Per la Kurtofsky Week
7th day – 10 years in the future
Premessa: Sono
in ritardissimo ma, ecco, ho una giustificazione. Ieri
mi sono quasi persa, finendo chissà dove nel prendere un pullman sbagliato, per
andare a vedere Hunger Games con la mia twin e quando
sono tornata a casa, ero troppo stanca per finire la fic.
Non volevo arronzarla, non volevo e non potevo, ergo… Con questa finisce la
Kurtofsky Week, che per me durerà all’infinito perché amo troppo Kurt e Dave insieme, ma dettagli. Voglio ringraziare tutti quelli
che hanno reso questa settimana speciale, nonostante le varie intossicazioni – coff
coff – e che mi hanno recensito fedelmente. *alza le
tre dita della mano a mo’ di Hunger Games* Vi amo! ♥
Dunque
vi lascio un’ultima delirante fic fluffosa.
Un
bacio a tutti.
Vale
~
Please, daddy!
Una
bambina saltellò su un piede e poi su un altro, come se la sua fantasia le
stesse proponendo un percorso avventuroso, al posto di un comune e banale
marciapiede, e sogghignò quando parve sul punto di perdere l’equilibrio e
cadere giù dal ponte di legno, sospeso nel bel mezzo di una cascata.
‹‹Fiuh, per un pelo›› bisbigliò, mentre i suoi papà la
tenevano d’occhio, con una smorfia divertita dipinta sui loro volti, nel
vederla giocare col suo mondo pieno di trappole e di tesori.
Lise
era così, non come le altre bambine che se ne stavano sedute con le proprie
bambole a fingere di sorseggiare del tè. Non che lei non ci giocasse, con le
bambole. Le piaceva da matti vestirle in tutti i modi possibili. Si poteva dire
che la sua Natasha possedesse più abiti che compagne con cui conversare ma,
insomma, il fatto era che a Lise non piaceva per niente starsene ferma. Perciò,
anche in una consueta visita al parco giochi, lei non andava a sedersi sull’altalena
e a lasciarsi spingere da uno dei suoi papà, bensì doveva correre all’impazzata
verso lo scivolo – il suo preferito – e salire e scendere da esso
ripetutamente. I suoi genitori non riuscivano a spiegarsi come, dopo una
giornata di intense scivolate, la piccola Elisabeth
avesse ancora la forza di giocare, durante il percorso di ritorno a casa, ed
era per il suo carattere esuberante che dovevano evitare di perderla di vista.
Conoscendola, sarebbe sparita chissà dove, presa dalla sua avventura
immaginaria, e…
‹‹David››
esclamò Kurt allarmato, al che il marito smise di fissarlo languidamente, come aveva
fatto fino a quel momento, e aggrottò le sopracciglia con espressione
interrogativa.
‹‹Mmh?››
‹‹Dov’è
finita, Lise?››
Rimasero
immobili per qualche secondo. Elisabeth, poco prima,
stava camminando esattamente davanti a loro, non poteva essere scomparsa!
Kurt
e Dave si rivolsero un’occhiata scioccata e
successivamente iniziarono a chiamare il suo nome, in preda all’agitazione.
‹‹Elisabeth!››
‹‹Lise!››
‹‹Papà…?››
disse, con semplicità, la bambina, e i suoi papà si voltarono indietro, verso
il punto in cui proveniva la voce. La bimba li fissava, senza comprendere
appieno la loro preoccupazione, con le manine appiccicate ad una vetrina. La
piccolina doveva essere stata incuriosita da qualcosa, in vendita in quel
negozio, e chiaramente doveva essersi fermata a guardare.
‹‹Oh,
sei qui… Meno male…›› sbuffò Dave, passandosi una
mano tra i capelli.
Kurt
lo rimproverò con lo sguardo, come se per colpa sua, dato che si era messo a
lanciargli quelle occhiate, avessero
rischiato di perderla; dopo di che si avvicinò a sua figlia e le chiese: ‹‹Cos’hai
visto, tesoro?››.
Elisabeth spiaccicò la punta del
suo indice sulla vetrina.
‹‹Non
è tanto tanto carino, papi?›› chiese, con gli occhi che le luccicavano dall’emozione
e le guanciotte rosa.
Kurt
si chinò un po’ ed osservò ciò che aveva attirato l’attenzione della sua Lise.
‹‹Oh,
zucchero, ma è bellissimo›› rispose lui e sul suo viso comparve un’espressione
identica a quella della bambina.
Dave si accostò a loro, proprio
nel momento in cui la figlia aggiunse: ‹‹Lo possiamo prendere, papi?›› al che
si impose di andare a fare il pater familias. Sapeva che Kurt avrebbe acconsentito a comprare
anche la luna, pur di far felice Elisabeth – glielo leggeva
in faccia – ma loro non potevano viziarla. Lo facevano già troppo spesso,
sebbene Lise restasse ugualmente una bambina ammodo. Ma, ecco, dall’espressione
di Kurt sembrava che stesse per assecondare il desiderio di Elisabeth
di comprare… un gatto.
‹‹No,
piccola, non possiamo›› disse Dave fermamente,
precedendo suo marito che, dal canto suo, dischiuse le labbra, deluso da quella
risposta.
‹‹Ma,
papà, non lo vedi come ci guarda?›› esclamò Lise, appigliandosi alla tenerezza
di quel cucciolo per riuscire a convincere il suo papà, ‹‹E poi ha il pelo
tutto rosso. Potrei chiamarlo Lenticchia›› aggiunse poi, come se l’avere già un
nome ne implicasse l’acquisto.
Dave deglutì all’espressione
implorante della figlia e distolse lo sguardo da essa, posizionandolo sul
marito, che lo squadrava truce, con le braccia incrociate al petto.
‹‹Amore,
non possiamo. L’amministratore del palazzo ci farà un cu…›› si bloccò, ricordandosi
della presenza di un paio di orecchie innocenti e si corresse, ‹‹Ci romperà le
scatole››.
‹‹Ma
è un cucciolo›› replicò Kurt.
‹‹Ma
è comunque un gatto›› gli ricordò Dave, al che l’altro
sospirò, iniziando ad avvicinarsi al marito, mentre la bambina tornava a fissare
il gattino, con occhi sognanti.
‹‹Parleremo
noi con l’amministratore›› sussurrò Kurt, passando una mano dietro la schiena
di Dave e sistemando l’altra sul suo petto. Si sporse
un po’ verso di lui e gli posò un bacio a fior di labbra.
‹‹Ti
prego›› gli soffiò, facendo scivolare la mano su per il suo collo, con fare
provocante, per poi baciarlo ancora e ancora.
Dave sospirò.
‹‹Sei
scorretto›› bisbigliò, sorridendogli.
‹‹Lo
so›› rispose Kurt, sfiorandogli il pomo d’Adamo con l’indice, ‹‹È per questo
che mi ami››.
‹‹Perché
sai come convincermi?›› chiese Dave.
‹‹Esatto››
ghignò l’altro, facendo spallucce.
‹‹Okay…
Lise››.
La
bambina si voltò, speranzosa, e Kurt era sicuro che non si fosse persa nemmeno
una parola di quello che si erano detti. Elisabeth
sapeva benissimo che, per quanto Dave sembrasse
severo, aveva comunque un punto debole e quello, ovviamente, era Kurt.
‹‹Lo
compriamo›› concluse Dave e sentì un peso in meno sul
suo cuore quando sua figlia iniziò a saltellare contenta sul marciapiede.
‹‹Evviva,
evviva!›› esultò, poi andò ad appiccicare di nuovo il nasino al vetro, ‹‹Hai
sentito, Lenticchia? Vieni a casa con noi!››.
Kurt
rise a quella scena, portandosi una mano davanti alle labbra, e poi strinse con
l’altra quella del marito.
‹‹Grazie››
mormorò e Dave, a quel punto, gli diede un ultimo
bacio, in risposta, prima di entrare nel negozio insieme a sua figlia.
Fine.