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Autore: nuvolenere_dna    11/05/2012    4 recensioni
[ - Stai bene, pasticcino? Mi sembri strano.. sei sempre piuttosto scontroso con me, ma oggi molto più del solito.. – mormorò, preoccupata – Sei nervoso?
- Io – non – sono – nervoso! – urlò il Joker, improvvisamente isterico, mentre con una manata repentina e fulminea rovesciava tutto il contenuto del ripiano a terra. La tazza si ruppe in un fragore improvviso, spargendo ceramica e caffè dappertutto, mentre il resto degli oggetti semplicemente cadde in un susseguirsi di tonfi sordi. ]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harley Quinn aka Harleen Quinzel, Joker aka Jack Napier
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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LADIES AND GENTLEMEN, benvenuti alla mia nuova fiction.
Lo so di avervi già rotto le scatole pochi giorni fa con la mia altra fiction “Nothing To Me”, ma mi è preso il trip per questa coppia e non sono riuscita a fermarmi.

Avvertenze:
- Il Joker di cui parlo è quello di Heath Ledger, ossia quello psicotico, affascinante, meraviglioso, carismatico, attraente, INSTABILE CARATTERIALMENTE E SENTIMENTALMENTE, completamente folle e privo di un senso logico, la cui maschera è frutto di sano MAKE UP (?) e le cui cicatrici sono di origine sconosciuta.
- La fiction si situa in un momento in cui la loro relazione è già abbastanza sviluppata, idealmente vivono insieme, per intenderci.

Spero che vi piaccia tantissimissimissimo (?!)

Sarei lieta di ricevere vostre opinioni. Grazie.
 
ND

Someone To Come Home To
 

[ And I give it all away
Just to have somewhere
To go to
Give it all away
To have someone
To come home to ]
Linkin Park – My December

 
Harley aprì faticosamente gli occhi nell’oscurità della notte, svegliata da improvvisi brividi di freddo. Si raggomitolò su se stessa, cercando di stringersi meglio nelle coperte abbondanti e invernali, non ottenendo però alcun conforto. Si girò allora verso l’altra parte del letto e allungò frettolosamente una mano, nel tentativo di afferrare quella del Joker o di immergerla fra i suoi capelli o di accarezzare la sua schiena per riscaldarsi, ma non trovò nulla. Il cuore cominciò subito a batterle furiosamente nel petto e si ritrovò ad osservare la sveglia sul comodino, che segnava le cinque del mattino.
Improvvisamente, ripresasi dal torpore e dalla confusione del risveglio, ricordò.
 
Il Joker attendeva quel giorno ormai da settimane: aveva progettato un colpo straordinario, studiandolo fin nei minimi dettagli e piazzando una moltitudine di ordigni in tutta la città. Se c’era una cosa che il Joker amava davvero fare, quella era progettare e costruire bombe: Harley lo aveva ammirato per mesi interi intrecciare fili e fabbricare cariche esplosive con quelle sue dita grandi e ruvide, all’occorrenza lievi e delicate, amanti del calcolo e della precisione. Ed ora, era arrivato il momento della verità: il piano includeva l’esplosione simultanea di una buona parte di Gotham City, al fine di attirare e confondere le forze dell’ordine scatenando il panico generale, così da poter agire indisturbato nella parte opposta della città e far saltare in aria il Palazzo di Giustizia, estrema roccaforte di quel barlume di legalità ed onestà che ancora resisteva in quel luogo.
Harley lo aveva visto per innumerevoli giorni chinato su quelle carte, intento a scrivere annotazioni e appunti su una mappa consunta, sulla quale aveva segnato meticolosamente la posizione di ogni ordigno e del corrispettivo detonatore. Il progetto era infallibile, di per sé, ma ogni criminale a Gotham sapeva perfettamente che l’avversario contro cui si era costretti a misurarsi non era affatto un amante della violenza, del terrore, ma soprattutto delle sconfitte. Il rischio di venire catturati e sconfitti da Batman era concreto e palpabile per tutti, compreso il Joker.
 
- Pasticcino, sei sveglio? – esordì Harley, volgendo lo sguardo alla porta socchiusa della camera, dalla quale si poteva scorgere un barlume di luce proveniente dalla cucina. – Pasticcino? –
Non ricevendo alcuna risposta, si alzò lentamente e dopo aver indossato una vestaglia scura uscì dalla stanza, e non appena ebbe varcato lo stipite lo vide: in piedi, di fronte alla finestra spalancata, le mani aperte sul davanzale. Harley non poté impedirsi di pensare quanto fosse bello, a piedi nudi, con addosso solo un paio di pantaloni scuri e morbidi a fasciargli i fianchi magri e stretti, la schiena costellata di cicatrici dalle origini molteplici, sfiorata appena dai capelli castani e inanellati lievemente mossi dal vento.
Il Joker guardava fuori, pensieroso, fumando l’ennesima sigaretta di quella notte interminabile, carica di attesa e aspettativa. Non aveva alcun bisogno di dormire: si sentiva carico e pronto, bramoso di provare il momento in cui avrebbe visto il Palazzo di Giustizia esplodere per un semplice tocco delle sue dita, in cui sarebbe impazzito di piacere nel vedere la città nel caos, in cui avrebbe riso, padrone di tutto. Aveva programmato l’inizio del piano alle otto del mattino, di modo che la città fosse perfettamente sveglia e frenetica, pronta ad apprendere la lezione che lui aveva intenzione di impartirle.
- Sei qui, allora! – la voce di Harley interruppe i suoi pensieri, allegra e soave – Ero preoccupata, mi sono svegliata, non eri nel letto vicino a me e non hai neppure risposto quando ti ho chiamato.
- Torna a dormire, Harley. – mormorò il Joker senza neppure girarsi, infastidito, per nulla intenzionato ad intraprendere una conversazione con lei.
- Non ho più sonno, pasticcino. Credo che starò qui con te. – bisbigliò lei, intimorita. Lo conosceva abbastanza per affermare che quello fosse decisamente il momento meno adatto per discutere con lui: quando usava quel tono perentorio e deciso non c’era niente che potesse fargli cambiare idea. Ma non aveva comunque  alcuna intenzione di ritornare a letto, da sola, ben sapendo che non sarebbe più riuscita ad addormentarsi. Del resto mancavano solo tre misere ore.
- Vuoi farmi arrabbiare, Harley? Non ti rendi conto che in questo momento non ho nessuna voglia di averti fra i piedi? Lasciami solo. Verrò a chiamarti io più tardi. – disse, girandosi di scatto, la voce mutata in un sibilo tagliente e sbrigativo.
Harley lo fissò, era ormai avvezza a sentirsi rivolgere parole dure e cattive anche senza una reale motivazione, ma quello che davvero la colpì fu osservare il suo volto completamente struccato.
La donna percorse con uno sguardo di rara dolcezza i suoi lineamenti duri, indugiando con una leggera timidezza sui suoi occhi scuri e cupi, che la fissavano, ombrosi e profondi. Nonostante fossero ormai molti mesi che condivideva l’esistenza con lui, a volte era ancora in grado di imbarazzarsi semplicemente guardandolo, sentendosi patetica ed evitando quindi di farglielo intendere, non desiderando essere schernita gratuitamente. Quando però incontrò le cicatrici agli angoli della sua bocca, nude, spesse, rigonfie, incredibilmente evidenti senza il trucco che di solito le ricopriva parzialmente, le vennero le lacrime agli occhi e non seppe spiegarsi il perché: probabilmente perché erano rari i momenti in cui il Joker si mostrava per quello che era, e solamente davanti a lei. Ogni volta Harley non riusciva a smettere di guardarle, assumendo un’espressione triste e dispiaciuta, evitando di incrociare i suoi occhi.
- Che diavolo hai da guardare? Ti faccio schifo forse? – urlò lui, esasperato dalla sua presenza. Sentiva dove lo sguardo di Harley si era posato, ed era particolarmente sensibile a riguardo: nonostante sapesse perfettamente che quella donna lo amava incondizionatamente indipendentemente dai segni che portava impressi nella carne, l’istinto a volte lo portava ancora a pensare che lei fosse come tutte le altre persone che aveva incontrato nella sua vita. Odiava essere struccato ed odiava essere stato visto così, e anche se in passato era già successo, ogni volta si sentiva scoperto e in imbarazzo: detestava profondamente quella sensazione di nudità, che lo portava ad essere  immediatamente nervoso.
- Sei bellissimo, pasticcino. Come puoi pensare una cosa del genere? Sei meraviglioso anche quando non sei truccato. – sorrise lei, intuendo il suo disagio interiore, avvicinandosi velocemente a lui e portandogli le braccia al collo, avvolgendolo in un abbraccio tenero e caloroso.
Il Joker non ricambiò la stretta, limitandosi a chinare lievemente la testa sulla spalla di lei, ma si placò.
 
*
 
- Vuoi del caffè? – gli chiese Harley, sciogliendo lentamente l’abbraccio e continuando a guardarlo negli occhi profondi e malinconici. – Se ti fa piacere, posso fartene un po’.
Il Joker annuì lievemente, ritornando a girarsi verso la finestra ancora aperta e sentendo i passi della donna allontanarsi progressivamente. Mancava poco tempo e cominciava a sentirsi leggermente in tensione.
Aprì l’armadio e si cambiò i pantaloni, scegliendone un paio viola scuro a righe molto più aderenti, per poi passare alla camicia, rigorosamente azzurra, al gilet, come al solito verde, e alla giacca elegante, anch’essa viola. Avrebbe poi indossato la cravatta e le scarpe al momento di uscire. Da un ulteriore cassetto prese l’occorrente per il suo abituale trucco da clown, spray color oliva per i capelli, cerone bianco per il viso, tintura nera per gli occhi e rossa per le labbra e appoggiò gli oggetti sulla mensola sottostante lo specchio nella sua stanza. Si sedette di fronte ad esso, impaziente.
- Eccoti il caffè. Non ci ho messo molto zucchero perché ogni giorno ne metti quantità diverse e quindi te l’ho portato, così ne aggiungi quanto ne vuoi. Va bene? – bisbigliò Harley, appoggiando la tazza ricolma sulla mensola, fra i trucchi.
- Bene. – ringhiò lui, spazientito da tutte quelle parole inutili e irritanti, sempre più teso.
- Stai bene, pasticcino? Mi sembri strano.. sei sempre piuttosto scontroso con me, ma oggi molto più del solito.. – mormorò, preoccupata – Sei nervoso?
- Io – non – sono – nervoso! – urlò il Joker, improvvisamente isterico, mentre con una manata repentina e fulminea rovesciava tutto il contenuto del ripiano a terra. La tazza si ruppe in un fragore improvviso, spargendo ceramica e caffè dappertutto, mentre il resto degli oggetti semplicemente cadde in un susseguirsi di tonfi sordi.
- Mi dispiace di averti infastidito, non lo farò più. Scusami. – sussurrò Harley dopo un lunghissimo silenzio nel quale entrambi non avevano fatto altro che fissare il liquido marrone spandersi sul parquet e i cocci chiari emergere da quel lago scuro e profumato. Si chinò per raccoglierli, quando il Joker le afferrò inaspettatamente un braccio portandola a sedere sulle sue gambe e la baciò con tenerezza e passione, inabissando le proprie mani fra i suoi capelli e stringendosi a lei nel modo più affettuoso e pregnante che conosceva.
 
*
 
- Posso truccarti io? – mormorò contro la pelle morbida del suo collo, mentre teneva fra le dita uno dei suoi boccoli scuri e leggeri, immediatamente irrequieta per l’importanza della richiesta. Le orecchie di Harley erano così tese nel tentare di percepire anche il minimo suono che poteva sentire il battito del proprio cuore attraversarle ritmicamente.
- Sì. – disse lui, fingendo distrazione e disinteressamento.
 
Harley spruzzò sulle proprie mani una parte del contenuto della bomboletta, per poi andare alle sue spalle e cominciare a spargerne il colore olivastro sui capelli, pettinandoli con le dita, intridendoli di quel liquido dall’odore acre che sarebbe servito a mutarne l’apparenza; con tutta la delicatezza di cui era capace li accarezzava, li strofinava, li frizionava, stando sempre attenta a non fargli male e a non rovinare la loro consueta natura mossa e disordinata. Quando fu il momento di occuparsi dei ciuffi che gli ricadevano sul volto, lo scontrarsi con i suoi occhi attenti ed enigmatici la emozionò: lui seguiva con lo sguardo ogni suo movimento, ed era assolutamente incomprensibile che cosa si nascondesse dietro di esso. Poteva essere indifferenza, come lui continuava ad ostentare, oppure interesse e riconoscenza.
Dopo essersele lavate, le mani di Harley tremavano lievemente nel delineare con le dita la riga della sua capigliatura, ormai interamente olivastra.
- Chiudi gli occhi – disse piano, immergendo le dita nel vasetto del cerone bianco, sussultando appena per la consistenza plastica e fredda del prodotto. Lui obbedì, sobbalzando quando lei cominciò a massaggiargli dolcemente il viso, cominciando dalla fronte ampia, passando poi alle guance morbide e appena sbarbate, ai bordi degli occhi, alle orecchie, al naso dritto e al contorno della bocca.
Il Joker, rilassato, godeva pienamente di quelle carezze: il calore e l’amore delle mani di Harley, l’attenzione e la cura con le quali lo toccava, erano per lui evidenti e causa di emozioni piacevoli. Gradiva profondamente quelle dita che lo coloravano, rendendolo finalmente se stesso, con una comprensione e tenerezza fuori dal comune; non glielo avrebbe mai confessato, ma avrebbe voluto stare così, ad occhi chiusi, ad apprezzare le premure che lei era in grado di dargli, per molto, moltissimo tempo.
Non si accorse nemmeno che Harley aveva finito da tempo di stendere il cerone bianco ed era passata alla tinta nera del contorno occhi, massaggiandogli le palpebre così delicatamente da non infastidirlo, facendo ben attenzione che il colore non gli finisse fra le ciglia.
- Ora puoi aprirli. – lo informò Harley, con un sorriso smagliante, soddisfatta del proprio lavoro, muovendosi distrattamente alla ricerca di un pennello.
- E’ qui, Harley. –  disse lui a voce bassa, porgendoglielo, e non appena lei lo afferrò chiuse per un attimo la propria mano intorno a quella della donna, in una sorta di goffa carezza, trapassando le sue iridi chiare e marine con il suo sguardo scuro e magnetico, nuovamente concentrato su di lei.
Harley intinse il pennello nella boccetta dal colore denso e scarlatto, proprio quella tonalità che associava a lui, al suo carattere passionale, ai suoi istinti sfrenati, al suo modo di baciarla e di fare l’amore con lei. Amava quel particolare rosso intenso, il solo vederlo la emozionava e accresceva ancora di più la sua tensione e la sua commozione: bagnò ancora quelle setole chiare, per essere certa di avere abbastanza tintura, e poi, tremando leggermente, si avvicinò al suo volto.
- Apri la bocca, pasticcino. – bisbigliò, con un lieve sorriso, notando le sue labbra strette e serrate l’una contro l’altra. Non si era nemmeno accorto di averle chiuse con decisione e veemenza, il cuore travolto da una moltitudine di emozioni impetuose e violente; le schiuse lentamente, abbandonando il capo all’indietro e socchiudendo le palpebre nere e bistrate.
Il Joker tremò di piacere, sentendo i brividi arrampicarsi progressivamente sulla propria schiena, quando percepì il pennello umido posarsi sulle sue labbra asciutte, dipingergli la bocca, attraversare le cicatrici sporgenti e fermarsi sulle guance. Rimase immobile per qualche attimo, poi osservò l’espressione raggiante di Harley, che lo guardava estasiata, gli occhi lucidi di turbamento, e finalmente si guardò allo specchio.
 
*
 
Era tornato se stesso. Sospirò di sollievo nel rimirare la propria immagine ancora una volta: Harley aveva fatto decisamente un ottimo lavoro. La premiò con uno sguardo affettuoso e rivolse l’attenzione al proprio orologio da polso, che segnava ormai le sette e mezza. Doveva uscire immediatamente per recarsi nella parte opposta della città, o avrebbe vanificato tutto il progetto faticosamente costruito.
Si infilò la cravatta, effettuandone il nodo con pochi movimenti automatici e abituali e poi le scarpe nere, allacciandole.
Alzò distrattamente lo sguardo e vide Harley, immobile sullo stipite della porta.
- Che cosa vuoi, Harley? – sbuffò, prendendo velocemente le proprie armi dai cassetti e dagli armadi, infilandosi un coltello nelle calze e un altro nella cintola dei pantaloni, arricchendo poi la propria giacca del consueto corredo di bombe a mano. Il necessario per l’operazione era custodito in un deposito a metà tragitto, quindi non avrebbe dovuto portarsi nient’altro. Mentre rimescolava il contenuto del guardaroba, alla ricerca di un fiore finto da appuntare alla propria camicia, si rese conto che Harley non aveva affatto risposto alla sua domanda e che probabilmente era ancora alle sue spalle.
Allora si girò, e rimase colpito nel notare che il delicato viso di Harley era coperto dalle lacrime che scorrevano abbondanti dai suoi occhi grandi e marini.
- Perché piangi? Cosa c’è? – mormorò, irritato, improvvisamente a disagio.
- Sono preoccupata per te. -  biascicò, non riuscendo più a trattenere i singhiozzi, coprendosi il viso bagnato e sconvolto con le mani – Ho paura.
- Smettila, Harley. Lo sai che non sopporto questi inutili sentimentalismi. – ribatté freddamente, passandole accanto velocemente, ma lei gli afferrò una mano, costringendolo a fermarsi accanto a lei.
- Voglio venire anche io. Sarei più tranquilla e potrei sempre esserti utile. – propose con la voce rotta dal pianto, intrecciando le proprie dita alle sue, guardandolo speranzosa negli occhi cupi e determinati.
- No. Non se ne parla nemmeno. Tu rimani qui. –  disse il Joker, irremovibile. Al pensiero di lei, ancora inesperta, che vagava distrattamente in mezzo all’infinità di ordigni e detonatori sparsi per Gotham si sentiva impazzire dal nervosismo. Si allontanò bruscamente, e afferrando la mappa con il progetto, fece per uscire.
- Non.. non ti permetterò di andartene così! Io vengo con te.. Non ti lascio mai da solo quando hai bisogno d’aiuto.. – sussurrò Harley, tremante dalla testa ai piedi, mettendosi fra lui e la porta d’ingresso e afferrandogli nuovamente i polsi – Ti amo, lo sai?
- Lo so. – disse lui, con un’inconsueta dolcezza nella voce – Lo so, Harley.
- E allora perché non vuoi che io venga con te? – insisté lei, gli occhi azzurri spalancati per la paura e piantati in quelli del Joker, solo apparentemente calmi.
- Proprio per questo. – rispose il Joker in un soffio, catturandole le labbra in un bacio affettuoso, nel quale si abbandonò, liberandosi i polsi e abbracciandola, tentando di ripulire il proprio cuore da oscure inquietudini e tetre probabilità. Nell’ultimo periodo aveva notato che Harley era diventata molto ansiosa, specialmente poco prima di uno dei loro colpi, e forse cominciava a capirne il motivo.
- E.. e se.. e se non torni, pasticcino? Ho bisogno di te. – pianse ancora, stringendolo ancora più forte di prima.
- Tornerò per cena, Harley. – disse imperioso, scansandosi. La convinzione nella sua voce era palpabile, non dava adito ad alcun genere di dubbio o perplessità: avrebbe sfidato le probabilità, avrebbe sfidato Batman, Gotham City, la polizia, la legge, chiunque, qualsiasi cosa, ma avrebbe vinto. Avrebbe raso al suolo una parte di quella città che odiava e che era diventata il bersaglio dei suoi divertimenti più crudeli, e poi sarebbe ritornato da vincente, con il sorriso sulle labbra ampie e dipinte.
- Ti aspetterò. Ti amo. – affermò lei, dopo essersi asciugata coraggiosamente le lacrime, mentre lui si appuntava il fiore sulla camicia aprendo la porta d’ingresso. Alle sue parole, si girò improvvisamente e la premiò con uno dei suoi rari e smaglianti sorrisi, accarezzandola con uno sguardo caldo e fiero.
- Lo so. Tornerò da te, tortina. - le parole del Joker riecheggiarono a lungo nella tromba delle scale, mentre scendeva rapidamente gli scalini.
 
Aveva qualcuno da cui ritornare.
E questa gli sembrava la migliore delle motivazioni per vincere che avesse mai avuto.
 
*
  
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