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Autore: ___MoonLight    12/05/2012    7 recensioni
«Tu sei riuscito a creare qualcosa di buono, non solo per te stesso. Qualcosa in cui credi.»
Tony gli riservò solo un ostinato silenzio, al che Bruce esitò.
«Ci credi ancora, vero?»
«Che importanza ha? Ho mandato tutto in fumo,» replicò piattamente lui.
«Sei già rinato dalle ceneri, Tony. Davvero non puoi farlo ancora?»

L'Afghanistan ha segnato Tony e gli ha donato l'opportunità di cambiare in meglio la sua vita. Ma il destino ha tutte le intenzioni di mettergli nuovamente i bastoni tra le ruote, e l'immagine corazzata che si è costruito e dietro la quale tenta di riparare i torti commessi e quelli subiti non è più abbastanza per proteggerlo. Cosa succede quando l'uomo diventa davvero di ferro, anche senza armatura?
[Storia completa e revisionata]
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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13

Hysteria




"And I want you now,
I want you now
I feel my heart implode
And I'm breaking out
Escaping now
Feeling my faith erode"


[Hysteria – Muse]



12 Marzo, Villa Stark

Pepper era appena uscita dal bagno, quando notò che la luce nel laboratorio era ancora accesa. Si bloccò nel salone, stupita, e controllò dubbiosa l'orologio a muro, sussultando: erano le tre di notte.
E dire che non avrebbe dovuto alzarsi dal letto... cosa diavolo stava facendo ancora sveglio?
Rabbrividì appena nel suo pigiama di flanella e scese silenziosa le scale a piedi nudi, evitando accuratamente di voltare lo sguardo verso la cucina quando vi passò accanto. Era davvero troppo tardi per mettersi a riflettere anche su quello.
Digitò rapida il codice di accesso sul vetro e la porta si aprì con uno scatto che ruppe il silenzio profondo della casa. Tony era solito lavorare con un po' di musica in sottofondo anche ad orari improbabili della notte, ma stavolta il laboratorio era avvolto da una calma irreale.
«Ha di nuovo rotto il tasto invio. Calibrare potenza: meno 2.3%.»
La voce di JARVIS la fece sobbalzare.
Sentì un'imprecazione a malapena soffocata risuonare nella sala.
Tony le voltava le spalle, seduto alla sua scrivania high-tech invasa di monitor mentre cercava di digitare con la mano destra su una tastiera olografica senza molti risultati: molti tasti erano colorati di rosso, probabilmente a indicare che le simulazioni per calibrare la potenza non stavano dando i risultati sperati. La riparazione del braccio sembrava a buon punto, ma si intravedevano i circuti interni scoperchiati e le dita erano ancora solo un rudimentale abbozzo metallico, simili a pistoni. Ebbe l'impressione che ne avesse alleggerito la struttura, ma sembrava molto più difficile da gestire della protesi precedente, a giudicare dai movimenti scattosi e improvvisi che non riusciva a controllare.
Intorno a lui galleggiavano varie schermate e due modelli tridimensionali rispettivamente di un braccio e una gamba, oltre ad una serie infinita di altri piccoli pannelli che mostravano dati anatomici e cartelle mediche che Tony esaminava rapidamente sfogliandoli e spostandoli con piccoli gesti precisi della mano sana. Pepper si accigliò: stava già pensando alla gamba?
Le cose più evidenti in tutto quel caos erano l'enorme thermos di caffè e una desolata scatola di cinese take-away che Tony stringeva ossessivamente con la mano sinistra a mo' di pallina anti-stress. Era deformata e semidistrutta.
«Tony, sono le tre...» lo chiamò con voce impotente, sapendo che non la avrebbe neanche ascoltata.
Lui sobbalzò appena al suono della sua voce, ma rispose quasi subito:
«Lo so, ma questo maledetto affare...» imprecò, senza neanche voltarsi, accartocciando la tastiera in una palla elettronica e scagliandola con un bing dall'altra parte della stanza, insieme alla scatola di carta che gettò nel cestino stracolmo.
I suoi gesti erano secchi, nervosi, e Pepper si chiese se oltre al caffè non avesse bevuto anche qualche alcoolico. Sperò vivamente di no: ricordava fin troppo bene il modo in cui si riduceva ai suoi party megagalattici e sapeva quanto poteva essere vulnerabile e al contempo volubile da ubriaco. E non aveva nessuna intenzione di trascinarlo di peso fino alla tazza del water dopo una sbronza epocale.
«Dovrebbe andare a dormire, è molto tardi. Le ricordo che domani, cioè oggi, dovrebbe discutere con Kyle del prossimo processo,» disse in tono calmo e naturale, cercando di non risultare autoritaria.
Le riusciva difficile: dopotutto, anche se tecnicamente era lui il suo capo, era lei a dargli ordini. O meglio, direttive che lui raramente seguiva.
«Ah, sì... Kyle,» replicò Tony, agitandosi al solo sentire quel nome in un misto di imbarazzo e irritazione. «Di questo passo non so neanche se sarò in grado di "pagarlo",» sbottò, accennando al suo lavoro decisamente incompleto.
Pepper quasi sperò che a quel punto rinunciasse, si alzasse e le desse retta, per poi accorgersi che probabilmente, assorto com'era dal suo lavoro, si era già dimenticato della sua presenza. Si avvicinò esitante, ancora non del tutto certa delle sue condizioni, e notò con sollievo che non c'era odore di alcool; solo clorofilla, caffè e la scia del suo solito dopobarba. Tony udì i suoi passi fermarsi accanto a sé e si girò brevemente, offrendole uno scorcio del suo occhio gonfo di sonno e del livido sullo zigomo che non accennava a sparire.
«Un ultimo paio di test e poi vado... non rimanga sveglia,» aggiunse in un mormorio assente, ma con una punta di dolcezza, per poi riprendere il lavoro come se Pepper non esistesse.
Pepper corrugò le sopracciglia, ma non obiettò ed ignorò l'invito, appollaiandosi in tensione sullo sgabello libero accanto a lui. Lui ne prese atto, storse la bocca, ma non disse nulla. Scrutò con fare assorto l'anatomia di una gamba umana, evidenziando con la punta di un dito le parti essenziali e le giunture, tracciando linee che indicavano probabilmente i punti in cui sarebbero stati collocati i vari componenti.
«Ci sono,» ragionò a mezza voce.
Afferrò distratto una borraccia e vi si attaccò, ma fece una smorfia nel riconoscere il saporaccio della clorofilla; la sostituì subito con la tazza di caffè, trovandola però vuota.
«JARVIS, voglio una scannerizzazione precisa e completa del mio arto inferiore sinistro, tessuti molli compresi. E che sia esauriente,» disse, e scolò in un sorso l'ultimo goccio di caffè rimasto nel thermos attaccandosi direttamente ad esso.
Pepper aspettava pazientemente che finisse i suoi esami, per essere certa che andasse a dormire a lavoro finito, ma si sentiva insolitamente nervosa. Ci mise un po' a capire che la ragione di quel turbamento era proprio l'uomo esausto di fronte a lei.
"Mi considera... pericoloso?" le rimbombò in testa, come una puntura di spillo improvvisa.
Non era ancora in grado di darsi un risposta e voleva evitare di ragionarci su adesso. Si accomodò meglio sullo sgabello, pensando che probabilmente si sarebbe addormentata lì.
Intanto, un fascio di luce verde-azzurro scannerizzò la gamba sinistra di Tony con un sibilo elettronico. A scansione completa l'arto emanava un lieve bagliore; bastò un tocco delle dita per separare il modello virtuale dal suo corpo.
«Speculare,» ordinò Tony, e con uno schiocco di dita lo specchiò, trasformandolo in una gamba destra.
Il modello rimase sospeso di fronte a lui, che cominciò ad esaminarlo con attenzione, ingrandendone i pezzi e studiandone approfonditamente la struttura. Ogni tanto intingeva le dita in vari quadratini di vari colori che gli galleggiavano accanto, corrispondenti a lui solo sapeva cosa, ed evidenziava alcuni tratti della gamba che da allora rilucevano di una luce metallica. Fu piuttosto rapido: in un quarto d'ora scarso l'aveva trasformato in un modello meccanico.
Pepper lo giudicò troppo rapido perfino per i suoi standard: non era tipo da fare le cose di fretta, anzi, poteva passare ore e ore a perfezionare un dettaglio insignificante, ma d'altra parte si sentiva chiudere le palpebre dal sonno, quindi ne fu contenta. Tony sembrava invece non risentire dell'ora, probabilmente alimentato da nervosismo, caffeina e disperazione.
«JARVIS, questo è un prototipo,» disse con voce monotona. «Osso in titanio, muscolatura in unobtanium, cartilagine in unobtanium molle...» la sua voce si perse in un mormorio confuso, mentre elencava una decina di altri elementi e il computer reagiva trasformando le informazioni in una scheda dettagliata che si srotolò di fianco al modello.
Quando finì di parlare bevve un rapido sorso di clorofilla, a corto di altre bevande.
«Testala col mio peso corporeo.»
Un modello 3D essenziale con le sue sembianze si materializzò di fronte a lui e Tony vi applicò la gamba meccanica, che aderì al moncherino digitale con un tenue bip. Finalmente si girò verso Pepper con un sorrisetto compiaciuto; lei ebbe l'impressione che le occhiaie gli arrivassero alle ginocchia, ma ricambiò debolmente. Tony battè una volta le mani – facendosi palesemente un male cane per la troppa forza – producendo un suono indistinto che avviò la simulazione. Il modello si mosse e fece un paio di passi, ma al terzo la gamba si spezzò. Il sorriso svanì dal volto di Tony, adesso rabbuiato e accigliato mentre seguiva con lo sguardo la colonna di calcoli che scorreva accanto al modello.
«Errore di progettazione rotula: metallo insufficiente; sovraccarico energetico insostenibile: fusione a 3.7 secondi dall'avvio.»
«Cazzo... di nuovo.»
Scansò il modello con una manata, lo accartocciò e lo gettò stizzito in un angolo, dove esplose in una miriade di scintille virtuali.
Si passò una mano sulla fronte e sospirò sfinito. Pepper stava per consigliargli di andare finalmente a letto, ma le sue successive parole scacciarono qualsiasi premura nei suoi confronti:
«Portami un caffè.»
Pepper non rispose per qualche secondo, quasi convinta che stesse parlando con JARVIS, ma questo rimase muto. Quando rispose, la sua voce era forzata.
«Prego?»
Gli stava chiaramente offrendo l'opportunita di rimangiarsi quel che aveva appena detto, ma lui continuò imperterrito:
«Ho chiesto quella bevanda nera e bollente fatta di acqua e caffè; è tanto complesso? Di sicuro non più di questo,» sbottò Tony.
«Sono la sua assistente, non la sua cameriera,» puntualizzò Pepper, alzandosi in piedi e indecisa se lasciarlo lì o avviare una discussione che si prospettava infinita e devastante.
Era tentata dalla seconda opzione, soprattutto per il fatto che Tony non la stava neanche guardando.
«E allora, assistente, portami del caffè. Ti pago anche per questo,» tagliò corto lui, immergendosi nuovamente nel flusso di dati che si dipanava di fronte a lui.
Pepper a quel punto si avvicinò di scatto e lo voltò bruscamente per la spalla sana. Si ritrovarono faccia a faccia, entrambi scuri in volto.
«Cos'è questa confidenza?» scattò lui, con un'espressione a metà tra il risentito e il difensivo, adocchiando con una sorta di timore represso il punto in cui lo stava toccando. 
Allentò la stretta, forse troppo decisa.
«Lei ha
veramente bisogno di dormire,» proferì, cercando di non far vibrare la propria voce.
«Sei la mia assistente, non mia madre. Lei non c'è più da un pezzo.»
Si divincolò debolmente, ma Pepper non mollò la presa, intuendo che se l'avesse fatto lo avrebbe perso.
Non lo aveva mai sentito neanche vagamente accennare a sua madre in dieci anni e adesso la nominava in un contesto talmente futile da darle un'idea di quanto dovesse essere esaurito. Probabilmente non aveva neanche piena coscienza di quel che stava dicendo. Lui girò la testa verso lo schermo, ignorandola platealmente e offrendole il lato cieco.
Pepper non seppe esattamente se fosse il fatto che non la volesse ascoltare, o che la stesse ignorando, o il modo plateale in cui l'aveva insultata, ma sentì la sua valvola di controllo sempre così efficiente che perdeva un colpo. Le successive parole le sfuggirono come un fiotto di vapore tenuto troppo a lungo sotto pressione:
«Devi-dormire!» scandì, diventando rossa in viso, tralasciando le formalità e non riuscendo a ricordare quando l'avesse effettivamente visto riposarsi negli ultimi tre giorni.
«Devo-rifarmi-una vita!» urlò lui di rimando, tornando a fissarla con uno scatto.
Si sarebbe probabilmente alzato dalla sedia per fronteggiarla, se solo avesse potuto. Pepper lo lasciò andare di colpo, presa in contropiede da quella reazione. Tony aveva il respiro accelerato e la fissava come se volesse farla scomparire di lì all'istante. Stava tremando ed era pallido, troppo pallido, con la pupilla così dilatata da far sembrare nero il suo unico occhio. Per un istante, le fece paura. 
Strinse di nuovo la valvola dell'autocontrollo, convogliando tutta la sua concentrazione nel
non abbassarsi al suo livello.
«Ti sembra che pretendere troppo da te stesso e stressarti fino a questo punto possa...» cominciò, in tono quasi ragionevole, ma a quelle prime parole Tony s'infiammò all'istante, perdendo definitivamente ogni briciolo di razionalità:
«Stressarmi? Cosa ti fa credere che mi stia stressando?» gridò, e la sua voce si arrochì, costringendolo a fare una breve pausa per deglutire, ma poi riprese con più foga di prima:
«Forse l'improvvisa mancanza di due arti e un occhio, un'accusa che mi pende tra capo e collo e dei Vendicatori incazzati neri da gestire, per non parlare del fatto che Cap mi ha sfondato un braccio!? Che intuito, Pepper! Ma hai ragione, non dovrei affatto stressarmi! Dovrei continuare a vivere normalmente, come se fosse possibile!» si fermò ansante, in tensione sulla sedia come se volesse balzarne via da un momento all'altro. «Come se non volessi strapparmi questa roba di dosso e riprendere la mia vita, se solo potessi!» urlò infine con tutto il fiato che gli era rimasto in petto, facendola quasi indietreggiare con la sua furia, ma si costrinse a rimanere salda e ben piantata al suo posto, sapendo che se avesse ceduto non sarebbe mai più potuta tornare indietro.
C'era una linea, tra loro, e lei l'aveva superata, spingendo Tony a fare lo stesso. Adesso non poteva barricarsi di nuovo dietro di essa. Era in campo aperto e non si sarebbe ritirata prima di aver fatto ciò che riteneva giusto; avrebbe impedito a quel senso di colpa strisciante di prendere il sopravvento su di lei.
«Tony, io capisco che vuoi solo tornare...»
«No, che non capisci!» la interruppe lui, con la voce roca per il troppo urlare. «Come potresti mai capire quello che sto passando?» la provocò, in tono quasi derisorio.
«E tu capisci cosa sto passando io nel vederti così?» fallì nell'intento di non mettersi a gridare anche lei.
«Non mi serve la tua pietà!» s'inalberò nuovamente lui.
«Non puoi continuare così!»
«Devo farlo!»
«Non dormi da settimane!»
«E ti sei mai chiesta perché?» la rimbeccò lui, con arroganza mista a incredulità. «Non ci riesco, a dormire! Non ricordo l'ultima volta in cui i moncherini mi abbiano fatto chiudere occhio!» serrò la mascella di colpo, come se non avesse avuto intenzione di dire quelle ultime parole.
«Se prendessi gli antidolorifici...»
«Non funzionano!» replicò lui, e una crepa si insinuò nella sua voce. «Mi fanno male lo stesso, in continuazione!»
Pronunciò quelle parole con tanta frustrazione e sofferenza che Pepper ammutolì brevemente, divenendo consapevole delle costanti linee di tensione che segnavano il volto di Tony e che solo allora riconobbe come tracce del dolore fisico che lo tormentava.
«Così non ti stai aiutando,» riuscì solo a ribattere, in tono sconfitto, sperando che tornasse in sé.
«Non mi sembra che neanche tu mi stia aiutando più di tanto,» dichiarò lui altrettanto piattamente.
La donna lo fissò incredula per quelle parole, ma lui girò di nuovo la sedia, voltandole le spalle e selezionando una nuova schermata per ricominciare da zero il prototipo, come se il loro alterco non fosse mai avvenuto. Pepper lo fissò attonita per ancora qualche secondo, ferita e combattuta tra l'istinto di prenderlo a schiaffi e quello di tornarsene a casa sua seduta stante. Aveva passato gli ultimi mesi a farsi in quattro per lui, per gestire la sua azienda, si era addirittura trasferita per tenerlo d'occhio, gli aveva trovato un avvocato e un medico e doveva anche sentirsi dire che non faceva abbastanza.
«Sto ancora aspettando il mio caffè,» riprese lui in tono secco e provocatorio, come se volesse testare quanta pazienza le fosse rimasta.
«Subito, signor Stark scandì fumante lei, senza dargli soddisfazione.
Inspirò profondamente per non urlargli in faccia dove sarebbe potuto andare col suo dannato caffè. Si trattenne. Aveva un'idea migliore.
Si avviò con passo deciso verso l'angolo cucina, ma virò subito verso la parete, folgorata da un'altra illuminazione che avrebbe sicuramente demolito il poco autocontrollo rimasto in Tony. Non le importava delle ripercussioni di quel gesto: in quel momento sentiva solo un'indignazione cieca nei suoi confronti, unita all'intenzione di infastidirlo. Digitò rapida il suo codice d'accesso su uno schermo infisso nella parete e la voce di JARVIS iniziò a dire qualcosa, ma fu troncata dal blackout improvviso. L'unica fonte di luce rimasta nella stanza era un piccolo cerchietto azzurrino che sembrava fluttuare nel buio.
«No! Il mio prototipo! Dannazione... Potts!» esclamò lui, la sua voce densa di rabbia allo stato puro.
La luce azzurra sparì un momento, tremolò e riprese a brillare normalmente.
«Sì, signor Stark?» ribattè glaciale lei, sopprimendo il picco d'ansia nel vedere lo sfarfallio del reattore.
Si accesero le luci di emergenza e questa volta JARVIS riuscì parlare:
«Drastico calo di tensione; luci di emergenza: attivate. Signore, i dati sono stati sal–...»
«Muto. Ma grazie, JARVIS, il tuo aiuto è prezioso!» commentò acido lui, illuminato fievolmente da una luce verdastra oltre che dal reattore, cosa che accentuava le ombre cupe sul suo volto.
Pepper fece brevemente tappa nell'angolo cucina, mentre Tony continuava a imprecare in sottofondo, per poi riavvicinarsi a lui con un thermos in mano.
«È tutto, signor Stark?» chiese con forzata tranquillità.
«In realtà sì, signorina Potts, quindi potrebbe farmi il gentile favore di andarsene a...» si interruppe di colpo, annaspando stordito.
Ci mise qualche secondo per realizzare che Pepper gli aveva appena rovesciato l'intero thermos di caffè freddo in testa, fradiciandolo da capo a piedi. Pepper rimase ferma di fronte a lui, furibonda, impettita e con un'espressione vagamente soddisfatta nell'osservare la sua faccia stralunata e rigata da gocce scure. Lui la guardò assente, con la bocca schiusa, toccandosi incredulo i capelli grondanti della sua amata bevanda e strizzandoli appena, come a verificare che non si stesse immaginando tutto. Sembrava aver recuperato un briciolo di lucidità adesso, anche se l'espressione vacua sul suo viso non preannunciava nulla di buono. Era chiaro che stesse disperatamente pensando a come reagire, ma sembrava in stato confusionale. Spostava a piccoli scatti lo sguardo da un occhio all'altro di Pepper, non sapendo dove guardare e incapace più che mai di sostenere quel concentrato d'indignazione e furia.
Scrollò brusco la testa, sprizzando goccioline qua e là e sistemandosi invano la benda sul volto, ormai umida e quasi staccata dalla sua pelle. Abbassò il capo, poi si voltò di lato per non doverla fronteggiare. Infine le voltò ostentatamente le spalle, girando sulla sedia. Pepper rimase piantata al suo posto, senza parole, col thermos vuoto in mano e la rabbia che lasciava posto allo sconforto.
«Vattene,» lo udì mormorare, così piano da sembrare quasi un respiro.
E in quel momento decise che non l'avrebbe mai fatto. Non si mosse di un passo, decisa ad aspettare anche tutta la notte, finchè Tony non si fosse deciso a cedere, a spiegare non sapeva neanche cosa, a parlarle, come diceva di voler fare nonostante lei glielo avesse negato. Di nuovo quel bruciante senso di colpa si ripresentò, più potente e giustificato.
Tony fissava, probabilmente senza vederli, la miriade di bozzetti e componenti di arti meccanici accatastati sulla scrivania, mentre strizzava con aria assente la maglietta bagnata e si passava la mano tra i capelli scomposti nel fiacco tentativo di asciugarli. Afferrò distrattamente un frammento di lamina metallica con la mano meccanica e lo stritolò come se fosse un pezzo di carta.
Sospirò profondamente. Il rottame cadde con un clangore sul pavimento.
«Vattene,» ripetè, con più forza.
Sembrava sul punto di esplodere di nuovo.
Avrebbe potuto permetterglielo. Avrebbe potuto istigarlo di nuovo, scuoterlo, portarlo al limite che aveva già superato.
«Non sei pericoloso.»


***


La sentì pronunciare quelle semplici parole, le uniche che avesse mai voluto sentire, e sussultò violentemente, come se avesse ricevuto una scossa. Per quasi un minuto cercò una risposta che potesse convincerla del contrario, prima di rendersi conto che voleva crederci con tutto se stesso. Poggiò i gomiti sulle ginocchia e si prese la testa fra le mani, raggomitolandosi e traendo respiri profondi e stentati.
«Come faccio?» sussurrò quasi inudibile.
Percepì le mani di Pepper posarsi sulle sue spalle e sapeva che poteva sentire il tremito che lo scuoteva.
«Come faccio...?» ripetè ancora, affondandosi le dita tra i capelli bagnati.
La donna voltò lentamente la sedia per guardarlo in faccia, ma lui rimase chino. Scosse la testa nel buio, amareggiato, umiliato, vergognandosi per quel che le aveva detto e per lo stato pietoso in cui si trovava. Fissò lo sguardo sulla pozza di caffè ai suoi piedi. In quel momento non si sentiva davvero in grado di fare nulla, neanche di parlare.
Pepper sembrava altrettanto annullata; si chiese se lo stesse compatendo o se volesse semplicemente lasciarlo lì e andare via, lontano da lui e dai suoi problemi che stavano facendo crollare il suo mondo e anche quello di chi lo circondava.
Non alzò la testa, non potendo sopportare di vederla allontanarsi, anche se ne aveva tutte le ragioni.
Si sentì invece stringere senza preavviso da un abbraccio caldo che avvolse entrambe le sue spalle, quella fredda e inerte e quella ancora umana, che sentì muoversi d'istinto per ricambiare, come se non avesse aspettato altro. Tony non aveva previsto quella reazione, neanche da parte propria, ma si rese conto che era davvero tutto ciò che aveva desiderato da quando si era svegliato in quel letto d'ospedale.
Lei era lì anche allora. C'era sempre stata. E aveva bisogno di lei più delle protesi, più di Iron Man, più del suo inutile orgoglio che gli faceva pronunciare parole che rimpiangeva subito dopo.
Aveva bisogno di qualcuno a cui aggrapparsi e che lo sostenesse quando lui non poteva più farlo da solo. Avrebbe dovuto ammetterlo prima di comportarsi così.
«Questo è troppo anche per me,» confessò infine, e con quell'ammissione percepì finalmente tutta la reale entità del dolore fisico e mentale che lo stava a poco a poco corrodendo e che aveva scelto di ignorare.
Lo stava consumando e non aveva fatto nulla per impedirlo. Stava per lasciarsi dietro solo un uomo distrutto senza più niente per cui vivere o anche solo andare avanti.
«Shh...» Pepper gli sussurrò dolcemente all'orecchio, ignorando il fatto che fosse fradicio di caffè e stringendolo comunque con delicatezza, china su di lui con un ginocchio sulla sedia e incurante della chiazza scura che i suoi capelli stavano imprimendo sul suo pigiama.
Gli accarezzò appena la base del collo, arricciandogli i capelli e quel gesto lo rassicurò un poco, ma non lo convinse ancora a sciogliere l'abbraccio, anzi, la strinse appena col braccio sano, lasciando quello meccanico abbandonato lungo il fianco, non fidandosi abbastanza per usare anche quello. Inspirò a fondo e insieme all'aroma del caffè percepì il profumo di Pepper, dei suoi vestiti appena lavati, della sua pelle dolce che gli sfiorava il naso, dei suoi capelli sciolti contro la sua guancia. Iniziò a parlare piano, con voce stanca e soffocata contro la stoffa della sua maglietta.
«Pep, sto impazzendo. Non so cosa devo fare. Mi sembra di non impegnarmi abbastanza. Ho costruito un cuore con una cassetta degli attrezzi in una caverna. Questo dovrebbe essere uno scherzo per me, ma non ci riesco, non voglio farlo o... non lo so neanch'io,» sbottò senza neanche riuscire ad alzare la voce, tenendo nascosto il volto e stringendola appena.
Pepper continuò ad abbracciarlo, ma non replicò, come ad assicurarsi che non volesse aggiungere altro. Lo stava ascoltando, finalmente, e si sentì scoppiare il cuore di sollievo a quella realizzazione.
«Tony,» riprese, quando lui non aggiunse altro, «stai lavorando tantissimo, capisco quanto sia importante per te, ma questo è troppo. Hai bisogno di darti tempo.»
«Come faccio a darmi tempo?» Tony scosse la testa e trovò la forza di staccarsi appena da quella stretta rassicurante che era riuscito a trovare dopo tanta sofferenza. «Mi aspettano tutti, Pep. Non posso essere una delusione. Non posso fallire.» Prese fiato, sentendosi chiudere la gola. «Non posso perdere tempo,» concluse in un mormorio appena udibile, rendendosi conto di averne perso fin troppo, di aver già sprecato parte della sua vita.
Aveva deluso suo padre, stava deludendo Yinsen e adesso stava per deludere anche lei. Raccolse la forza per cercare i suoi occhi oltre il proprio sguardo appannato. Lei ricambiò con l'espressione rassicurante e forte che le conosceva, ma allo stesso tempo venata dalla stessa stanchezza che percepiva in sé. Era stanca, adesso riusciva ad accorgersene, e lui era stremato da quella situazione priva di uscite. Aveva il disperato bisogno di una via di fuga.
Il suo sguardo si posò involontariamente sulle labbra di Pepper e non riuscì a distoglierlo abbastanza in fretta da evitare che lei se ne accorgesse. Incontrò brevemente i suoi occhi mentre anche lei si soffermava sulla sua bocca. La attirò un poco a sé, cauto, e lei lo assecondò, avvicinandosi e inclinando appena di lato la testa.
Tony si fermò, per la prima volta incerto su come comportarsi, ma le posò comunque la mano sulla sua guancia punteggiata di efelidi, timoroso che potesse ritrarsi. Sentì il suo naso sfiorare quello di Pepper, freddo contro la sua pelle accaldata. Rimase paralizzato, a pochi centimetri dalle sue labbra, dalla sua via di fuga, dalla donna che desiderava e che adesso aveva socchiuso gli occhi fissandolo con un misto di curiosità, confusione e aspettativa. Adesso sentiva il suo respiro sulle sue labbra, a un soffio dalle sue.
Prima che potesse ripensarci ancora la attirò con decisione a sè e la abbracciò strettamente, affondando il volto nei suoi capelli e sentendo con una morsa di panico il suo cuore che perdeva un battito. Non ebbe bisogno di guardarla in faccia per percepire il suo stupore, ma sperò che capisse quello che neanche lui riusciva del tutto a spiegare. Non poteva farlo. Non poteva e basta. Non in quello stato, non mentre era... così.
Pepper sciolse piano l'abbraccio, rimanendo al livello dei suoi occhi, ancora accanto a lui, ma a una distanza decisamente maggiore di prima. Tony si costrinse a sostenere il suo sguardo con fermezza che non sentiva propria.
Si sentì parlare senza poter ricordare di averlo voluto:
«Si ricorda cosa è successo prima del processo?» sentì la sua voce spegnersi alla fine della frase, mentre prendeva consapevolezza di quel che stava dicendo.
Cosa gli era venuto in mente? Era impazzito del tutto?
Notò il tentennamento di Pepper, che cercava forse di trovare una logica nelle sue azioni, senza ovviamente trovarla. Ma era abituata a mantenere la sua risolutezza anche nelle situazioni più tese, così rispose, appena un po' inquieta:
«Quando, esattamente?»
"Cambia argomento," gli suggerì con fermezza la sua parte razionale.
La sua bocca ignorò il consiglio, così come prima aveva ignorato quello di incontrare le labbra di Pepper, e continuò a muoversi di sua volontà:
«Sa... mentre aspettavamo Kyle e Ian. Nella sala d'attesa,» si trovò a dire, anche se sentiva chiaramente che non era il momento adatto per affrontare la questione.
Non era il momento adatto per parlare, ecco tutto.
«Prima del processo? Mi sembra che non sia accaduto nulla,» rispose allora lei con improvvisa naturalezza, facendo scivolare via il ginocchio dalla sedia e recuperando una distanza ragionevole tra loro.
Era estremamente risoluta. Forse era anche ferita, e scorgeva una scintilla di delusione nei suoi occhi... come poteva anche essere risentimento o sollievo. In quel momento la donna gli era indecifrabile. L'unica cosa chiara era ciò che voleva intendere con quelle parole: non ci voleva poi un genio come lui per capirlo. Recuperò la sua solita, gioviale disinvoltura con una rapidità che non avrebbe creduto possibile:
«Oh. Ha perfettamente ragione. Sa, questa è una delle molte qualità che la contraddistinguono: la perspicacia,» buttò lì Tony, cercando di suonare indifferente senza molto successo.
Fece un sorriso un po' stentato, incrinato da un punta di rammarico. Lei non ricambiò, ma il suo volto era disteso. Fu chiaro a entrambi che la questione era chiusa.
«È tutto, signor Stark?»
Quelle poche, precise trapassarono brutalmente le orecchie di Tony, che si ritrovò disorientato per qualche secondo nell'accorgersi che Pepper era ora in piedi di fronte a lui, composta come sempre, con la sua solita espressione neutra e cordiale. Inghiottì il nodo alla gola e rispose con altrettanta scioltezza:
«È tutto, signorina Potts.»
Dentro di lui, qualcosa si ribellò a quell'affermazione, ma non vi badò. Sarebbe scomparso tra poco, quel senso di incompletezza che l'aveva appena pervaso, grazie alla quantità esagerata di antidolorifici che progettava di assumere di lì a pochi minuti per dormire, finalmente. Tutto pur di inibire qualsiasi dolore fisico, psicologico o immaginario. Quei secondi di pesante silenzio furono interrotti da lui stesso:
«Forse è il caso...»
«... che vada a dormire,» completò lei, con ferrea fermezza.
«Io... sì, forse ha ragione,» borbottò Tony, preso alla sprovvista e accusando improvvisamente tutta la stanchezza della giornata e il sonno arretrato.
Voleva dire tutt'altro, ma si alzò comunque senza parlare, puntellandosi sulle stampelle.
«Sarà anche il caso che passi a farmi una doccia...» aggiunse poi, scollandosi di dosso la maglietta ancora bagnata, indeciso se scherzarci sopra o meno.
Optò per il silenzio e Pepper fece lo stesso. Si avviò verso l'uscita del laboratorio, seguito da Pepper, che lo scortò fino alla porta del bagno per evitare che se la squagliasse.
«Me la cavo da solo,» la rassicurò lui, aprendo il getto della vasca. «Al massimo mi addormento qui,» aggiunse in un tentativo di smorzare la tensione.
«Se le serve...» cominciò Pepper, ma lui la interruppe, più bruscamente di quanto intendesse:
«C'è JARVIS. Non si preoccupi,» aggiunse in tono più conciliante, sedendosi su uno sgabello e iniziando a svestirsi. «Buonanotte,» le augurò poi sottovoce, mentre lei già chiudeva la porta.
Gli sembrò di sentirla ricambiare, ma non ne fu certo e fissò ancora per qualche secondo la porta, come aspettandosi di vederla riaprirsi per fugare il suo dubbio.


***

Pepper rivolse un sguardo indecifrabile a Tony, che le augurò la buonanotte, poi chiuse la porta e si defilò nel corridoio senza voltarsi. Solo dopo qualche passo realizzò di non avergli risposto, ma era troppo tardi per tornare indietro e adesso era probabilmente troppo occupato a destreggiarsi tra vestiti e stampelle. Raggiunse in stato quasi catatonico la sua stanza, si cambiò rapidamente il pigiama macchiato di caffè e collassò sul letto, abbandonandosi sul materasso e rimandando la doccia al mattino dopo. Lanciò un'occhiata all'orologio: erano le quattro del mattino passate. Emise un sospiro esausto prima di chiudere gli occhi senza riuscire a dormire.
Si arrese infine al sonno, incapace togliere dai suoi sogni confusi l'immagine traballante di un cerchietto azzurrino che fluttuava nel buio della sua camera.



***

12 Marzo, Villa Stark

Si svegliò alle nove, decisamente distrutta, ma era almeno in grado di reggersi in piedi. Si alzò barcollando per il sonno, infilandosi subito sotto la doccia. Uscì dal bagno vestita di tutto punto, coi capelli ancora leggermente umidi. Doveva sbrigarsi: Kyle sarebbe arrivato entro le dieci. Avrebbe anche dovuto avvertire Tony, perché l'aveva sicuramente dimenticato. Esitò sulla soglia della propria stanza, poi si ricordò la parola d'ordine che si era imposta per quel giorno: normalità.
Diretta in salone, passò davanti alla stanza dell'uomo e vide che era chiusa. Bene: stava ancora dormendo, e aveva decisamente bisogno di recuperare il sonno perso.
Scese in laboratorio, dove aveva lasciato le pratiche legali, e si stupì nel vedere che in realtà Tony era già in piedi e lavorava vivacemente a un abbozzo della protesi della gamba, che stava già assemblando sul banco da lavoro.
"Chissà a che ora si è..." non completò il pensiero, perché notò che la protesi era un po' troppo complessa rispetto a quella notte per essere stata costruita in breve tempo.
Si arrestò sulle scale e, senza farsi vedere, tornò di sopra avviandosi verso la stanza di Tony. Aprì la porta con malcelata angoscia e vide esattamente ciò che si aspettava: il letto era intatto.
Sospirò, delusa, e serrò le labbra in una linea tesa.
Non andava bene... non andava affatto bene.




 
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Revisione effettuata il 24/02/2018

 

Note delle Autrici:

Ora, gentili lettori, chiudete gli occhi, immergetevi nel vostro flusso di coscienza ed immaginate un sonoro... "C-O-G-L-I-O-N-E!" esplodere nei recessi della mente di Tony dopo la marea di stronzate che dice al momento sbagliato.
Sappiamo di aver dipinto così il vostro beneamato Tony, ma d'altronde lo è sempre, almeno un po'... giusto?
E adesso possiamo dire che iniziano i c***i, anche se ce n'erano già abbastanza in tutti i sensi :D 
Ringraziamo immensamente chi continua a seguirci/resercinci e cioè: Rogue92, alliearthur, blackpearl_, Sherlock_Watson, Micchi.
See ya! ;P

Moon&Light


Edit 24/02/2018: La modifica più evidente a questo capitolo è la sostituzione dello schiaffo con una bella doccia di caffè. Questo perché, semplicemente, rileggendo il capitolo mi sono resa conto di quanto, quanto fosse OOC Pepper che agisce in quel modo. Anche qui sfioro l'OOC, ma vedo molto più plausibile che "sbrocchi" in questo modo, piuttosto che ricorrendo alla violenza fisica. Al massimo ci vedrei una Nata
ša, a reagire così.
Oltre al fatto che giustificare un gesto simile (come effettivamente accade nei capitoli successivi), è sbagliato a prescindere. Così come giustificare questo, sebbene più blando, perché si tratta comunque di un'umiliazione imposta a qualcuno in uno stato decisamente vulnerabile. Non sono una fan del politically correct, ma un conto è far agire i personaggi in un certo modo, un conto è condonargli tutto.

 



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