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Autore: Edithed_    11/05/2012    4 recensioni
Lei è Andromeda.
E' chiusa, scontrosa, impossibile, determinata, irascibile, intransigente, testarda, schietta, misantropa, cupa, aggressiva, orgogliosa e un'altra sfilza di aggettivi non proprio carini che potremmo affibbiare ad una diciannovenne. Un giorno incontrò un uomo, un uomo fuori dal comune, un pazzo. Un pazzo con una cabina blu. Un pazzo con una cabina blu, che la portò a vedere l'universo.
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Doctor - 11, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Uno scricchiolìo.
Andromeda si voltò di scatto, ansiosa, spostando con la mano quei due o tre ciuffi corvini di capelli che si erano avventurati sul suo viso a causa del brusco movimento. Rimase allora immobile per qualche istante, in attesa di un eventuale secondo suono.
Silenzio.
Le pupille dilatate dall'oscurità si mossero rapide da una parte all'altra dell'occhio, indagando attentamente nel buio.
Silenzio, nuovamente.
Sospirò sollevata, forte di una falsa sicurezza donatagli dall'assenza di ulteriori scricchiolii sospetti. Quello che poteva sembrare un gesto eccessivo in risposta ad un rumore più che banale era dovuto soprattutto all'ambiente cupo e misterioso dal quale tale suono proveniva, ovvero la vecchia libreria del nonno della ragazza, Theodore. Ma la sua non era una visita di cortesia, considerando poi che il parente era deceduto ormai da tempo... e che comunque lei non sarebbe andata a trovarlo neppure da vivo. L'unico motivo per cui si trovava in quel luogo dimenticato dal tempo era perché finalmente aveva raggiunto la maggiore età, e poteva finalmente coronare il suo sogno di vivere in una casa propria, lontana dalla famiglia, libera di avere i suoi spazi e le sue distanze dal mondo.
La candida mano della ragazza reggeva tremolante una torcia nera opaca, quasi scarica, la quale generava una flebile scia luccicante, che andava ad irraggiare cataste di libri abbandonati da anni nell'apparente libreria. Le suole di gomma di un vecchio paio di scarpe da ginnastica aderivano perfettamente al parquet, che ogni tanto cigolava per via dell'umidità che si disperdeva nell'aria. Con curiosità si avvicinò ad un tavolino su cui erano posati diversi libri, ricoperti da uno spesso strato di polvere, a prova del lungo esilio subito in silenzio dai protagonisti dei vari volumi.
La ragazza si chinò e raccolse uno dei tomi più piccoli, soffiandovi sopra per poterne vedere almeno la copertina, la quale riportava a grandi lettere una scritta giallognola su sfondo verde neutro: "L'arte della scienza".
Aggrottando le ciglia, un ghigno infastidito sfuggì dalle labbra sottili di lei, che rieccheggiò flebile nella stanza buia.
-"Ahhh, nonno. Eri proprio pazzo, eh? Ossessionato da tutte queste cose..."- Puntò la torcia con enfasi verso il soffitto, ridacchiando divertita - "La scienza!"-
Lasciò ricadere il libro in modo disordinato fra gli altri fratelli sul tavolo, facendone scivolare un paio dalla loro posizione originale, e allontanò le braccia dal corpo, volgendo i palmi verso l'alto e riprendendo a parlare da sola, con non molto coinvolgimento -"La conoscenza di tutto ciò che ci circonda."-
Tornò nuovamente ad illuminare la zona circostante, un sorrisetto torvo stampato in viso a testimoniare il suo svagarsi senza troppi pensieri. Si avvicinò ad una scrivania poco distante dal tavolo, sulla quale erano posti ulteriori libri, cartelle, penne e diverse candele, il tutto ricoperto dal solito strato grigio di polvere. Prese con indifferenza un altro libro fra le mani, continuando a schernire il defunto nonno, piuttosto divertita. Non provava per lui particolare odio o astio, semplicemente non lo sopportava, come non sopportava ogni persona che tentava d'invadere il suo spazio personale... E quello spazio era piuttosto larghetto.
-"Tuttavia questo non è bastato a non farti crepare."
Buttò l'oggetto nuovamente sulla scrivania, con la stessa indifferenza con la quale l'aveva raccolto, provocando un tonfo deciso ma non eccessivamente rumoroso, sollevando comunque una discreta quantità di polvere dal mobile, avvolgendo in uno strato stile nebbia il piccolo e tenero panda raffigurato sulla felpa bianca e nera che indossava.
Al tonfo seguì un secondo scricchiolio, ma la ragazza lo ignorò, presa ad osservare il nuovo bersaglio puntato dalla sua torcia: Un armadio o forse un ripostiglio, bianco avorio, consumato dalle tarme e dagli anni. Ma più interessante era il lucchetto arrugginito color oro che teneva serrata l'anta, guardiano di chissà quale segreto nascondesse al suo interno. Ma il lucchetto era interessante perché forse la ragazza ne aveva la chiave.
La mente di lei tornò indietro con gli anni, senza pensarci più di tanto, ricordando quando il nonno le mandò per posta quel girocollo dall'aspetto antico, sullo steam punk, formato da un collarino di tela azzurro, al cui centro era posizionato un quadrante color oro senza lancette, con ai lati due ali dello stesso colore... E appesa poco più sotto la famosa quanto misteriosa chiave. L'unicità e la bizzarria del regalo ancora la lasciavano perplessa, ma aveva imparato ad accettare i regali senza farsi troppi perché.
Estrasse quindi dalla tasca la chiave, ora separata dal vistoso accessorio, e la passò fra le mani un paio di volte, esitante. Non aveva idea di cosa la chiave potesse aprire, né di cosa potesse nascondersi dall'altra parte della serratura. Per quanto ne sapeva poteva portare ad un qualche tesoro d'inestimabile valore. Non era mai stata una ragazza eccessivamente avida, non cercava più di quanto non le fosse necessario per sopravvivere... Ma l'idea di un quantitativo non indifferente di denaro non le faceva certo così schifo.
Scosse la testa, ridacchiando infastidita pensando a quanto fosse sciocca a fantasticare su tesori e favole improbabili.
Prese successivamente con la mancina l'arrugginito lucchetto e, decisa a svelare ogni mistero a riguardo il prima possibile, avvicinò la chiave alla serratura.
La infilò... O almeno tentò di farlo, con un leggero nervosismo che cresceva man mano la verità si faceva strada nella sua mente: Non era la giusta chiave per aprire il lucchetto. E tutto questo la infastidiva decisamente tanto, soprattutto perché ora oltre ad una chiave che non sapeva cosa aprisse aveva anche un lucchetto di cui non aveva idea di come sbloccare.
Rimise la chiave nella tasca, ora conscia che stava solo sprecando il suo tempo in uno dei soliti giochetti idioti di suo nonno, che anche da defunto oramai da tempo sembrava volersi divertire con i suoi contorti enigmi. Ma non era a conoscenza del fatto che la nipote avesse un modo tutto suo di risolvere quei dannati quesiti che la perseguitavano ovunque in quella casa. E applicando con fierezza tale metodo Andromeda serrò fra le dita il lucchetto, strattonandolo seccata con forza, provocando un sonoro 'crack' di vittoria. Un pezzo di legno seguì il triste destino del lucchetto, staccandosi dalla porta dell'armadietto, facendo così finire la ragazza a terra, sbigottita.
-"Ahn."
La torcia rotolò lontana sotto un tavolo, fra le ragnatele abbandonate persino dai ragni che in passato le abitavano. Ma la ragazza ridacchiò soddisfatta, volgendo lo sguardo all'armadietto oramai socchiuso e inerme.
Si alzò dolorante da terra, facendo peso sulle ginocchia, avvicinandosi una volta in piedi alla porta biancastra, lentamente e incuriosita. Con una delicatezza ben diversa da quella utilizzata prima prese l'estremità della porta socchiusa con le dita, avvicinandola a sé, mentre un cigolio triste rimbalzò nella stanza, come se l'armadietto si stesse lamentando con la ragazza che impudemente lo stava violando.
Spalancò gli occhi, incredula. Rimase per qualche istante a fissare il contenuto dell'armadio, dandosi un piccolo pizzicotto sulla mano giusto per controllare se fosse ancora nel mondo reale e non in quello dei sogni. Ma il leggero dolore provocatosi confermava il trattarsi di una incredibile, assurda realtà.
-"Nonno.." - Deglutì, basita. - "Sapevo che eri pazzo.. Ma costruire un Robot. Oh. No." - Sogghignò soddisfatta, portandosi le mani ai fianchi.
Cominciava ad essere interessante. Cominciava ad essere tutto così fottutamente interessante.
Deglutì un'ultima volta e, esitando, si chiese se fosse giusto toccarlo, aprirlo e aggeggiargi senza ritegno, come un bambino con il suo primo giocattolo, ansioso di scoprire come funziona, di vederlo fatto a pezzi smembrandone ogni parte. Ed erano queste praticamente le sue prime ed uniche intenzioni a riguardo.
Voleva prenderlo, toccarlo, aprirlo, vedere come e se funzionava. Voleva trovare i progetti. Voleva saperne di più, anzi... Voleva saperne tutto.
-"Sei.. una meraviglia."
Si portò la mano destra sul viso, sfiorandosi le labbra, sbigottita.
-"Sei proprio una meraviglia."
Assomigliava ad uno di quei robot che popolavano le vecchie serie tv fantascientifiche, solo che questo era poco fanta ma parecchio scientifico, questo glielo si poteva concedere. Aveva un corpo metallico a pera color rame, con diverse appendici meccaniche: una che pareva un cannochiale sul fronte di quella che doveva essere la sua testa, due cosi simili a cornina sempre sulla suddetta testa, per poi proseguire con un arnese che decisamente si doveva trattare di uno sturalavandini, appaiato con un frustino da cucina a formare le braccia della cosa. Infine, sulla parte bassa del robot, quella a forma di fronte di nave, erano disposti in file verticali ordinate dei bozzi sempre color ottone, come per completare l'accozzaglia di assurdità che rappresentavano quello strano quanto inquietante robot.
Avvicinò esitante la mancina al robot, ritraendola diverse volte, ancora non decisa a toccarlo, forse spaventata. Serrò le labbra, la sua mano tentò ancora di avvicinarsi all'oggetto dei desideri della ragazza, solo per essere ritratta nuovamente in un misto fra rassegnazione e timore. Restò dunque a fissarlo immobile, per una manciata di secondi.
Aggrottò poi le ciglia, finalmente decisa a darsi una mossa concludendo che nulla sarebbe potuto andare storto, era solo un folle sogno fatto di ferraglia e dalla forma improponibile.
Poggiò il palmo su di lui, tastandone la consistenza, trattenendo il fiato ancora non completamente convinta della sua decisione. E, come se il robot volesse farla pentire a riguardo, Un flebile bagliore provenì da sotto la sua mano, facendola sussultare prima di essere riportata al sicuro il più vicino possibile al suo corpo. Dal robot provenì uno sfrigolio, come di carna lasciata cuocere nell'olio in padella, cosa che fece chiedere alla ragazza se quel coso non fosse in realtà solo una grossa ed appariscente friggitrice.
Ma le friggitrici, per quanto appariscenti ed ingombranti possano essere, non mantengono l'impronta di una mano vivida sulla loro superfice, facendola brillare quasi fosse cosparsa di lucciole di campagna.
E le friggitrici non hanno lunghe unità oculari mobili sulla parte superiore del corpo. O almeno, non ancora. Ma di questo si parlerà in luoghi e tempi più adatti.

L'"occhio" della cosa si accese lentamente, avvampando in una fredda tonalità di azzurro.
La ragazza indietreggiò di un passo, sconvolta. Si chiese se quello non potesse essere semplicemente uno scherzo di cattivo gusto preparato da suo nonno, o se era il momento di cominciare a pentirsi delle proprie azioni. Ma decise che era ancora presto per giungere a conclusioni, limitandosi a trovare un riparo sicuro dietro la scrivania dove poter osservare il susseguirsi degli eventi.
L'automa cominciò poi a muovere gli apparenti arti superiori, emettendo diversi rumori metallici scomposti. Suoni che ti aspetteresti di sentire da una macchina, dai vari "vwwww" ai più classici "bzzz".
Con la protuberanza oculare ocalizzò infine il volto sconvolto della ragazza, zommando su di lei.
Una voce metallica, fredda e gracchiante eccheggiò dentro di lui.
-"Restauro."
Lei indietreggiò ancora, finendo a sbattere contro una pila di libri, facendoli cadere per terra in modo scomposto.
E ancora, quella voce.
-"Restaaauro. Restaaaaaaaaaaauro."
La ragazza aggrottò le sopracciglia e, non sapendo cosa aspettarsi, si morse semplicemente il labbro inferiore come faceva sempre nei momenti in cui lo stress si faceva insostenibile, prendendosi poi il polso della mancina con la mano destra, serrando la presa con decisione. Un po' come quando ci si tiene saldi a qualcosa prima di infliggersi del dolore incredibilmente assurdo. Nel di lei caso, come stringeva la presa della vasca del bagno prima di tirare con forza la striscia della ceretta. Ma in quel momento forse era più per sfogare parte dello stress attraverso la morsa delle dita attorno al sottile polso che, innocente, subiva passivo il suo destino da antistress.
-"Restaaaaaaaaaaaaaaaaaauro."
La ragazza si lasciò sfuggire una smorfia infastidita, seccata e, rivolgendosi al robot, si guardò intorno, cercando una via d'uscita dalla stanza.
-"Chi sei?"
-"Restaaaaaaaaaauro."
La voce del robot si fece più forte, più metallica di quanto già non fosse. Il chè portò il tutto ad essere più sgradevole che pauroso.
-"Chi sei?!"
-"RESTAAAAAURO."
-"Dimmi subito chi sei, o ti disattivo!"
La ragazza puntò l'indice destro verso il robot, urlando. Il polso della mano opposta ringraziò in silenzio di esser stato liberato.
La voce acuta dell'umana rieccheggiò insieme ai movimenti metallici della cosa nella stanza, arrivando fino al piano superiore.
Finalmente, silenzio.
Il robot zoomò ancora su di lei, analizzandone apparentemente i dati.
Cominciò poi a parlare, scandendo una ad una le parole con quella sua voce stridula, non avendo apparentemente altro modo per comunicare.
-"I. Dati. Analizzati. Riferiscono. Che. Tu. Non. Hai. La. Conoscenza. Per. Disattivarmi."
La ragazza si portò la mancina sul fianco, stizzita.
-"Ah sì, eh?"
Si guardò poi impaurita intorno, cercando di mantenere la calma, in cerca di un'oggetto qualsiasi da scagliare contro al robot. Dalla paura avrebbe scagliato contro persino suo nonno, maledetto il giorno in cui si dette apparentemente alla robotica.
-"Sììì."
La risposta pungente della cosa la seccava intensamente.
-"Analizzami meglio, brutto ammasso di ferraglia."
Abbassò lo sguardo verso la scrivania dietro la quale era riparata, buttando a terra tutti gli oggetti ancora posti su di essa e, afferrandola, tentò di sollevarla, senza successo.
Si voltò nuovamente verso il robot, terrorizzata.
-"Non. Serve. Analizzarti. Nuovamente." - Il robot mosse lentamente il lungo tubo a cui era attaccato l'occhio azzurro - "I. Dati. Riferiscono. Che. Sei. Una. Creatura. Debole."
Respirando affannosamente, lei si chiese se era arrivato il caso di buttare a terra il suo orgoglio da dura, sputarci sopra senza ritegno e scappare a gambe levate.
E la sua coscienza la stava implorando di farlo, di fuggire.
Ma sapeva benissimo che non l'avrebbe mai fatto, e per questo in parte si odiava. Il suo orgoglio sarebbe stata la sua morte.
-"Debole? Io?" - Sghignazzò - "Tutti quegli anni rinchiuso qui ti hanno dato al cervello. Sempre che tu ne abbia uno."
Nuovamente, lo sguardò si posò sulla scrivania.
Si fermò un attimo a scrutarla, per vedere se poteva trarne profitto.
Sul suo volto si formò allora un sorrisetto divertito.
Salì velocemente su di essa e senza pensarci due volte saltò con forza, atterrando il più pesantemente possibile, colpendo con forza il centro della scrivania.
Questa si ruppe in due, metà del lavoro effettuato nel tempo dalle tarme, e alla ragazza non restò che cadere a terra fra le scheggie e vari pezzi di legno.
-"Bene!" - Facendosi forza sulle ginocchia, si sollevò faticosamente, non ancora del tutto ripresa dalla caduta, staccando una gamba della scrivania - "Scannerizzami adesso, robottino."
Scagliò poi l'agognato trofeo di rovere contro il robot, decisa a fare di tutto per uscirne a testa alta.

Ci fu un rumore, uno di quelli che ti capita di sentire dalle pistole laser dei vecchi film di fantascienza. Al rumore seguì poi una scintilla, e anch'essa poteva benissimo essere uscita da qualche produzione cinematografica dei tempi che furono.
Dopodiché, solo cenere.
Andromeda spalancò gli occhi, sconvolta.
Il "robottino" aveva appena incenerito il pezzo di legno, sparando dall'arto a forma di frustino da cucina una specie di luce violacea.
-"B-beh.." - La ragazza portò entrambe le mani al petto, tremante - "Forse è meglio se non lo fai."
Il robot cominciò ad avanzare lentamente verso di lei, impassibile.
-"N-no, fermo, che fai!" - Lei portò le mani avanti, come per chiedere di fermarsi - "F-fermati, dove vai?"
Il robot si fermò per un'istante, osservandola.
-"Non. Sto. Andando. Via. Sto. Per. Sterminarti."
La ragazza fece tre passi indietro, sgomenta.
-"Ah, beh, mi sembra ovvio. Ma dimmi, robottino" - Cercò di giustificarsi, annaspando fra le sue stesse parole - "Perché vuoi sterminarmi? Hai un motivo preciso? Cosa ti ho fatto?"
Cercando di prendere tempo, la ragazza voltò la testa verso destra, dove riconobbe la porta da cui era entrata.
-"I. Dalek. Non. Hanno. Bisogno. Di. Motivi. Per. Sterminare."
Lei voltò nuovamente la testa verso il robot, che si avvicinava vertiginosamente.
-"O-oh, quindi ti chiami Dalek?" - Disse, indietreggiando ancora.
-"Errato. Il. Mio. Nome. E'. Dalek. Caan."
-"D-Dalek Caan! E' un nome carinissimo, complimenti."
La ragazza continuò a mentire spudoratamente, addolcendo il tono della voce senza però riuscire a nasconderne il tremolio.
-"I. Dalek. Non. Hanno. Il. Concetto. Di. Bellezza."
-".. Si vede."
-"STERMINARE."
Continuò ancora ad indietreggiare, aumentando però la velocità, mentre cercava senza successo di giustificarsi col robot. Apparentemente nessuno lo aveva informato riguardo il lungo monologo che bisogna tenere prima di uccidere senza pietà la propria vittima. Sempre nel caso che questa non si sia suicidata prima a causa del suddetto monologo.
-"Aspetta, aspetta, aspetta! Prima di morire c'è un'ultimo desiderio che vorrei e-esprimere.."
-"STERMINARE."
-"Vedo che non te ne importa! Sei proprio senza cuore!"
-"I. Dalek. Non. Hanno. Cose. Come. Il. Cuore. STERMINARE."
-"Siamo in due, allora."
La ragazza si buttò a terra, riuscendo per un pelo ad evitare la violastra luce inceneritoria lanciata dal Dalek un secondo prima, sgattaiolando via approfittando dell'oscurità per mimetizzarsi.
-"STERMINARE. STERMINARE. STERMINAREE!"
Il Dalek la seguiva minaccioso, con la sua calma da Dalek, emettendò i soliti cigolii metallici. Se c'era una cosa che i Dalek sapevano fare bene era sterminare, e sapendo di essere i migliori a riguardo non si prendevano mai più fretta del dovuto. Si godevano la gioia del momento. Anche se in realtà non potevano provare nè gioia nè tantomeno godimento. Ma a loro bastava sterminare, ed erano felici così. Nessuno si era mai lamentato a riguardo, nessuno "vivo", e loro certo non si facevano troppi problemi. In realtà qualcuno di vivo c'era, ma questa è tutta un'altra storia.
Oh, e se non si era ancora notato, la seconda cosa che adoravano di più dopo sterminare era l'urlarlo a squarciagola con le loro irritanti vocine metalliche.
Anche se in realtà ai Dalek sfuggeva pure il concetto di "adorazione".

-"STERMINAAARE!"
Strisciando sotto i numerosi tavolini, fra la polvere e le ragnatele, la ragazza borbottava, seccata.
-"Dio, lo faccio saltare in aria."
-"STERMINAAAAAAAAARE!"
-"VUOI STARE ZITTO?!"
-"STERMINAAAAAAAAAAAAAAAAARE!"
-"Cristo."
La ragazza si alzò poi di scatto, sbilanciandosi in avanti, correndo verso la porta che dava sull'uscita, lasciandosi dietro una scia violacea che inceneriva ogni oggetto che sfiorava. Nello scappare si dovette trattenere dal lanciare oggetti di varia natura verso l'obbrobrio metallico, giusto per cercare di zittirlo.
-"STERMINAAAAAAAAAARE!"
Arrivò dunque alla porta, e fortuna volle che fosse chiusa.
Si affrettò quindi a cercare La chiave, non fosse mai che un piccolo e insulso oggetto di ferro dovesse segnare il suo destino.
Tasche degli shorts.
Niente.
Girocollo.
Niente.
Si tastò il petto e i fianchi, disperata.
Niente di niente.
-"STERMINAAAARE!"
Il robot era oramai a pochi passi da lei.
Sospirò, sfinita.
Il cuore che pulsava, i respiri affannosi, l'adrenalina che le percorreva il corpo.
Si voltò dunque verso il Dalek, sorridendo seccata, sconfitta, pronta alla fine.
-"STERMINAAAAAARE!"
Si portò il ciuffo nero che le ricadeva sulla fronte intrisa di sudore freddo all'indietro, sbilanciandosi in avanti.
-"Falla finita."
-"STERMINAAARE!"
-"Se vuoi uccidermi, fallo e basta."
-"STERMINAAAAARE!"
-"Cristo, devi essere così noioso anche quando mi uccidi?! UCCIDIMI E BASTA!"
L'urlo della ragazza rieccheggiò nuovamente nella stanza, facendo bloccare il robot a pochi passi da lei, che si zittì.
-"Bene. Procedi pure."
Sbattè quindi la testa sulla porta, buttando fuori l'aria dai polmoni, serrando gli occhi, pronta alla fine.
C'erano tante cose che avrebbe voluto fare.
Le sarebbe piaciuto viaggiare, vedere il mondo.
Le sarebbe piaciuto scoprire chi avesse ucciso i suoi genitori, fare il culo a quei bastardi - Così diceva.
Ma non c'era più niente da fare. Sarebbe stata incenerita da uno stupido robot inventato da quel folle di suo nonno, da sola, al buio, spaventata.
Si abbandonò all'idea della morte, al silenzio, al buio.
Non doveva essere poi così male.
Avrebbe ritrovato i vecchi amici, i genitori.. e avrebbe sgridato suo nonno, per averla fatta morire in quel modo insulso.
E la lapide sarebbe stata la parte migliore di tutte: "Qui giace Andromeda, incenerita da una friggitrice incazzata". Sì, non sarebbe stato male dopotutto. Ma qualcuno non era d'accordo con tutto ciò. E si dia il caso che quel qualcuno fosse l'uomo menzionato poco prima. L'unico uomo che non va nominato di fronte ad un Dalek, a meno che non lo si voglia fare arrabbiare. Cioè, più del solito.

Improvvisamente, un suono quasi impercettibile provenì da dietro la porta.
Un suono strano, come un fischio. Un fischio che si ripete, che si aggancia all'ultima nota più alta, senza mai fermarsi. Secco, anch'esso metallico.
Andromeda lo udì appena, persa fra i suoi pensieri di morte, ma il rumore che udì subito dopo quello attirò nettamente la sua attenzione. Il suono della serratura della porta che si apriva alle sue spalle.
Miracolo?
Spalancò gli occhi, ritrovandosi di fronte il Dalek, pronto a sparare.
-"Mi spiace bello." - Ridacchiò divertita - "Oggi non è il giorno adatto per morire."
Si voltò poi di scatto verso la maniglia, aggrappandosi ad essa e girandola velocemente, aprendo furiosamente la porta, pronta a scappare.
Superò il varco, sorridendo maliziosa.
Ce l'aveva fatta ancora una volta.
..O no?
Perché andò a sbattere contro un qualcosa, che a primo impatto sembrava un muro, ma era troppo morbido per esserlo, ed emetteva un odore gradevole, un calore rassicurante. Si sentì poi stringere, da qualcosa che probabilmente avrebbe definito braccia.
Lunghe braccia.
Braccia?
Era un petto quello a cui era appoggiata quindi?
Alzò terrorizzata lo sguardo, riuscendo ad intravedere nell'oscurita qualcosa che sembrava un papillon.
Un papillon? scherziamo?
Il cuore cominciò a pulsarle velocemente, la paura di un'altro probabile pericolo la stava terrorizzando.
Si sentì accarezzare la testa, udendo una flebile risatina maschile, molto serena e tranquilla. Quasi divertita nella sua sicurezza. E dalle stesse labbra che avevano scaturito quella risata un'unica, potente parola venne rivolta alla ragazza sconvolta e un poco confusa, se le era permesso.
-"Corri."












~
Compagno di parole figoso che scrive bene (?): Black_Cat
I soci (?) vi augurano una buona lettura, speriamo che la fic sia di vostro gradimento!
Vi aspettiamo al prossimo capitolo,
non mancate! (:
_S h i v e r & Black_Cat .
  
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