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Autore: ___MoonLight    06/05/2012    5 recensioni
«Tu sei riuscito a creare qualcosa di buono, non solo per te stesso. Qualcosa in cui credi.»
Tony gli riservò solo un ostinato silenzio, al che Bruce esitò.
«Ci credi ancora, vero?»
«Che importanza ha? Ho mandato tutto in fumo,» replicò piattamente lui.
«Sei già rinato dalle ceneri, Tony. Davvero non puoi farlo ancora?»

L'Afghanistan ha segnato Tony e gli ha donato l'opportunità di cambiare in meglio la sua vita. Ma il destino ha tutte le intenzioni di mettergli nuovamente i bastoni tra le ruote, e l'immagine corazzata che si è costruito e dietro la quale tenta di riparare i torti commessi e quelli subiti non è più abbastanza per proteggerlo. Cosa succede quando l'uomo diventa davvero di ferro, anche senza armatura?
[Storia completa e revisionata]
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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12

Psychosocial?




"Yeah, I get it, you're an outcast
Always under attack, always coming in last
Bringing up the past, no one owes you anything
I think you need a shotgun blast, a kick in the ass
So paranoid... watch your back!”


[Sound Of Madness – Shinedown]




4 Marzo, 12:30, Tribunale di Washington D.C.
Il tribunale esplose.
Un boato di sorpresa, confusione e orrore risuonò nell'enorme sala, assordandolo. Si abbandonò allo schienale, come sbalzato indietro dalle onde sonore. Spaesato, ben lontano da quella facciata di spavalderia e sicurezza che aveva ostentato fino a quel momento, cercava freneticamente un appiglio per tirarsi fuori da quella situazione drammatica... ma non riusciva a pensare nulla di coerente, le parole gli sfuggivano prima che potesse focalizzarle e non riusciva neanche ad aprire bocca per provare a pronunciarle: aveva le labbra sigillate e un malsano pallore si allargava sul suo volto già tirato.
Registrò appena il giudice che urlava e intimava la calma, Knight che tentava di sovrastare la sua voce gridando le sue accuse e Kyle che si sbracciava per contrastarlo come poteva, supportato da Ian che millantava referti medici inesistenti. 
Lui rimase pietrificato al banco dei testimoni con il braccio privo della mano, avvolto della sua giacca sgargiante e poggiato mollemente davanti a sé come una confessione di colpa. Cominciava a sentirsi rinchiuso in una gabbia, esposta allo scherno e all'incredulità dei passanti. Percepiva gli sguardi sconvolti del pubblico su di sé, scorgeva mani che andavano a coprire le bocche per contenere le esclamazioni stupefatte, vedeva quelli seduti nelle ultime file che si alzavano in piedi per vedere meglio, come se fosse un fenomeno da baraccone. In sottofondo, tra l'incredulità e lo sconcerto, avvertiva un sottotono di disgusto che gli torceva le viscere; perché alle persone normali non cadevano le mani, e avevano tutti gli arti al posto giusto, e non dovevano ingegnarsi per nascondere un corpo mutilato. Si scoprì a tremare impercettibilmente, al pensiero di non poter più mentire, né nascondersi, e che a quel punto avrebbe dovuto rivelare le sue brutture e il suo corpo menomato.
Cercò frenetico Pepper, in un moto istintivo, ne trovò la chioma rossa e si concentrò su di lei, escludendo tutto il resto. Lei, dopo aver cercato inutilmente di calmare Ian, si voltò finalmente nella sua direzione, forse sentendosi osservata. Non sembrava furiosa, anzi, aveva un'aria quasi rassegnata, il che era anche peggio. Non sapeva esattamente come sentirsi nei suoi confronti: forse dispiaciuto, oppure semplicemente indifferente, ma quel che lo preoccupava era che l'onda di rabbia e frustrazione che sentiva crescere dentro di sé comprendeva anche lei.
Distolse lo sguardo quando scorse un giornalista che si avventava sulla mano della protesi rimasta a terra. Un lampo di terrore lo riscosse al pensiero di quel che poteva succedere.
«Non toccarla!» gridò, e il fatto che avesse parlato di nuovo quietò per qualche istante il tribunale, dandogli modo di insistere, con calma calcolata:
«Non osare sfiorarla o giuro che il prossimo seduto a questo banco sarai tu.
»
Il giornalista esitò il tempo sufficiente per permettere alla guardia di rispedirlo nel pubblico, al suo posto.
Tony tirò un silenzioso sospiro di sollievo, rendendosi conto di avere gli occhi di tutto il tribunale puntati addosso. Ebbe la netta percezione della sua gabbia che si restringeva, e gli parve di scorgere sorrisi di scherno sui volti di chi lo osservava, e di udire risatine appena accennate. Il tremito continuava a scuotergli i muscoli, quasi doloroso, e si tolse il guanto per asciugarsi il palmo sudato sui pantaloni, cercando di controllarsi e di recuperare la sua proverbiale faccia tosta. Ci riuscì in parte, ritrovandosi a parlare in un tono molto più grave di quanto avesse voluto:
«So che quello che avete appena visto può essere abbastanza destabilizzante, ma...
»
«Come spiega quella roba?
» lo interruppe brusco Knight in modo molto meno formale, additando la mano ancora riversa per terra.
«È una protesi, come dovrebbe già aver capito.
»
Un altro brusio fece per alzarsi dagli astanti, ma fu troncato dallo schiocco secco del martelletto:
«Intimo il silenzio. Per l'ultima volta,
» dichiarò in tono perentorio Stern, ancora perplesso per quanto appena accaduto ma evidentemente insofferente all'isteria del pubblico. «Perché non l'ha dichiarato subito?»
«Obiezione. Le attuali condizioni fisiche dell'imputato non pregiudicano...
»
«Ammonizione, signor Andrews! Abbia il buonsenso di capire quando tacere!
» sbottò il giudice. 
Kyle ammutolì, capendo di non poter fare più niente per aiutare il suo cliente.
«Cos'altro ci nasconde, signor Stark? Per una volta presti fede al giuramento di dire la verità,
» aggiunse ironico Knight.
Tony deglutì, col nodo della cravatta che gli stringeva quello alla gola, cercando una via di fuga inesistente.
«Oltre alla protesi? Ecco... niente, in questo senso, anche se ho un... un pacemaker cardiaco poco ortodosso, diciamo,
» cercò di svicolare ancora, suscitando comunque mormorii pettegoli dal pubblico.
Era normale quel senso di oppressione al petto? A parte quello costante del reattore, ovviamente.
«Cercherò di essere più chiaro: le manca qualcos'altro
oltre al braccio?»
Tony tentennò. La sua pupilla fremette, scattando qua e là alla ricerca di uno spiraglio, di un modo per fuggire di lì, ma trovò solo porte sbarrate e gli occhi beffardi di un pubblico che non era certo pronto ad applaudirlo.
Deglutì quel groppo di sabbia e carta vetrata che gli ostruiva la gola e cedette, parlando il più velocemente possibile per non dare senso alle sue parole, volendo percepirle come semplici suoni privi di significato:
«Una gamba e un occhio.
»
Il tribunale esplose un'altra volta, e Tony si concesse finalmente di accasciarsi sul banco degli imputati, con l'unica mano a sorreggergli la fronte bollente e inondata di sudore gelido.
Scrutò da sotto le ciglia Pepper, consapevole di quanto fosse disperato il proprio sguardo e non riuscendo a fare a meno di cercare il suo, agognando quella sicurezza che vi aveva sempre trovato. 
Lei scosse appena la testa e poi abbassò gli occhi, negandogliela.
Tony chiuse il suo, pregando di sprofondare.


***


I giornalisti lo circondavano pressanti, accalcandosi attorno alla sua sedia a rotelle e rievocandogli prepotentemente il periodo d'inferno passato in ospedale a tenere a bada le stesse, insopportabili voci pedanti e moleste.
«Signor Stark, una domanda!»
«Cos'è successo?»
«Come ha fatto a costruire la protesi?»
«Signor Stark, come crede di poter continuare la sua attività in queste condizioni?»
«Tony, come farai a posare per il nuovo numero di Playboy?»
«Stark!»
«Signor Stark!»
«Tony, andiamocene di qui, ora.»
La voce di Pepper lo raggiunse soffocata, mentre lui avanzava a fatica tra la calca. In un impeto di rabbia aveva lasciato indietro la sua difesa; non era stata una bella mossa, considerando che si sentiva il braccio buono distrutto dalla fatica di spingere la sedia a rotelle zigzagando tra i paparazzi. Improvvisamente si trovò separato dall'uscita da una muraglia di telecamere e flash che mandavano ovviamente in mondovisione la sua faccia stralunata e sconvolta, oltre che il suo braccio incompleto. Mezzo accecato, stava per tirar fuori dalla tasca la mano metallica inerte per usarla a mo' di clava, quando colse un lampo di capelli rossi ai margini del suo campo visivo – piuttosto ristretto, a dir la verità. Intravide Pepper che cercava di farsi strada verso di lui, allungando un braccio nel tentativo di afferrarlo per oltrepassare la massa di individui molesti. La sua mano trovò infine la sua spalla, quella sbagliata. Sussultò per il dolore, sentendo il bordo della protesi che stuzzicava i punti di sutura doloranti, ma strinse con forza i denti e non si ritrasse; lei riuscì a mantenere la presa e a portarsi finalmente di fianco a lui.
«Permesso! Permesso! Largo! Fate passare!» sentì la voce tonante di Happy, che si stava facendo strada fino a lui a suon di spallate e gomitate. Prese infine il controllo del suo odiato mezzo di trasporto; dopotutto era il suo autista. L'assurdità di quella realizzazione lo pungolò in modo inopportuno. Happy spintonò da parte la stampa, i fan e i curiosi senza troppe cerimonie, guadagnando un metro dopo l'altro l'uscita del tribunale. Senza ben capire come ci fossero arrivati, Tony scorse la sua Rolls Royce a pochi metri da lui, accanto a quella che aveva fornito a Kyle.
"Kyle..."
Lo vide farsi largo stoicamente tra i giornalisti, che sembravano meno propensi a scagliarsi su di lui, forse a causa dell'espressione assolutamente impassibile che copriva il suo volto. Prima di poter pensare a ciò che stava facendo, con un brusco strattone alle ruote sfuggì alla guida di Happy e voltò di scatto verso il ragazzo, rischiando di far rovinare a terra il suo autista.
«Tu! K, Kyle, Andrews o come diavolo ti fai chiamare!» lo apostrofò, furioso nei suoi confronti per ragioni oscure a lui stesso, ma con l'impellente bisogno di prendersela con qualcuno che non fosse Pepper.
«Stark, calmati, non volevo che..» cominciò il giovane, probabilmente capendo che Tony in quel momento non era in sé.
«Neanch'io volevo, e ora sono nella merda per colpa tua!»
Kyle lo fissò attonito, mentre il microfono di una telecamera pungolava insistentemente la faccia di Tony; questi fece un brusco, istintivo movimento con la protesi per scansarlo e lo ruppe di netto senza rendersene conto.
«Puoi scordarti le tue cazzo di gambe!» riuscì a gridare sovrastando il caos, prima che la portiera dell'auto di Kyle si chiudesse.
A quel punto sentì una presa ferrea sulla spalla sana e fu guidato a forza fino alla sua auto; stava per opporsi ad essere sollevato come un bambino per entrarvi, ma Happy si mostrò sordo alle sue proteste e lo fece comunque, non senza una certa goffaggine. Si divincolò dalla sua stretta al momento sbagliato, umiliato al solo pensiero delle foto che stavano scattando in quel momento, col risultato di sfuggire alla sua presa e trovarsi quasi schiacciato addosso a Pepper, entrata dall'altro lato. Telecamere e obiettivi si affacciavano dal finestrino, fortunatamente oscurato, ma Tony si lasciò comunque scivolare nello spazio tra i sedili, premendo il volto contro la tappezzeria per nasconderlo e privare il mondo di altri primi piani sconvolti della sua faccia. Lei riuscì finalmente a sbattere la sua portiera in faccia ai giornalisti.
Tony ebbe un improvviso, spiacevole flashback di una situazione simile, solo che fuori dall'auto non c'erano delle telecamere e dei microfoni, ma terroristi e fucili decisi a ucciderlo. Sentì il respiro bloccarsi e, da semplicemente spiacevole, il flashback divenne vivido e terrorizzante. Sentì il cuore aumentare i battiti mentre si costringeva a riportarsi in posizione eretta, esponendo il suo volto ora madido di sudore e la pupilla dilatata ai flash impietosi della stampa davanti alla macchina.
Finalmente partirono con un rombo e Tony aprì il finestrino inspirando l'aria fredda, riuscendo finalmente a trarre un respiro completo che non si fermasse tra gola e polmoni. Si ritrovò poi il volto di Pepper a un palmo dal suo, paonazzo di rabbia. Sapeva cosa stava per succedere, e sapeva anche di non poterlo evitare...
«Lei è un grandissimo idiota!»

***


5 Marzo, 02:20, Villa Stark
Quando la sua macchina scomparve dallo schermo, sostituita dagli spezzoni commentati del processo e da titoli del tipo "l'uomo di ferro si scioglie" debitamente corredati dalle sue foto post-udienza, Tony decise di non poterne più e spense finalmente il televisore. Rimase a fissarlo a lungo, ancora stordito dagli acciacchi della giornata, dalla discussione coi Vendicatori e dalla revisione in toto della sua performance di fronte a mezzo mondo.
Si girò verso Pepper, che si era addormentata stremata sul divano accanto a lui, e le tolse con delicatezza la borsa del ghiaccio di mano, che finora aveva tenuto premuta contro la sua testa: era ancora leggermente fredda. Se la premette con sollievo prima sul livido che gli marcava lo zigomo, poi sulla fronte bollente. Gli scossoni di quella giornata gli avevano fatto venire la febbre, ma ciò che lo preoccupava di più era la protesi semidistrutta. Aveva rimosso il braccio meccanico ed era rimasto unicamente con la piastra di aggancio. Fissò la protesi adagiata sul tavolino, inerte e fredda. Vederla separata da lui gli causava uno strano senso d'inquietudine che gli serrava la bocca dello stomaco. Era debilitante vedersi letteralmente a pezzi. Sarebbe sicuramente stato in grado di ripararlo – o riparar
si? – ma avrebbe avuto bisogno di tempo... e non ne aveva e non voleva darsene.
Buttò la testa all'indietro, sentendo qualche vertebra scricchiolare, il che aumentò la consapevolezza di essere uno straccio completo. Oltre che un bastardo matricolato. Entrambe le sensazioni non gli erano nuove.
«Ha finito di assistere alla sua disfatta?
»
La voce di Pepper era flebile, esausta e velata dal sonno, ma riuscì comunque a farlo sobbalzare. Era convinto che si fosse addormentata circa due ore prima.
«Più o meno. La scenata fuori dal tribunale si è sentita,
» aggiunse, a suo rischio e pericolo.
«Ho sentito anch'io,
» sospirò Pepper, troppo stanca per infondere vera durezza al suo tono.
«Però deve ammetterlo: riesco ad essere meraviglioso anche quando secondo lei mi comporto come "un bambino egocentrico bisognoso di attenzioni".
» tentò con un sorrisetto, ma Pepper non raccolse l'ironia e rimase in silenzio.
Parlavano senza guardarsi, Tony ancora abbandonato all'indietro e Pepper rannicchiata contro il bracciolo del divano, stringendo appena la giacca bluette del completo con cui le aveva coperto le spalle.
C'era un silenzio assoluto, cosa strana in quella casa, ma d'altronde erano quasi le tre di notte.
Infine lei si sollevò appena nella sua direzione e fece per parlare, ma Tony parlò nello stesso momento:
«Se se lo sta chiedendo, sto bene,
» mentì.
«Veramente stavo per chiederle di avvertirmi, se ha intenzione di farsi altri nemici oltre Capitan America, lo SHIELD, Kyle e l'intera giuria.
»
«E lei,
» aggiunse Tony a bassa voce, stavolta mortalmente serio.
La donna lo fissò senza troppo stupore. Tony aveva ancora la testa abbandonata sullo schienale ed era scivolato in avanti, con la mano a sorreggersi la nuca; vedeva solo il suo lato cieco. C'era una profonda delusione nella sua voce, e ciò la colpì come un maglio, risvegliando in lei un senso di colpa che non aveva alcun motivo di provare.
«Per favore, non cominci a vedermi come un nemico, perché non lo sono,
» scandì chiaramente.
«Non è neanche un alleato.
» Gli sfuggì una risatina stanca. «Chi diavolo è lei?»
«Non sono Stane, Tony.
» 
Lo sentì trattenere bruscamente il respiro. 
«Questo lo so.
»
La sua voce sembrò scaturire da un luogo profondo, freddo ed estremamente distante dal tranquillo salotto rischiarato solo dalla luce notturna che filtrava dalla vetrata. Un sospiro risuonò lievemente in quella quiete.
«Non so se si è ben resa conto della mia situazione. O di come mi sento in questo momento,
» continuò Tony a bassa voce, sempre senza muovere un muscolo, sempre senza guardarla.
Pepper giudicò più saggio non contestare quel punto: no, non aveva la minima idea di come si potesse sentire e non era neanche sicura di volerlo sapere.
«Mi sono ritrovato improvvisamente inabile, diciamo così, a muovermi liberamente e vengo anche accusato di instabilità mentale da... da
tutti più o meno.» S'interruppe con un sospiro, per poi riprendere: «Tutto ciò per colpa del mio "padrino". È sua, la colpa. Niente Afghanistan: niente stress post-traumatico, né reattore, né Iron Man. E niente mutilazioni,» concluse piattamente.
Scandì con cautela l'ultima parola come a volerne ponderare la pericolosità. 
«Poi c'è la ciliegina sulla torta di non essere più considerato solo un "mezzo supereroe", ma anche un "mezzo uomo". Come se io avessi iniziato a fare ciò che faccio per farmi affibbiare qualche titolo in più. Uomo, eroe, super, genio, Consulente, Iron Man...
» elencò con voce sempre più fiacca. «Non mi è mai nemmeno interessato se ciò che faccio sia eroico o meno. Ho il mio concetto personale di "eroico", ma questo non...» la sua voce si affievolì di nuovo e fece una pausa, impedendosi di divagare e di seguire le volute dei suoi pensieri. 
La sua mano si era spostata nel frattempo sul reattore, appena visibile sotto la camicia. Gli assestò una pacca leggera, come a riscuotersi. 
«Tutto ciò non è affatto bello, né rassicurante, né incoraggiante. Riesco quasi a vedermi legato su un lettino di psicanalisi mentre un novello Freud tenta di scannerizzarmi il cervello. Sono un genio, per la miseria, non uno psicopatico,
» concluse, sbuffando appena.
Nonostante il suo tono apparentemente leggero, Pepper percepiva il suo disagio nel parlare, e questo la sconcertava comunque meno del fatto che Tony stesse esplicitamente discutendo di ciò che provava e della sua salute mentale, oltre che delle sue preoccupazioni riguardanti Iron Man. 
«Ora, immagini di essere in questa situazione. So che è un grosso sforzo di fantasia, ma ci provi.
» 
A quel punto si girò appena verso di lei, lasciandole intravedere il suo occhio stanco e appena socchiuso. 
«Come si sentirebbe se l'
unica persona di cui si fida ciecamente affermasse che non è in grado di riprendersi?» 
Tony sembrò costringersi ad aprire di più la palpebra esausta e la fissò intensamente. Lei non potè fare a meno di sentire quel senso di colpa irrazionale espandersi nel suo petto, facendola rimpicciolire. Fu un istante, poi la sensazione svanì, sostituita dalla certezza di aver agito nel suo interesse, per proteggerlo ed evitargli altro dolore.
«Non ho mai detto che non ne è in grado...
»
«Mi ha fatto escludere dai Vendicatori. Mi sembra una risposta più che chiara, a meno che lei non abbia una strategia che vada oltre la mia comprensione. Il che, come ben sa, è altamente improbabile.
»
Pepper fece per rispondergli a tono, irritata dal suo atteggiamento di superiorità, ma Tony afferrò velocemente la stampella, si puntellò aiutandosi col braccio sano e si trasferì con evidente fastidio sulla sedia a rotelle. Afferrò la protesi e si diresse faticosamente verso l'ascensore senza degnarla di un altro sguardo.
«Dove ha intenzione di andare?
» lo richiamò stizzita, ma anche allarmata e consapevole del suo stato febbricitante.
«A riparare questo disastro.
» 
«Lei non è nelle condizioni di...
» 
«Questo sono
io a deciderlo, almeno a casa mia.» 
«Mi sto
preoccupando per lei.»
Tony chiamò l'ascensore senza rispondere e questo si aprì con un sibilo; vi entrò subito e voltò la sedia nella sua direzione, premendo rapidamente il tasto del seminterrato. Pepper si limitò a fissarlo senza avere la forza di aggiungere altro, anche se con qualche ora di
jet-lag in meno sarebbe probabilmente riuscita a tenergli testa. Si raddrizzò a sedere, trattenendo sulle spalle la sua giacca e percependo il leggero sentore di profumo e dopobarba impresso sulla stoffa, che da piacevole e rassicurante diventò invadente, quasi sgradito. Tony non riuscì a trattenersi e frappose la stampella tra le porte dell'ascensore, impedendone la chiusura.
«E la ringrazio
molto per la sua preoccupazione. Mi è stata molto utile, davvero,» la schernì in tono acido.
«Di niente. Sto solo cercando di salvarle la vita, dopotutto!
» ribattè lei, adesso decisamente furiosa.
Tony emise uno sbuffo irritato prima di lasciar finalmente chiudere le porte.
«Non mi aspetti sveglia!
»

***


9 Marzo, Villa Stark

«E lei chi sarebbe?»
«Robert Orwell. Sono uno psicoterapeuta,
» si presentò un uomo piuttosto avanti con gli anni, con i capelli bianchi ed un abbigliamento fin troppo impeccabile.
Dalla stiratura della giacca, alle scarpe tirate così a lucido da emanare riflessi accecanti, al discutibile
pendant tra i gemelli e la cravatta di un orrendo verde acido: c'erano tutti i segni inconfutabili di qualche sua mania ossessivo-compulsiva di cui probabilmente non era a conoscenza nemmeno lui.
"Incoraggiante." 
Tony continuò a squadrarlo con diffidenza, concludendo che la sua giornata non poteva iniziare in modo peggiore, dopo un'altra nottata insonne passata a mordere il cuscino per le fitte ai moncherini. E dire che avrebbe solo voluto scolarsi un litro di clorofilla e mettere qualcosa sotto i denti per poi tornare a rifugiarsi in laboratorio. Adesso si pentiva anche di essersi preso la briga di alzarsi dal letto. Anche se forse "capitombolare per terra" era un'espressione più calzante.
«E perché uno della sua risma è in casa mia?
» si decise a chiedere alla fine, sostenendosi allo stipite della porta per avere un po' più di stabilità mentre si guardava intorno alla ricerca di un proiettore olografico che potesse motivare quella sgradita presenza nel suo salotto. 
Non trovò ciò che cercava, ma in compenso vide Pepper, che gli sembrava comunque un'ottima risposta alternativa per l'apparizione di uno strizzacervelli in quella casa.
«Tiro a indovinare: è lei la talpa che ha permesso a questo "ospite” di entrare. Mi spiegerebbe perché il mio salotto è diventato improvvisamente un centro di scambio culturale? Vedi Asgardiani in vacanza sulla Terra e uomini fuori dal tempo...
» aggiunse a voce più bassa, come se lo psicologo non esistesse. 
In realtà era più che consapevole della sua fastidiosa, ingombrante presenza che si era addirittura permessa di occupare la
sua poltrona. 
"È un vizio, ormai."
«Ne avrebbe davvero bisogno, signor Stark. Intendo parlare con me,
» intervenne Orwell, apparentemente ignaro delle scintille di tensione che sfrigolavano tra il suo recalcitrante paziente e la donna appena arrivata, nonostante teoricamente avrebbe dovuto avere un intuito non indifferente per quel tipo di dinamiche.
«Ho bisogno della
mia poltrona libera dal suo fondoschiena,» scandì Tony, indicandolo con una stampella e rischiando di compromettere il proprio equilibrio.
«Tony...
» sibilò Pepper, tentata di prenderlo per la collottola per ricordargli le buone maniere come una madre con un figlio indisciplinato.
«La signorina Potts mi ha illustrato nel dettaglio la sua situazione...
» 
«Nel dettaglio?
» ripeté Tony, sentendosi la voce quasi strozzare in gola mentre fulminava Pepper con lo sguardo, che lei evitò. 
«Quanto basta per capire che ha assolutamente bisogno di un supporto psicologico, signor Stark.
»
Tony dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non farsi prendere dall'agitazione che sentiva crescere dentro di sé.
Cosa diavolo gli aveva detto? Del rapimento? Di suo padre? Di Stane? Dello stress post-traumatico? Cos'altro c'era? Riusciva a malapena a tener traccia lui stesso dei suoi problemi, non aveva davvero bisogno che qualcun altro vi si immischiasse. 
"Alla faccia della 'riservatezza'..." si trovò a pensare, con un folle moto di pena per Fury, mentre Orwell continuava a blaterare riguardo alla sua presunta necessità di un "consulto" – che suonava terribilmente simile a "valutazione", e di quelle ne aveva abbastanza.
«... soprattutto mi preoccupano i suoi frequenti sbalzi d'umore. Una breve terapia o un paio di sessioni potrebbero almeno migliorare questo suo atteggiamento, facilitando il suo recupero psicofisico,
» spiegò pacato.
Tony a quel punto decise che poteva anche fare a meno del filtro che apponeva alla sua lingua per risultare più amabile in pubblico.
«Ehi, non mi parli come un vecchio saggio! So qual è la sua tattica: "sono calmo e faccio l'amicone, poi però ti strizzo il cervello e ti faccio rinchiudere".
»
«Non rientra nelle mie "tattiche" e non sono uno
strizzacervelli,» ribattè il dottore, lievemente piccato, ma mantenendo un atteggiamento professionale di fronte a quella che probabilmente riteneva una crisi isterica.
Pepper fece per intervenire, in palese imbarazzo, ma Tony la anticipò, staccandosi dal proprio appoggio per avanzare di qualche metro verso l'intruso:
«Lo è,
eccome se lo è. Non ho bisogno di farmi vendere la pace interiore. La raggiungo già attraverso tecniche che implicano l'utilizzo di molto alcool e del bagno... ma forse vuole una dimostrazione!» esclamò arzillo, al limite della sopportazione di Pepper, che adesso lo tirava discretamente per la manica.
«Se il problema è l'alcol, signor Stark...
» 
«Nah, mi confonde con mio padre; l'alcol non è un problema, anzi...
» fece una pausa sfoggiando un'espressione ispirata. «Sa... il fatto di cacciare la testa nel cesso per... beh, ha capito, comporta l'eliminazione di agglomerati di neuroni inutilizzati, evento piuttosto frequente anche nella sua testa, a mio modesto parere, che tengo sempre in grande considerazione. Dovrebbe provarci, mi creda.»
Orwell lo fissò come se avesse appena realizzato di essere entrato in un manicomio.
«La situazione è più di grave di quello che mi aveva detto,
» commentò rivolto a Pepper, e il fatto che avesse cessato di interpellare lui lo irritò ancor di più, se possibile. 
«Sono stati giorni difficili...
» ribatté esitante lei, volutamente ambigua. 
Tony si ritrovò a lasciarsi sfuggire un verso di scherno: era abbastanza convinto che il livido ancora stampato sulla sua faccia esplicitasse a sufficienza quanto difficili fossero stati quei giorni.
«Capisco che il signor Stark non abbia voglia di parlare, perciò le lascio solo qualche farmaco generico per...
» provò a continuare, prima di essere interrotto da Tony:
«Fattelo tu un cocktail di farmaci, cervellone,
» sbottò questi, improvvisamente in allarme. «Poi svegliati dal coma e vienimi a raccontare la tua pace interiore dopo averla...» si voltò verso Pepper con aria assorta «... spremuta. Ecco cos'ero venuto a fare qui: mi serve un po' di succo d'erba. Clorofilla, per chi non lo sapesse.» si rivolse allo psicologo, adesso completamente attonito.
«Signor Stark, la prego, potrebbe almeno
cercare di comportarsi in modo...» tentò invano Pepper, vedendo la situazione precipitare, ma Tony aveva già voltato loro le spalle, dirigendosi a balzelloni in cucina.
«JARVIS, voglio questo squilibrato fuori dai piedi. Mostragli la porta.
»
Il computer fece apparire una freccia lampeggiante, indicando l'uscita a Orwell.
«A mai più!
» lo congedò, prima di sparire in cucina.
Pepper parve implorare perdono al dottore, che non la degnò di uno sguardo e seguì indignato la freccia, lasciando Villa Stark e il suo proprietario con una nube temporalesca che lo circondava e preannunciava titoli-scoop riguardo all'instabilità emotiva di Tony Stark.
Pepper si diresse a passo di carica in cucina.
"Pace interiore, eh?” ripetè tra sé, esasperata.
Tony si stava versando flemmatico un bicchiere del suo solito intruglio verdastro, e non sembrava molto entusiasta al pensiero di doverlo bere. Pepper lo fissò per qualche istante a braccia incrociate, rimanendo sulla soglia. Era come sempre impegnato a non perdere l'equilibrio anche mentre svolgeva i gesti più banali e quotidiani come versarsi un bicchiere d'acqua – o clorofilla, in quel caso. La protesi tremava nel tentativo di non perdere la presa sul vetro liscio; l'aveva riparata alla bell'e meglio dopo il suo "diverbio" con Steve, ma era ancora deformata e praticamente impossibile da controllare con precisione. La donna aspettò pazientemente che dicesse qualcosa, ma lui non parlò, nonostante fosse sicuramente consapevole di essere osservato.
«È questo il suo concetto di "eroico"?
» proruppe infine lei.
Il bicchiere esplose in una miriade di schegge che si sparpagliarono su tutto il piano cucina e per terra. Tony sobbalzò scrollandosi la clorofilla dalla mano meccanica e contemplò attonito quel disastro, cercando di decidere se fosse il caso di sentirsi più irritati o rassegnati. Infine, optò per uno sfogo più fisico.
«Me lo dica
lei qual è il mio concetto di "eroico", dato che sembra sapere tutto di me, incluso quando ho bisogno di uno psicologo!» esplose, scagliando la caraffa contro il muro di fronte a sé e frantumando anche quella.
Non si voltò a guardare Pepper e rimase a testa china, sorretto dalle braccia puntate contro il piano metallico della cucina. Era intento a riportare il suo respiro a una cadenza regolare senza riuscirvi. Da dove veniva quella rabbia? Forse dalla faglia dolorosa che si era schiusa nel suo petto qualche giorno prima? Non gli era sembrata così preoccupante. Era solo un'altra ferita, dopotutto aveva affrontato di peggio. 
"Ho affrontato di peggio?" si chiese, improvvisamente smarrito. 
La protesi era un rottame, era stato emarginato e tradito, Iron Man era ancora un miraggio lontano, probabilmente oscillava sull'orlo della follia e adesso veniva preso da accessi di rabbia. Non era affatto sicuro di aver affrontato di peggio. Sentiva di preferire qualche ora a sentirsi tuffare la testa in un barile d'acqua sporca, piuttosto che dover fronteggiare Pepper in quel momento, ma trovò comunque il coraggio di voltarsi verso di lei. Nel muoversi si appoggiò al piano in acciaio del lavello con la protesi, stringendone il bordo tra le dita e imprimendovi involontariamente il calco della mano senza sforzo.
Pepper lo fissava attonita dalla soglia, oscillando alternativamente tra lui e il punto in cui si era infranta la brocca, incapace di parlare. Lui si asciugò a disagio la protesi sui pantaloni, sfuggendo il suo sguardo, ma sentendosi innaturalmente calmo, come se quello sfogo insensato e improvviso gli avesse schiarito le idee.
«Avanti, mi dica lei che cosa devo fare,
» sussurrò infine, senza celare la frustrazione e allo stesso tempo con la vivida speranza che lei potesse veramente dargli una risposta.
Lei non rispose subito, infine sospirò e corrugò le sopracciglia, come se quello che stava per dire le costasse molta fatica e allo stesso tempo stentasse a realizzare la portata di quella situazione:
«Prima di tutto, deve
calmarsi.»
«Sono
già calmo,» la interruppe lui, nonostanto la voce sforzata.
«
Questo lo chiama essere calmo?» proruppe lei, indicando la chiazza di clorofilla stampata sul muro.
Tony abbassò di nuovo lo sguardo, cogliendo una traccia di panico nella sua voce più alta del necessario.
«Glielo concedo: sono agitato e forse sconvolto, ma...
» 
«"Ma" cosa? Pensa che rompere oggetti risolva qualcosa?
» 
«No, che non lo penso! Non volevo neanche...
» 
«Non mi interessa se voleva, l'ha fatto comunque, ed è
questo il problema!» 
Pepper alzò nuovamente la voce, facendolo trasalire. 
«Va bene, ho esagerato! Sono impulsivo e lo sono da sempre, dovrebbe saperlo!
» sbottò lui. «È contenta, adesso? Ora possiamo tornare a...» 
«Sarò contenta quando mi permetterà finalmente di aiutarla,
» lo interruppe lei sempre senza schiodarsi dall'ingresso, come se volesse porre un qualche tipo di divisione tra loro due. 
«È quello che
vorrei, Pepper! Ma lei ha deciso che uno psicologo poteva farlo al posto suo!» la accusò, tornando ad affannarsi.
Si costrinse ad appoggiarsi nuovamente al piano della cucina, imponendosi di riportare la sua voce a un volume accettabile. 
"Non con lei, Tony, non prendertela con lei. Non con lei." si passò una mano sul volto nella speranza di poterne scacciare anche le ombre che lo solcavano.
«Non voglio mai più vedere uno strizzacervelli in casa mia,
» disse in fretta, incrociando le braccia sul petto davanti al reattore, come a proteggersi.
«E cos'è che vorrebbe,
esattamente?» insistette Pepper, che nonotante la sua chiara rigidezza sembrava comunque decisa a risolvere quella questione, o almeno a trovare un punto di stallo.
La sua domanda però suonò in tutt'altro modo alle orecchie di Tony, che si sentì nuovamente avvampare, dimentico di tutti i buoni propositi di pochi seocndi prima.
«La
mia cazzo di armatura e la mia cazzo di vita!» gridò, puntandosi il pollice contro il petto, sul reattore. «Rivoglio indietro tutte e due, mi sto uccidendo per riottenerle e voi non mi state aiutando! Non– non come vorrei...» aggiunse domando la propria voce, notando l'espressione ferita di Pepper, la stessa che gli aveva rivolto quando aveva dubitato della sua fiducia.
«Pensavo che parlare con un esperto potesse aiutarla, non scatenare...
questo.» commentò lei a mezza voce, e indicò con un gesto i pezzi di vetro immersi nella clorofilla.
«Ma porca puttana... non voglio un esperto da prendere a parolacce o con cui fare la mia sedutina di lavaggio del cervello!
» 
Tony si appoggiò di peso al piano dietro di lui e incrociò nuovamente le braccia, stavolta cingendosi il torace in una sorta di abbraccio, come a contenere quel flusso di parole dirompente e confortarsi allo stesso tempo. Pepper si trovò a fare un singolo passo avanti nel vederlo nuovamente a capo chino, svuotato di ogni energia. Lui si risollevò improvvisamente, incontrando il suo sguardo chiaro con la sua unica iride nocciola, un tempo sempre animata da una scintilla giocosa e spensierata che celava solo qualche ombra più cupa. Adesso le ombre sembravano aver preso il sopravvento, rendendola torbida e spenta. Quando riprese a parlare la sua voce era calata di qualche tono, ancora troppo alta, ma priva della sua caratteristica vivacità. 
«Voglio discutere con te! Voglio davvero trovare una soluzione a... a tutto questo, ma con te! Con
te!» ribadì. «Non con uno psicologo,» esalò infine, scuotendo la testa. «Stavo provando a farlo qualche giorno fa. E mi sono sentito meglio, stava funzionando, prima che...» la sua voce si affievolì, ricordando come avesse deciso lui di troncare la conversazione, quella volta.
"Prima che io rovinassi tutto come sempre," completò tra sé, stancamente.
Pepper abbassò lo sguardo, persa in pensieri che non voleva immaginare; ritornò oltre la soglia, di nuovo appoggiata allo stipite, di nuovo silenziosa. Quando parlò, fu in un tono freddo e distaccato che non le aveva mai sentito.
«Quindi tutta questa situazione ricadrebbe sulle
mie spalle... e io a chi dovrei rivolgermi per risolvere le nostre "esistenze complicate"?» chiese con pungente schiettezza. 
Tony si sentì sferzare da quelle ultime parole, non aspettandosi che potesse arrivare a menzionare
quell'episodio in un frangente simile, ma prima che potesse rispondere lei riprese a parlare, con suo immenso sollievo:
«
E soprattutto, come dovrei sopportare da sola tutto questo?» accennò al caos causato da Tony.
Non era evidentemente disposta a passar sopra al suo scatto di rabbia ingiustificato. Sembrava che tutto ciò che riuscissero a vedere i suoi occhi fossero i cocci di vetro abbandonati tra di loro come un tagliente campo minato.
«Dannazione, Pep!
» la voce di Tony si fece stridula, più simile a un guaito, e lottò per riportarla a un'altezza normale. «Puoi parlare con me. Dopo tutti questi anni ancora non ti fidi?»
«Non mi fido
adesso. E mi sorprende che proprio da lei arrivino richieste di questo tipo.» rispose lei glaciale, mantenendo la solita, professionale distanza. 
Tony la fissò smarrito. Non riusciva a capacitarsi di quello che aveva appena sentito. 
«Non ho nessun altro di cui fidarmi,
» mormorò sperduto, ma non riuscì a guardarla negli occhi mentre lo diceva.
Eppure desiderava crederci con tutto se stesso e sentirsi dire che fosse così anche per lei, per quanto egoista potesse essere quel pensiero. Pepper tacque e stavolta fu lei ad abbassare il capo, gli occhi celati dalla frangetta fulva.
Tony esitò ancora: guardò il lago di clorofilla e i cocci di vetro ai suoi piedi e l'impronta nel metallo e la macchia verdastra sul muro che sgocciolava lentamente sul bancone già ingombro di schegge e tutte quelle immagini si trasformarono nei pezzi spigolosi di un puzzle che finalmente si ricompose dinanzi ai suoi occhi. Scosse la testa come a impedirsi di focalizzare ciò che raffigurava, ma infine diede voce alla domanda che racchiudeva:
«Mi considera
pericoloso?»
Non si stava rivolgendo davvero a lei; dal suo tono sembrava più una semplice constatazione, più che una domanda. Teneva l'occhio fisso sulla protesi, ora abbandonata mollemente nell'impugnatura della stampella.
Pepper voleva davvero rispondere che no, non la pensava così... ma si sentì oppressa da un brutto presentimento, un qualcosa che le impediva di mentire e che somigliava terribilmente a paura. Si limitò a uscire lentamente dalla stanza senza dargli una risposta.
Tony ci mise qualche secondo a realizzare che non era più lì, e sentì un doloroso vuoto allo stomaco. Lo sguardo gli cadde sul calco delle proprie dita impresse sul bancone; vi poggiò istintivamente la mano, incastrando perfettamente la protesi nei profondi solchi che incidevano il metallo.
Prese un profondo respiro, fremendo improvvisamente di collera, la mente annebbiata da foschi pensieri.
"Pace interiore, Tony. Pace interiore..."
La credenza fu la prima cosa a schiantarsi a terra.




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Revisione effettuata il 24/02/2018


Note delle Autrici:

Alzi la mano chi ha notato l'aumento del linguaggio scurrile! Noi sì *sventolano le mani insieme a Pepper* Oh, beh... lei se ne è accorta!
Comunque! Da qui Tony inizia, letteralmente, a sbroccare. Ma di brutto. È solo l'inizio come si suol dire... e poi ci piace un Tony violento u.u (Ammettetelo!)
I richiami alla pace interiore alla Kung-Fu Panda non hanno effetto su di lui e Maestro Shifu rischia di dargliele...
Ringraziamo e benediciamo dall'alto dei cieli alliearthur, Rogue92, blackpearl_, Micchi e Sherlock_Watson che hanno recensito/aggiunto la storia tra le seguite :D
Non sapete quanto siamo felici **
Ci sentiamo veramente appagate <3


Moon&Light


 



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