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Autore: Scribak    10/05/2012    1 recensioni
"(...) La resa è stata firmata. Venezia è nuovamente sotto il mio dominio- aggiunse laconico Austria, arricciando il naso per l’odore acuto di alghe che permeava il canale.
Feliciano sollevò una mano al petto, sfiorandolo laddove gli uomini possiedono un cuore: non aveva avuto bisogno delle parole della nazione per sapere che la città, la sua città, fosse perduta. Il dolore che lo aveva trafitto all’improvviso, strappandogli un gemito, la notte precedente non poteva che essere il memento della penna affilata con cui gli italiani, il suo popolo, avevano firmato, ancora una volta, la resa (...)".
Genere: Malinconico, Poesia, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Notturno op. 01  - Veneziano

-È finita, Feliciano. Fattene una ragione-.

La giovane nazione lacerata sollevò lo sguardo, incrociando gli occhi freddi ed impassibili di Roderich: la potenza austriaca squadrò a sua volta quel ragazzetto pallido e tremante, il quale, da ore, stava appollaiato cocciutamente su uno dei moli di Venezia, simile ad uno dei tanti gabbiani grigi, che sorvolavano mesti la città in fiamme.

Fra i rotti nuguli dell’occidente

Il raggio perdesi del sol morente,

e mesto sibila per l’aria bruna

l’ultimo gemito della laguna.

 

Il volto di Feliciano era rigato di lacrime, tirato dalla fame e dalla stanchezza: alle sue spalle svolazzava malinconica la cappa in cui l’aveva avvolto un ufficiale quando, la mattina, lo aveva trovato aggirarsi, barcollante e smarrito, per le strette stradine della Repubblica Veneta.

-La resa è stata firmata. Venezia è nuovamente sotto il mio dominio- aggiunse laconico Austria, arricciando il naso per l’odore acuto di alghe che permeava il canale.

Feliciano sollevò una mano al petto, sfiorandolo laddove gli uomini possiedono un cuore: non aveva avuto bisogno delle parole della nazione per sapere che la città, la sua città, fosse perduta. Il dolore che lo aveva trafitto all’improvviso, strappandogli un gemito, la notte precedente non poteva che essere il memento della penna affilata con cui gli italiani, il suo popolo, avevano firmato, ancora una volta, la resa.

-Devo venire con te, Austria?- chiese il ragazzo, facendo vagare lo sguardo sulle onde grigie del mare.

Roderich lo guardò di traverso, corrugando le sopracciglia.

-Lo sai, Feliciano. Mi spetti di diritto, fintantoché io abbia Venezia- disse pacato.

Il capo del giovane si piegò di lato, descrivendo un cenno: -Lovino e San Pietro rimarranno, vero?-

Roderich non rispose, stringendosi nel cappotto militare che teneva abbottonato sino al collo:

-Trovati domani mattina al porto. Partiamo con le campane di mezzogiorno. Non dimenticartene-.

Feliciano si voltò di scatto, ma, tutto ciò che la nebbia, di cui era ammantato il molo, gli restituì di Austria, fu il ticchettio smorzato degli stivali sul legno incrostato di sale.

La nazione si prese il volto tra le mani, la fronte ardente come quella dei veneziani vinti, nei giorni precedenti, dalla malaria che aveva soffocato lentamente la repubblica.

Un grido, perso per i calli altrimenti silenziosi e deserti, arrivò alle sue orecchie. Lentamente, come un malato ormai giunto alla fine della sua feroce lotta contro l’epidemia, si alzò, chiudendo gli occhi in una smorfia di dolore.

Venezia! L’ultima ora è venuta:

illustre martire, tu sei perduta…

il morbo infuria, il pan ti manca,

sul ponte sventola bandiera bianca.

 

La fredda brezza della sera veneziana gli lambì il volto, disperdendo, nel buio del molo, una lacrima che sparì con un ultimo, umile scintillio.

È fosco l’aere, il cielo è muto,

ed io sul tacito veron seduto,

in solitaria malinconia

ti guardo e lagrimo, Venezia mia.

 

Feliciano sospirò, spalancando gradualmente gli occhi: due fiamme ambrate e febbricitanti abbracciarono il mesto paesaggio della laguna, sorridendo tristemente tra le ombre misteriose dei ponti veneziani.

Il ragazzo accarezzò delicatamente il legno del molo con la punta delle dita, senza risolversi a voltare le spalle al mare per raggiungere Austria.

Una delle mani del ragazzo salì alle labbra screpolate, raccogliendo un bacio leggero, che soffiò verso le piatte acque della laguna.

Ramingo ed esule in suol straniero,

vivrai, Venezia, nel mio pensiero;

vivrai nel tempio qui del mio cuore,

come l’immagine del primo amore.

Ma il vento sibila, ma l’ombra è scura,

ma tutta in tenebre è la natura:

le corde stridono, la voce manca…

sul ponte sventola bandiera bianca!

Angolo dell’autore

Salve a tutti i lettori. In primo luogo, nel caso siate giunti fin qui, leggendo l’intero racconto, non posso che rallegrarmene: pur cercando di correggermi, tendo, infatti, puntualmente a delineare storie piuttosto malinconiche, che, mi rendo conto, non sono di facile lettura; spero, in ogni caso, che il racconto possa risultarvi gradito. Grazie per l’attenzione! :)

Arianna F. alias Scribak  

P.S. Per quello che riguarda la circostanza in cui viene ambientato il racconto, occorre riferirsi al moto rivoluzionario avvenuto presso Venezia tra il 1848 ed il 1849 contro l’occupazione austriaca, o, più precisamente, al giorno in cui viene siglato l’armistizio tra i due eserciti, a discapito del primo (2 agosto 1849); data la mia scarsa esperienza in merito ai racconti a sfondo storico, mi auguro di non aver commesso troppe sviste o errori di ambito. Secondariamente, i brani interposti nel testo del racconto sono estratti (seppur disposti in un ordine diverso dall’originale) dall’opera “Ultima notte a Venezia”(A. Fucinato, autore contemporaneo rispetto all’episodio storico trattato): spero che possiate apprezzare il collegamento tra quest’ultima ed i pensieri ed azioni di Feliciano. Il titolo, infine, si riferisce, in modo decisamente evidente, al secondo nome di Feliciano (ossia Veneziano, appunto), il quale, ritengo, costituisce una delle allusioni più manifeste dell’affetto tanto stretto e familiare che lega il giovane alla sua città. A presto!

  
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