12
Psychosocial?
"Yeah,
I get it, you're an outcast
Always under attack, always coming in
last
Bringing up the past, no one owes you anything
I think
you need a shotgun blast, a kick in the ass
So paranoid... watch
your back!”
[Sound Of Madness – Shinedown]
4
Marzo, 12:30, Tribunale di Washington D.C.
Il
tribunale esplose.
Un boato di sorpresa, confusione e orrore
risuonò nell'enorme sala, assordandolo. Si
abbandonò allo
schienale, come sbalzato indietro dalle onde sonore. Spaesato, ben
lontano da quella facciata di
spavalderia e sicurezza che aveva ostentato fino a quel momento,
cercava freneticamente un appiglio per tirarsi fuori da quella
situazione drammatica... ma non riusciva a pensare nulla di coerente,
le parole gli sfuggivano prima che potesse focalizzarle e non
riusciva neanche ad aprire bocca per provare a pronunciarle: aveva le
labbra sigillate e un malsano pallore si allargava sul suo volto
già
tirato.
Registrò appena il giudice che urlava e intimava la
calma, Knight che tentava di sovrastare la sua voce gridando le sue
accuse e Kyle che si sbracciava per contrastarlo come poteva,
supportato da Ian che millantava referti medici inesistenti.
Lui rimase pietrificato
al banco dei testimoni con il braccio privo della mano, avvolto
della sua giacca sgargiante e poggiato mollemente davanti a
sé come
una confessione di colpa. Cominciava a sentirsi rinchiuso in una
gabbia, esposta
allo scherno e all'incredulità dei passanti. Percepiva gli sguardi sconvolti del pubblico su di sé, scorgeva mani che andavano a coprire le bocche per contenere le esclamazioni stupefatte, vedeva quelli seduti nelle ultime file che si alzavano in piedi per vedere meglio, come se fosse un fenomeno da baraccone. In sottofondo, tra l'incredulità e lo sconcerto, avvertiva un sottotono di disgusto che gli torceva le viscere; perché alle persone normali non cadevano le mani, e avevano tutti gli arti al posto giusto, e non dovevano ingegnarsi per nascondere un corpo mutilato. Si scoprì a tremare impercettibilmente, al pensiero di non poter più mentire, né nascondersi, e che a quel punto avrebbe dovuto rivelare le sue brutture e il suo corpo menomato.
Cercò frenetico Pepper, in un moto istintivo, ne trovò la chioma rossa e si concentrò su di lei, escludendo tutto il resto. Lei, dopo aver cercato inutilmente di calmare Ian, si
voltò
finalmente nella sua direzione, forse sentendosi osservata. Non sembrava
furiosa, anzi, aveva un'aria quasi rassegnata, il che era anche
peggio. Non sapeva esattamente come sentirsi nei suoi
confronti: forse dispiaciuto, oppure semplicemente indifferente, ma
quel che lo preoccupava era che l'onda di rabbia e frustrazione che sentiva crescere
dentro di sé comprendeva anche lei.
Distolse lo sguardo quando
scorse un giornalista che si avventava sulla mano della protesi
rimasta a terra. Un lampo di terrore lo riscosse al pensiero di quel
che poteva succedere.
«Non
toccarla!»
gridò, e il fatto che avesse parlato di nuovo
quietò per qualche
istante il tribunale, dandogli modo di insistere, con calma
calcolata:
«Non osare sfiorarla o giuro che il prossimo seduto a
questo banco sarai tu.»
Il
giornalista esitò il tempo sufficiente per permettere alla
guardia
di rispedirlo nel pubblico, al suo posto.
Tony tirò un silenzioso
sospiro di sollievo, rendendosi conto di avere gli occhi di tutto il
tribunale puntati addosso. Ebbe la netta percezione della sua
gabbia che si restringeva, e gli parve di scorgere sorrisi di scherno sui volti di chi lo osservava, e di udire risatine appena accennate. Il tremito continuava a scuotergli i muscoli, quasi doloroso, e si tolse il guanto per asciugarsi il palmo sudato sui pantaloni, cercando di controllarsi e di recuperare la sua
proverbiale
faccia tosta. Ci riuscì in parte, ritrovandosi a parlare in un tono molto
più grave di
quanto avesse voluto:
«So che quello che avete appena visto può
essere abbastanza destabilizzante, ma...»
«Come
spiega quella roba?»
lo interruppe brusco Knight in modo molto meno formale, additando la
mano ancora riversa per terra.
«È una protesi, come dovrebbe già
aver capito.»
Un
altro brusio fece per alzarsi dagli astanti, ma fu troncato dallo
schiocco secco del martelletto:
«Intimo il silenzio. Per l'ultima
volta,»
dichiarò in tono perentorio Stern, ancora perplesso per
quanto appena
accaduto ma evidentemente insofferente all'isteria del
pubblico. «Perché non l'ha dichiarato subito?»
«Obiezione.
Le attuali condizioni fisiche dell'imputato non
pregiudicano...»
«Ammonizione,
signor Andrews! Abbia il buonsenso di capire quando tacere!»
sbottò il giudice.
Kyle
ammutolì, capendo di non poter fare più niente
per aiutare il suo cliente.
«Cos'altro ci nasconde, signor Stark? Per una volta
presti fede al giuramento di dire la verità,»
aggiunse ironico Knight.
Tony deglutì, col nodo della cravatta che gli stringeva quello alla gola, cercando una via di fuga
inesistente.
«Oltre alla protesi? Ecco... niente, in questo
senso, anche se ho un... un pacemaker cardiaco poco ortodosso, diciamo,»
cercò di svicolare ancora, suscitando comunque mormorii pettegoli dal pubblico.
Era normale quel senso di oppressione
al petto? A parte quello costante del reattore, ovviamente.
«Cercherò
di essere più chiaro: le manca qualcos'altro oltre
al braccio?»
Tony tentennò. La sua pupilla fremette, scattando qua e là alla ricerca di uno spiraglio, di un modo per fuggire di lì, ma trovò solo porte sbarrate e gli occhi beffardi di un pubblico che non era certo pronto ad applaudirlo.
Deglutì quel groppo di sabbia e carta vetrata che gli ostruiva la gola e cedette, parlando il più velocemente possibile per non dare senso alle sue parole, volendo percepirle come semplici suoni privi di significato:
«Una
gamba e un occhio.»
Il
tribunale esplose un'altra volta, e Tony si concesse finalmente di
accasciarsi sul banco degli imputati, con l'unica mano a sorreggergli la
fronte bollente e inondata di sudore gelido.
Scrutò da sotto le ciglia Pepper, consapevole di quanto
fosse disperato il proprio sguardo e non riuscendo a fare a meno di
cercare il suo, agognando quella sicurezza che vi aveva sempre
trovato.
Lei scosse
appena la testa e poi abbassò gli occhi, negandogliela.
Tony chiuse il suo, pregando di sprofondare.
***
I
giornalisti lo circondavano pressanti, accalcandosi attorno alla sua
sedia a rotelle e rievocandogli prepotentemente il periodo d'inferno
passato in ospedale a tenere a bada le stesse, insopportabili voci
pedanti e moleste.
«Signor Stark, una domanda!»
«Cos'è successo?»
«Come ha
fatto a costruire la protesi?»
«Signor
Stark, come crede di poter continuare la sua attività in
queste
condizioni?»
«Tony, come
farai a posare per il nuovo numero di Playboy?»
«Stark!»
«Signor
Stark!»
«Tony,
andiamocene di qui, ora.»
La
voce di Pepper lo raggiunse soffocata, mentre lui avanzava a fatica
tra la calca. In un impeto di rabbia aveva lasciato indietro la sua
difesa; non era stata una bella mossa, considerando che si sentiva il
braccio buono distrutto dalla fatica di spingere la sedia a rotelle
zigzagando tra i paparazzi. Improvvisamente si trovò
separato dall'uscita da una
muraglia di telecamere e flash che mandavano ovviamente in
mondovisione la sua faccia stralunata e sconvolta, oltre che il suo braccio incompleto. Mezzo accecato,
stava per tirar fuori dalla tasca la mano metallica inerte per usarla a
mo' di clava, quando colse
un lampo di capelli rossi ai margini del suo campo visivo –
piuttosto ristretto, a dir la verità. Intravide Pepper che
cercava
di farsi strada verso di lui, allungando un braccio nel tentativo di
afferrarlo per oltrepassare la massa di individui molesti. La sua
mano trovò infine la sua spalla, quella sbagliata.
Sussultò per il
dolore, sentendo il bordo della protesi che stuzzicava i punti di sutura doloranti, ma strinse con forza i denti e non si ritrasse; lei riuscì a
mantenere
la presa e a portarsi finalmente di fianco a lui.
«Permesso!
Permesso! Largo! Fate passare!»
sentì la voce tonante di Happy, che si stava facendo strada
fino a
lui a suon di spallate e gomitate. Prese infine il controllo del suo
odiato mezzo di trasporto; dopotutto era il suo
autista. L'assurdità di quella realizzazione lo
pungolò in
modo inopportuno. Happy spintonò da parte la stampa, i fan e i curiosi senza
troppe
cerimonie, guadagnando un metro dopo l'altro l'uscita del
tribunale. Senza ben capire come ci fossero arrivati, Tony scorse
la sua Rolls Royce a pochi metri da lui, accanto a quella che aveva
fornito a
Kyle.
"Kyle..."
Lo vide farsi largo stoicamente tra i
giornalisti, che sembravano meno propensi a scagliarsi su di lui,
forse a causa dell'espressione assolutamente impassibile che copriva
il suo volto. Prima di poter pensare a ciò che stava facendo, con
un brusco strattone alle ruote sfuggì alla guida di Happy e
voltò di scatto verso il ragazzo,
rischiando di far rovinare a terra il suo autista.
«Tu! K, Kyle, Andrews o
come diavolo ti fai chiamare!»
lo apostrofò, furioso nei suoi confronti per ragioni oscure
a lui
stesso, ma con l'impellente bisogno di prendersela con qualcuno che
non fosse Pepper.
«Stark, calmati, non volevo che..»
cominciò il giovane, probabilmente capendo che Tony in quel
momento
non era in sé.
«Neanch'io volevo, e ora sono nella merda per
colpa tua!»
Kyle lo fissò
attonito, mentre il microfono di una telecamera pungolava
insistentemente la faccia di Tony; questi fece un brusco, istintivo movimento
con la protesi per scansarlo e lo ruppe di netto senza rendersene
conto.
«Puoi scordarti le tue cazzo di gambe!»
riuscì a gridare sovrastando il caos, prima che la portiera
dell'auto di Kyle si chiudesse.
A quel punto sentì una presa
ferrea sulla spalla sana e fu guidato a forza fino alla sua auto;
stava per opporsi ad essere sollevato come un bambino per entrarvi,
ma Happy si mostrò sordo alle sue proteste e lo fece
comunque, non
senza una certa goffaggine. Si divincolò dalla sua stretta
al
momento sbagliato, umiliato al solo pensiero delle foto che stavano
scattando in quel momento, col risultato di sfuggire alla sua presa e
trovarsi quasi schiacciato addosso a Pepper, entrata dall'altro lato.
Telecamere e obiettivi si
affacciavano dal finestrino, fortunatamente oscurato, ma Tony si lasciò comunque scivolare nello
spazio
tra i sedili, premendo il volto contro la tappezzeria per nasconderlo
e privare il mondo di altri primi piani sconvolti della sua faccia. Lei
riuscì
finalmente a sbattere la sua portiera in faccia ai giornalisti.
Tony
ebbe un improvviso, spiacevole flashback di una situazione simile,
solo che fuori dall'auto non c'erano delle telecamere e dei
microfoni, ma terroristi e fucili decisi a ucciderlo. Sentì
il
respiro bloccarsi e, da semplicemente spiacevole, il flashback
divenne vivido e terrorizzante. Sentì il cuore aumentare i
battiti mentre si costringeva
a riportarsi in posizione eretta, esponendo il suo volto ora madido
di sudore e la pupilla dilatata ai flash impietosi della
stampa davanti alla macchina.
Finalmente partirono con un rombo e Tony aprì il
finestrino inspirando l'aria fredda, riuscendo finalmente a trarre un
respiro completo che non si fermasse tra gola e polmoni. Si
ritrovò poi il volto di Pepper a un palmo dal suo,
paonazzo di
rabbia. Sapeva cosa stava per succedere, e sapeva anche di non
poterlo evitare...
«Lei è un grandissimo idiota!»
***
5
Marzo, 02:20, Villa Stark
Quando la sua macchina
scomparve dallo schermo, sostituita dagli spezzoni commentati del
processo e da titoli del tipo "l'uomo di ferro si scioglie"
debitamente corredati dalle sue foto post-udienza, Tony decise di non
poterne più e spense finalmente il televisore. Rimase a
fissarlo a lungo,
ancora stordito dagli acciacchi della giornata, dalla discussione coi
Vendicatori e dalla revisione in toto della sua performance di fronte
a mezzo mondo.
Si girò verso Pepper, che si era addormentata
stremata sul divano accanto a lui, e le tolse con delicatezza la
borsa del ghiaccio di mano, che finora aveva tenuto premuta contro la sua testa: era ancora leggermente fredda. Se la
premette con sollievo prima sul livido che gli marcava lo zigomo, poi
sulla fronte bollente. Gli scossoni di quella giornata gli avevano
fatto venire la febbre,
ma ciò che lo preoccupava di più era la protesi
semidistrutta. Aveva rimosso il braccio meccanico ed era rimasto
unicamente con la piastra di aggancio. Fissò la protesi
adagiata sul
tavolino, inerte e fredda. Vederla separata da lui gli causava uno
strano senso d'inquietudine che gli serrava la bocca dello stomaco. Era
debilitante vedersi letteralmente a pezzi. Sarebbe
sicuramente stato in grado di ripararlo – o ripararsi?
– ma avrebbe avuto bisogno di tempo... e non ne aveva e non
voleva
darsene.
Buttò la testa all'indietro, sentendo qualche vertebra
scricchiolare, il che aumentò la consapevolezza di essere
uno
straccio completo. Oltre che un bastardo matricolato. Entrambe le
sensazioni non gli erano nuove.
«Ha finito di assistere alla sua
disfatta?»
La
voce di Pepper era flebile, esausta e velata dal sonno, ma
riuscì
comunque a farlo sobbalzare. Era convinto che si fosse addormentata circa
due ore prima.
«Più o meno. La scenata fuori dal tribunale si
è
sentita,»
aggiunse, a suo rischio e pericolo.
«Ho sentito anch'io,»
sospirò Pepper, troppo stanca per infondere vera durezza al
suo tono.
«Però deve
ammetterlo: riesco ad essere meraviglioso anche quando secondo lei mi
comporto come "un bambino egocentrico bisognoso di attenzioni".»
tentò con un sorrisetto, ma Pepper non raccolse l'ironia e
rimase in silenzio.
Parlavano senza guardarsi, Tony ancora
abbandonato all'indietro e Pepper rannicchiata contro il bracciolo
del divano, stringendo appena la giacca bluette del completo con cui le aveva
coperto le spalle.
C'era un
silenzio assoluto, cosa strana in quella casa, ma d'altronde erano
quasi le tre di notte.
Infine lei si sollevò appena nella sua
direzione e fece per parlare, ma Tony parlò nello stesso
momento:
«Se se lo sta chiedendo, sto bene,»
mentì.
«Veramente stavo per chiederle di avvertirmi, se ha
intenzione di farsi altri nemici oltre Capitan America, lo SHIELD, Kyle
e
l'intera giuria.»
«E
lei,»
aggiunse Tony a bassa voce, stavolta mortalmente serio.
La donna
lo fissò senza troppo stupore. Tony aveva ancora la testa
abbandonata sullo schienale ed era scivolato in avanti, con la mano a
sorreggersi la nuca; vedeva
solo il suo lato cieco. C'era una profonda delusione nella sua voce, e
ciò la colpì come
un maglio, risvegliando in lei un senso di colpa che non aveva alcun
motivo di provare.
«Per favore, non cominci a vedermi come un
nemico, perché non lo sono,»
scandì chiaramente.
«Non è neanche un alleato.»
Gli sfuggì una risatina stanca. «Chi diavolo
è lei?»
«Non sono Stane, Tony.»
Lo sentì
trattenere bruscamente il respiro.
«Questo lo
so.»
La sua voce sembrò scaturire da un luogo profondo, freddo ed
estremamente distante dal tranquillo salotto rischiarato solo dalla
luce notturna che filtrava dalla vetrata. Un sospiro risuonò lievemente in quella quiete.
«Non so se si è ben resa conto della mia
situazione. O di come mi
sento in questo momento,»
continuò Tony a bassa voce, sempre senza muovere un muscolo,
sempre
senza guardarla.
Pepper giudicò più saggio non contestare quel
punto: no, non aveva la minima idea di come si potesse sentire e non
era neanche sicura di volerlo sapere.
«Mi sono ritrovato
improvvisamente inabile, diciamo così, a muovermi
liberamente e
vengo anche accusato di instabilità mentale da... da
tutti più
o meno.»
S'interruppe con un sospiro, per poi riprendere: «Tutto
ciò per colpa del mio "padrino". È sua, la colpa.
Niente
Afghanistan: niente stress post-traumatico, né reattore,
né Iron
Man. E niente mutilazioni,»
concluse piattamente.
Scandì con cautela l'ultima parola come a
volerne ponderare la pericolosità.
«Poi c'è la
ciliegina sulla torta di non essere più considerato solo un
"mezzo
supereroe", ma anche un "mezzo uomo". Come se io
avessi iniziato a fare ciò che faccio per farmi affibbiare
qualche
titolo in più. Uomo, eroe, super, genio, Consulente, Iron
Man...»
elencò con voce sempre più fiacca. «Non
mi è mai nemmeno interessato
se ciò che faccio sia eroico o meno. Ho il mio concetto
personale di
"eroico", ma questo non...»
la sua voce si
affievolì di nuovo e fece
una pausa, impedendosi di divagare e di seguire le volute dei suoi pensieri.
La sua mano si era spostata nel frattempo
sul reattore, appena visibile sotto la camicia. Gli assestò
una
pacca leggera, come a riscuotersi.
«Tutto ciò non è affatto bello,
né
rassicurante, né incoraggiante. Riesco quasi a vedermi
legato su un
lettino di psicanalisi mentre un novello Freud tenta di
scannerizzarmi il cervello. Sono un genio, per la miseria, non uno
psicopatico,»
concluse, sbuffando appena.
Nonostante il suo tono apparentemente
leggero, Pepper percepiva il suo disagio nel parlare, e questo la
sconcertava comunque meno del fatto che Tony stesse esplicitamente
discutendo di ciò che provava e della sua salute mentale,
oltre che
delle sue preoccupazioni riguardanti Iron Man.
«Ora, immagini di essere in questa situazione. So che
è un grosso
sforzo di fantasia, ma ci provi.»
A quel punto si girò appena verso di lei, lasciandole
intravedere il suo occhio
stanco e appena socchiuso.
«Come
si sentirebbe se l'unica
persona
di cui si fida ciecamente affermasse che non è in grado di
riprendersi?»
Tony
sembrò costringersi ad aprire di più la palpebra
esausta e la fissò
intensamente. Lei non potè fare a meno di sentire quel senso
di
colpa irrazionale espandersi nel suo petto, facendola rimpicciolire.
Fu un istante, poi la sensazione svanì, sostituita dalla
certezza di aver agito nel suo interesse, per proteggerlo ed evitargli altro dolore.
«Non ho
mai detto che non ne è in grado...»
«Mi
ha fatto escludere dai Vendicatori. Mi sembra una risposta
più che
chiara, a meno che lei non abbia una strategia che vada oltre la mia
comprensione. Il che, come ben sa, è altamente improbabile.»
Pepper
fece per rispondergli a tono, irritata dal suo atteggiamento di
superiorità,
ma Tony afferrò velocemente la stampella, si
puntellò aiutandosi
col braccio sano e si trasferì con evidente fastidio sulla
sedia a
rotelle. Afferrò la protesi e si diresse faticosamente verso
l'ascensore senza degnarla di un altro sguardo.
«Dove ha
intenzione di andare?»
lo richiamò stizzita, ma anche allarmata e consapevole del
suo stato
febbricitante.
«A riparare questo disastro.»
«Lei non è nelle
condizioni di...»
«Questo sono
io a deciderlo,
almeno a casa mia.»
«Mi sto
preoccupando per
lei.»
Tony
chiamò l'ascensore senza rispondere e questo si
aprì con un sibilo;
vi entrò subito e voltò la sedia nella sua
direzione, premendo
rapidamente il tasto del seminterrato. Pepper si limitò a
fissarlo senza avere la forza di
aggiungere altro, anche se con qualche ora di jet-lag
in meno sarebbe probabilmente riuscita a tenergli testa. Si raddrizzò a sedere, trattenendo sulle spalle la sua giacca e percependo il leggero sentore di profumo e dopobarba impresso sulla stoffa, che da piacevole e rassicurante diventò invadente, quasi sgradito. Tony non
riuscì a trattenersi e frappose la stampella tra le porte
dell'ascensore, impedendone la chiusura.
«E la ringrazio molto
per la sua preoccupazione. Mi è stata molto utile, davvero,»
la schernì in tono acido.
«Di niente. Sto solo cercando di
salvarle la vita, dopotutto!»
ribattè lei, adesso decisamente furiosa.
Tony emise uno sbuffo
irritato prima di lasciar finalmente chiudere le porte.
«Non mi
aspetti sveglia!»
***
9
Marzo, Villa Stark
«E
lei chi sarebbe?»
«Robert
Orwell. Sono uno psicoterapeuta,»
si presentò un uomo piuttosto avanti con gli anni, con i
capelli
bianchi ed un abbigliamento fin troppo impeccabile.
Dalla stiratura
della giacca, alle scarpe tirate così a lucido da emanare
riflessi
accecanti, al discutibile pendant
tra i gemelli e la cravatta di un orrendo verde acido: c'erano tutti i segni
inconfutabili di qualche sua mania ossessivo-compulsiva di cui
probabilmente non era a conoscenza nemmeno lui.
"Incoraggiante."
Tony continuò a
squadrarlo con diffidenza, concludendo che la sua giornata non poteva
iniziare in modo peggiore, dopo un'altra nottata insonne passata a
mordere il cuscino per le fitte ai moncherini. E dire che avrebbe solo
voluto scolarsi un litro di clorofilla
e mettere qualcosa sotto i denti per poi tornare a rifugiarsi in
laboratorio. Adesso si pentiva anche di essersi preso la briga di
alzarsi dal letto. Anche se forse "capitombolare per terra" era un'espressione più calzante.
«E perché uno della sua risma è in casa
mia?»
si decise a chiedere alla fine, sostenendosi allo stipite della porta
per avere un po' più di stabilità mentre si
guardava intorno alla
ricerca di un proiettore olografico che potesse motivare quella
sgradita presenza nel suo salotto.
Non trovò ciò che
cercava, ma in compenso vide Pepper, che gli sembrava comunque
un'ottima risposta alternativa per l'apparizione di uno strizzacervelli
in quella casa.
«Tiro a indovinare: è lei
la talpa che ha permesso a questo "ospite” di entrare. Mi
spiegerebbe perché il mio salotto è diventato
improvvisamente un
centro di scambio culturale? Vedi Asgardiani in vacanza sulla Terra e
uomini fuori dal tempo...»
aggiunse a voce più bassa, come se lo psicologo non
esistesse.
In
realtà era più che consapevole della sua
fastidiosa, ingombrante
presenza che si era addirittura permessa di occupare la sua
poltrona.
"È un vizio, ormai."
«Ne
avrebbe davvero bisogno, signor Stark. Intendo parlare con me,»
intervenne Orwell, apparentemente ignaro delle scintille di tensione
che sfrigolavano tra il suo recalcitrante paziente e la donna appena
arrivata, nonostante teoricamente avrebbe dovuto avere un intuito non
indifferente per quel tipo di dinamiche.
«Ho bisogno della mia
poltrona libera dal suo fondoschiena,»
scandì Tony, indicandolo con una stampella e rischiando di compromettere il proprio equilibrio.
«Tony...»
sibilò Pepper, tentata di prenderlo per la collottola per
ricordargli le buone maniere come una madre con un figlio
indisciplinato.
«La signorina Potts mi ha
illustrato nel dettaglio la sua situazione...»
«Nel dettaglio?»
ripeté Tony, sentendosi la voce quasi strozzare in gola
mentre
fulminava Pepper con lo sguardo, che lei evitò.
«Quanto basta per capire
che ha assolutamente bisogno di un supporto psicologico, signor
Stark.»
Tony dovette fare
appello a tutto il suo autocontrollo per non farsi prendere
dall'agitazione che sentiva crescere dentro di sé.
Cosa diavolo gli aveva detto?
Del rapimento? Di suo padre? Di Stane? Dello stress post-traumatico?
Cos'altro c'era? Riusciva a malapena a tener traccia lui stesso dei
suoi problemi, non aveva davvero bisogno che qualcun altro vi si
immischiasse.
"Alla faccia della
'riservatezza'..." si trovò a pensare, con un folle moto di
pena per Fury, mentre Orwell continuava
a blaterare riguardo alla sua presunta necessità di un
"consulto"
– che suonava terribilmente simile a "valutazione", e di
quelle ne aveva abbastanza.
«... soprattutto mi
preoccupano i suoi frequenti sbalzi d'umore. Una breve terapia o
un paio di sessioni potrebbero almeno migliorare questo suo
atteggiamento, facilitando il suo recupero psicofisico,»
spiegò pacato.
Tony a quel punto decise che poteva anche fare a
meno del filtro che apponeva alla sua lingua per risultare
più
amabile in pubblico.
«Ehi, non mi parli come un vecchio saggio! So qual
è la sua tattica: "sono calmo e faccio l'amicone, poi
però ti strizzo il cervello e ti faccio rinchiudere".»
«Non
rientra nelle mie "tattiche" e non sono uno
strizzacervelli,»
ribattè il dottore, lievemente piccato, ma mantenendo un
atteggiamento professionale di fronte a quella che probabilmente
riteneva
una crisi isterica.
Pepper fece per intervenire, in palese
imbarazzo, ma Tony la anticipò, staccandosi dal proprio appoggio
per
avanzare di qualche metro verso l'intruso:
«Lo è, eccome
se lo è. Non ho bisogno di farmi vendere la pace interiore.
La
raggiungo già attraverso tecniche che implicano l'utilizzo
di molto
alcool e del bagno... ma forse vuole una dimostrazione!»
esclamò arzillo, al limite della sopportazione di
Pepper, che
adesso lo tirava discretamente per la manica.
«Se il problema è
l'alcol, signor Stark...»
«Nah, mi confonde con mio padre; l'alcol non è un
problema,
anzi...»
fece una pausa sfoggiando un'espressione ispirata. «Sa... il
fatto di cacciare la testa nel cesso per... beh, ha capito, comporta
l'eliminazione di agglomerati di neuroni inutilizzati, evento
piuttosto frequente anche nella
sua
testa, a mio modesto parere, che tengo sempre in grande
considerazione. Dovrebbe provarci, mi creda.»
Orwell
lo fissò come se avesse appena realizzato di essere entrato
in un
manicomio.
«La situazione è più di grave di quello
che mi aveva
detto,»
commentò rivolto a Pepper, e il fatto che avesse cessato di
interpellare lui lo irritò ancor di più, se
possibile.
«Sono stati giorni
difficili...»
ribatté esitante lei, volutamente ambigua.
Tony si ritrovò a
lasciarsi sfuggire un verso di scherno: era abbastanza convinto che il
livido ancora stampato sulla sua faccia esplicitasse a sufficienza quanto difficili
fossero stati quei giorni.
«Capisco che il signor
Stark non abbia voglia di parlare, perciò le lascio solo
qualche
farmaco generico per...»
provò a continuare, prima di essere interrotto da Tony:
«Fattelo tu un cocktail di farmaci, cervellone,»
sbottò questi, improvvisamente in allarme. «Poi
svegliati dal coma e
vienimi a raccontare la tua pace interiore dopo averla...» si
voltò verso Pepper con aria assorta «... spremuta.
Ecco cos'ero
venuto a fare qui: mi serve un po' di succo d'erba. Clorofilla, per
chi non lo sapesse.»
si rivolse allo psicologo, adesso completamente attonito.
«Signor
Stark, la prego, potrebbe almeno cercare
di comportarsi in modo...»
tentò invano Pepper, vedendo la situazione precipitare, ma
Tony
aveva già voltato loro le spalle, dirigendosi a balzelloni
in
cucina.
«JARVIS, voglio questo squilibrato fuori dai piedi.
Mostragli la porta.»
Il
computer fece apparire una freccia lampeggiante, indicando l'uscita a
Orwell.
«A mai più!»
lo congedò, prima di sparire in cucina.
Pepper parve implorare
perdono al dottore, che non la degnò di uno sguardo e
seguì
indignato la freccia, lasciando Villa Stark e il suo proprietario con
una nube temporalesca che lo circondava e preannunciava titoli-scoop
riguardo all'instabilità emotiva di Tony Stark.
Pepper si diresse
a passo di carica in cucina.
"Pace interiore, eh?” ripetè
tra sé, esasperata.
Tony si stava versando flemmatico un
bicchiere del suo solito intruglio verdastro, e non sembrava molto
entusiasta al pensiero di doverlo bere. Pepper lo fissò per
qualche istante a braccia incrociate, rimanendo sulla soglia. Era come
sempre impegnato a
non perdere l'equilibrio anche mentre svolgeva i gesti più
banali e
quotidiani come versarsi un bicchiere d'acqua – o clorofilla,
in
quel caso. La protesi tremava nel tentativo di non perdere la presa
sul vetro liscio; l'aveva riparata alla bell'e meglio dopo il suo
"diverbio" con Steve, ma era ancora deformata e
praticamente impossibile da controllare con precisione. La donna
aspettò pazientemente che dicesse qualcosa, ma lui non
parlò, nonostante fosse sicuramente consapevole di essere
osservato.
«È questo il suo concetto di "eroico"?»
proruppe infine lei.
Il bicchiere esplose in una miriade di
schegge che si sparpagliarono su tutto il piano cucina e per terra.
Tony sobbalzò scrollandosi la
clorofilla dalla mano meccanica e contemplò attonito quel
disastro,
cercando di decidere se fosse il caso di sentirsi più
irritati o
rassegnati. Infine, optò per uno sfogo più fisico.
«Me lo
dica lei qual è il
mio concetto di "eroico", dato che sembra sapere tutto di me, incluso quando ho bisogno di uno psicologo!»
esplose, scagliando la caraffa contro il muro di fronte a sé
e frantumando anche
quella.
Non si voltò a guardare Pepper e rimase a testa china,
sorretto
dalle braccia puntate contro il piano metallico della cucina. Era
intento a riportare il suo respiro a una cadenza regolare senza
riuscirvi. Da dove veniva quella rabbia? Forse dalla
faglia dolorosa che si era schiusa nel suo petto qualche giorno
prima? Non gli era sembrata così preoccupante. Era solo
un'altra
ferita, dopotutto aveva affrontato
di peggio.
"Ho affrontato di
peggio?" si chiese, improvvisamente smarrito.
La protesi era un rottame, era stato
emarginato e tradito, Iron Man era ancora un miraggio lontano,
probabilmente oscillava sull'orlo della follia e adesso
veniva preso da accessi di rabbia. Non era affatto sicuro di aver
affrontato di peggio. Sentiva di preferire qualche ora a
sentirsi tuffare la testa in un barile d'acqua sporca, piuttosto che
dover
fronteggiare Pepper in quel momento, ma trovò comunque il
coraggio di voltarsi verso di lei. Nel muoversi si appoggiò
al piano in acciaio
del lavello con la protesi, stringendone il bordo tra le dita e
imprimendovi involontariamente il calco della mano senza
sforzo.
Pepper lo fissava attonita dalla soglia, oscillando
alternativamente tra lui e il punto in cui si era infranta la brocca,
incapace di parlare. Lui si asciugò a disagio la protesi sui
pantaloni, sfuggendo il suo sguardo, ma sentendosi innaturalmente
calmo, come se quello sfogo insensato e improvviso gli avesse
schiarito le idee.
«Avanti, mi dica lei che cosa devo fare,»
sussurrò infine, senza celare la frustrazione e allo stesso
tempo con la
vivida speranza che lei potesse veramente dargli una risposta.
Lei
non rispose subito, infine sospirò e corrugò le
sopracciglia, come
se quello che stava per dire le costasse molta fatica e allo stesso
tempo stentasse a realizzare la portata di quella situazione:
«Prima di tutto, deve calmarsi.»
«Sono
già calmo,»
la interruppe lui, nonostanto la voce sforzata.
«Questo
lo chiama essere calmo?» proruppe lei, indicando la chiazza di clorofilla
stampata sul
muro.
Tony abbassò di nuovo lo sguardo, cogliendo una traccia di
panico nella sua voce più alta del necessario.
«Glielo concedo: sono agitato e forse
sconvolto, ma...»
«"Ma"
cosa? Pensa che rompere oggetti risolva qualcosa?»
«No, che non lo
penso! Non volevo neanche...»
«Non
mi interessa se voleva, l'ha fatto comunque, ed è questo
il problema!»
Pepper alzò nuovamente la voce, facendolo
trasalire.
«Va bene, ho esagerato! Sono
impulsivo e lo sono da sempre, dovrebbe saperlo!»
sbottò lui. «È contenta, adesso? Ora
possiamo tornare a...»
«Sarò
contenta quando mi permetterà finalmente di aiutarla,»
lo interruppe lei sempre senza schiodarsi dall'ingresso, come se
volesse porre un qualche tipo di divisione tra loro due.
«È quello che vorrei,
Pepper! Ma lei ha deciso che uno psicologo poteva farlo al posto
suo!»
la accusò, tornando ad affannarsi.
Si costrinse ad appoggiarsi
nuovamente al piano della cucina, imponendosi di riportare la sua
voce a un volume accettabile.
"Non con lei, Tony, non prendertela con lei. Non con lei."
si passò una mano sul volto nella speranza di poterne
scacciare
anche le ombre che lo solcavano.
«Non voglio mai più vedere uno
strizzacervelli in casa mia,»
disse in fretta, incrociando le braccia sul petto davanti al
reattore, come a proteggersi.
«E cos'è che vorrebbe,
esattamente?»
insistette Pepper, che nonotante la sua chiara rigidezza sembrava
comunque decisa a risolvere quella questione, o almeno a trovare un
punto di stallo.
La sua domanda però suonò in tutt'altro modo
alle orecchie di Tony, che si sentì nuovamente avvampare,
dimentico
di tutti i buoni propositi di pochi seocndi prima.
«La mia
cazzo di armatura e la mia
cazzo di vita!»
gridò, puntandosi il pollice contro il petto, sul
reattore. «Rivoglio indietro tutte e due, mi sto uccidendo per
riottenerle e voi non mi state aiutando! Non– non come vorrei...»
aggiunse domando la propria voce, notando l'espressione ferita di
Pepper, la stessa che gli aveva rivolto quando aveva dubitato della
sua fiducia.
«Pensavo che parlare con un esperto potesse
aiutarla, non scatenare... questo.»
commentò lei a mezza voce, e indicò con un gesto
i pezzi di vetro
immersi nella clorofilla.
«Ma porca puttana... non voglio un
esperto da prendere a parolacce o con cui fare la mia sedutina di
lavaggio del cervello!»
Tony si appoggiò di peso al piano dietro di lui e incrociò nuovamente le braccia, stavolta cingendosi il
torace
in una sorta di abbraccio, come a contenere quel flusso di parole
dirompente e confortarsi allo stesso tempo. Pepper si trovò
a fare un singolo passo avanti nel
vederlo nuovamente a capo chino, svuotato di ogni energia. Lui si
risollevò improvvisamente, incontrando il suo
sguardo chiaro con la sua unica iride nocciola, un tempo sempre
animata da una scintilla giocosa e spensierata che celava solo
qualche ombra più cupa. Adesso le ombre sembravano aver
preso il
sopravvento, rendendola torbida e spenta. Quando riprese a parlare la
sua
voce era calata di qualche tono, ancora troppo alta, ma priva della
sua caratteristica vivacità.
«Voglio discutere con te! Voglio davvero trovare una
soluzione
a... a tutto questo, ma con te! Con te!»
ribadì. «Non con uno psicologo,»
esalò infine, scuotendo la testa. «Stavo provando a
farlo qualche
giorno fa. E mi sono sentito meglio, stava funzionando, prima che...»
la sua voce si affievolì, ricordando come avesse deciso lui
di
troncare la conversazione, quella volta.
"Prima che io
rovinassi tutto come sempre," completò tra sé,
stancamente.
Pepper abbassò lo sguardo, persa in pensieri che non
voleva immaginare; ritornò oltre la soglia, di nuovo
appoggiata allo stipite, di nuovo silenziosa. Quando parlò,
fu in un tono freddo e distaccato che non le aveva mai
sentito.
«Quindi tutta questa situazione ricadrebbe sulle mie
spalle... e io a chi dovrei rivolgermi per risolvere le nostre
"esistenze complicate"?»
chiese con pungente schiettezza.
Tony si sentì sferzare da quelle
ultime parole, non aspettandosi che potesse arrivare a menzionare
quell'episodio
in un frangente simile,
ma prima che potesse rispondere lei riprese a parlare, con suo
immenso sollievo:
«E
soprattutto, come dovrei sopportare da sola tutto questo?»
accennò al caos causato da Tony.
Non era evidentemente disposta a
passar sopra al suo scatto di rabbia ingiustificato. Sembrava che
tutto ciò che riuscissero a vedere i suoi occhi fossero i
cocci di
vetro abbandonati tra di loro come un tagliente campo
minato.
«Dannazione, Pep!»
la voce di Tony si fece stridula, più simile a un guaito, e
lottò
per riportarla a un'altezza normale. «Puoi parlare con
me. Dopo tutti
questi anni ancora non ti
fidi?»
«Non
mi fido adesso. E mi
sorprende che proprio da lei arrivino richieste di questo tipo.»
rispose lei glaciale, mantenendo la solita, professionale
distanza.
Tony la
fissò smarrito. Non riusciva a capacitarsi di quello che
aveva
appena sentito.
«Non ho nessun altro di cui fidarmi,»
mormorò sperduto, ma non riuscì a guardarla negli
occhi mentre lo diceva.
Eppure desiderava crederci con tutto se stesso e sentirsi dire che
fosse così anche per lei, per quanto egoista potesse essere
quel
pensiero. Pepper tacque e stavolta fu lei ad
abbassare il capo, gli occhi celati dalla frangetta fulva.
Tony
esitò ancora: guardò il lago di clorofilla e i
cocci di vetro ai
suoi piedi e l'impronta nel metallo e la macchia verdastra sul muro che
sgocciolava lentamente sul bancone già ingombro di schegge e
tutte quelle immagini si trasformarono nei pezzi
spigolosi di un puzzle che finalmente si ricompose dinanzi ai suoi
occhi. Scosse la testa come a impedirsi di focalizzare ciò che
raffigurava, ma infine diede voce alla domanda che racchiudeva:
«Mi
considera pericoloso?»
Non si stava
rivolgendo davvero a lei; dal suo tono sembrava più una
semplice
constatazione, più che una domanda. Teneva l'occhio fisso
sulla protesi, ora abbandonata
mollemente nell'impugnatura della stampella.
Pepper voleva davvero
rispondere che no, non la pensava così... ma si
sentì oppressa da
un brutto presentimento, un qualcosa che le impediva di mentire e che
somigliava terribilmente a paura. Si limitò a uscire lentamente
dalla stanza senza dargli una risposta.
Tony ci mise qualche
secondo a realizzare che non era più lì, e
sentì un doloroso vuoto
allo stomaco. Lo sguardo gli cadde sul calco delle proprie dita
impresse sul bancone; vi poggiò istintivamente la mano,
incastrando
perfettamente la protesi nei profondi solchi che incidevano il
metallo.
Prese un profondo respiro, fremendo improvvisamente di
collera, la mente annebbiata da foschi pensieri.
"Pace
interiore, Tony. Pace interiore..."
La credenza fu la prima
cosa a schiantarsi a terra.
Revisione effettuata il 24/02/2018
Note delle Autrici:
Alzi la mano chi ha notato l'aumento del linguaggio scurrile! Noi sì *sventolano le mani insieme a Pepper* Oh, beh... lei se ne è accorta!
Comunque! Da qui Tony inizia, letteralmente, a sbroccare. Ma di brutto. È solo l'inizio come si suol dire... e poi ci piace un Tony violento u.u (Ammettetelo!)
I richiami alla pace interiore alla Kung-Fu Panda non hanno effetto su di lui e Maestro Shifu rischia di dargliele...
Ringraziamo e benediciamo dall'alto dei cieli alliearthur, Rogue92, blackpearl_, Micchi e Sherlock_Watson che hanno recensito/aggiunto la storia tra le seguite :D
Non sapete quanto siamo felici **
Ci sentiamo veramente appagate <3
Moon&Light
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