Anime & Manga > City Hunter/Angel Heart
Segui la storia  |       
Autore: loryl84    11/05/2012    1 recensioni
Stava calando la sera.
Il cielo si andava tingendo di rosso. Tutto era immobile, statico.
In lontananza, il rumore di un ruscello che seguiva il suo corso...
Salve! sono nuova di questa sezione, ho deciso di postare anche qui questa storia, postata già in un altro sito. Spero davvero che possa piacere! A presto, Lory
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaori/Greta, Ryo Saeba/Hunter
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Anni ’90 – Un punto imprecisato dell’America centrale


Il proiettile sibilò con un fischio vicino alle sue orecchie.

Kaori si spostò da quello che fino a quel momento era stato il suo riparo, un attimo prima che una cascata di proiettili gli piombasse addosso.

Lanciando un’imprecazione, caricò la sua mitraglietta. Contemporaneamente afferrò una delle bombe a mano che teneva nelle tasche dei pantaloni. Guardò in direzione dei suoi compagni. Erano tutti impegnati nel combattimento. Bene, avrebbe creato un diversivo.

Con un balzo, uscì dal nascondiglio, lanciando la bomba in direzione dei nemici. Ruzzolò a terra con una capriola, andandosi a riparare in un’insenatura naturale del terreno.

Il boato fu tremendo. Le urla dei nemici si mescolavano al rumore assordante dell’esplosione.

La ragazza si lasciò sfuggire un sorriso di trionfo. Attese ancora qualche istante che la situazione si calmasse. Poi avvertì un fischio. Il segnale. Via libera.

Uscì dal suo riparo; vide Josè e Carlos avanzare verso di lei, sorridendo.

Bene, per il momento, avevano vinto loro.


 
Il ritorno all’accampamento fu accolto con grida di gioia. I suoi compagni si congratularono con lei, per la prontezza di riflessi e il suo sangue freddo.

Kaori li lasciò a festeggiare, mentre si ritirava nella casupola in legno che era la sua “dimora” e quella di suo padre. Sentiva proprio il bisogno di lavarsi, il sudore, l’umidità della giungla, la polvere, gli insetti, gli si erano attaccati addosso come una seconda pelle.

In altri casi, avrebbe fatto un bel bagno lungo la riva del fiume, ma non era il momento adatto. Era molto meglio una lunga doccia rilassante.

Quello era uno dei vantaggi di vivere nella casupola.

Non era grande, era molto spartana, ma per lo meno poteva usufruire di un minuscolo bagno, e, in casi come quelli, dell’ancor più minuscola doccia.

Si chiuse la porta alle spalle, facendo scivolare via gli abiti sporchi di fango e terra. Osservò l’immagine che lo specchio le rimandava.

Fissò con insistenza i suoi occhi, grandi, nocciola, luminosi. Le labbra, piene e carnose. Il corpo snello, e le gambe lunghe. La pelle leggermente abbronzata. Sciolse i lunghissimi capelli, che le arrivavano fino alla schiena, facendo ricadere le ciocche davanti al viso. Si passò una mano tra i capelli, ponendosi la solita domanda che si faceva da quando aveva dieci anni. Da chi aveva preso quel colore dei capelli? Da sua madre o da suo padre? E quegli occhi?

Scosse la testa, scacciando quei pensieri. Si infilò rapidamente sotto il getto dell’acqua calda, sfregandosi bene il corpo con la spugna. Non doveva più pensare a simili sciocchezze. Ormai era una donna adulta, non era più una bambina. Che gliene importava dei suoi genitori? Lei un padre ce lo aveva già, che le voleva un gran bene.

Chiuse il rubinetto, e si asciugò con il grande accappatoio che suo padre gli aveva procurato. Si passò il pettine tra i lunghi capelli, cercando di districare i nodi che si erano formati. Sorrise, suo malgrado.

Nessuno avrebbe creduto che il grande combattente, il capo indiscusso, Shin Kaibara, si potesse rivelare un padre affettuoso. Ma con lei lo era stato. Certo, ciò non voleva dire che si lasciava andare a gesti estremi, come baci e abbracci. Bastava uno sguardo, un sorriso, e le si scaldava il cuore. Se voleva, sapeva essere anche molto severo e autoritario; in quei casi lei capiva bene che non era il caso di contraddirlo, e perciò gli ubbidiva.

Quando, quella notte di vent’anni addietro, era entrata per la prima volta nell’accampamento, Kaibara l’aveva accolta con indifferenza. Lei era impaurita, infreddolita e affamata. Le avevano dato di che mangiare e l’avevano coperta. Poi si era addormentata. Quando si era svegliata, aveva sentito quegli uomini discutere su di lei. Era meglio abbandonarla? Certo non la potevano tenere con loro.

La voce di Kaibara si era levata alta e decisa. Al momento non potevano andare in città, perciò sarebbe rimasta con loro per un po’. E così era stato. Solo che, a mano a mano che il tempo passava, tutti si erano affezionati a quella bimba dagli occhi grandi. E nessuno se l’era più sentita di mandarla via.

Ogni tanto veniva una donna, Concita. Non era molto giovane, era di corporatura robusta, con i capelli neri raccolti a treccia. Le faceva il bagno, la cambiava, le pettinava i suoi lunghi capelli, raccontandole storie divertenti con la sua voce cristallina. La sua risata era contagiosa, e Kaori non aspettava altro che vederla arrivare.

Concita era stata la sola presenza femminile che l’aveva accompagnata in quegli anni. Era stata lei a spiegarle, intorno ai dodici anni, che presto sarebbe diventata donna. E sempre lei a spiegarle come ci si doveva comportare in quei casi.

Ad un certo punto, le sue visite erano cessate. Ne aveva chiesto il motivo a Kaibara, e aveva notato un lampo attraversare i suoi occhi neri. Senza tanti giri di parole, le aveva spiegato che Concita era morta, trafitta da un proiettile mentre cercava di venire al campo.

Davanti a suo padre, non aveva pianto. Perché così gli aveva insegnato. Doveva imparare a contenere le proprie emozioni. Aveva accolto la notizia con uno sguardo serio e imperturbabile per i suoi quindici anni. Ma, una volta sola, senza gli occhi indiscreti di Shin e degli altri uomini, aveva pianto, dando libero sfogo a tutto il suo immenso dolore.

Una lacrima scese lentamente sulla sua guancia. Con un gesto nervoso, Kaori la scacciò con il dorso della mano. Non sarebbe servito a nulla rimuginare su queste cose. Aveva ragione suo padre. Doveva essere forte. Se si fosse dimostrata debole, il nemico l’avrebbe attaccata e per lei sarebbe stata la fine.

Quei tristi pensieri la riportavano solitamente alla ferita più grande, che non si era ancora rimarginata.

Chiuse gli occhi, e subito un altro paio di occhi occuparono la sua mente. Ecco, lo sapeva, andava sempre a finire così!

Li riaprì, in collera con se stessa. Prese un asciugamano e cominciò ad asciugarsi i capelli con forza.

Aveva mantenuto la promessa. Quel giorno, quando era arrivata al campo, aveva raccontato di aver camminato da sola ed essere giunta lì. Anche in seguito, aveva sempre sostenuto questa tesi. Non lo aveva mai tradito, aspettando fiduciosa.

Ma il tempo passava, e lui non era venuto a prenderla. Nonostante tutto, continuava ad avere una fiducia cieca. Anche nei momenti di sconforto, le bastava chiudere gli occhi per avere davanti il volto di quel giovane, e allora la sottile fiammella della speranza si riaccendeva in lei.

A mano a mano che lei cresceva, però, questa speranza si affievoliva. Fin quando un giorno, più o meno verso i sedici anni, capì finalmente che lui non sarebbe mai venuto.

Quella consapevolezza fu come una doccia fredda. Aveva vissuto sperando che prima o poi la sua vita sarebbe cambiata, ma nulla era successo.

Voleva bene a suo padre, lo amava e lo stimava. Ma non sempre era d’accordo sulle sue scelte.

Molte volte si svegliava, la notte, in preda a un profondo senso di smarrimento. Nella sua testa ronzavano dei volti, dei pianti sommessi, delle urla disperate, e lei non sapeva come uscirne. Si prendeva la testa fra le mani, rannicchiando le ginocchia sotto il mento, in attesa che quell’ansia passasse.

Sapeva di chi erano quelle urla. Le sentiva continuamente, quando attaccavano i guerriglieri. Gente come loro, che combattevano come loro, ma con scopi diversi.

Dopo tutto questo tempo, non era ancora riuscita a comprendere il motivo per cui sostenevano queste inutili lotte. Perché dovevano uccidere, sterminare interi villaggi, opporsi con violenza alle leggi.

Quando aveva tentato debolmente di chiedere spiegazioni, Kaibara l’aveva trafitta con uno sguardo talmente penetrante e pungente, che aveva sentito dei brividi di terrore percuoterla. Con voce glaciale, gli aveva risposto che, se le cose non le andavano bene in quel modo, era libera di andarsene.

Ma Kaori non era una stupida. Aveva compreso che, se solo avesse osato prendere in considerazione quella possibilità, avrebbe firmato la sua condanna a morte. Perciò si era chinata al suo volere.

Che lo volesse o no, doveva accettare le scelte di suo padre. Con tutto ciò che esse comportavano.

Era per questo che oggi serbava un profondo rancore per quel ragazzo.

Ryo.

Quante volte aveva implorato quel nome nella sua mente, pregando che venisse a salvarla da quell’inferno!

Quante volte, dopo aver visto sangue e dolore negli occhi delle sue vittime, si era addormentata pensando al suo sorriso. Sincero e rassicurante. Fiducioso.

Lei aveva mantenuto la sua promessa. Non l’aveva tradito.

Lui invece no. L’aveva lasciata sola, nella disperazione.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > City Hunter/Angel Heart / Vai alla pagina dell'autore: loryl84