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Autore: hiromi_chan    06/05/2012    4 recensioni
In un'Inghilterra di fine '800, Alice Kirkland viene assunta dal frivolo conte di Bonnefoy come istitutrice per le sue figlie, Marguerite e Amelia. Dallo scontro tra mondi diversi, Alice finirà col trovare qualcosa di inaspettato: qualcuno che riesca a vederla per com'è fatta davvero.
(FrUk; Fem!England, Fem!America, Fem!Canada)
Forse un osservatore attento avrebbe potuto intravedere la scintilla che ogni tanto le balenava negli occhi, o il forte orgoglio nascosto nel contegno quando se ne stava con il nasino per aria.
Ma fin'ora nessuno era mai riuscito a capire che tipo fosse davvero; nessuno aveva mai visto oltre, e oh, Alice ne era sicura, l'uomo che aveva davanti era l'ultimo sulla lista che ce l'avrebbe mai potuta fare.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: FACE Family/New Continental Family, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Nyotalia
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
Capitoli:
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Parte seconda

 

 

 

 

 

Superare la prima settimana a Heaterfield non fu facile come Alice aveva previsto; non che lei non fosse in grado di gestire due comuni bambine di sette anni...il fatto era che Amelia e Marguerite non erano comuni per niente.

Definire Amelia semplicemente “vivace” era riduttivo. La piccola era iperattiva e instancabile, voleva fare almeno dieci cose tutte insieme, si arrampicava ovunque e non stava zitta neanche per un attimo. Parlava senza sosta per parecchi minuti di fila in una lingua tutta sua che era una specie di miscuglio di inglese e francese, e quando Alice si dedicava alle lezioni, riuscire a farla stare seduta tranquilla impegnava la metà del tempo.

Inoltre Amelia si rivelò essere particolarmente dispettosa nei confronti della sorellina; si divertiva un mondo a infastidirla, quando la vedeva giocare in silenzio col suo orso di pezza. In quei casi Marguerite diventava ancora più pericolosa per Alice, perché, per evitare che Amelia la coinvolgesse nei suoi giochi anche quando non ne aveva voglia, si nascondeva sparendo per ore.

Il rifugio cambiava sempre: ora era il vano della finestra dietro le tende, ora lo spazio sotto il tavolo, ora l'interno della credenza o dell'armadio. Dopo averla cercata per tutto il castello senza successo, Alice iniziava a chiamarla spazientita, la voce che risuonava per le grandi stanze semi deserte di Heaterfield. Marguerite si spaventava tutte le volte e scoppiava a piangere disperatamente, nascosta, facendo temere alle cameriere che il castello fosse infestato da un fantasma lamentoso.

Quello non era l'unico problema con lei: in tutti quei giorni non aveva ancora proferito parola che non fosse stata in francese. Era impossibile che non ne fosse in grado, anche perché sembrava capire perfettamente Alice quando le parlava in inglese. Solo, rimaneva a bocca chiusa e la ragazza era convinta che lo facesse di proposito.

Intuendo che ci fosse una ragione precisa dietro tutto ciò, Alice aveva pensato di parlare della faccenda direttamente con il conte. Tuttavia, durante l'intera settimana lui si fece vedere per pochissimo tempo al castello, qualche volta solo per augurare la buona notte alle bambine. Sembrava che fosse molto impegnato per certi suoi affari importanti, o almeno così diceva la servitù. Ma Alice credeva che questi “affari” riguardassero le signorine nobili delle tenute vicine, le ostesse delle taverne e le donne in generale.

A quel ragionamento le sue labbra si erano strette in una smorfia tanto evidente che Amelia, provocando lo scoppio in una risata della sorella, chiese alla giovane se non avesse appena mangiato un limone intero.

Dopo averle sgridate per la maleducazione dimostrata, Alice, davanti ai disarmanti occhioni delle bimbe, dovette ammettere la verità a sé stessa: ciò che le pesava era proprio il fatto che le due fossero particolarmente tristi quando non riuscivano a vedere il papà.

Marguerite lo dimostrava apertamente, chiudendosi in un mutismo ermetico per protesta, mentre Amelia metteva su un evidente broncio e diventava ancora più dispettosa con la sorellina. In quelle occasioni la ragazza si ritrovò a desiderare di essere in grado di fare qualcosa per poterle tirare su di morale.

Era una disposizione d'animo nuova per lei, il cui aiuto era sempre e solo stato richiesto dalle compagne di collegio per questioni pratiche come lo studio o le pulizie.

Sentendosi un pochino stordita, Alice accoglieva quei sentimenti col rossore delle guance, ben consapevole di non essere mai stata brava con le parole. Anche con le figlie del conte infatti i suoi goffi tentativi fallivano sempre, e quando appurava che fare loro una carezza sulle testoline era impossibile, perché le tremava la mano, per vincere l'imbarazzo le restavano solo le lezioni di storia inglese da impartire.

La domenica pomeriggio della sua prima settimana a Heaterfield Hall però, Alice trovò che le bambine avessero un aspetto più sciupato del solito.

La causa risiedeva sicuramente nella mancata gita del giorno prima; il conte aveva infatti promesso alle figlie di portarle a fare un giro in calesse fino al paese, dedicando l'intero pomeriggio a loro soltanto. Amelia era rimasta estasiata dalla cosa; da quando quel programma era stato deciso, non faceva che parlarne a Alice, prendendole un lembo della gonna e trascinandola in giro nell'immaginario percorso riprodotto tra le stanze del castello. Anche Marguerite si era lasciata presto contagiare dall'entusiasmo della sorella, e sorrideva a chiunque, spezzando i cuori delle domestiche che commentavano immancabilmente di desiderare anche loro una figlia o sorella tanto adorabile.

Tuttavia alla fine quel progetto era saltato a causa degli impegni dell'uomo. Le gemelle ne erano rimaste così deluse che sembravano essersi afflosciate come due violette strappate dal nutrimento della terra.

La cosa che irritava ancor di più Alice, poi, era che l'impedimento alla gita, causa del malumore delle bimbe, fosse stato determinato dall'improvvisa visita a Heaterfield di una certa Miss Carriedo. Le voci sparse dal personale della tenuta riferivano che fosse un'amica di vecchia data del conte e che si trovasse per coincidenza anche lei in Inghilterra.

Ora, Alice certamente conveniva con il rispetto delle buone maniere nell'accogliere un ospite, specie se si trattava di una signora, e ancora di più se era un'amica. Ciò non toglieva che quello preso in precedenza dall'uomo con le figlie fosse pur sempre un impegno, e in tal senso andava rispettato.

Inoltre...perché mai sembrava che tutti gli affari di questo conte riguardassero esclusivamente le donne?

Donne, donne e ancora donne! Chissà quante mani di signorine aveva baciato, il signor Bonnefoy, e con quanta leggerezza l'aveva fatto, nello stesso modo con cui l'aveva fatto con lei...

“Perché siete arrabbiata, signorina?”

La voce di Amelia giunse improvvisa e la sorpresa fece ridestare Alice dal circolo dei propri pensieri.

“Non sono arrabbiata” disse lei, lisciandosi istintivamente le pieghe del vestito sul ventre.

“Ma se poco fa avevate un'espressione terribile...non è vero? Diglielo tu, Marguerite! Ti sei spaventata al solo vederla” esclamò Amelia, strattonando la sorellina perché parlasse.

Quella se ne rimase in silenzio, sfoderando uno sguardo timido che demolì ogni resistenza di Alice, facendole dolere il cuore di un impulso singolare.

Mettendo volutamente da parte l'irritazione provocata dai comportamenti ambigui di quella sottospecie di signorotto falso nobile, Alice sospirò profondamente, poi si sistemò gli occhiali sul naso e si schiarì un attimo la voce.

“Pare che il nostro mal umore collettivo abbia ingrigito le mura stesse di Heaterfield Hall, rendendola plumbea, quando invece fuori vedo un bel sole di primavera...oggi potremo fare una piccola variazione sul programma, che ne pensate?” disse, mantenendo un tono neutro ma sentendosi scioccamente eccitata all'idea della reazione delle gemelle.

Quelle si scambiarono uno sguardo spaesato, non riuscendo a capire dove Alice volesse arrivare.

“Stavo solo suggerendo” riprese lei, “di sostituire la nostra lezione di storia inglese con una di disegno all'aperto. Potremo ritrarre il paesaggio davanti al laghetto. Certo, non sarà entusiasmante come un viaggio in carrozza, ma...”

A quel punto Amelia impedì a Alice di andare avanti, aggrappandosi con un salto alla sua vita e iniziando a ridere forte, mentre l'altra bambina prese a far volare con grandi sorrisi l'orsetto che si portava sempre appresso, girandole intorno graziosamente. Prima di invitare le due a tornare alla calma e all'ordine, Alice si concesse qualche secondo appena per poter ammortizzare uno strano scoramento che le stava facendo girare la testa; un qualcosa che nasceva dal suo petto, lì a sinistra, e che poi si dipanava per tutto il suo corpo fino a salire sul viso, proprio dove si sentiva le guance ardere a causa di chissà quale incantesimo lanciatole da quelle due piccole pesti.

 

 

Il laghetto di Heaterfield Hall non aveva un diametro tale da poter impressionare coloro che si beavano della vista del paesaggio; si trattava pur sempre di un lago, però, non di una semplice pozza d'acqua. Come tale, Alice stava bene attenta a rimanere parecchi metri lontana dalle sue sponde e a tenere accanto a lei Marguerite e Amelia, non sapendo assolutamente nuotare e del resto consapevole che non ci fosse bisogno di sfidare la sorte avvicinandosi troppo all'acqua.

Quel giorno il tempo era davvero buono; un po' d'aria aperta ebbe subito il potere di ristorare il buon umore delle piccole, e di conseguenza, anche Alice si sentì meglio.

Ma che strano pensare che le risate delle bambine scatenassero per conseguenza diretta anche il suo sorriso. Era una cosa alla quale non era abituata, il provare tanto piacere nel prendersi cura di qualcuno.

Ciò che la stupiva maggiormente era come quel processo straordinario si fosse verificato nel giro di una settimana appena.

Ogni volta che Amelia imparava un nuovo vocabolo in inglese, Alice se ne sentiva irrimediabilmente soddisfatta. Allo stesso modo, i bei disegni che Marguerite realizzava la facevano gonfiare per la fierezza...era orgogliosa dei progressi di quelle bambine, felice di star contribuendo alla loro crescita.

Forse...forse sì, si trattava solamente dell'orgoglio che devono provare le insegnanti quando svolgono bene il loro lavoro. Se non questo, cos'altro avrebbe potuto essere quel moto di compassione nei confronti delle bambine, quella voglia di partecipazione, quel suo goffo cercare un contatto sempre maggiore con loro?

Qualcosa impedì improvvisamente a Alice di trovare la risposta che cercava, e solo quando sentì la propria schiena rizzarsi a causa di una sensazione di gelo, la ragazza si rese conto di essere appena uscita da qualche minuto di dormiveglia.

Una fitta di preoccupazione la assalì quando non vide intorno a lei le figurine delle figlie del conte; un istante dopo, delle urla giovani e spaventate le perforarono le orecchie, urla di bambine che chiedevano aiuto.

Con la forza dell'orrore, niente più che un istinto, Alice si alzò di scatto, riuscendo a capire solo allora cosa stesse accadendo: Marguerite se ne stava aggrappata quasi in cima al salice che affondava le sue radici ai piedi del laghetto e che pendeva verso le acque grige. Amelia intanto strillava come un'aquila tentando di iniziare l'arrampicata per raggiungere la sorellina che piangeva.

Con le mani che tremavano, Alice si raccolse freneticamente le gonne e subito volò verso l'albero, afferrò Amelia per il busto e la allontanò di qualche metro dal pericolo.

“Devo aiutare Margie! Non riesce a scendere ed ha paura!” si agitò la piccola, “Se non la salvo io cadrà in acqua e affogherà!”

Per una interminabile frazione di secondo, Alice la guardò negli occhioni umidi, spaventati ma decisi. Aveva il coraggio dato dall'avventatezza e dall'inesperienza, ma era pur sempre coraggio, e lei, che era la sua tutrice, ne venne completamente assorbita.

“Non ti muovere per nessun motivo” le ordinò alla svelta, rivolgendosi poi celermente a Marguerite. “Non avere paura, ti prendo io!”

Agì senza in realtà sapere cosa fare: appiattì la propria figura più che poté al tronco, l'istinto che le faceva muovere in qualche modo le gambe. Aggrappandosi al legno con le unghie, affondando con movimenti stentati la punta degli stivali sull'albero, si arrampicò passo dopo passo verso la bambina.

“Ma come accidenti è riuscita ad arrivare fin quassù?” mormorò tra sé, riservando invece per Marguerite soltanto parole incoraggianti.

“Non piangere, arrivo subito da te”.

Alice non seppe nemmeno come, ma portò a compimento quell'improbabile scalata riuscendo ad appoggiare il busto contro il ramo sul quale stava appesa Marguerite. Non appena il senno le ebbe indicato un punto dove era meglio fermarsi se non voleva evitare di rompere il ramo e far cadere entrambe in acqua, allungò il più possibile un braccio verso Marguerite, incoraggiandola a fare altrettanto.

La bambina però non le dava retta; immobilizzata dalla paura, continuava a tremare come un cucciolo e tendeva la manina avanti di appena qualche centimetro.

“Fai uno sforzo, Marguerite” le diceva intanto Alice a denti stretti, sudando freddo più che mai per la consapevolezza che ogni secondo in più significava l'aumentare del pericolo, “avanti, fai uno sforzo e vieni da me, ti prendo io”.

Parlava tentando di modulare le voce per non agitare ulteriormente la piccola, che le rivolgeva sguardi imploranti e non smetteva di singhiozzare; in realtà però sentiva un groppo enorme alla gola. Pur non essendosi mai trovata in una situazione simile prima d'ora, sapeva che quella era paura, e che avrebbe solo avuto voglia di urlare e mettersi le mani nei capelli.

La testa le scoppiava, i polmoni quasi sembravano chiusi, le vene pulsavano forte mentre i secondi si dilatavano ed Alice allungava ancora il busto e il braccio avanti a sé.

“Ci sono quasi, ti ho quasi presa” si sforzò di dire ostentando un sorriso spezzato.

Fu forse proprio quello a spingere la bambina a protendersi completamente verso Alice; ma il gesto provocò un sinistro scricchiolio del legno sotto alle due.

In un momento di lucido panico, la ragazza si azzardò a coprire definitivamente la distanza che la separava da Marguerite avvicinandola a sé con il braccio e stringendola forte per la vita.

Allora, nel medesimo istante, Alice sentì che erano salve e perdute: salve perché stavano al sicuro l'una nell'abbraccio dell'altra, perdute perché la fragile struttura dell'albero si stava piegando visibilmente verso la superficie grigia del lago.

E lei non sapeva nuotare.

Proprio quando la ragazza aveva chiuso gli occhi, inspirando forte, allacciando contro di sé Marguerite, proprio quando la prospettiva dello spavento si stava facendo terribilmente reale e Alice si preparava all'idea di trovare il modo per non portare la bimba affondo insieme a lei, arrivò il rumore dell'impatto con l'acqua.

Ma né Alice né Marguerite erano cadute dall'albero, né i rami avevano ancora ceduto; qualcun altro doveva essersi quindi tuffato. Riaprendo gli occhi con un fremito al solo pensiero che potesse essere stata Amelia, Alice trovò invece sotto di lei la figura del conte di Bonnefoy che spuntava dalla superficie dell'acqua.

E il suo cuore, lo sentì distintamente, saltò via dal petto.

“Marguerite!” disse subito l'uomo, tendendo le braccia verso l'alto.

Lei aiutò immediatamente la bambina a raggiungere il padre, mentre alle orecchie ancora per metà chiuse dal panico le arrivavano gli ululati di gioia di Amelia.

In pochi secondi il conte mise in salvo sua figlia, depositandola a riva accanto alla sorella, che provvedette ad accarezzarle la testolina per farla smettere di piangere. Poi l'uomo tornò con un paio di poderose bracciate nello stesso punto, alzò le mani verso Alice e si mise in attesa. Ne seguirono alcuni istanti silenziosi in cui nessuno mosse un solo altro muscolo.

Se la ragazza non si fosse sentita ancora scossa dallo spavento di prima, avrebbe giudicato la scena assolutamente ridicola e anche imbarazzante.

Il colmo arrivò quando riuscì perfettamente a distinguere negli occhi del conte una palese pietà diretta nei suoi confronti.

“Volete venire giù, mademoiselle, o magari preferite rimanere aggrappata a quel ramo come un gatto spaventato?” ammiccò, senza ritirare le braccia tese verso di lei. “Anche se, lo ammetto, è piuttosto impagabile vedervi in questa situazione, tanto che mi viene voglia di lasciarvi lì e andare a prendere una tela per poter immortalare per sempre la deliziosa scenetta. Sono piuttosto bravo anche nel disegno, sapete...?”

Per non dargli la soddisfazione di continuare a prenderla in giro un secondo di più, Alice si fece coraggio, mise da parte tutto il pudore e l'orgoglio e si lasciò andare per una frazione di secondo nel vuoto.

Immediatamente finì intrappolata nella presa sicura del conte, che l'aveva aspettata a braccia aperte, ghignando beffardo.

Anche volendo era ormai impossibile evitare di fare la parte della damigella in pericolo; dimentica di quel cuore che le era volato via dal petto qualche secondo prima, Alice si concentrò sul pensiero che fosse necessario limitare quanto meno i danni.

Si aggrappò dunque alle spalle larghe del conte a peso morto, trattenendosi dal mettersi a gridare per la paura di essere quasi del tutto immersa in un lago.

“Brava bambina” soffiò lui soddisfatto, ben attento a tenere un tono di voce perfettamente udibile.

“Buffo come sia congeniale al mio fisico il potervi sorreggere e trasportare in questo modo, vero? Sembra proprio che siate nata per potervi appoggiare alle mie spalle, mia cara...o dovrei dire che siano le mie spalle ad essere adatte come appoggio per le donne...d'altro canto, nessuna signora se ne è mai lamentata e anzi ho ricevuto molte lodi per questa mia qualità”

La provocazione non ricevette risposta, dato che ormai erano arrivati a riva. Il conte aiutò subito Alice a sedersi con galanteria ostentata, chiedendole il permesso prima di tirarla su per la vita.

Finalmente in salvo, la giovane poté udire i propri battiti tornare lentamente regolari (e il cuore tornarsene al posto suo), mentre si sistemava sull'erba umida schiarendosi la voce.

Le bambine, che intanto controllava con la coda dell'occhio, se ne stavano ora strette l'una all'altra, dritte come se aspettassero il verdetto di una condanna a morte, ossia la sgridata del padre.

“E' tutta colpa mia, papà. Se devi arrabbiarti con qualcuno, fallo con me” si fece avanti coraggiosamente Amelia. “Volevo costringere Margie a giocare alla principessa e al cavaliere, e io avrei fatto il cavaliere ovviamente, e lei la principessa. Ma Margie non voleva, così per scappare da me è salita fin lassù, e io ci ho provato comunque a fare il cavaliere, ma non ci sono riuscita”

L'aveva detto alzando la testa con una fierezza così convincente ed esagerata e con una vena di tragicità nella voce, che Alice, nonostante si sentisse in colpa quanto le bimbe se non di più, non riuscì comunque a trattenere un sorriso.

Un sorriso amaro però, perché era consapevole che tutto ciò che era successo fosse responsabilità sua soltanto. La colpevole era lei, che non aveva tenuto d'occhio le bambine distraendosi anche solo per pochi attimi.

“Non vi arrabbiate con loro, signore, la responsabilità è solo mia e mi vergogno tantissimo del rischio che ho fatto correre alle vostre figlie” disse quindi a cuore aperto.

E in ciò che aggiunse dopo ci fu un leggero panico, una sfumatura stonata che le ruppe la voce; in condizioni normali si sarebbe odiata: avrebbe odiato non riuscire a imporre un controllo razionale alle sue azioni. Ma ormai, dopo essersi arrampicata, essere quasi svenuta dalla paura ed essersi buttata tra le braccia di un uomo, per darsi un contegno decente non c'era più né il modo, né il motivo.

“Vi chiedo, signore, solo...” tentennò quindi, “solo, datemi tempo fino a domattina prima di mandarmi via”

Il motivo per cui la voce le si era incrinata era perché le era costato dirlo.

Le dispiaceva sul serio, non tanto per la buona occasione di lavoro andata in fumo, quanto per il senso di colpa che le stringeva la gola e...anche per l'idea di lasciare quelle bambine, quella casa.

La verità era che ci aveva creduto sul serio: Heaterfield baciata dai raggi del sole, le serate fredde scaldate dalle voci di Amelia e Marguerite, le giornate di primavera che sarebbero venute di lì a poco...

Alice aveva creduto sul serio di aver trovato un posto di cui potersi sentire parte.

“Preparerò subito le mie cose” continuò, gli occhi che vagavano incerti e proprio non ne volevano sapere di staccarsi dalle sue scarpe, “ma domattina, al sorgere del sole...”

“Non voglio che vada via!” la interruppe una vocina.

D'istinto, la ragazza si voltò verso Amelia.

Ma quando questa le restituì uno sguardo stupito, Alice spostò lentamente il viso in direzione di Marguerite: Marguerite che aveva, alla fine, parlato in inglese.

“Non mandare via la signorina, papà!” ripeté la bimba con calore, sempre in inglese, mentre a lei si affiancava la gemella, che prese a fissare il conte con aria minacciosa; poi si fiondarono una alla destra e una alla sinistra di Alice, afferrandole la gonna.

Sentendo le loro manine stringersi sull'abito, in quell'esatto istante e per la prima volta, la ragazza venne investita dall'istinto di avvolgere con le braccia Amelia e Marguerite; lo assecondò nell'emozione del momento e le strinse timidamente. Non sapeva proprio da dove le fosse saltata in testa quell'idea, visto che all'istituto le insegnanti non avevano mai sufficiente tempo per dedicarsi a qualche coccola con le piccole allieve. Lì tutte erano uguali, nessuna contava più dell'altra e considerando che Alice era sempre stata ritenuta dai fratelli uno scomodo fardello, si poteva dire che non avesse mai conosciuto certe forme di affetto.

“Siete molto care, bambine”, disse in un soffio, “ma mi rendo conto che in questa situazione, qualunque datore di lavoro mi licenzierebbe. Quindi me ne andrò risparmiando il compito di congedarmi...al conte”

Alle ultime due parole lo sguardo, ormai fuori da ogni collegamento razionale con il cervello, le scattò sull'uomo, puntandosi su di lui con un certo fare allusivo.

Il conte era rimasto fino a quel momento uno spettatore silenzioso, la destra appoggiata su un fianco e l'altra mano impegnata a sistemarsi i capelli.

“Non mi pare che qui nessuno abbia parlato di partenze, tranne la nostra cara signorina Kirkland stessa” disse, come se si trattasse di un'ovvietà. “Dunque, mademoiselle, avete così tanta voglia di andarvene?”

Sebbene la domanda avesse potuto sembrare blanda e retorica, gli occhi del conte dissero qualcos'altro a Alice, colpendola con una intensa stoccata blu cielo; così lei seppe che la risposta possibile da dare in quel momento poteva essere solo una, e come sotto incantesimo, rispose:

“In realtà non voglio andarmene affatto, signore”.

“Perfetto allora, non vedo perché mai qualcuno debba andarsene da qui proprio ora! L'unica cosa da fare adesso è andare subito ad asciugarci tutti e a cambiarci, su, prima che ci venga un malanno!” esclamò lui, prendendo in braccio Marguerite e afferrando la manina di Amelia.

Poi si incamminò alla volta dell'ingresso della servitù, che era quello che dava sul laghetto, con le sue consuete grandi falcate.

Alice ebbe bisogno di qualche secondo per registrare l'accaduto; solo quando vide le loro schiene ormai distanti qualche metro da lei, si mosse alla svelta raccogliendosi le gonne fradice, e incespicando raggiunse il conte.

“Davvero, signore?” chiese solo, ancora sbigottita.

“Ma sì! Infondo, non abbiamo fatto altro che giocare un po' alla principessa in pericolo e al cavaliere, o no?”

 

 

 

“Le cose stanno proprio così, signorina, e non capisco perché debba sembrarvi tanto strano, ma se volete posso raccontarvi di nuovo cosa sia successo mentre finite di asciugarvi i capelli, non mi costa nulla. Allora, saputo dal giardiniere che ve ne stavate fuori con le bambine, il signor conte ha voluto subito spostarsi dal salone allo studio al secondo piano da dove si vede bene il laghetto, avete presente, no? E così ha fatto spostare con lui anche la sua ospite signorina Carriedo. Tutto solo per controllare da lontano cosa facevano nel frattempo le sue pupille, e per assicurarsi che tutto andasse bene. Lo fa sempre, sapete. Le due signorine sono il suo primo pensiero, il primo pensiero del signor conte, che gran cuore che ha e che uomo affascinante che è!

Su, non fate quella faccia signorina, io lo conosco bene l'animo del signor Francis, sto in questo castello da sempre, sono la più vecchia qui e lo conosco da quando era un ragazzetto e veniva durante l'estate. E forse una volta era avventato, sì, ma da quel giorno che è tornato qui portandosi con lui le figliolette di appena tre anni è diventato un uomo molto responsabile.

Capirete, doversi occupare da solo di due bimbe dopo che la madre le ripudiò dalla casa dove stavano in Francia, buttandole letteralmente fuori senza volerne sapere più nulla di loro, di tutti loro...certo lui, il signor Francis, aveva le sue sue colpe, oh si, ai quei tempi era più giovane e amava molte donne e...ma le bambine, che colpa potevano mai avere loro, via!

Che pena che facevano a vederli, immaginatevi...una che mordeva le mani del padre perché voleva rimanere nel posto dove era nata, l'altra che era rimasta scioccata dal trasferimento tanto da rifiutarsi di parlare in un'altra lingua che non fosse la sua...

Così, così il signor conte si è fatto uomo tutto d'un tratto, provando il rimorso, il dolore, la responsabilità sulla sua pelle, e da allora è l'uomo migliore che io abbia mai conosciuto, il padre migliore che esista al mondo, anche se è evidente che voi non la pensiate allo stesso modo.

Si tratta solo di saper guardare oltre le apparenze...ma forse per voi è una cosa ancora troppo difficile, senza offesa, eh.

Comunque vi dicevo, prima era lì che vi osservava tutte e tre giocare attraverso il vetro, il caro signor conte, e poi a un certo punto lo sa solo il demonio cosa abbiate combinato, e io stavo fuori a rassettare nel corridoio e l'ho visto spuntare su come un fulmine biondo correndo verso il piano di sotto e lasciando sola soletta la sua ospite signorina Carriedo in men che non si dica; ed ecco che pochi minuti dopo vi vedo tornare tutti bagnati e infreddoliti. Così finisce quello che ho da dire, nel frattempo vedo che vi siete sistemata anche voi. Non ho più nulla da fare, ora, vero? Avete bisogno di altri servizi da parte di questa vecchia cameriera, che ne so, vi servono altri asciugamani? No? Allora mi chiedo che cosa stiate aspettando ancora per raggiungere il conte nel suo studio...ha chiesto di voi.

Perché mi guardate con quella faccia stralunata, mia cara? Ma state bene? Avete il viso talmente paonazzo...”

 

 

Il cuore di Alice batteva molto più forte di quanto non avesse mai fatto mentre se ne stava lì, davanti alla porta chiusa dello studio del conte.

Aveva giudicato male quell'uomo, lo riconosceva; lei, che si vantava di avere un temperamento equilibrato, si era affrettata nel bollare colui che le aveva dato un impiego come un nobile da strapazzo, un sempliciotto esibizionista, un cascamorto incallito e...sì, quelli erano tutti aggettivi azzeccati, ovviamente.

Tuttavia c'era qualcos'altro ancora: lo stesso conte era anche un padre assolutamente amorevole e, a quanto pareva, una persona molto attenta e accorta.

Spiritoso anche, ma solo ogni tanto, e uno che le prendeva la mano e glie la baciava e poi vaneggiava e aveva il potere di far vaneggiare anche lei.

Certo era un gran bel potere quello, Alice doveva proprio ammetterlo. Nel corso dei suoi diciassette anni di vita non aveva mai conosciuto nessuno in grado di disarmarla a tal punto; nessuno, se non il conte di Bonnefoy e le sue due figlie gemelle.

Tali pensieri inusuali le affollavano la testa, impedendole di muoversi di un solo passo dalla posizione in cui si trovava ormai da qualche minuto. Solo quando arrivò una voce dall'altra parte della stanza, Alice sobbalzò.

“Volete entrare oppure no?” disse forte il conte.

Allora la ragazza si infilò nella stanza restando tutta impettita, ma senza riuscire a non atteggiarsi come una bambina scoperta con le mani immerse nel vasetto della marmellata.

L'uomo se ne stava seduto sul pavimento davanti al camino, il busto girato per poter guardare Alice e le gambe lunghe distese un po' lascivamente.

Pareva avere adesso intorno a sé un'aura diversa, o forse era Alice che lo guardava sotto una nuova luce.

“Dite la verità, volevate farmi aspettare a lungo così da farmi pensare con maggiore passione a voi, non è vero?” ghignò subito, sornione. “Allora anche voi sotto sotto vi pavoneggiate delle vostre doti seduttive come qualunque ragazza al giorno d'oggi! Certo io non vi consideravo altro se non una piccola governante...però, se lanciate il sasso in questo modo, potrei anche cambiare idea. Sono di larghe vedute, sapete, e sono disposto a lasciarmi irretire da qualunque donna, che sia una nobile o una cameriera perfino”.

...Ma tanto era facile pensare bene di quell'individuo, altrettanto facile era pensarne male; i buoni propositi che la giovane aveva iniziato a costruirsi qualche secondo prima crollarono come un castello di carte all'idea che lui la credesse capace di...irretirlo.

Chi era davvero quell'uomo, era una persona seria oppure no, e come doveva fare lei per crearsi un'opinione stabile sul suo conto?

“Se permettete, trovo la vostra affermazione così di cattivo gusto che richiedo il permesso di ignorarla e non rispondere” disse quindi Alice a denti stretti, sentendo come se tutta l'irritazione fosse andata a sommarsi dentro di lei in un gran cumulo di aspettative deluse.

“Ma avete già risposto, mon dieu! Indirettamente, e forse nemmeno in tal modo, mi avete fatto capire di essere rimasta piuttosto seccata da quanto ho detto. Quindi, mademoiselle, l'effetto che esercito su di voi è tanto forte da farvi persino mancare le parole per rispondere a tono alle mie provocazioni?” ribatté rapido lui.

A quel punto Alice percepì un'ondata di calore infiammarla più fastidiosamente delle volte precedenti, mentre la tentazione di infilare la punta dello stivale in un occhio del conte divenne quasi irrefrenabile.

“Direi...direi, signore” iniziò tremando, consapevole che la voce le uscisse in un tono leggermente isterico, “direi che se fossi stata un uomo...se fossi stata un uomo, con tutto il rispetto e parlando solo ipoteticamente, se fossi stata un uomo vi avrei preso molto volentieri a schiaffi, signore, e non solo adesso, ma tutte le volte che vi siete rivolto a me in modo così impertinente!” esplose. “Ma chi vi credete di essere per prendervi il diritto di parlarmi in questo modo? Vorrei pensar bene di voi, lo vorrei davvero, ma ogni volta che ci provo fate di tutto per smentirvi immediatamente! Che dovrei pensare, io, di voi?! Dovrei considerarvi un gentiluomo...ma per favore!” e riprese fiato, “Mi salvate e fate il bravo padre, ma siete anche lo stesso che si rapporta a me con modi sfacciati senza preoccupazione alcuna di nascondere la vostra malizia! Mi fate venire una tale rabbia che vorrei...” mugugnò, stritolandosi il vestito, “vorrei...”

Ma le parole seguenti le morirono in bocca alla vista del sorriso del conte, aperto e soddisfatto.

“Ecco completamente scoperto il volto della signorina Kirkland, che non vedevo l'ora di poter ammirare in tutto il suo splendore!” esclamò trionfante, allargando le braccia.

“E' un volto sincero, appassionato e deliziosamente suscettibile. E' il volto della donna capace di comportarsi come l'insegnante più intransigente, di arrampicarsi su un albero come un uomo e di fare una carezza così dolce alle mie figlie come non ne ho mai vedute. Prima vi ho vista mentre le guardavate con quella tenerezza, e quanto eravate preoccupata per la loro incolumità laggiù al lago...sembravate un'altra, così fuori dai gangheri, tutta zuppa e spettinata, con gli occhiali storti e il viso rosso”.

Alice aprì la bocca per ribattere qualcosa, qualunque cosa, ma non riuscì a esprimersi con nessuna frase di senso compiuto. L'altro ne approfittò per tornare all'attacco, con il tono un po' smielato ma in qualche modo onesto che stava centrando il bersaglio in modi che nemmeno lui osava immaginare.

“Perché non potete essere sempre così onesta?” affondò di nuovo, “Lasciatevelo dire, siete più carina quando non tentate di nascondere le vostre emozioni più profonde” e giù, un'altra stoccata che fece girare la testa di Alice. “Poi, trovo i vostri sbalzi umorali così adorabili che credo sia proprio un peccato che vi tratteniate tanto”.

Tale conclusione pronunciata con semplicità ebbe il potere di far desiderare una sola cosa alla giovane: fuggire di lì il più in fretta possibile.

Non le piaceva andare in confusione, non le era mai piaciuto.

In cuor suo aveva sempre desiderato che potesse arrivare il giorno in cui qualcuno avrebbe potuto capire la sua vera indole. Sembrava che adesso ciò fosse accaduto, tuttavia sentirsi scoperta le faceva solo venire voglia di scappare.

E sentirsi dire quelle cose quando ancora le bruciavano nella gola le parole dure che aveva rivolto contro il conte...non aveva senso.

“Questi...questi suoi giudizi mi sembrano un po' fuori luog...”

“Mi perdonerete, spero, se fin'ora io mi sia divertito a stuzzicarvi” la interruppe l'uomo, la voce bassa che armonizzava col crepitare del fuoco, “ma lo facevo solo perché avevo capito che nascondevate un bel caratterino e volevo confrontarmi con voi. Del resto, non credo proprio che da adesso in poi smetterò di provocarvi, poiché ho realizzato una cosa: mi diverte veramente tantissimo”

L'espressione di pura sincerità con cui il conte si espresse fu qualcosa di unico. Tutto compiaciuto di sé stesso e della simpatica scoperta, si passò le lunghe dita sulle labbra come per assaporare la soddisfazione di aver scovato qualcosa che lo soddisfaceva, al contempo imbarazzava Alice, e per questo, lo soddisfaceva ancora di più.

“Sono tanto spiacente” aggiunse, ironico, “ma bisticciare con voi è talmente interessante che credo ne farò il mio nuovo passatempo”

“Ma, ma sentite, io, io non...” incespicò lei, la mente annebbiata che le impediva di opporre una resistenza più ferma.

Il conte di Bonnefoy invitò allora Alice con un gesto della mano ad avvicinarsi e a sederglisi davanti, sul pavimento. Lei lo raggiunse meccanicamente staccandosi solo allora dall'ingresso dello studio. I passi silenziosi sul tappetto color vinaccia la portarono di fronte all'uomo; lì si fermò, rimanendo in piedi con le mani strette sul grembo, le sopracciglia corrucciate e le orecchie paonazze.

In quel momento non seppe proprio cosa fare.

Come svuotata da ogni scintilla di orgogliosa rabbia, stava immobile nell'attesa di venire spazzata via da quell'uragano che era il conte di Bonnefoy; colui che sapeva farle piegare la testa solo prendendosi scherzosamente gioco di lei...l'uomo che riusciva a sfasciare tutte le sue credenze anche adesso che se ne stava semplicemente seduto a guardarla dal basso verso l'alto, le fiamme del caminetto che gli coloravano il volto.

“Sapete signorina, c'è un qualcosa in voi...” disse, sforzandosi di trovare le parole giuste; sta volta non sembrava solo impegnato in uno dei suoi esercizi di retorica volti a fare bella figura, ma pareva proprio che non riuscisse a esprimere chiaramente ciò che stava pensando.

“In voi c'è...un qualcosa di vivo” disse alla fine, stringendo gli occhi e piegando la testa.

“Lo spero bene” rispose lei, sorpresa.

“Non avete capito” ribatté sbrigativo, scacciando l'aria con le mani. “Il parlare figurato non fa proprio per voi. Intendevo dire...che anche quando state ferma, nei vostri begl'occhi verdi c'è una scintilla inquieta sempre in movimento, e questa cosa mi incuriosisce e mi piace molto. E' uno dei motivi per cui non potrei mai mandarvi via, siete troppo interessante”

“Smettetela di blandirmi così” disse subito lei, un po' burbera. Infondo se al conte piaceva la sincerità, era la sincerità che avrebbe avuto. “Non sono abituata a sentire qualcuno esprimere giudizi sul mio conto in modo tanto diretto”.

Certo, pure la sincerità aveva un limite, e non gli avrebbe mai e poi rivelato che in effetti il ricevere tanti complimenti oltre che imbarazzarla le faceva più che piacere.

“Come siete strana...allora, se non è possibile decantare le vostre qualità di donna senza arrecarvi disturbo, vi dirò quali sono le qualità di insegnate che vi hanno fatto guadagnare il posto, così starete più tranquilla sulla questione del licenziamento.”

Alice fece cenno di sì con la testa senza aggiungere altro, notando intanto chissà per quale motivo che tutte quelle “g” strascicate, le “ci” che erano “sci”, le “erre” oltremodo sciocche e gli assurdi accenti francesi non fossero poi tanto fastidiosi dopo che ci si era fatta l'abitudine.

“Semplicemente, mademoiselle” riprese il conte, “Amelia ha fatto progressi enormi con la lingua e mi pare sia diventata un pochino appena più responsabile, il che è già un gran risultato considerando la sua vivacità. Mentre Marguerite...come potrei mai mandarvi via dopo che siete riuscita a farle chiedere di tenervi qui, e a farglielo dire in inglese?”.

Nel momento in cui l'uomo inclinò la testa rivolgendole un sorriso curioso e, in qualche modo, dolce, il groviglio delle dita di Alice si sciolse, come se i suoi arti avessero dichiarato la resa per poter penzolare dal suo corpo senza opporre più resistenza.

“Voi avete fatto qualcosa alle mie bambine” aggiunse ancora lui, voltandosi del tutto dalla parte della ragazza con un mezzo giro del busto, “non so che cosa abbiate fatto, ma le avete stregate e loro vi adorano; e vedo che anche voi adorate loro, non lo si può negare. Tanto basta per farmi desiderare di tenere questa strana piccola donna accanto a me e alla mia famiglia per tutta la vita, che lei lo voglia o meno...ma sono pronto a scommettere che lo vuole anche lei”.

Allora fu il silenzio; e in quel silenzio, la mente di Alice venne popolata da tanti ricordi muti, che si susseguivano uno dopo l'altro senza logica.

C'era lei, piccola, nascosta dietro la porta ad origliare i fratelli che decidevano di spedirla al collegio, tratteggiando tutto il suo futuro con l'ombra di un finto rimorso nella voce.

C'era Marguerite, rannicchiata nel vano della finestra dello studio al secondo piano. Piangeva stringendo il suo orso di pezza al corpicino.

C'era di nuovo Alice che leggeva di notte, schiacciata contro la finestra per ricercare la luce della luna, le orecchie tese nell'ascoltare i passi delle insegnanti che la credevano a letto.

C'era poi la stanza che condivideva con le compagne, rigida, fredda, spartana, coi suoi lettini tristi disposti in fila, e c'era Amelia che la guidava per mano trascinandola di corsa attraverso i corridoi di Heaterfield; i raggi del sole filtravano dalle vetrate, coloravano di sfumature decise gli arazzi, i busti, i dipinti, le porte, le credenze, le librerie.

C'erano le giornate uggiose, plumbee dentro il suo cuore, c'era il pomeriggio al lago e la paura, c'erano diciassette anni trascorsi vagando alla ricerca di altro, contro una sola settimana in cui Alice aveva provato, visto, toccato, sentito così tanto, così tanto.

E c'era quell'uomo, seduto davanti a lei, con un gomito puntellato sulle ginocchia, il mento appoggiato sul pugno chiuso.

Si aspettava una risposta, l'attendeva con calma e perfetta galanteria. Alice volle dargli la sua risposta, rizzando la schiena nella posa che più le era congeniale, le mani strette di nuovo l'una nell'altra; ma un sorriso nuovo, semplice e rilassato, un po' timido forse, le si era aperto sul viso.

“Qualcuno una volta mi ha fatto notare quanto gli uomini siano creature volubili” disse in tono neutro, scandendo bene le parole.

“L'ho sentito dire anch'io...pare che un minuto vogliano una cosa e il minuto dopo non la vogliano più” completò per lei il conte, ricordando subito la prima conversazione che avevano avuto quando l'aveva assunta.

“Questo deve essere il minuto in cui so quello che voglio” disse allora lei.

E tese la piccola mano verso il conte, ma appena appena, perché dopotutto era il massimo che poteva fare (sarebbe morta di vergogna, in seguito, se solo si fosse lasciata scappare una parola in più o se si fosse accucciata lei accanto all'uomo). L'altro accolse al volo l'offerta mostrando il suo sorriso più affascinante. La mano su cui teneva appoggiato il mento volò subito ad afferrare quella di Alice, coprendogliela tutta. La sua stretta era calda, morbida, sicura.

Dopo qualche istante però Alice iniziò a trovarla un pochino troppo calorosa. Quindi, credendo ormai compiuto l'accordo, si schiarì la voce e fece per ritirarsi.

Però il conte non mollò la presa.

La ragazza allora tirò con decisione maggiore verso la sua parte, ma lui ancora non la lasciava, mentre il suo bel sorriso si apriva in un ghigno scanzonato.

Lei sgranò gli occhi sconcertata, arrossendo furiosamente, ben consapevole che la stesse prendendo in giro. Tentò allora di divincolarsi, puntando i piedi e tirando verso se stessa più che poté.

“Che si fa? Adesso non ho intenzione di lasciarvi più andare” disse il conte con una risata, opponendo resistenza.

La cosa veramente fastidiosa era che riuscisse a trattenerla restando seduto, senza fare il minimo sforzo. Ciò ridestò immediatamente la punta di fierezza che abitava in Alice; anche se non fosse riuscita a divincolarsi, l'avrebbe almeno costretto ad alzarsi in piedi!

E provò a smuoverlo con tanta risoluzione, tirando, tirando e tirando anche con l'aiuto dell'altro braccio, che il conte, come prevedibile, scoppiò a ridere di gusto. In quell'attimo di distrazione lei riuscì a scuoterlo con uno strattone e l'uomo, per ritrovare l'equilibrio, si mise in ginocchio.

“Guardate che mi fate fare” annaspò, un po' sorpreso, “siete riuscita a farmi inginocchiare davanti a voi”.

Alice boccheggiò vittoriosamente, ma prima che riuscisse a riprendere il fiato per poter ribattere, le porte si spalancarono di botto e nella stanza irruppero le bambine, gridando:

“Papà, papà, volevamo sapere...”

La loro corsa si arrestò comicamente quando si ritrovarono davanti a quella scenetta. Con gli occhioni grandi, entrambe si guardarono per un attimo. Poi Marguerite arrossì, andando subito a coprirsi il visetto con il suo orso di pezza.

“Papà sta facendo la proposta di matrimonio alla signorina...te l'avevo detto che era meglio bussare, Amelia” mormorò.

“Noooo, ma io volevo vedermi tutta la scena dall'inizio! Non potete rifarla? Signorina, vi mettete come stavate prima? Dai papà, anche tu!”

 

 

La gente in paese diceva che il conte di Bonnefoy fosse un uomo tanto raffinato da mettere in soggezione anche le personalità più inflessibili grazie alla sua sola presenza.

Quello che nessuno diceva era che il suddetto conte avesse due figlie che possedevano la stessa capacità, e che erano in grado imbarazzare perfino lui.

 

Tra le tante chiacchiere che riguardavano il conte, alcune erano veritiere e altre meno.

Ultimamente si diceva che la famiglia Bonnefoy sarebbe rimasta in Inghilterra veramente a lungo, forse che addirittura non ci sarebbe mai più tornata, a Parigi.

Questo perché sembrava che il conte avesse intenzione di sposarsi, e che la futura moglie si ostinasse a non voler lasciare l'isola.

Pareva che la odiasse, lei, la Francia.

Ma questo pettegolezzo non poteva che essere falso.

Perché dopotutto, la Francia, i francesi, gli abiti francesi, i baciamano francesi, le bambine, la gente bionda, l'accento, le “erre mosce”...ecco, pareva che tutto queste cose non fosse poi così tanto male, infondo.

 

 

 

 

Fine

   
 
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