Anche se sapessi che vi battereste?»
«Sì.»
«Non voglio combattere contro di lui.»
Kidd sapeva che in un momento diverso si sarebbe pentito di quelle parole, che lo rendevano uno stupido sentimentale, ma non ce la faceva davvero a trattenersi. Aveva dannatamente bisogno di essere onesto. E in quel momento, senza Killer che potesse ascoltarlo, Trafalgar era l'unica persona su cui fare affidamento.
Law non rispose. Poggiò la mano al materasso, piegando il gomito, e cercò di tirarsi a sedere facendo leva sul braccio, ma non ci riuscì. Kidd lo guardò mentre tentava una seconda volta, poi si chinò su di lui, gli cinse le spalle con il braccio e lo aiutò a sedersi.
E prima che potesse rendersene conto si trovò con la fronte poggiata alla spalla di Law, le sue dita tra i capelli bagnati del chirurgo, mentre l'altro lo stringeva a sé, aggrappandosi a lui, forse per non crollare di nuovo sul materasso, forse per consolarlo. O forse per entrambi i motivi.
«Devi cercarlo.» gracchiò ancora Trafalgar, debole. Kidd sentiva la sua pelle ghiacciata contro la propria, e sapeva che sbagliava a permettergli di sedersi mentre era in quelle condizioni, ma non riusciva a smettere di pensare che quell'abbraccio, per quanto gelido fosse il corpo di Trafalgar, gli stava dando più calore di quanto avesse mai ricevuto.
«Non mi va.»
«Lui ti troverà comunque. Non hai capito? È per questo che ci ha avvelenati. Vuole che lo cerchi.»
Fu scosso da un tremito e da un forte colpo di tosse, e Kidd capì che non poteva farlo sforzare troppo, che era ancora debole. Tenendolo stretto a sé si chinò sul materasso finché Trafalgar non fu del tutto sdraiato, poi si allontanò da lui. A vederlo così, pallido e distrutto, il pensiero di andare a massacrare Killer si faceva più forte. Ma poi ci ripensava, e si diceva che tra i due non poteva preferire Law. Era sbagliato. O forse no? Forse era giusto, dato che Killer stava facendo così tanto per uccidere chi non c'entrava niente? Non lo sapeva più.
Non capiva che cosa avrebbe dovuto fare.
In ogni caso, combattere contro Killer in quelle condizioni era impensabile. D'altra parte, lo era anche lasciarlo libero di scorrazzare come gli pareva, avvelenando ciurme e seminando il panico in locande di brava gente.
Non era quello il Killer che aveva conosciuto lui. Il suo compagno avrebbe affrontato apertamente il nemico. Quella serpe infida, invece, era vile. E non sapeva come affrontarlo. Forse si era sempre sbagliato a giudicare, in realtà, e Killer era come si stava mostrando ora, a lasciargli pezzi della sua maschera per dargli indizi e fargli capire che sì, dietro a tutta quella sofferenza c'era lui.
Non ne voleva sapere di incontrarlo di nuovo.
   
 
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