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Autore: Violet 95    07/05/2012    1 recensioni
Cassia disegna. Cassia crea. Cassia dipinge. E dona un cuore, una parvenza di vita ai suoi ritratti. A Radiant Garden è conosciuta solo per questo e come unici amici ha due ragazzini da lei soprannominati Rosso Veneziano e Turchese. Eppure tutti la temono per il suo dono e per una maledizione che sembra portarsi dietro da quando era piccola, dalla morte di suo padre. Un giorno, però, qualcosa sembra finalmente cambiare e la sua carriera trova uno sbocco: Ansem il Saggio le chiede di fare un ritratto ai suoi allievi, così che lui stesso possa vedere di persona il suo "dono". Niente di più semplice per lei. Finché non fa la conoscenza di Xehanort, allievo prodigio di Ansem.
Ombre da tempo assopite sembrano ridestarsi, così come sentimenti che Cassia credeva di non poter più provare. E intanto il ritratto non sembra prendere forma, né vita...
Fanfiction su Xehanort prima di diventare ciò che poi diventa e sul creatore del suo ritratto, esposto ancora nel suo ufficio.
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Xemnas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: KH Birth by Sleep
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Capitolo 3

Indaco di Persia, amici, partenza

 

 

 

Cassia stava dormendo.

E, come al solito, stava sognando. Sognava di palazzi antichi, disabitati, piegati allo stesso modo dei salici piangenti su se stessi. E privi di alcun colore. Alcuni erano bianchi, di un bianco quasi accecante, altri di un grigio opaco e spento, come la vita che doveva esserci all’interno di quelle abitazioni.

Lei odiava il bianco. Odiava quel colore che non si faceva mai influenzare dagli altri, odiava quella luce di cui era dotato, una luce in grado di imprimere calore e pace. Una luce che lei non aveva mai avvertito.

Nel sogno lei vagava per le strade acciottolate e polverose di quella strana città, che insieme la attirava, e la aborriva allo stesso modo per l’abbondanza di bianco e grigio. Dov’erano gli altri colori? Dov’erano il rosso, il blu, il giallo, il verde… Dov’erano i suoi colori?

E intanto delle ombre scure facevano capolino da dietro i palazzi, dai lampioni spenti delle vie. Le ombre del suo animo, del suo cuore.

 

Ma io ho un cuore? Io ho un colore?

 

Quegli interrogativi si persero nel dedalo delle strade, tornando alla polvere che erano fin dall’inizio. Le ombre si fecero più grandi, sempre di più, fino a toccare quel cielo privo di stelle, tinto della notte più nera. Solo una luce, in mezzo a quell’oscurità – la sua stessa oscurità – sopravviveva fiocamente: uno spicchio, un lieve bagliore bianco. Una luna fatta di sola luce.

Un dolore lancinante al petto la colpì, proprio doveva esserci il cuore.

E un ultimo pensiero, carico di una tristezza infinita che le era ormai propria, le attraversò la mente, prima che le tenebre inghiottissero di nuovo quella città e il suo animo.

 

Anche tu, Luna, mi hai tradito…?

 

 

 

Dei passi, svelti, con una cadenza da soldato o da allievo diligente, la svegliarono dal suo riposino. Spalancò gli occhi all’improvviso e la prima cosa che vide fu l’accecante luce del sole che la costrinse a chiudere di nuovo gli occhi, mentre il resto del corpo recuperava sensibilità.

 

Finalmente, colori…

 

Dopo essersi stirata, si voltò verso la fonte di quei passi impazienti, che nascondevano un certo fastidio e una rabbia abilmente repressa. Un ragazzo alto, con strani ciuffi castani che si muovevano al tempo con le gambe, dagli occhi di un azzurro chiaro, immersi in pensieri lontani, le stava per passare davanti. Nella mano impugnava un Keyblade, diverso da quello di Aqua.

 

Un altro Custode? Cosa succede oggi in questa città?

 

Quando finalmente anche gli ultimi frammenti sinistri di sogno scivolarono via, si sistemò al suo posto e si schiarì la voce, sperando che stavolta il cliente sarebbe stato più generoso.

 

“Signore, mi scusi…” lo chiamò quando lui le passò davanti.

 

Questo non la degnò di uno sguardo, da quanto era concentrato nei suoi pensieri che lo portavano lontano da quel luogo, da quel mondo. L’espressione contrita, la fronte aggrottata, il volto tirato per cercare di non far straripare una rabbia e un dolore che erano sul punto di insorgere: tutto questo le parve familiare, come una sofferenza condivisa. Ma come poteva esserci così tanto dolore in quel corpo così giovane?

Come poteva quell’anima portarsi appresso dei pesi?

 

“Mi scusi, lei… Indaco di Persia, prestami attenzione!” gridò Cassia.

 

Il ragazzo, richiamato da quello strano nome che non pensava fosse diretto a lui, si voltò verso la fonte della voce e il suo filo di pensiero fu interrotto nel vedere quella donna in abiti maschili.

Cassia, esultando dentro di sé per aver attirato la sua attenzione, gli rivolse un sorriso gentile, invitandolo con una mano ad avvicinarsi a lei.

 

“Avvicinati, non ti mangio, puoi stare tranquillo”

 

“Chiamavate me?” domandò perplesso il ragazzo.

 

Cassia allargò ancora di più il sorriso vedendo lo smarrimento del ragazzo a quello strano nome. Decise di sfruttare questa scusa per avvicinarlo e convincerlo a farsi ritrarre, così da ricevere finalmente il compenso che si aspettava.

 

“Sì, Indaco di Persia”

 

“Quello non è il mio nome” ribatté brusco il ragazzo, distogliendo gli occhi da quelli chiari di Cassia.

 

“Lo so, ma non conoscendoti non posso fare altro che chiamarti con il nome che mi suggeriscono i colori. E il tuo cuore” disse serafica Cassia, godendosi lo stupore del giovane.

 

“I colori?” domandò lui, facendo qualche passo titubante verso di lei.

 

Centro. Stasera si mangia bene!

 

“Esatto, i colori! Io sono una pittrice, sono continuamente a stretto contatto con i colori che mi circondano e con le persone che incontro; da ciò riesco a dare a ogni persona un colore che lo caratterizza, un colore con il quale si possa dipingerlo. Un colore che rappresenta ciò che c’è nel suo cuore e nella sua anima”

 

Non sapeva perché stava raccontando i suoi metodi a uno sconosciuto, nemmeno a Isa e Lea aveva rivelato i loro colori così presto. Ci era voluto tempo, fiducia… Con lui, invece, era stato molto più semplice. Non perché fosse facile da capire con un solo sguardo, anzi, quel ragazzo celava le sue emozioni più profonde con facilità: eppure lei sentiva, vedeva. Vedeva lo scontro che c’era nel suo cuore, una guerra fra due sentimenti che tentavano ogni volta di soggiogarlo al loro volere.

Lo sentiva vicino, come se comprendesse quella sofferenza.

La stessa che lei aveva patito.

 

“Dunque io sarei indaco, secondo il tuo linguaggio?” chiese lui, scrutandola più attentamente.

 

La stava studiando, era ovvio. Voleva capire se diceva il vero, o se era solo pazza.

 

“Sì. Un colore freddo, simbolo della metamorfosi e del cambiamento, legato alla forza del rosso e all’accoglimento dell’azzurro. Con questo si desidera aiutare gli altri, ma si è attratti anche dal mondo sconosciuto, dalle forze arcane e oscure; indica anche il dolore e l’afflizione, ma una grande forza d’animo. Ho indovinato?” sorrise furbamente Cassia, restituendogli uno sguardo di sfida.

 

Il ragazzo parve indugiare, tentennare di fronte a quella rivelazione che l’aveva colpito in pieno. Non aveva mai visto quella donna, non si sarebbe certo dimenticato di quegli occhi velati da una profonda tristezza; eppure lei era riuscita a leggerlo dentro, a denudarlo e renderlo consapevole delle sue ombre nel cuore.

Sembrava conoscerlo meglio di lui. Come tutti, del resto.

A questo pensiero, si voltò stizzito, dandole le spalle. Non aveva tempo da perdere.

 

“Stupidaggini” disse semplicemente.

 

Cassia parve per un attimo offendersi, ma questo non intaccò la sua maschera di benevolenza.

 

“Pensala come vuoi, Indaco di Persia, ma i colori non sbagliano mai. Allora, che ne dici di un ritratto? Pochi minuti ed è tuo. Ti faccio un prezzo speciale, sai?” tentò di dire, vedendolo andare via.

 

“Ho fretta”

 

“Anch’io! Per questo ci metterò poco, non preoccuparti. Tutti a questo mondo hanno fretta, ma ogni tanto bisogna fermarsi per godere della propria bellezza, e per elogiarla…”

 

Con Aqua aveva funzionato. Perché lui desisteva? Non era poi diverso dagli altri uomini incontrati.

 

“Non mi interessa. Ho impegni più alti e importanti, non posso soffermarmi di fronte a uno specchio a rimirarmi o a parlare con una ritrattista che si veste da uomo” sputò queste ultime parole senza che se ne rendesse conto. Non aveva intenzione di offenderla.

 

Cassia sentì la rabbia che cominciava a farsi strada nel suo animo, come piccoli radici nere e marcie. Ma non la fece straripare, non ne valeva la pena: odiava mostrare i lati peggiori del suo carattere agli sconosciuti, soprattutto se erano possibili clienti.

Non insistette, però. Alzò le mani in segno di resa, pensando tristemente che non avrebbe potuto offrire la cena promessa ai due ragazzi. Di nuovo.

Il ragazzo si girò di poco, per vedere che effetto avevano fatto le sue parole. Niente, nemmeno un mutamento in quel volto. Solo quel sorriso, quel perenne sorriso che non smetteva mai di sfoggiare.

Un sorriso velato di tristezza.

 

“Come vuoi, Indaco di Persia. Non ti trattengo oltre: sei libero di andare” disse lei, chiudendo l’album.

 

Il ragazzo fece per andarsene, ma qualcosa lo trattenne. Era stato ingiusto, crudele. Ancora una volta era stata la sua oscurità a parlare, non lui.

 

“Non hai bisogno di sprecare il tuo talento con me, non ne verrebbe niente di buono dal mio ritratto. Non sporcare la tua arte, meriti di meglio” disse, pensando che così potesse andare.

 

Cassia si sorprese di quel commento finale e ne sorrise compiaciuta. Voleva farsi perdonare, a modo suo.

 

“Non è mai uno spreco fare un ritratto, nemmeno a te. Spero di rincontrarti di nuovo, mio caro…”

 

“Terra. Chiamami così” la pregò con un sorriso imbarazzato.

 

La ritrattista allargò ancora di più il sorriso e fece una piccola riverenza, guardandolo di sottecchi.

Terra, toltosi un peso – uno dei tanti – dal cuore, si allontanò da quello strano personaggio, con la parvenza di un sorriso sulle labbra. Solo troppo tardi si accorse di non averle chiesto il nome.

 

“Torna presto per un ritratto, Indaco di Persia. Sarò sempre qui ad aspettarti!” gli urlò dietro Cassia, scoppiando in una risata beffarda.

 

 

 

 

Era tardi. Il cielo era ormai completamente tinto di rosso, il colore della forza e della vita, con in lontananza un alone di viola, distante e irraggiungibile. Ma ugualmente bello.

Le tornò in mente Terra. Indaco di Persia, come lei l’aveva ribattezzato: le piaceva. Avrebbe voluto rincontrarlo, più tardi, le sarebbe piaciuto che le passasse davanti e si fermasse, anche solo per parlare. Avrebbe voluto conoscerlo più a fondo.

 

Cos’è questa? Solitudine?

 

No, semplicemente il bisogno di avere qualcuno affine a lei. Qualcuno come lei.

Non le era mai sorto questo pensiero, in tutti questi anni. Colpa dell’incontro con quel ragazzo che le aveva lasciato una certa inquietudine. Una vaga speranza.

Che lui ritornasse. E le desse i soldi per un ritratto, perché stava morendo di fame. Ma non era la sola.

 

“Cassia!” la chiamò una voce conosciuta.

 

La ragazza sorrise, distogliendo la mente da quei cupi pensieri, e si voltò per accogliere i due nuovi arrivati. Lea stava arrivando – o meglio, stava letteralmente correndo proprio come farebbe un bambino per raggiungere la madre – verso di lei, sventolando i due fresbee rossi fiammanti che era solito portarsi talvolta dietro, spacciandoli per delle armi.

Per certi versi, rimaneva un bambino che non aveva voglia di crescere.

Isa gli veniva dietro a passo d’uomo, nascondendo una certa impazienza. Cassia era sicura che, se avesse voluto, anche lui si sarebbe messo a correre verso di lei, proprio come l’amico. Ma il suo carattere pacato glielo impediva, fungendo da freno.

Cassia accolse i due ragazzi con un sorriso luminoso, lieta di rivederli dopo quella giornata persa.

 

“Allora, com’è andata? Quanto hai guadagnato? Sei riuscita a derubarli?” le domandò con il fiatone Lea, ammiccandole.

 

“Non è andata esattamente come speravo…” ammise lei, abbassando di poco lo sguardo. Si sentiva tremendamente in colpa, non era riuscita a mantenere la promessa.

 

“Ti hanno dato poco?” chiese ancora Lea, mentre il sorriso radioso scompariva via via.

 

Cassia si morse un labbro, nervosa.

 

“Non mi hanno dato niente, se ne sono andati senza ascoltarmi” disse infine lei, alzandosi dal panchetto e prendendo la sua roba per andarsene.

 

Era palesemente evidente che Lea fosse deluso e non riuscì a nasconderlo. Isa, al contrario, non disse niente, né mutò l’espressione seria, capendo che avrebbe solo peggiorato il pessimo umore della ritrattista.

 

“Mi dispiace” si scusò Cassia, vedendo il volto deluso di Lea.

 

“E per cosa? Erano loro dei tirchi, non è certo colpa tua!” esclamò risoluto Lea, mutando subito espressione a una gomitata dell’amico.

 

Cassia sorrise, ma non era del tutto rincuorata. Preferiva evitare di parlare del ritratto terminato e mai consegnato al destinatario, le avrebbero dato della stupida, o avrebbero ancora infierito contro i turisti.

 

“Piuttosto, voi due non dovevate mandarmi quell’altro turista?” si ricordò Cassia, guardandoli con finto rimprovero.

 

Lea distolse lo sguardo e cominciò a grattarsi la testa, imbarazzato. Nell’altra mano muoveva il fresbee nervosamente. Cassia non capì l’improvviso cambio d’umore del ragazzo, così come non comprese nemmeno la risatina di Isa, che cominciò a prendere in giro l’amico.

 

“Lea è stato battuto da quel ragazzino. Eppure faceva tanto il gradasso, con il suo giocattolo...”

 

“Taci, l’ho fatto solo vincere!”

 

“Lea, ma non ti vergogni? Sempre ad attaccare briga con quelli più piccoli di te” lo canzonò Cassia, ridendo anche lei.

 

“Vi dico che l’ho lasciato vincere! Sembrava triste, così ho deciso di tirargli su il morale. Sono molto magnanimo, eh?” tentò di dire Lea.

 

“E così ve lo siete lasciato scappare… Pazienza, anche questa giornata è andata persa!” sospirò Cassia, alzando le braccia al cielo e mettendosi poi sottobraccio l’album e la scatola con i carboncini.

 

I due ragazzi la aiutarono e presero i due panchetti. Isa non smetteva di fissarla, come se cercasse di carpirle segreti che lei preferiva tacere.

 

“Forse non lo è stata del tutto persa, vero, Cassia?” buttò lì il ragazzo, con l’aria di chi sapesse più di tutti.

 

La ritrattista lo osservò. Era incredibile come riuscisse a metterla spesso in difficoltà.

 

“Forse” ammise lei ambigua.

 

“In che senso?” chiese sospettoso Lea.

 

“Beh, ho fatto la conoscenza di uno dei turisti, un ragazzo. Era di fretta: peccato, avrei voluto fargli un ritratto…” rivelò Cassia, voltandosi per vedere la faccia dei due ragazzi.

 

Come si aspettava.

Lea era avvampato, diventando un tutt’uno con i suoi capelli, mentre Isa manteneva una certa calma, senza però lasciar prevalere l’agitazione che stava prendendo possesso del suo corpo.

Cassia sorrise beffarda. Aveva previsto la loro reazione: gelosia. Una cosa strana per due ragazzini.

 

“Cassia, ci tradisci?” chiese con aria tragica Lea.

 

“Per uno sconosciuto, poi” aggiunse Isa, stringendo ancor di più il panchetto.

 

Cassia scoppiò a ridere. Solo allora i due si accorsero che si stava prendendo gioco di loro.

 

“Ah, miei cari Rosso di Venezia e Turchese… Siete forse gelosi?” chiese lei, conoscendo già la risposta.

 

I due tentarono di ribattere, di creare giustificazioni che non avrebbero retto, ma Cassia li interruppe con un gesto distratto della mano e si voltò verso una delle strade che portava a casa sua.

 

“Basta così. Venite, torniamo a casa… Stasera, visto che non ho guadagnato niente, mi farò perdonare e cucinerò qualcosa per voi!”

 

Isa e Lea si guardarono spaventati: puro terrore era dipinto nei loro occhi. Furono sul punto di lasciare andare i panchetti e di correre via, lontano da quella donna e da quelle mani che non erano in grado di maneggiare nemmeno un cucchiaio di legno, a differenza dei pennelli. Cassia li inchiodò con lo sguardo, poi scoppiò di nuovo a ridere. Ogni volta che stava con loro si sentiva pervasa da una nuova forza. Si sentiva rinascere.

Isa e Lea. Turchese e Rosso di Venezia. Due colori così diversi tra loro, che però si incontravano e scontravano ogni volta. E lei era l’artista, colei che doveva tenerli insieme, o separarli.

Loro erano i suoi colori. Qualcosa che, in un’atra vita, avrebbe chiamato amici.

 

“Non tentate di scappare, perché ci sarò sempre per ripescarvi, ovunque vi nascondiate! Comunque, potete stare tranquilli, prenderò qualcosa da qualche parte e mangeremo a casa mia. Per stavolta vi è andata bene…”

 

 

 

I due ragazzi si erano già addormentati da un pezzo, lì sotto la finestra, dove si erano messi a chiacchierare e ridere per tutta la sera insieme a lei. Li aveva coperti con l’unica coperta che aveva, lei poteva farne anche a meno: stanotte faceva freddo.

La luna brillava in quel cielo tinto della tenebra più profonda, se non fosse per qualche stella che illuminava timidamente la volta. La notte era il momento in cui si sentiva più in pace con se stessa; questo fino a che non andava a dormire. Allora era lì che gli incubi cominciavano ad avvolgerla nel loro freddo abbraccio, era lì che le tenebre del suo animo tornavano a ricordarle chi era.

La notte era il momento in cui si sentiva anche più sola.

Sorrise nell’ombra, mentre osservava i due volti sereni e stanchi. Rosso di Venezia russava pesantemente, mentre Turchese se ne restava rannicchiato in un angolo, senza quasi far sentire il proprio respiro.

Non voleva svegliarli. A questo ci avrebbe pensato il sole.

Si diresse verso la sua scrivania, muovendosi abilmente al buio, come se ci fosse da tempo abituata. Pennelli e tubetti di colore erano sparsi sopra il banco; facendo un po’ di ordine per ritardare il momento in cui sarebbe caduta fra le braccia di Morfeo, si accorse di un tubetto di colore aperto e ben strizzato. Lo prese titubante e lo portò alla luce della luna, per vedere di che si trattava.

Il suo voltò si scurì, gli occhi si svuotarono e persero ogni luce.

Ritrasse la mano e si diresse di nuovo verso la scrivania, sussurrando poche parole.

 

“È finito il Rosso Sangria. Devo andare a ricomprarlo”

 

 

 

 

 

Spazio dell’autrice:

sono in ritardo, lo so. Ma ero molto indaffarata con la scuola e sono ancora, purtroppo… Nonostante abbia tutta la storia dentro la mia testa, non riesco ancora a pubblicare i capitoli con un ritmo più preciso!

Ed ecco qui che compare Terra, il mio adorato Terra! (ehm, scusate… ^^”) Spero di aver azzeccato il colore che meglio lo descrive, almeno a mio parere questo è la tonalità che meglio lo descrive. Amo ogni volta di più Isa e Lea, proprio come Cassia: dopotutto, sono un balsamo per lei che ha sofferto così tanto…

Non mi voglio dilungare, basta così! Come al solito, ci vediamo al prossimo capitolo!

Ringrazio per la recensione: LarcheeX, kalea95.

See you again!

 

  
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