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Autore: _vally_    02/12/2006    5 recensioni
House e la sua equipe alle prese con uno stranissimo caso, ma strano è anche quello che sta succedendo al Plaisboro. Cosa è successo tra Wilson e la Cuddy? Perchè Chase si comporta in modo così insolito? E House, che continua a provocare Cameron...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2

 

29 gennaio, H 14.15

Ufficio di Wilson

 

“E’ la Cuddy”

“Smettila House!” James si tradì non riuscendo a reggere lo sguardo dell’amico.

“Bingo!” esclamò, addentando un panino.

 

In quel momento bussarono ancora alla porta.

Wilson, ringraziando nella mente Dio di averlo ascoltato, si catapultò verso di essa.

“Ehi, che scatto atletico! Scommetto che qualcuno che ci interrompe è la cosa migliore che poteva capitarti in questo momento…” lo prese in giro House.

Wilson aprì. Era la Cuddy.

Wilson ritirò mentalmente i suoi ringraziamenti e House aggiunse tra i denti: “Oggi sei particolarmente fortunato…”

“Ciao” lei era visibilmente imbarazzata e quando vide House alle spalle di Wilson, che la guardava divertita sopra il suo panino, dimenticò improvvisamente il discorso che si era imparata a memoria.

“Si risponde: ciao Lisa, entra pure.” disse House, scendendo dalla scrivania dove era seduto, in modo un po’ troppo agile per essere un uomo che deve camminare con il bastone. Si avvicinò a Wilson, che stava ancora in piedi davanti alla porta, con la maniglia in una mano e il panino nell’altra.

“State mangiando, torno più tardi.” Disse la Cuddy, facendo un gesto di saluto e si voltò per andarsene.

“Se eri preoccupata sul perché Wilson non esce più dal suo ufficio neanche per fare pipì puoi rimanere, stavo proprio lavorando su questo. Potresti darmi qualche suggerimento sulla causa…” le urlò dietro mentre si allontanava in fretta.

Fu fulminato da uno sguardo di Wilson, e decise che forse era meglio restare ancora un po’ da solo con lui. Il suo amico non era tipo da andare in panico per una donna, e le sue reazioni degli ultimi giorni alle sue provocazioni indicavano che stava perdendo il controllo per qualcosa.

Lasciò andar via la Cuddy, staccò la mano di Wilson dalla maniglia e richiuse la porta.

“Bhè?” chiese all’amico, indicando con un gesto la porta.

“E’ successo…una settimana fa. Era tardi, ero rimasto in ufficio un po’ di più perché dovevo studiarmi quel discorso per il convegno di venerdì. Ogni volta che ci sono questi incontri noiosissimi mi costringono a parlare almeno un’ora e…”

“Pensi che possa desistere? Non te la caverai cambiando discorso. Ho tanto tempo io!” House si lasciò cadere sulla poltrona e Wilson si sedette di fronte a lui su una sedia.

“Ok. Ci siamo baciati.”

House si protese verso di lui e fece gesto di andare avanti.

“Basta. Tutto qui.” disse lui.

“Si, certo! Sei capace di portarti a letto una paziente coi giorni contati e invece hai deciso di andarci piano col diavolo del Plaisboro! Hai paura che si innamori di te, Don Giovanni?”

Wilson si mise la testa tra le mani e aspettò in silenzio qualche altra battuta sarcastica del suo perfido amico.

“James?” House punzecchiò l’amico col bastone “sei narcolettico?”

Wilson aveva ottenuto ciò che voleva: House aveva capito che era alle prese con qualcosa di importante e stava cercando di rimediare un po’ alla sua crudeltà. “Dai raccontami cosa è successo. Ho bisogno di materiale per ricattare la Cuddy. Lavoro ancora qui grazie a cose come queste.” ma il tono di voce tradiva l’ironia delle sue parole. Il suo lato di amico fidato usciva raramente allo scoperto, ma ne valeva la pena.

“Ok. Dicevo…”continuò Wilson guardandolo finalmente negli occhi “ero rimasto in ufficio fino a tardi, e stavo tornando a casa quando ho visto le luci del suo ufficio ancora accese. Allora sono passata a salutarla. Sono entrato, guardava fuori dalla finestra e stava piangendo.”

Sospirarono entrambi pensando al discorso che avevano fatto pochi mesi prima: quel bisogno di Wilson di donne che avevano bisogno di lui…

“Le ho chiesto cosa c’era che non andava ma rimaneva in silenzio. Allora mi sono avvicinato e…l’ho abbracciata.”

“L’eterno consolatore…” mugugnò House alzando gli occhi al cielo.

“La volevo solo abbracciare! Insomma, è un’amica, era triste! Io…”

“Ok, ok, vai avanti.”

“Niente. Mentre l’abbracciavo mi è venuta voglia di baciarla e l’ho fatto.”

“E questo lo chiami niente?! Presumo lei fosse consenziente…se no a quest’ora saresti da qualche chirurgo a elemosinare un trapianto di testicoli…”

Wilson rise sommessamente. “Si, era consenziente. Anzi, era molto coinvolta. E anch’io…”

“Tu non hai paura che lei si innamori di te! Hai paura per te stesso!” esclamò House puntandolo col bastone.

“Si, no, non lo so…” balbettò Wilson.

“Ma se eravate così coinvolti perché…?”

“Perché non siamo andati a letto insieme?”

House annuì.

“N…non lo so…lei…” Wilson sembrava davvero confuso.

Anche House lo era. Non sapeva bene perché ma quella situazione lo metteva in imbarazzo.

Per fortuna il suo cercapersone suonò.

Cameron. I ragazzi avevano trovato qualcosa. Se avesse dovuto compilare una lista con le telefonate più e meno opportune, Cameron sarebbe comparsa in entrambe le colonne.

“Devo andare” si alzò.

Wilson era stupito “E’ un’emergenza?”

“Diciamo di si” e si avviò verso la porta.

“Non hai niente da dirmi?” chiese Wilson all’amico.

“Ti consiglio di vestirti un po’ più sportivo, magari l’uomo classico le fa passare la voglia.” e si chiuse la porta alle spalle.

Wilson rimase perplesso a guardare nel vuoto per qualche secondo, poi andò alla sua scrivania e cercò di concentrarsi sul lavoro.

 

29 gennaio, h 16.00

Ufficio di House

 

House entrò in ufficio, la sua squadra era al completo.

“Abbiamo trovato la donna che ha partorito” disse subito Foreman.

“Bene, chi è?” si voltò verso Chase che era appoggiato alla parete a braccia conserte e aveva uno sguardo tutt’altro che amichevole.

“ Chiedendo un po’ in giro siamo fini…” incominciò a raccontare Foreman ma su interrotto da un gesto di House.

“Sei andato anche tu?” chiese a Chase.

Lui annuì senza smettere di guardarlo.

“Sei corso da mamma Cuddy, hai cercato di impietosire metà ospedale e poi sono bastate due parole della dolce Allison a farti cambiare idea.” Disse divertito avvicinandosi a Cameron. Le mise un braccio intorno alle spalle e l’attirò a sé. Il cervello di Cameron le disse di opporsi al giochino sadico del suo capo ma il suo corpo si rifiutava di ascoltarlo. Aveva ancora le braccia conserte ma la forze con cui lui l’aveva attirata a sé le aveva fatto perdere l’equilibrio e il suo corpo ora aderiva perfettamente a quello di House: spalla sul suo cuore, braccio lungo il suo petto, gamba in contatto appena percepibile con la sua, il braccio di House sulle sue spalle, la mano che le aveva sfiorato il collo quando le era passata dietro la schiena… In pochi istanti fece un viaggio lungo la sua pelle e il calore di quella di House, anche se percepito solo attraverso i vestiti, le fece un effetto che come donna era perfettamente in grado di riconoscere.

Incontrò lo sguardo di Chase. Prima era arrabbiato, offeso. Ora vide un lampo di tristezza passare nei suoi occhi.

Manipolatore bastardo.

Appoggiò una mano sul petto di House e lo allontanò da lei, lentamente ma decisa. Lui la lasciò fare.

C’era una tensione palpabile in quella stanza, la percepiva lei, la percepiva House. Chase probabilmente sentiva solo il suo odio, o forse il suo dolore. Foreman lesse tutto questo nella trasparenza degli occhi di Cameron e con decisione riportò tutti coi piedi per terra.

“House” lui si voltò verso il neurologo “la donna che ha partorito è una barbona che ha conosciuto la paziente fuori da un supermercato, mentre chiedeva l’elemosina…” House fece gesto di andare avanti. “Jo, la mendicante, dice che la Pivet l’ha avvicinata e si è informato sullo stato della sua gravidanza. Dopo qualche giorno è tornata da lei e le ha offerto dei soldi per avere la sua placenta, subito dopo il parto.”

House aggrottò le sopracciglia. “Questa Jo ha idea di cosa voleva farci?”

“No. Ha detto che era una bella somma di denaro e l’ha accettata senza fare troppe domande. Ha detto alla paziente dove avrebbe partorito e che avrebbe mandato uno dei suoi amici ad avvisarla quando fosse successo. Così è stato. Jo ha mandato un suo vicino di cartone ad avvisarla e lei in persona è andata a ritirare la “merce”. Ha ringraziato e non si è fatta più vedere. Dimenticavo, il bambino sembra stia bene…”

“…se sparisce dalla sua camera sappiamo dove cercarla. Il reparto maternità pullula di gustosissime placente…” mormorò House.

“Dobbiamo farci dire dalla paziente cosa aveva intenzione di fare con la placenta di quella donna.” disse Cameron, col cuore che finalmente aveva ricominciato a battere regolarmente.

“Io so già cosa voleva farci. Quello che dobbiamo scoprire è se l’ha fatto veramente.”

“Credi volesse mangiarla?” chiese Chase, sforzandosi per concentrarsi sul lavoro.

House annuì impercettibilmente, soprappensiero.

“Anche se l’avesse mangiata prima di venire in ospedale, ormai non ci saranno più tracce nello stomaco e…” iniziò Cameron.

“Prova a parlare con lei.” la interruppe House, guardando nel vuoto.

Cameron si avviò verso la porta.

“No, non tu.” La fermò House, e alzò lo sguardo verso Chase che uscì senza dire una parola. “Credi che dirà la verità?” chiese Foreman in tono ironico.

“Ovviamente no. Ma voglio che sappia che noi sappiamo…” e appoggiandosi al suo bastone lasciò la stanza.

 

Foreman e Cameron rimasero soli in sala equipe. Lei si appoggiò lentamente a una sedia e guardò Foreman. “Grazie per aver interrotto quel momento imbarazzante” gli disse.

Lui l’aveva fatto per lei, perché si sentiva un po’ in colpa. Non per quella storia dell’articolo, ma per quello che le aveva detto poi. Le aveva detto che era solo una collega. Non era vero, la considerava un’amica; se n’era reso conto troppo tardi, e ora voleva rimediare come poteva. Ad esempio rendendole più facile la quotidianità vicino ad House.

“Cameron, questa storia, qualunque essa sia, sta creando dei problemi…”

“Lo so…credo che House stia facendo un gioco sadico con Chase e…” le salì un moto di rabbia: che diritto aveva House di sconvolgere così lei, Chase e tutti quelli che incontrava? Scosse la testa ad occhi bassi.

“Non è solo House” disse Foreman “E’ anche Chase. E’ tu sei in mezzo. Ti conviene chiarire la tua posizione con Chase, parlare con lui.”

“Che posizione?” chiese lei.

“Ecco appunto. Se le cose stanno così chiariscigli che non c’è nessuna posizione. Che siete due colleghi e basta.” Un pensiero gli attraversò la testa “O amici” si corresse. “Sempre che le cose stiano così.”

Lei lo guardò per qualche secondo, “Si, stanno così. “ gli disse “E Chase lo sa. Non ci sarebbe nessun problema se House non si divertisse continuamente a stuzzicarlo…”

“Sai che non è solo quello” la interruppe Foreman. Le appoggiò rapidamente una mano sulla spalla, quasi a farle una carezza, un tentativo impacciato di farle un po’ di coraggio, e uscì anche lui dalla stanza.

Cameron rimase qualche secondo immobile, persa nei suoi pensieri.

Poi sentì dei passi vicini a lei e alzò lo sguardo.

“Cercavo House” era Wilson.

“Non c’è, credo sia dalla paziente” disse lei confusamente.

Wilson annuì, ma non accennò ad andarsene. Lei notò nell’oncologo, sempre così calmo e sicuro, un’insolita agitazione.

“Tutto bene?” la domanda uscì dalla bocca di entrambi contemporaneamente. Cameron abbassò lo sguardo sorridendo, Wilson si portò le mani al viso, anche lui con un sorriso.

“Ci vediamo Allison” le disse, e tornò nel suo ufficio.

 

 

30 gennaio, h 3.20

Camera della Signorina Pivet

 

La paziente giaceva nel suo letto. Occhi chiusi, respiro regolare.

Ad un certo punto incominciò a muove le braccia, sempre più rapidamente. Entrambe le braccia. Sembrava che esse seguissero il movimento di una corsa immaginaria. Dopo pochi minuti anche le gambe incominciarono a dimenarsi. Tutto questo durò neanche un minuto, poi più niente, il respiro ancora regolare.

Spalancò gli occhi. Li richiuse. Li aprì di nuovo.

Mosse tutti gli arti e un sorriso appena percepibile si dipinse sul suo volto. Era bella, nonostante i segni della malattia: il pallore, le occhiaie, gli occhi rossi.

Si sedette sul letto, spense il cardiomonitor e si staccò con calma tutti i fili collegati al suo corpo. Si guardò in giro. Trovò la sua borsa, cercò il portafoglio: aveva abbastanza soldi.

Uscì dalla camera, guardandosi intorno. Individuò le infermiere di turno, stavano bevendo un caffè e chiacchierando sommessamente tra loro. Approfittò del momento e si allontanò in fretta dalla sua camera.

Ci mise un po’ ad arrivare all’uscita dell’ospedale senza esser vista. Varcò la porta e si allontanò nella neve.

 

30 gennaio, h 5.00

Casa di House

 

Il telefono squillò. House, come al solito, lo lasciò fare.

Scattò la segreteria

“Tra un po’ sentirete un bip. Fate un po’ come volete, se avete tempo da perdere lasciate un messaggio. Tanto non rispondo, né vi richiamo.”

Bip.

“House sono io.” l’inconfondibile voce autoritaria di Lisa Cuddy! House si mise un cuscino sopra la testa.

Lei, come se avesse intuìto il suo movimento, continuò quasi urlando: “Rispondi, è un’emergenza!”

Sapeva che non bastava così poco a convincere House ad alzare la cornetta. Fece un lungo sospiro e aspettò. “La tua paziente non è più nella sua camera. E’ scappata. Con le sue gambe.” Il tono di voce sempre alto, per far sì che lui sentisse anche da sotto il cuscino.

Aveva colto nel segno. House allungò una mano fino al ricevitore. “Impossibile.” disse di saluto alla Cuddy “è più facile che sia volata dalla finestra.” la voce impastata dal sonno...

“Abbiamo le telecamere in questo ospedale House! Camminava, ho controllato di persona.”

“Arrivo.” e riattaccò.

 

30 gennaio, h 5.45

Ufficio di Cuddy

 

La Cuddy sentì arrivare House almeno un minuto prima che varcasse la soglia del suo ufficio. Ascoltava molto quello che accadeva intorno a lei, e così aveva imparato a riconoscere le voci, le risate, e anche i passi di chi lavorava nel suo ospedale. Per lui non era difficile, grazie al suo bastone riconosceva la sua andatura anche nel caos dell’orario di visite.

Infatti poche manciate di secondi e House entrò come una furia nel suo ufficio.

“Dov’è quell’idiota che l’ha lasciata scappare?” urlò.

“Calmati.” disse lei, alzando appena lo sguardo dallo schermo del computer.

“Quella donna rischia di morire! Dovresti essere preoccupata anche tu! Non per il fatto che una giovane donna muoia in solitudine in una buia notte invernale, ma perché il tuo ospedale va nella merda se questo accade.”

Lei lasciò il mouse e posò lo sguardo su di lui.

“Conosco ogni tecnica per catturare tutta la tua attenzione! Mai puntare sulla tua umanità, sempre e solo sui possibili problemi legali per l’ospedale! Ce l’hai già un manuale d’istruzioni? Se no ci penso io a scrivertelo!” continuò House sarcastico.

“Ho già avvisato la polizia. Non sarà difficile trovare una donna in camice d’ospedale e ciabatte in una notte innevata. Sicuramente l’avrà già notata qualcuno, è questione di poche ore e sarà ancora nella sua camera, pronta per soddisfare le tue curiosità su come ha fatto una persona semiparalizzata ad evadere da qui.” Ribattè lei con un sorriso.

“Non ne sono così sicuro.” disse House “Hai avvisato la mia equipe?” chiese.

“Perché avrei dovuto?”

“Come perché?! Perchè loro adorano andare in giro di notte a cercare le pazienti fuggitive! Soprattutto Chase!”

“A proposito di Chase…” approfittò lei.

“Lascia perdere” disse lui voltandosi e avviandosi verso la porta. Poi si fermò, e si voltò.

Lei lo guardò con aria interrogativa.

“Non sono neanche le 6 di mattina..” le disse.

“E allora?” sembrava spaesata.

“Perché mi hai chiamato, Cuddy?”

“Perché…una tua paziente è scappata… Non ti sembra una buona ragione?”

“Non hai bisogno di me, né della mia squadra. Hai chiamato la polizia e sei sicura che loro la trovino a breve. Infatti sei tranquilla per la faccenda della Pivet.”

Fece qualche passo verso di lei. La Cuddy si alzò.

“Ho pensato che…” fermò qui la frase, le mani in grembo, le dita intrecciate. House le guardò per qualche secondo, poi risalì con lo sguardo lungo il suo corpo, arrivando finalmente agli occhi.

“Sei nervosa…” fece ancora un passo verso di lei. “E hai pianto.”

Lei aprì la bocca quasi per dire qualcosa, poi la richiuse.

“Cosa ti affligge dottoressa? Soffri per non essere riuscita a far abbassare i pantaloni a quell’oncologo che da giorni non esce più dal suo ufficio? Devi averlo spaventato a morte…”

Lei tentò ancora di dire qualcosa, ma era sconvolta. House era un bastardo ma non immaginava fino a questo punto. “Gli hai chiesto qualche prestazione strana? Sai, lui è abituato con le donne, se ne porta a letto un sacco. Ma di solito sono malate in fase terminale, quelle si accontentano del repertorio di base.”

Dallo sciogliersi delle mani di lei, da come lentamente le appoggiò alla scrivania, da come si protese verso di lui, House capì che era furiosa.

“Esci immediatamente da qui.” gli disse scandendo bene le parole.

Lui non se lo fece ripetere due volte.

 

30 gennaio, ore 8.00

Ufficio di House

 

“Ancora!?” esclamò Foreman entrando e vedendo House coricato sul pavimento, come il giorno precedente.

“Se mi risveglio un’altra volta vedendo la tua faccia come prima cosa giuro che le prendo tutte in una volta!” disse House agitando il suo flacone di Vicodin. Poi ne estrasse una e se la cacciò in bocca.

“Perché qui anche stanotte?”

“La Cuddy aveva bisogno di un amico con cui parlare.” rispose spostandosi verso la lavagna.

Poi prese un pennarello e tirò una riga sulla parola “paralisi”.

“Ha ripreso a muoversi?!” chiese stupito Foreman.

“Esattamente!” rispose House “Cammina perfettamente ed è stata anche in grado di fare il gesto dell’ombrello agli infermieri di turno mentre fuggiva stanotte.”

“Cosa?! E’ scappata?”

“Si. Alla 4 del mattino, vestita solo del camice e di un paio di ciabatte. La temperatura è sotto lo zero, fuori ci sono 15 centimetri di neve e non sembra voler smettere di nevicare.” Disse spostando le persiane col suo bastone per mostrare il cielo bianco a Foreman. “Secondo te quante possibilità ha di arrivare viva a colazione?”

Lui scosse la testa.

“Ah! Dimenticavo! Le ciabatte sono di pelo! Forse questo potrà farci guadagnare qualche ora!” nel sarcasmo di House, Foreman notò una nota di preoccupazione.

Quella paziente rischiava veramente di morire, e non solo per il freddo. Non avevano ancora capito cosa avesse, sarebbe potuto venirle qualunque cosa là fuori. O avrebbe potuto attaccare la sua malattia a qualcuno, nel caso fosse stata contagiosa. Ma non sapevano ancora nulla di certo.

“Ma la Cuddy….” iniziò Foreman,

“La Cuddy ha sguinzagliato un po’ di poliziotti, ed è sicura che le porteranno a breve la preda.”

“Non ne sono così sicuro” disse lui soprappensiero.

“Siamo in due.”

“Siamo in tre.” Intervenne Chase.

“Credi che saresti in grado di scomparire altrettanto improvvisamente di come sei comparso ora?” lo apostrofò House.

Foreman lo fulminò con lo sguardo, che poi rivolse a Chase. “Noi sappiamo dove cercarla” gli disse.

“Bravi, è proprio lì che volevo arrivare.” disse House. “Andate a cercarla.”

“E tu?” chiese Chase.

“Io cosa? Volete andare a caccia con un invalido a seguito?” ribattè House.

“Ha ragione Chase. Cosa rimani a fare in ospedale? Il tuo caso non è più qui! Se la Pivet non salta fuori a breve la Cuddy incomincerà a preoccuparsi e verrà a sfogarsi con te…” disse Foreman.

“Non tentare di convincermi con questi stupidi giochetti.” Ingoiò un’altra pillola. Guardò fuori dalla finestra per qualche secondo poi si avvicinò al suo cappotto. “Ok, ve la siete cercata. Zoppo al seguito. Facciamo che io sono la mente, e quando la trovo, voi fate le gambe e l’acciuffate!”

“Sarebbe un gioco da ragazzi anche per te, inseguire una donna assiderata e con residui di una paralisi” intervenne Cameron, ancora chiusa nel suo cappotto “Allora partiamo?” e fece saltare da una mano all’altra le chiavi della macchina.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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