La foresta dei Guadi era immersa nel silenzio più
assoluto, nemmeno i normali suoni notturni potevano essere percepiti. Sembrava
che ogni cosa fosse sepolta sotto un sudario impenetrabile di oscurità e
immobilità. La parte di bosco a settentrione dei Guadi era addirittura avvolta
in un’atmosfera sinistra che faceva parer immota anche l’aria stessa. Poi
nell’oscurità il falco colse una luce baluginare e sparire. Si mosse tra un
albero e l’altro volando silenzioso con grazia e silenzio, fino a fermarsi ad
osservare dall’alto di un ramo una figura quasi immobile, legata saldamente al
tronco di un gigantesco albero. La veste rossa del prigioniero rifulse ancora di
sanguigni bagliori quando la luce della luna penetrò di nuovo il denso fogliame
soprastante. Ai suoi piedi giacevano la sua lancia, intatta, e un elmo dorato
spaccato, sporco di sangue, e stille rosse gocciolavano sopra di esso dal capo
dell’uomo. Il Leone si mosse appena, apparentemente stremato, nel vano tentativo
di allentare le corde. Il suo guardiano lo guardava con aria inespressiva.
“Hai paura di morire?” Gli chiese atono Siguya. Il Leone
sputò ai piedi del dio, sfidandolo senza paura. “Avrei solo preferito morire
cercando di ucciderti, con la mia lancia il mano, demone.”
Ebbe la forza di dire senza paura. “Perché mi avete
fatto prigioniero? Finora ci avete massacrato senza pietà.” Il dio sembrò
ignorarlo. Dal palmo della sua mano spuntò una punta acuminata e recise con un
taglio netto le corde che legavano l’uomo. Il guerriero non ebbe esitazioni,
rapido, per quanto le ferite glielo permettessero, raccolse la sua lancia e si
allontanò di qualche passo dal mostro, puntandogliela contro. “Voglio che prima
di morire tu ti renda conto che agli uomini non è dato sconfiggere gli dei.” La
lancia del Leone venne avvolta dalle fiamme e con un urlo si slanciò sul mostro.
Siguya non si mosse e quando la punta dell’arma gli colpì la gola si fracassò al
solo impatto, senza che risentisse minimante dell’urto. Incredulo, l’uomo vide i
frammenti di metallo, al suolo, spegnersi, ma prima che potesse muoversi, le
esili mani del dio gli bloccarono le braccia all’altezza dei tricipiti. Con un
minimo sforzo strinse la propria presa e un suono di ossa rotte riempì l’aria.
Il guerriero urlò di dolore, cadendo sulle ginocchia con le braccia lungo i
fianchi, incapace di muoverle. Senza un parola Siguya alzò un braccio e dal
palmo spuntò una lunga lama ossea. I due si fissarono per alcuni secondi, poi il
dio calò il proprio braccio verso la gola dell’uomo. Ma il suo colpo non la
raggiunse. Venne colpito alla nuca e stavolta cadde riverso al suolo, rotolando
per alcuni metri, seppur senza emettere un gemito. Si rialzò immediatamente,
furioso, urlando come una bestia. I suoi occhi, ardenti di una luce dorata,
maligna, si fissarono su colui che aveva osato colpirlo. Layrus gli stava
davanti senza alcun timore o esitazione e la rabbia che esprimevano i suoi occhi
era forse maggiore di quella del dio. “Come hai osato?” Urlò furioso il mostro,
trasformandosi. La sua figura aumentò improvvisamente d’altezza di più di mezzo
metro, la sua muscolatura triplicò e il Cavaliere ebbe l’impressione che la sua
pelle mutasse, divenendo più simile alla roccia. Senza una parola il dio si
gettò sul Cavaliere, con una rapidità sovrannaturale per una creatura di quella
stazza e dalla sua figura spuntarono d’improvviso più di una decina di lame
ossee, da spalle, braccia e mani. Il Leone, ancora immobile, non riuscì a
seguire con chiarezza i movimenti dei due contendenti. Le lame delle mani di
Siguya calarono con precisione sul collo del Cavaliere, sovrastato completamente
dal dio, ma l’uomo abbassandosi con agilità, le evitò per un soffio, tanto che
queste gli tagliarono alcuni capelli. Rannicchiato sotto il mostro,
approfittando della falla nella sua difesa, Layrus puntò al petto, scoperto, ma
un attimo prima che potesse colpirlo, tre lame spuntarono dal petto, mirando al
suo volto. Sorpreso non poté fare altro che gettarsi d’istinto all’indietro,
schivando anche stavolta per pochissimo il colpo. Si rialzò immediatamente, ma
il mostro fu in un attimo su di lui e stavolta non sarebbe stato capace di
schivarlo. Non seppe mai chi o cosa lo salvò. Catene di terra spuntate dal suolo
avvolsero gli arti e il busto del mostro, bloccandogli ogni movimento, a pochi
centimetri da Layrus. Il mostro urlò e l’uomo esitò solo un secondo, il tempo di
vedere che già i legami di terra iniziavano a cedere. Si voltò e con tutta la
rapidità di cui era capace prese il Leone sulle spalle e si gettò nel fitto
sottobosco. Pochi secondo dopo Siguya frantumò le catene di terra e urlò
furioso, preda di rabbia e frustrazione. Seduto sul ramo dell’albero a cui era
prima legato il prigioniero, Zeriol sorrise, divertito. Aveva avuto la
vendetta che desiderava sul dio.
…………………………………………………………………………………..
Layrus continuò a correre senza sosta, portando con sé
il Leone, ormai privo di sensi per il dolore e la spossatezza e non rallentò
finchè non raggiunse il ponte dell’Esin e non ebbe guadagnato la sponda
meridionale del fiume. Si inoltrò di pochi passi nella boscaglia e poi adagiò il
corpo esanime del guerriero al suolo. Solo allora si accorse di essere
circondato da una trentina di Leoni, tutti con le armi sguainate e puntate verso
di lui. L’avevano riconosciuto e tutti sapevano perfettamente che era un
traditore. “Abbassate le armi” sentì dire dalla voce familiare di Dailone.
“Portate al sicuro Feitas e curatelo.” Il Cavaliere entrò all’interno del
cerchio dei propri soldati e fissando negli occhi Layrus ordinò: “Lasciateci
soli.”
I soldati si allontanarono senza fiatare, portando con
sé il compagno.
Pareva che nell’intera foresta fossero rimasti solo
Daiolone e Layrus.
“Ti ringrazio per aver salvato uno dei miei soldati.”
Disse inespressivo il Leone.
“Non c’è niente di cui ringraziare” disse Layrus,
grattandosi la testa con noncuranza, guardando altrove. “Io ero interessato al
mostro e lui era lì con lui.”
“Se cerchi vendetta” lo ammonì Dailone “non l’avrai mai.
Siguya è invincibile.”
“E allora cosa ci fai qui?” gli chiese Layrus,
guardandolo con la coda dell’occhio “Se non c’è speranza, stai solo imponendo ai
tuoi uomini una morte certa.”
“Ogni morte è certa” gli rispose. “E poi tu sai
benissimo perché siamo qui.”Continuò il Leone. “Né io né i miei uomini potremmo
continuare a vivere con la vergogna di essere scappati davanti al
pericolo.”
“Io devo andare.” Cambiò bruscamente discorso il
Cavaliere. “Intendi forse fermarmi?”
“Perché dovrei?”
“Non sono forse un traditore?”
“Stai combattendo per la pace e gli ideali del nostro
popolo. Ed anche io. Non siamo avversari.” Continuò serio. “Abbiamo scelto solo
strade diverse e sono ambedue molto difficili.”
Layrus rimase in silenzio pensando a quelle
parole.
“Layrus, vedo molta rabbia in te. Abbandona la vendetta.
E’ un sentimento sterile, che non genera nulla se non dolore e altra
morte.”
“Cosa puoi saperne tu dei miei
sentimenti?”
Dailone sorrise suo malgrado. “Hai già dimenticato chi
sono? Anche se io combatto per gli uomini e vivo con essi, sono pur sempre un
dio, uno dei dodici figli di Sèlonir. So leggere i cuori delle
persone.”
Layrus non disse nulla. Non l’aveva
dimenticato.
“Io ti ammiro, Dailone. Lo sai.” Rispose il Cavaliere.
“Ma se mai ricevessi l’ordine di ucciderti, sarei costretto a farlo.” Sorrise
tristemente. “Pregherò affinché quel giorno non arrivi
mai.”
“Lo farò anche io.” Dailone sorrise. “Anche se credo che
questo onere toccherà prima a mio fratello Siguya.”
“Quanto resisterete ancora?” chiese preoccupato il
Cavaliere.
“Tre giorni, forse quattro.” Rispose imperturbabile. “Mi
sono rimasti solo centoventinove uomini dopo due giorni.”
“Ma se sarà Siguya a combattere, nemmeno
uno.”
“Sarò di ritorno da te fra quattro giorni, dopo aver
incontrato la principessa e averle riferito la situazione.” Promise senza
esitazione Layrus.
“Non capisco perché attendere così tanto.” Disse una
voce, intromettendosi nella conversazione.
Un uomo dai corti capelli dorati uscì dalla folta
boscaglia, unendosi ai suoi due pari, avvolto da una pallida luce.
“Deidre” mormorarono i due Cavalieri. “La città di
Karaiza è stata evacuata e prenderla non è stato un grande problema. Così in
attesa di ordini sono venuto a dare un’occhiata.”
“Sei venuto ad unirti ai combattimenti?” Gli chiese
Layrus, mentre Dailone fissava il giovane, conoscendo già la risposta.
“Ovviamente no.” Rispose il giovane Cavaliere. “Anche se
ti ammiro per la tua forza e il tuo coraggio, Dailone, non posso aiutare un
nemico.” Sorrise, continuando a parlare. “Niente mi impedisce però di aiutare un
amico.”
“Riferirò io il messaggio alla principessa e tornerò
indietro con i suoi nuovi ordini. Se sarai ancora vivo ovviamente. Sarò di
ritorno fra un giorno.”
“Ti ringrazio.” Disse il Leone chinando il capo.
“Sei sicuro di fare in tempo?” Chiese con aria di sfida
Layrus. Non amava essere aiutato.
“Un semplice grazie sarebbe andato bene ugualmente.”
Disse sorridendo Deidre. “Il Lampo Giallo non fallirà,
fidatevi.”
Strinse con forza la mano ad entrambi i compagni e disse
“Buona fortuna.”
La luminosità intorno a lui aumentò, fino ad irradiare
sottili saette e piccoli lampi.
Sorridendo scomparve in una striscia di luce verso sud
ovest, illuminando a giorno la foresta.
I due Cavalieri si fermarono a guardarlo volare rapido,
quando rumori improvvisi e minacciosi li sorpresero. La terra tremava sotto i
loro piedi e grida bestiali di rabbia si avvicinavano. La battaglia era ricominciata.
………………………………………………………………………………………..
Anarion sedeva con i gomiti poggiati sulle ginocchia,
tenendo il capo fra le mani. Era solo nella piccola stanza. Una pallida luce
filtrava dall’unica finestra, protetta da sbarre di ferro, e l’unica porta era
chiusa a chiave, dall’interno. La sala di meditazione in cui Sèria gli aveva
detto di riposare era silenziosa e l’aria immobile.
“Chi c’è?” Chiese Anarion, sollevando il capo,
percependo d’improvviso qualcuno nella stanza.
Non poteva esserci nessuno, era impossibile, eppure
percepiva distintamente la presenza di un estraneo vicino a
lui.
“Chi sei?” Disse una voce ovattata e sibilante.
“Non presto ascolto a chi non mostra il proprio volto.”
Rispose arrogante il ragazzo, senza muoversi, ma guardandosi attorno alla
ricerca della fonte di quella voce.
“Se mi vedessi in volto” rise la voce “sarei costretto a
ucciderti.”
Anarion iniziò con suo stesso stupore a tremare e
sudare. Sentiva che l’intruso percepiva anche il suo minimo battito di ciglia.
La situazione era di colpo diventata insostenibile. Provava una terrificante
tensione omicida.
Era come se la sua vita fosse stata afferrata, alla
totale mercé dell’intruso. Il brusco cambiamento d’atmosfera era tale che valeva
la pena morire da sé, che lasciare che quella lenta tortura continuasse. Mory
rise fra sè, il prigioniero di Serìa tremava come una foglia. Poverino, avrebbe
posto subito fine alle sue sofferenza. Si sarebbe divertito un pò con lui e poi
avrebbe svolto i suoi compiti. Mise mano al pugnale, quando sentì un fremito
fuori dalla stanza, proprio davanti alla porta. Un’esplosione di fiamme guadagnò
l’ingresso, divorando il legno della porta in pochi attimi. La figura minacciosa
di Serìa guadagnò l’uscio, con una mano avvolta da fiamme sanguigne, guardandosi
attorno fremente di eccitazione.
“Vieni fuori, Mory. So che sei qui.” Disse trionfante.
“Battiti con un tuo pari, traditore!”
Un pugnale dall’elsa di bronzo partorito dal nulla volò
verso la gola della donna, la trapassò da parte a parte e sparì oltre l’uscio.
La donna non fece una singola piega, la lama le era passata attraverso senza
arrecarle alcun danno.
“Io sto dalla parte che mi permette di divertirmi di
più” rise Mory sprezzante “Sono diventato un Cavaliere solo perché il Principe
mi permetteva di uccidere chi volessi.”
Nel frattempo Anarion si era alzato, rimanendo immobile
al centro della stanza. Sia lui che la donna scrutavano attentamente la stanza,
alla ricerca del più piccolo movimento o rumore.
La figura incappucciata dell’assassino comparve tra i
due e Serìa non ebbe un attimo di esitazione.
Con un movimento repentino del braccio scaricò un
torrente di fiamme bluastre sulla figura, con un urlo di trionfo. Mory scomparve
nuovamente nel nulla e le fiamme saettarono invece su Anarion, che ebbe appena
il tempo di coprirsi il volto con le mani prima di venire ingoiato dal fuoco. Le
fiamme si scagliarono su di lui con violenza, scaraventandolo contro la parete e
avvolgendolo in un sudario di morte fiammeggiante. Si estinsero in pochi
secondi, lasciando la figura tremante, ma illesa del ragazzo rannicchiata al
suolo. I suoi vestiti caddero a brandelli fumanti, quando si rialzò guardando
con astio Serìa, che lo ignorava completamente, irritata solo per aver mancato
l’assassino. Mory era ora affianco al ragazzo, immobile ed invisibile, con il
pugnale argentato pronto ad uccidere. Poi i suoi occhi si fissarono sul simbolo
di un sole marchiato a fuoco sulla schiena della sua vittima. Rimase ancora
fermo, mentre Serìa faceva balenare fiamme per tutta la stanza, cercando
vanamente di colpirlo. L’Incarnazione era davanti ai suoi occhi, pronta per
essere ghermita, ma una morte simile non gli avrebbe dato alcuna soddisfazione.
Il ragazzino non era ancora una preda appetibile. Lui voleva un avversario che
lo facesse sudare, sputare sangue. La vita era così noiosa senza degni avversari
da distruggere. L’avrebbe lasciato in vita, riferito della sua presenza e in
seguito qualunque fossero stati gli ordini, l’avrebbe ucciso. Qualche giorno
sarebbe bastato al ragazzo per diventare più forte, poteva capirlo guardandolo.
Una fiamma che gli passò pericolosamente vicino lo
distolse dai suoi pensieri. Si voltò verso Serìa e sorrise divertito dagli
sforzi della donna. Non era capace di individuarlo con precisione perchè lui era
capace di celare talmente bene la propria presenza da cancellare il proprio
odore e finanche di trattenere il proprio calore corporeo. Si avvicinò a lenti
passi verso di lei, schivando gli attacchi che la donna lanciava a caso, nella
speranza di colpirlo. Si stava trasformando, il suo corpo iniziava sempre di più
a prendere la consistenza del fuoco e allora sarebbe diventata pericolosa anche
per lui. Senza che la donna se ne accorgesse le fu davanti e sorrise.
“Qual è il tuo ultimo pensiero?” le sussurrò debolmente,
mentre il pugnale argentato saettava verso la gola della donna. Il sangue
sprizzò come una fontana dalla ferita, macchiandogli il mantello. Guardò
soddisfatto la donna, ma rimase incredulo. Serìa era sì impietrita, ma anch’ella
dalla sorpresa. Il pugnale aveva trafitto la mano di Anarion sul palmo da parte
a parte e la punta affilata quasi sfiorava tremante la pelle della donna.
L’assassino si voltò verso il ragazzo. Si era portato alle sue terga senza che
lui se ne accorgesse e aveva eguagliato la velocità del suo attacco, parandolo.
Ma soprattutto, lo vedeva. Un alone rosso aleggiava sugli occhi del ragazzo, la
cui fronte era imperlata di sudore sia per il dolore della ferita, che per lo
sforzo sostenuto per violare l’invisibilità del Cavaliere. Mory girò con rabbia
la lama nella ferita e il ragazzo urlò, cadendo al suolo, sfilando la propria
mano dalla lama. Il Cavaliere si voltò verso Serìa per finirla, ma questa
l’aveva anticipato. Nell’attacco aveva sciolto la propria invisibilità e dopo i
primi istanti di stupore Serìa poteva adesso reagire con precisione. Avvolta
completamente dalle fiamme, entrambe le sue mani partirono un inferno di fuoco
su Mory, abbattendosi su di lui con tal forza da scaraventarlo contro la
finestra e sotto la pressione delle fiamme, il corpo si schiantò sulle
inferriate facendole saltare nell’urto. Il corpo nero di Mory volò nel vuoto,
scomparendo alla vista
Serìa sputò a terra, sicura che il suo attacco non fosse
bastato ad uccidere l’assassino, le cui difese erano molte e potenti. Si voltò
verso il ragazzo: si era rialzato, ma la mano perdeva sangue a fiotti e lui
resisteva a stento al dolore. Come se non bastasse, il Cavaliere si ricordò che
Mory era uso fare ricorso ad armi avvelenate. Lo afferrò per la spalla destra e
quasi di peso lo portò fuori dalla stanza.
“Di niente, Serìa.” Mormorò sarcastico il ragazzo,
mentre si sentiva bruciare la pelle e ghiacciare le viscere. La ragazza ebbe un
moto di stizza. Le avevano insegnato a non chiedere mai l’aiuto di nessuno, né
tantomeno a chiedere scusa o a ringraziare. E non avrebbe certo iniziato
allora.