Capitolo 3
Indaco di Persia, amici, partenza
Cassia stava dormendo.
E, come al solito, stava sognando.
Sognava di palazzi antichi, disabitati, piegati allo stesso modo dei salici
piangenti su se stessi. E privi di alcun colore. Alcuni erano bianchi, di un
bianco quasi accecante, altri di un grigio opaco e spento, come la vita che
doveva esserci all’interno di quelle abitazioni.
Lei odiava il bianco. Odiava quel
colore che non si faceva mai influenzare dagli altri, odiava quella luce di cui
era dotato, una luce in grado di imprimere calore e pace. Una luce che lei non
aveva mai avvertito.
Nel sogno lei vagava per le strade
acciottolate e polverose di quella strana città, che insieme la attirava, e la
aborriva allo stesso modo per l’abbondanza di bianco e grigio. Dov’erano gli
altri colori? Dov’erano il rosso, il blu, il giallo, il verde… Dov’erano i suoi colori?
E intanto delle ombre scure facevano
capolino da dietro i palazzi, dai lampioni spenti delle vie. Le ombre del suo
animo, del suo cuore.
Ma io ho un cuore? Io ho un colore?
Quegli interrogativi si persero nel
dedalo delle strade, tornando alla polvere che erano fin dall’inizio. Le ombre
si fecero più grandi, sempre di più, fino a toccare quel cielo privo di stelle,
tinto della notte più nera. Solo una luce, in mezzo a quell’oscurità – la sua
stessa oscurità – sopravviveva fiocamente: uno spicchio, un lieve bagliore
bianco. Una luna fatta di sola luce.
Un dolore lancinante al petto la
colpì, proprio doveva esserci il cuore.
E un ultimo pensiero, carico di una
tristezza infinita che le era ormai propria, le attraversò la mente, prima che
le tenebre inghiottissero di nuovo quella città e il suo animo.
Anche tu, Luna, mi hai tradito…?
Dei passi, svelti, con una cadenza da
soldato o da allievo diligente, la svegliarono dal suo riposino. Spalancò gli
occhi all’improvviso e la prima cosa che vide fu l’accecante luce del sole che
la costrinse a chiudere di nuovo gli occhi, mentre il resto del corpo
recuperava sensibilità.
Finalmente, colori…
Dopo essersi stirata, si voltò verso
la fonte di quei passi impazienti, che nascondevano un certo fastidio e una
rabbia abilmente repressa. Un ragazzo alto, con strani ciuffi castani che si
muovevano al tempo con le gambe, dagli occhi di un azzurro chiaro, immersi in
pensieri lontani, le stava per passare davanti. Nella mano impugnava un Keyblade, diverso da quello di Aqua.
Un altro Custode? Cosa succede oggi in questa città?
Quando finalmente anche gli ultimi
frammenti sinistri di sogno scivolarono via, si sistemò al suo posto e si
schiarì la voce, sperando che stavolta il cliente sarebbe stato più generoso.
“Signore, mi scusi…” lo chiamò quando
lui le passò davanti.
Questo non la degnò di uno sguardo, da
quanto era concentrato nei suoi pensieri che lo portavano lontano da quel
luogo, da quel mondo. L’espressione contrita, la fronte aggrottata, il volto
tirato per cercare di non far straripare una rabbia e un dolore che erano sul
punto di insorgere: tutto questo le parve familiare, come una sofferenza
condivisa. Ma come poteva esserci così tanto dolore in quel corpo così giovane?
Come poteva quell’anima portarsi
appresso dei pesi?
“Mi scusi, lei… Indaco di Persia,
prestami attenzione!” gridò Cassia.
Il ragazzo, richiamato da quello
strano nome che non pensava fosse diretto a lui, si voltò verso la fonte della
voce e il suo filo di pensiero fu interrotto nel vedere quella donna in abiti
maschili.
Cassia, esultando dentro di sé per
aver attirato la sua attenzione, gli rivolse un sorriso gentile, invitandolo
con una mano ad avvicinarsi a lei.
“Avvicinati, non ti mangio, puoi stare
tranquillo”
“Chiamavate me?” domandò perplesso il
ragazzo.
Cassia allargò ancora di più il
sorriso vedendo lo smarrimento del ragazzo a quello strano nome. Decise di
sfruttare questa scusa per avvicinarlo e convincerlo a farsi ritrarre, così da
ricevere finalmente il compenso che si aspettava.
“Sì, Indaco di Persia”
“Quello non è il mio nome” ribatté
brusco il ragazzo, distogliendo gli occhi da quelli chiari di Cassia.
“Lo so, ma non conoscendoti non posso
fare altro che chiamarti con il nome che mi suggeriscono i colori. E il tuo
cuore” disse serafica Cassia, godendosi lo stupore del giovane.
“I colori?” domandò lui, facendo
qualche passo titubante verso di lei.
Centro. Stasera si mangia bene!
“Esatto, i colori! Io sono una
pittrice, sono continuamente a stretto contatto con i colori che mi circondano
e con le persone che incontro; da ciò riesco a dare a ogni persona un colore
che lo caratterizza, un colore con il quale si possa dipingerlo. Un colore che
rappresenta ciò che c’è nel suo cuore e nella sua anima”
Non sapeva perché stava raccontando i
suoi metodi a uno sconosciuto, nemmeno a Isa e Lea aveva rivelato i loro colori
così presto. Ci era voluto tempo, fiducia… Con lui, invece, era stato molto più
semplice. Non perché fosse facile da capire con un solo sguardo, anzi, quel
ragazzo celava le sue emozioni più profonde con facilità: eppure lei sentiva,
vedeva. Vedeva lo scontro che c’era nel suo cuore, una guerra fra due
sentimenti che tentavano ogni volta di soggiogarlo al loro volere.
Lo sentiva vicino, come se
comprendesse quella sofferenza.
La stessa che lei aveva patito.
“Dunque io sarei indaco, secondo il tuo linguaggio?” chiese lui, scrutandola più
attentamente.
La stava studiando, era ovvio. Voleva
capire se diceva il vero, o se era solo pazza.
“Sì. Un colore freddo, simbolo della
metamorfosi e del cambiamento, legato alla forza del rosso e all’accoglimento
dell’azzurro. Con questo si desidera aiutare gli altri, ma si è attratti anche
dal mondo sconosciuto, dalle forze arcane e oscure; indica anche il dolore e
l’afflizione, ma una grande forza d’animo. Ho indovinato?” sorrise furbamente
Cassia, restituendogli uno sguardo di sfida.
Il ragazzo parve indugiare, tentennare
di fronte a quella rivelazione che l’aveva colpito in pieno. Non aveva mai
visto quella donna, non si sarebbe certo dimenticato di quegli occhi velati da
una profonda tristezza; eppure lei era riuscita a leggerlo dentro, a denudarlo
e renderlo consapevole delle sue ombre nel cuore.
Sembrava conoscerlo meglio di lui.
Come tutti, del resto.
A questo pensiero, si voltò stizzito,
dandole le spalle. Non aveva tempo da perdere.
“Stupidaggini” disse semplicemente.
Cassia parve per un attimo offendersi,
ma questo non intaccò la sua maschera di benevolenza.
“Pensala come vuoi, Indaco di Persia,
ma i colori non sbagliano mai. Allora, che ne dici di un ritratto? Pochi minuti
ed è tuo. Ti faccio un prezzo speciale, sai?” tentò di dire, vedendolo andare
via.
“Ho fretta”
“Anch’io! Per questo ci metterò poco,
non preoccuparti. Tutti a questo mondo hanno fretta, ma ogni tanto bisogna
fermarsi per godere della propria bellezza, e per elogiarla…”
Con Aqua
aveva funzionato. Perché lui desisteva? Non era poi diverso dagli altri uomini
incontrati.
“Non mi interessa. Ho impegni più alti
e importanti, non posso soffermarmi di fronte a uno specchio a rimirarmi o a
parlare con una ritrattista che si veste da uomo” sputò queste ultime parole
senza che se ne rendesse conto. Non aveva intenzione di offenderla.
Cassia sentì la rabbia che cominciava
a farsi strada nel suo animo, come piccoli radici nere e marcie. Ma non la fece
straripare, non ne valeva la pena: odiava mostrare i lati peggiori del suo
carattere agli sconosciuti, soprattutto se erano possibili clienti.
Non insistette, però. Alzò le mani in
segno di resa, pensando tristemente che non avrebbe potuto offrire la cena promessa
ai due ragazzi. Di nuovo.
Il ragazzo si girò di poco, per vedere
che effetto avevano fatto le sue parole. Niente, nemmeno un mutamento in quel
volto. Solo quel sorriso, quel perenne sorriso che non smetteva mai di
sfoggiare.
Un sorriso velato di tristezza.
“Come vuoi, Indaco di Persia. Non ti
trattengo oltre: sei libero di andare” disse lei, chiudendo l’album.
Il ragazzo fece per andarsene, ma
qualcosa lo trattenne. Era stato ingiusto, crudele. Ancora una volta era stata
la sua oscurità a parlare, non lui.
“Non hai bisogno di sprecare il tuo
talento con me, non ne verrebbe niente di buono dal mio ritratto. Non sporcare
la tua arte, meriti di meglio” disse, pensando che così potesse andare.
Cassia si sorprese di quel commento
finale e ne sorrise compiaciuta. Voleva farsi perdonare, a modo suo.
“Non è mai uno spreco fare un ritratto,
nemmeno a te. Spero di rincontrarti di nuovo, mio caro…”
“Terra. Chiamami così” la pregò con un
sorriso imbarazzato.
La ritrattista allargò ancora di più
il sorriso e fece una piccola riverenza, guardandolo di sottecchi.
Terra, toltosi un peso – uno dei tanti
– dal cuore, si allontanò da quello strano personaggio, con la parvenza di un
sorriso sulle labbra. Solo troppo tardi si accorse di non averle chiesto il
nome.
“Torna presto per un ritratto, Indaco
di Persia. Sarò sempre qui ad aspettarti!” gli urlò dietro Cassia, scoppiando
in una risata beffarda.
Era tardi. Il cielo era ormai
completamente tinto di rosso, il colore della forza e della vita, con in
lontananza un alone di viola, distante e irraggiungibile. Ma ugualmente bello.
Le tornò in mente Terra. Indaco di
Persia, come lei l’aveva ribattezzato: le piaceva. Avrebbe voluto rincontrarlo,
più tardi, le sarebbe piaciuto che le passasse davanti e si fermasse, anche
solo per parlare. Avrebbe voluto conoscerlo più a fondo.
Cos’è questa? Solitudine?
No, semplicemente il bisogno di avere
qualcuno affine a lei. Qualcuno come lei.
Non le era mai sorto questo pensiero,
in tutti questi anni. Colpa dell’incontro con quel ragazzo che le aveva
lasciato una certa inquietudine. Una vaga speranza.
Che lui ritornasse. E le desse i soldi
per un ritratto, perché stava morendo di fame. Ma non era la sola.
“Cassia!” la chiamò una voce
conosciuta.
La ragazza sorrise, distogliendo la
mente da quei cupi pensieri, e si voltò per accogliere i due nuovi arrivati. Lea
stava arrivando – o meglio, stava letteralmente correndo proprio come farebbe un bambino per raggiungere la madre –
verso di lei, sventolando i due fresbee rossi
fiammanti che era solito portarsi talvolta dietro, spacciandoli per delle armi.
Per certi versi, rimaneva un bambino
che non aveva voglia di crescere.
Isa gli veniva dietro a passo d’uomo,
nascondendo una certa impazienza. Cassia era sicura che, se avesse voluto,
anche lui si sarebbe messo a correre verso di lei, proprio come l’amico. Ma il
suo carattere pacato glielo impediva, fungendo da freno.
Cassia accolse i due ragazzi con un
sorriso luminoso, lieta di rivederli dopo quella giornata persa.
“Allora, com’è andata? Quanto hai
guadagnato? Sei riuscita a derubarli?” le domandò con il fiatone Lea,
ammiccandole.
“Non è andata esattamente come speravo…”
ammise lei, abbassando di poco lo sguardo. Si sentiva tremendamente in colpa,
non era riuscita a mantenere la promessa.
“Ti hanno dato poco?” chiese ancora
Lea, mentre il sorriso radioso scompariva via via.
Cassia si morse un labbro, nervosa.
“Non mi hanno dato niente, se ne sono
andati senza ascoltarmi” disse infine lei, alzandosi dal panchetto e prendendo
la sua roba per andarsene.
Era palesemente evidente che Lea fosse
deluso e non riuscì a nasconderlo. Isa, al contrario, non disse niente, né mutò
l’espressione seria, capendo che avrebbe solo peggiorato il pessimo umore della
ritrattista.
“Mi dispiace” si scusò Cassia, vedendo
il volto deluso di Lea.
“E per cosa? Erano loro dei tirchi,
non è certo colpa tua!” esclamò risoluto Lea, mutando subito espressione a una
gomitata dell’amico.
Cassia sorrise, ma non era del tutto
rincuorata. Preferiva evitare di parlare del ritratto terminato e mai
consegnato al destinatario, le avrebbero dato della stupida, o avrebbero ancora
infierito contro i turisti.
“Piuttosto, voi due non dovevate
mandarmi quell’altro turista?” si ricordò Cassia, guardandoli con finto
rimprovero.
Lea distolse lo sguardo e cominciò a
grattarsi la testa, imbarazzato. Nell’altra mano muoveva il fresbee
nervosamente. Cassia non capì l’improvviso cambio d’umore del ragazzo, così
come non comprese nemmeno la risatina di Isa, che cominciò a prendere in giro l’amico.
“Lea è stato battuto da quel ragazzino.
Eppure faceva tanto il gradasso, con il suo giocattolo...”
“Taci, l’ho fatto solo vincere!”
“Lea, ma non ti vergogni? Sempre ad
attaccare briga con quelli più piccoli di te” lo canzonò Cassia, ridendo anche
lei.
“Vi dico che l’ho lasciato vincere! Sembrava
triste, così ho deciso di tirargli su il morale. Sono molto magnanimo, eh?”
tentò di dire Lea.
“E così ve lo siete lasciato scappare…
Pazienza, anche questa giornata è andata persa!” sospirò Cassia, alzando le
braccia al cielo e mettendosi poi sottobraccio l’album e la scatola con i
carboncini.
I due ragazzi la aiutarono e presero i
due panchetti. Isa non smetteva di fissarla, come se cercasse di carpirle
segreti che lei preferiva tacere.
“Forse non lo è stata del tutto persa,
vero, Cassia?” buttò lì il ragazzo, con l’aria di chi sapesse più di tutti.
La ritrattista lo osservò. Era incredibile
come riuscisse a metterla spesso in difficoltà.
“Forse” ammise lei ambigua.
“In che senso?” chiese sospettoso Lea.
“Beh, ho fatto la conoscenza di uno
dei turisti, un ragazzo. Era di fretta: peccato, avrei voluto fargli un
ritratto…” rivelò Cassia, voltandosi per vedere la faccia dei due ragazzi.
Come si aspettava.
Lea era avvampato, diventando un tutt’uno
con i suoi capelli, mentre Isa manteneva una certa calma, senza però lasciar
prevalere l’agitazione che stava prendendo possesso del suo corpo.
Cassia sorrise beffarda. Aveva
previsto la loro reazione: gelosia. Una cosa strana per due ragazzini.
“Cassia, ci tradisci?” chiese con aria
tragica Lea.
“Per uno sconosciuto, poi” aggiunse
Isa, stringendo ancor di più il panchetto.
Cassia scoppiò a ridere. Solo allora i
due si accorsero che si stava prendendo gioco di loro.
“Ah, miei cari Rosso di Venezia e
Turchese… Siete forse gelosi?” chiese lei, conoscendo già la risposta.
I due tentarono di ribattere, di
creare giustificazioni che non avrebbero retto, ma Cassia li interruppe con un
gesto distratto della mano e si voltò verso una delle strade che portava a casa
sua.
“Basta così. Venite, torniamo a casa…
Stasera, visto che non ho guadagnato niente, mi farò perdonare e cucinerò
qualcosa per voi!”
Isa e Lea si guardarono spaventati:
puro terrore era dipinto nei loro occhi. Furono sul punto di lasciare andare i
panchetti e di correre via, lontano da quella donna e da quelle mani che non
erano in grado di maneggiare nemmeno un cucchiaio di legno, a differenza dei
pennelli. Cassia li inchiodò con lo sguardo, poi scoppiò di nuovo a ridere.
Ogni volta che stava con loro si sentiva pervasa da una nuova forza. Si sentiva
rinascere.
Isa e Lea. Turchese e Rosso di
Venezia. Due colori così diversi tra loro, che però si incontravano e
scontravano ogni volta. E lei era l’artista, colei che doveva tenerli insieme,
o separarli.
Loro erano i suoi colori. Qualcosa che, in un’atra vita, avrebbe chiamato amici.
“Non tentate di scappare, perché ci
sarò sempre per ripescarvi, ovunque vi nascondiate! Comunque, potete stare
tranquilli, prenderò qualcosa da qualche parte e mangeremo a casa mia. Per
stavolta vi è andata bene…”
I due ragazzi si erano già
addormentati da un pezzo, lì sotto la finestra, dove si erano messi a
chiacchierare e ridere per tutta la sera insieme a lei. Li aveva coperti con l’unica
coperta che aveva, lei poteva farne anche a meno: stanotte faceva freddo.
La luna brillava in quel cielo tinto
della tenebra più profonda, se non fosse per qualche stella che illuminava
timidamente la volta. La notte era il momento in cui si sentiva più in pace con
se stessa; questo fino a che non andava a dormire. Allora era lì che gli incubi
cominciavano ad avvolgerla nel loro freddo abbraccio, era lì che le tenebre del
suo animo tornavano a ricordarle chi era.
La notte era il momento in cui si
sentiva anche più sola.
Sorrise nell’ombra, mentre osservava i
due volti sereni e stanchi. Rosso di Venezia russava pesantemente, mentre
Turchese se ne restava rannicchiato in un angolo, senza quasi far sentire il
proprio respiro.
Non voleva svegliarli. A questo ci
avrebbe pensato il sole.
Si diresse verso la sua scrivania,
muovendosi abilmente al buio, come se ci fosse da tempo abituata. Pennelli e
tubetti di colore erano sparsi sopra il banco; facendo un po’ di ordine per
ritardare il momento in cui sarebbe caduta fra le braccia di Morfeo, si accorse
di un tubetto di colore aperto e ben strizzato. Lo prese titubante e lo portò
alla luce della luna, per vedere di che si trattava.
Il suo voltò si scurì, gli occhi si
svuotarono e persero ogni luce.
Ritrasse la mano e si diresse di nuovo
verso la scrivania, sussurrando poche parole.
“È finito il Rosso Sangria. Devo
andare a ricomprarlo”
Spazio dell’autrice:
sono in ritardo, lo so. Ma ero molto
indaffarata con la scuola e sono ancora, purtroppo… Nonostante abbia tutta la
storia dentro la mia testa, non riesco ancora a pubblicare i capitoli con un
ritmo più preciso!
Ed ecco qui che compare Terra, il mio
adorato Terra! (ehm, scusate… ^^”) Spero di aver azzeccato il colore che meglio
lo descrive, almeno a mio parere questo è la tonalità che meglio lo descrive.
Amo ogni volta di più Isa e Lea, proprio come Cassia: dopotutto, sono un
balsamo per lei che ha sofferto così tanto…
Non mi voglio dilungare, basta così! Come
al solito, ci vediamo al prossimo capitolo!
Ringrazio per la recensione: LarcheeX, kalea95.
See you again!