13
Hysteria
"And
I want you now,
I
want you now
I feel my heart implode
And I'm breaking
out
Escaping now
Feeling my faith erode"
[Hysteria
– Muse]
12 Marzo, Villa Stark
Pepper
era appena uscita dal bagno, quando notò che la luce nel
laboratorio
era ancora accesa. Si bloccò nel salone, stupita, e
controllò
dubbiosa l'orologio a muro, sussultando: erano le tre di notte.
E
dire che non avrebbe dovuto alzarsi dal letto... cosa diavolo stava
facendo ancora sveglio?
Rabbrividì
appena nel suo pigiama di flanella e scese silenziosa le scale a
piedi nudi, evitando accuratamente di voltare lo sguardo verso la
cucina quando vi passò accanto. Era davvero troppo tardi per
mettersi a riflettere anche su quello.
Digitò
rapida il codice di accesso sul vetro e la porta si aprì con
uno
scatto che ruppe il silenzio profondo della casa. Tony era solito
lavorare con un po' di musica in sottofondo anche ad orari
improbabili della notte, ma stavolta il laboratorio era avvolto da
una calma irreale.
«Ha
di nuovo rotto il tasto invio. Calibrare potenza: meno 2.3%.»
La
voce di JARVIS la fece sobbalzare.
Sentì
un'imprecazione a malapena soffocata risuonare nella sala.
Tony
le voltava le spalle, seduto alla sua scrivania high-tech invasa di
monitor mentre cercava di digitare con la mano destra su una tastiera
olografica senza molti risultati: molti tasti erano colorati di
rosso, probabilmente a indicare che le simulazioni per calibrare la
potenza non stavano dando i risultati sperati. La riparazione del
braccio sembrava a buon punto, ma si intravedevano i circuti interni
scoperchiati e le dita erano ancora solo un rudimentale abbozzo
metallico, simili a pistoni. Ebbe l'impressione che ne avesse
alleggerito la struttura, ma sembrava molto più difficile da
gestire
della protesi precedente, a giudicare dai movimenti scattosi e
improvvisi che non riusciva a controllare.
Intorno
a lui galleggiavano varie schermate e due modelli tridimensionali
rispettivamente di un braccio e una gamba, oltre ad una serie
infinita di altri piccoli pannelli che mostravano dati anatomici e
cartelle mediche che Tony esaminava rapidamente sfogliandoli e
spostandoli con piccoli gesti precisi della mano sana. Pepper si
accigliò:
stava già
pensando alla gamba?
Le
cose più evidenti in tutto quel caos erano l'enorme thermos
di caffè
e una desolata scatola di cinese take-away che Tony stringeva
ossessivamente con la mano sinistra a mo' di pallina anti-stress. Era
deformata e
semidistrutta.
«Tony,
sono le tre...»
lo
chiamò con voce impotente, sapendo che non la avrebbe
neanche
ascoltata.
Lui
sobbalzò appena al suono della sua voce, ma rispose quasi
subito:
«Lo
so, ma questo maledetto affare...»
imprecò,
senza neanche voltarsi, accartocciando la tastiera in una palla
elettronica e scagliandola con un bing
dall'altra
parte della stanza, insieme alla scatola di carta che gettò
nel
cestino stracolmo.
I
suoi gesti erano secchi, nervosi, e Pepper si chiese se oltre al
caffè non avesse bevuto anche qualche alcoolico.
Sperò vivamente di
no: ricordava fin troppo bene il modo in cui si riduceva ai suoi
party megagalattici e sapeva quanto poteva essere vulnerabile e al
contempo
volubile da ubriaco. E non aveva nessuna intenzione di trascinarlo di
peso fino alla tazza del water dopo una sbronza epocale.
«Dovrebbe
andare a dormire, è molto tardi. Le ricordo che domani,
cioè oggi,
dovrebbe discutere con Kyle del prossimo processo,»
disse
in tono calmo e naturale, cercando di non risultare autoritaria.
Le
riusciva difficile: dopotutto, anche se tecnicamente era lui
il suo capo, era lei
a dargli ordini. O meglio, direttive che lui raramente seguiva.
«Ah,
sì...
Kyle,»
replicò
Tony, agitandosi al solo sentire quel nome in un misto di imbarazzo e
irritazione. «Di questo passo non so neanche se
sarò in grado di
"pagarlo",»
sbottò,
accennando al suo lavoro decisamente incompleto.
Pepper
quasi sperò che a quel punto rinunciasse, si alzasse e le
desse retta,
per poi
accorgersi che probabilmente, assorto com'era dal suo lavoro, si era
già dimenticato della sua presenza. Si avvicinò
esitante, ancora
non del tutto certa delle sue condizioni, e notò con
sollievo che
non c'era odore di alcool; solo clorofilla, caffè e la scia
del suo
solito dopobarba. Tony
udì i suoi passi fermarsi accanto a sé e si
girò brevemente,
offrendole uno scorcio del suo occhio gonfo di sonno e del livido
sullo zigomo che non accennava a sparire.
«Un
ultimo paio di test e poi vado... non rimanga sveglia,»
aggiunse
in un mormorio assente, ma con una punta di dolcezza, per poi
riprendere il lavoro come se Pepper non
esistesse.
Pepper
corrugò le sopracciglia, ma non obiettò ed
ignorò l'invito,
appollaiandosi in tensione sullo sgabello libero accanto a lui. Lui ne
prese atto, storse la bocca, ma non disse nulla. Scrutò con fare assorto l'anatomia di
una gamba umana,
evidenziando
con la punta di un dito le parti essenziali e le giunture, tracciando
linee che indicavano probabilmente i punti in cui sarebbero stati
collocati i vari componenti.
«Ci
sono,»
ragionò
a mezza voce.
Afferrò
distratto una borraccia e vi si attaccò, ma fece una smorfia
nel
riconoscere il saporaccio della clorofilla; la sostituì
subito con
la tazza di caffè, trovandola però vuota.
«JARVIS,
voglio una scannerizzazione precisa e completa del mio arto inferiore
sinistro, tessuti molli compresi. E che sia esauriente,» disse, e
scolò
in un sorso l'ultimo goccio di caffè rimasto nel thermos
attaccandosi direttamente ad esso.
Pepper
aspettava pazientemente che finisse i suoi esami, per essere
certa che andasse a dormire a lavoro finito, ma si sentiva
insolitamente nervosa. Ci mise un po' a capire che la ragione di quel
turbamento era proprio l'uomo esausto di fronte a lei.
"Mi
considera... pericoloso?"
le rimbombò in testa, come una
puntura di spillo improvvisa.
Non
era ancora in grado di darsi un risposta e voleva evitare di
ragionarci su adesso. Si accomodò meglio sullo sgabello,
pensando
che probabilmente si sarebbe addormentata lì.
Intanto, un
fascio di luce verde-azzurro scannerizzò la gamba sinistra
di Tony
con un sibilo elettronico. A scansione completa l'arto emanava un
lieve bagliore; bastò un tocco delle dita per separare il
modello
virtuale dal suo corpo.
«Speculare,»
ordinò
Tony, e con uno schiocco di dita lo specchiò, trasformandolo
in una
gamba destra.
Il
modello rimase sospeso di fronte a lui, che cominciò ad
esaminarlo
con attenzione, ingrandendone i pezzi e studiandone approfonditamente
la struttura. Ogni tanto intingeva le dita in vari quadratini di vari
colori che gli galleggiavano accanto, corrispondenti a lui solo
sapeva cosa, ed evidenziava alcuni tratti della gamba che da allora
rilucevano di una luce metallica. Fu piuttosto rapido: in un quarto
d'ora scarso l'aveva trasformato in un modello meccanico.
Pepper
lo giudicò troppo rapido perfino per i suoi standard: non
era tipo
da fare le cose di fretta, anzi, poteva passare ore e ore a
perfezionare un dettaglio insignificante, ma d'altra parte si sentiva
chiudere le palpebre dal sonno, quindi ne fu contenta. Tony sembrava
invece non risentire dell'ora, probabilmente alimentato da
nervosismo, caffeina e disperazione.
«JARVIS,
questo è un prototipo,»
disse
con voce monotona. «Osso in titanio, muscolatura in
unobtanium,
cartilagine in unobtanium molle...»
la
sua voce si perse in un mormorio confuso, mentre elencava una decina
di altri elementi e il computer reagiva trasformando le informazioni
in una scheda dettagliata che si srotolò di fianco al
modello.
Quando
finì di parlare bevve un rapido sorso di clorofilla, a corto
di
altre bevande.
«Testala
col mio peso corporeo.»
Un
modello 3D essenziale con le sue sembianze si materializzò
di fronte
a lui e Tony vi applicò la gamba meccanica, che
aderì al moncherino
digitale con un tenue bip.
Finalmente si girò verso Pepper con un sorrisetto
compiaciuto; lei
ebbe l'impressione che le occhiaie gli arrivassero alle ginocchia, ma
ricambiò debolmente. Tony
battè una volta le mani – facendosi palesemente un
male cane per
la troppa forza – producendo un suono indistinto che
avviò la
simulazione. Il modello si mosse e fece un paio di passi, ma al terzo
la gamba si spezzò. Il sorriso svanì dal volto di
Tony, adesso
rabbuiato e accigliato mentre seguiva con lo sguardo la colonna di
calcoli che scorreva accanto al modello.
«Errore
di progettazione rotula: metallo insufficiente; sovraccarico
energetico insostenibile: fusione a 3.7 secondi
dall'avvio.»
«Cazzo...
di nuovo.»
Scansò
il modello con una manata, lo accartocciò e lo
gettò stizzito in un
angolo, dove esplose in una miriade di scintille virtuali. Si
passò una mano sulla fronte e sospirò sfinito. Pepper
stava per consigliargli di andare finalmente a letto, ma le sue
successive parole scacciarono qualsiasi premura nei suoi
confronti:
«Portami
un caffè.»
Pepper
non rispose per qualche secondo, quasi convinta che stesse parlando
con JARVIS, ma questo rimase muto. Quando rispose, la sua voce era
forzata.
«Prego?»
Gli
stava chiaramente offrendo l'opportunita di rimangiarsi quel che
aveva appena detto, ma lui continuò imperterrito:
«Ho
chiesto quella bevanda nera e bollente fatta di acqua e
caffè; è
tanto complesso? Di sicuro non più di questo,»
sbottò
Tony.
«Sono
la sua assistente,
non la sua cameriera,»
puntualizzò
Pepper, alzandosi in piedi e indecisa se lasciarlo lì o
avviare una
discussione che si prospettava infinita e devastante.
Era
tentata dalla seconda opzione, soprattutto per il fatto che Tony non
la stava neanche guardando.
«E
allora, assistente,
portami del caffè. Ti pago anche per questo,»
tagliò
corto lui, immergendosi nuovamente nel flusso di dati che si dipanava
di fronte a lui.
Pepper
a quel punto si avvicinò di scatto e lo voltò
bruscamente per la
spalla sana. Si ritrovarono faccia a faccia, entrambi scuri in
volto.
«Cos'è
questa confidenza?»
scattò
lui, con un'espressione a metà tra il risentito e il
difensivo, adocchiando con una sorta di timore represso il punto in cui
lo stava toccando.
Allentò la stretta, forse troppo decisa.
«Lei
ha veramente
bisogno
di dormire,» proferì, cercando di non far
vibrare la propria voce.
«Sei
la mia assistente, non mia madre. Lei non c'è più
da un pezzo.»
Si
divincolò debolmente, ma Pepper non mollò la
presa, intuendo che se
l'avesse fatto lo avrebbe perso. Non
lo aveva mai sentito neanche vagamente accennare a sua madre in dieci
anni e adesso la nominava in un contesto talmente futile da darle
un'idea di quanto dovesse essere esaurito. Probabilmente non aveva
neanche piena coscienza di quel che stava dicendo. Lui girò
la testa
verso lo schermo, ignorandola platealmente e offrendole il lato
cieco.
Pepper
non seppe esattamente se fosse il fatto che non la volesse ascoltare,
o che la stesse ignorando, o il modo plateale in cui l'aveva
insultata, ma sentì la sua valvola di controllo sempre
così
efficiente che perdeva un colpo. Le successive parole le sfuggirono
come un fiotto di vapore tenuto troppo a lungo sotto
pressione:
«Devi-dormire!»
scandì,
diventando rossa in viso, tralasciando le formalità e non
riuscendo
a ricordare quando l'avesse effettivamente visto riposarsi negli
ultimi tre giorni.
«Devo-rifarmi-una
vita!»
urlò
lui di rimando, tornando a fissarla con uno scatto.
Si
sarebbe probabilmente alzato dalla sedia per fronteggiarla, se solo
avesse potuto. Pepper lo lasciò andare di colpo, presa in
contropiede da quella reazione. Tony
aveva il respiro accelerato e la fissava come se volesse farla
scomparire di lì all'istante. Stava tremando ed era pallido,
troppo
pallido,
con la pupilla così dilatata da far sembrare nero il suo
unico occhio.
Per un istante, le fece paura.
Strinse di nuovo la valvola dell'autocontrollo, convogliando tutta la
sua concentrazione nel non
abbassarsi
al suo livello.
«Ti
sembra che pretendere troppo da te stesso e stressarti fino a questo
punto possa...»
cominciò, in tono quasi ragionevole, ma
a quelle prime parole Tony
s'infiammò all'istante, perdendo definitivamente ogni
briciolo di
razionalità:
«Stressarmi?
Cosa ti fa credere che mi stia stressando?»
gridò,
e la sua voce si arrochì, costringendolo a fare una
breve
pausa per deglutire, ma
poi riprese con più foga di prima:
«Forse
l'improvvisa mancanza di due arti e un occhio, un'accusa che mi pende
tra capo e collo e dei Vendicatori incazzati neri da gestire, per non
parlare del fatto che Cap mi ha sfondato un braccio!? Che intuito,
Pepper! Ma hai ragione, non dovrei affatto
stressarmi!
Dovrei continuare a vivere normalmente, come se fosse possibile!»
si
fermò ansante, in tensione sulla sedia come se volesse
balzarne via
da un momento all'altro. «Come se non volessi strapparmi
questa roba
di dosso e riprendere la mia vita, se
solo potessi!»
urlò
infine con tutto il fiato che gli era rimasto in petto, facendola
quasi indietreggiare con la sua furia, ma si costrinse a rimanere
salda e ben piantata al suo posto, sapendo che se avesse ceduto non
sarebbe mai più potuta tornare indietro.
C'era
una linea, tra loro, e lei l'aveva superata, spingendo Tony a fare lo
stesso. Adesso non poteva
barricarsi di nuovo dietro di essa. Era in campo aperto e non si
sarebbe ritirata prima di aver fatto ciò che riteneva
giusto;
avrebbe impedito a quel senso di colpa strisciante di prendere il
sopravvento su di lei.
«Tony,
io capisco che vuoi solo tornare...»
«No,
che non capisci!»
la
interruppe lui, con la voce roca per il troppo urlare. «Come
potresti
mai
capire
quello che sto passando?»
la
provocò, in tono quasi derisorio.
«E
tu capisci cosa sto passando
io
nel
vederti così?»
fallì
nell'intento di non mettersi a gridare anche lei.
«Non
mi serve la tua pietà!»
s'inalberò
nuovamente lui.
«Non
puoi
continuare
così!»
«Devo
farlo!»
«Non
dormi da settimane!»
«E
ti sei mai chiesta perché?»
la
rimbeccò lui, con arroganza mista a incredulità.
«Non ci riesco, a
dormire! Non ricordo l'ultima volta in cui i moncherini mi abbiano
fatto chiudere occhio!»
serrò
la mascella di colpo, come se non avesse avuto intenzione di dire
quelle
ultime parole.
«Se
prendessi gli antidolorifici...»
«Non
funzionano!» replicò lui, e una crepa si
insinuò nella sua voce. «Mi fanno male lo stesso,
in continuazione!»
Pronunciò
quelle parole con tanta frustrazione e sofferenza che Pepper
ammutolì
brevemente, divenendo consapevole delle costanti linee di tensione che
segnavano il volto di Tony e che solo allora riconobbe
come tracce del dolore fisico che lo tormentava.
«Così
non ti stai aiutando,»
riuscì
solo a ribattere, in tono sconfitto, sperando che tornasse in
sé.
«Non
mi sembra che neanche tu mi stia aiutando più di tanto,»
dichiarò
lui altrettanto piattamente.
La
donna lo fissò incredula per quelle parole, ma lui
girò di nuovo la
sedia, voltandole le spalle e selezionando una nuova schermata per
ricominciare da zero il prototipo, come se il loro alterco non fosse
mai avvenuto. Pepper
lo fissò attonita per ancora qualche secondo, ferita e
combattuta
tra l'istinto di prenderlo a schiaffi e quello di tornarsene a casa
sua seduta stante. Aveva passato gli ultimi mesi a farsi in quattro
per lui, per gestire la sua azienda, si era addirittura trasferita per
tenerlo d'occhio, gli
aveva trovato un avvocato e un medico e doveva anche sentirsi dire
che non faceva
abbastanza.
«Sto
ancora aspettando il mio caffè,»
riprese
lui in tono secco e provocatorio, come se volesse testare quanta
pazienza le fosse rimasta.
«Subito,
signor
Stark,»
scandì
fumante lei, senza dargli soddisfazione.
Inspirò
profondamente per non urlargli in faccia dove sarebbe potuto andare
col suo dannato caffè. Si trattenne. Aveva un'idea migliore.
Si
avviò con passo deciso verso l'angolo cucina, ma
virò subito verso
la parete, folgorata da un'altra illuminazione che avrebbe
sicuramente demolito il poco autocontrollo rimasto in Tony. Non le
importava delle ripercussioni di quel gesto: in quel momento sentiva
solo un'indignazione cieca nei suoi confronti, unita all'intenzione
di infastidirlo. Digitò rapida il suo codice d'accesso su
uno
schermo infisso nella parete e la voce di JARVIS iniziò a
dire
qualcosa, ma fu troncata dal blackout improvviso. L'unica fonte di
luce rimasta nella stanza era un piccolo cerchietto azzurrino che
sembrava fluttuare nel buio.
«No!
Il mio prototipo! Dannazione... Potts!»
esclamò
lui, la sua voce densa di rabbia allo stato puro.
La
luce azzurra sparì un momento, tremolò e riprese
a brillare
normalmente.
«Sì,
signor Stark?»
ribattè
glaciale lei, sopprimendo il picco d'ansia nel vedere lo sfarfallio del
reattore.
Si
accesero le luci di emergenza e questa volta JARVIS riuscì
parlare:
«Drastico
calo di tensione; luci di emergenza: attivate. Signore, i dati sono
stati
sal–...»
«Muto.
Ma grazie, JARVIS, il tuo aiuto è prezioso!»
commentò
acido lui, illuminato fievolmente da una luce verdastra oltre che
dal reattore, cosa che accentuava le ombre cupe sul suo volto.
Pepper
fece brevemente tappa nell'angolo cucina, mentre Tony continuava a
imprecare in sottofondo, per poi riavvicinarsi a lui con un thermos
in mano.
«È
tutto, signor Stark?»
chiese
con forzata tranquillità.
«In
realtà sì, signorina Potts, quindi potrebbe farmi
il gentile favore
di andarsene a...»
si
interruppe di colpo, annaspando stordito.
Ci
mise qualche secondo per realizzare che Pepper gli aveva appena
rovesciato l'intero thermos di caffè freddo in testa,
fradiciandolo
da capo a piedi. Pepper rimase ferma di fronte a lui, furibonda,
impettita e con un'espressione vagamente soddisfatta nell'osservare
la sua faccia stralunata e rigata da gocce scure. Lui
la guardò assente, con la bocca schiusa, toccandosi
incredulo i capelli grondanti
della
sua amata bevanda e strizzandoli appena, come a verificare che non si
stesse immaginando tutto. Sembrava aver recuperato un briciolo di
lucidità adesso, anche se l'espressione vacua sul suo viso
non
preannunciava nulla di buono. Era chiaro che stesse disperatamente
pensando a come reagire, ma sembrava in stato confusionale. Spostava
a piccoli scatti lo sguardo da un occhio all'altro di Pepper, non
sapendo dove guardare e incapace più che mai di sostenere
quel
concentrato d'indignazione e furia.
Scrollò
brusco la testa, sprizzando goccioline qua e là e
sistemandosi
invano la benda sul volto, ormai umida e quasi staccata dalla sua
pelle. Abbassò
il capo, poi si voltò di lato per non doverla fronteggiare.
Infine
le voltò ostentatamente le spalle, girando sulla sedia. Pepper
rimase piantata al suo posto, senza parole, col thermos vuoto in mano
e la rabbia che lasciava posto allo sconforto.
«Vattene,»
lo
udì mormorare, così piano da sembrare quasi un
respiro.
E
in quel momento decise che non l'avrebbe mai fatto. Non si mosse di un
passo, decisa ad aspettare anche tutta la notte, finchè Tony
non si
fosse deciso a cedere, a spiegare non sapeva neanche cosa, a
parlarle, come diceva di voler fare nonostante lei glielo avesse
negato. Di nuovo quel bruciante senso di colpa si
ripresentò, più
potente e giustificato.
Tony
fissava, probabilmente senza vederli, la miriade di bozzetti e
componenti di arti meccanici accatastati sulla scrivania, mentre
strizzava con aria assente la maglietta bagnata e si passava la mano
tra i capelli scomposti nel fiacco tentativo di asciugarli.
Afferrò
distrattamente un frammento di lamina metallica con la mano meccanica
e lo stritolò come se fosse un pezzo di carta.
Sospirò
profondamente. Il
rottame cadde con un clangore sul pavimento.
«Vattene,»
ripetè,
con più forza.
Sembrava
sul punto di esplodere di nuovo.
Avrebbe
potuto permetterglielo. Avrebbe potuto istigarlo di nuovo, scuoterlo,
portarlo al limite che aveva già superato.
«Non
sei pericoloso.»
***
La
sentì pronunciare quelle semplici parole, le uniche che
avesse mai
voluto sentire, e sussultò violentemente, come se avesse
ricevuto una
scossa. Per quasi un minuto cercò una risposta che potesse
convincerla del contrario, prima di rendersi conto che voleva
crederci con tutto se stesso. Poggiò i gomiti sulle
ginocchia e
si prese la testa fra le mani, raggomitolandosi e traendo respiri
profondi e stentati.
«Come faccio?»
sussurrò quasi inudibile.
Percepì le mani di Pepper posarsi
sulle sue spalle e sapeva che poteva sentire il tremito che lo
scuoteva.
«Come faccio...?»
ripetè ancora, affondandosi le dita tra i capelli bagnati.
La
donna voltò lentamente la sedia per guardarlo in faccia, ma
lui rimase chino. Scosse la testa nel buio, amareggiato, umiliato,
vergognandosi per
quel che le aveva detto e per lo stato pietoso in cui si trovava.
Fissò lo sguardo sulla pozza di caffè ai suoi
piedi. In
quel momento non si sentiva davvero in grado di fare nulla, neanche di
parlare.
Pepper
sembrava altrettanto annullata; si chiese se lo stesse compatendo o
se volesse semplicemente lasciarlo lì e andare via, lontano
da lui e
dai suoi problemi che stavano facendo crollare il suo mondo e anche
quello di chi lo circondava.
Non alzò la testa, non potendo
sopportare di vederla allontanarsi, anche se ne aveva tutte le ragioni.
Si sentì invece stringere
senza preavviso da un abbraccio caldo che avvolse entrambe le sue
spalle, quella fredda e inerte e quella ancora umana, che
sentì
muoversi d'istinto per ricambiare, come se non avesse aspettato
altro. Tony non aveva previsto quella reazione, neanche da parte
propria, ma si rese conto che era davvero tutto ciò che
aveva desiderato da
quando si era svegliato in quel letto d'ospedale.
Lei era lì
anche allora. C'era sempre stata. E aveva bisogno di lei più
delle protesi, più di Iron Man, più del suo
inutile orgoglio che
gli faceva pronunciare parole che rimpiangeva subito dopo.
Aveva
bisogno di qualcuno a cui aggrapparsi e che lo sostenesse quando lui
non poteva più farlo da solo. Avrebbe dovuto ammetterlo
prima di comportarsi così.
«Questo è troppo anche per me,»
confessò infine, e con quell'ammissione percepì
finalmente tutta la
reale entità del dolore fisico e mentale che lo stava a poco
a poco
corrodendo e che aveva scelto di ignorare.
Lo stava consumando e
non aveva fatto nulla per impedirlo. Stava per lasciarsi dietro solo
un uomo distrutto senza più niente per cui vivere o anche
solo
andare avanti.
«Shh...»
Pepper gli sussurrò dolcemente all'orecchio, ignorando il
fatto che
fosse fradicio di caffè e stringendolo comunque con
delicatezza, china su di lui con un ginocchio sulla sedia e
incurante della chiazza scura che i suoi capelli stavano imprimendo sul
suo
pigiama.
Gli accarezzò appena la base del collo, arricciandogli i
capelli e quel gesto lo
rassicurò un poco, ma non lo convinse ancora a sciogliere
l'abbraccio, anzi, la strinse appena col braccio sano, lasciando quello
meccanico abbandonato lungo il fianco, non fidandosi abbastanza per
usare anche quello. Inspirò a fondo e insieme all'aroma del
caffè percepì il profumo di Pepper, dei suoi
vestiti appena lavati, della sua pelle dolce che gli sfiorava il naso,
dei suoi capelli sciolti contro la sua guancia. Iniziò a
parlare piano,
con voce stanca e soffocata contro la stoffa della sua
maglietta.
«Pep, sto impazzendo. Non so cosa devo fare. Mi
sembra di non impegnarmi abbastanza. Ho costruito un cuore con una
cassetta degli attrezzi in una caverna. Questo dovrebbe essere uno
scherzo per me, ma non ci riesco, non voglio farlo o... non lo so
neanch'io,»
sbottò senza
neanche riuscire ad alzare la voce, tenendo nascosto il volto e
stringendola appena.
Pepper
continuò ad abbracciarlo, ma non replicò, come ad
assicurarsi che
non volesse aggiungere altro. Lo stava ascoltando, finalmente, e si
sentì scoppiare il cuore di sollievo a quella realizzazione.
«Tony,» riprese, quando lui non aggiunse altro,
«stai lavorando tantissimo, capisco quanto sia importante per
te, ma questo
è
troppo. Hai bisogno di darti tempo.»
«Come
faccio a darmi tempo?»
Tony scosse la testa e trovò la forza di staccarsi appena da
quella
stretta rassicurante che era riuscito a trovare dopo tanta sofferenza.
«Mi aspettano tutti, Pep. Non posso essere una
delusione. Non posso fallire.» Prese fiato, sentendosi
chiudere la gola. «Non posso perdere
tempo,»
concluse in un
mormorio appena udibile, rendendosi conto di averne perso fin troppo,
di aver già sprecato parte della sua vita.
Aveva deluso suo padre, stava deludendo Yinsen e adesso stava per
deludere anche lei. Raccolse la forza per cercare i suoi
occhi oltre il proprio sguardo appannato. Lei ricambiò con
l'espressione rassicurante e forte che le conosceva, ma allo stesso
tempo venata dalla stessa stanchezza che percepiva in sé.
Era stanca, adesso riusciva ad accorgersene, e lui era
stremato da quella situazione priva di uscite. Aveva il disperato
bisogno di una via di fuga.
Il suo sguardo si posò
involontariamente sulle labbra di Pepper e non riuscì a
distoglierlo
abbastanza in fretta da evitare che lei se ne accorgesse.
Incontrò
brevemente i suoi occhi mentre anche lei si soffermava sulla sua
bocca. La attirò un poco a sé, cauto, e lei lo
assecondò, avvicinandosi e inclinando appena di lato la
testa.
Tony si fermò, per la prima volta incerto su come
comportarsi,
ma le posò comunque la mano sulla sua guancia punteggiata di
efelidi,
timoroso che potesse ritrarsi. Sentì il suo naso sfiorare
quello di
Pepper, freddo contro la sua pelle accaldata. Rimase paralizzato, a
pochi centimetri dalle sue labbra, dalla sua via di fuga, dalla donna
che desiderava e che adesso aveva socchiuso gli occhi fissandolo con
un misto di curiosità, confusione e aspettativa. Adesso
sentiva il suo
respiro sulle sue labbra, a un soffio dalle sue.
Prima che potesse
ripensarci ancora la attirò con decisione a sè e
la abbracciò
strettamente, affondando il volto nei suoi capelli e sentendo con una
morsa di panico il suo cuore che perdeva un battito. Non ebbe
bisogno di guardarla in faccia per percepire il suo stupore, ma
sperò
che capisse quello che neanche lui riusciva del tutto a spiegare.
Non poteva farlo. Non poteva e basta. Non in quello stato, non mentre
era... così.
Pepper sciolse piano l'abbraccio, rimanendo al livello dei suoi
occhi, ancora accanto a lui, ma a una distanza decisamente maggiore di
prima. Tony si
costrinse a sostenere il suo sguardo con fermezza che non sentiva
propria.
Si sentì parlare senza poter ricordare di averlo
voluto:
«Si ricorda cosa è successo prima del processo?»
sentì la sua voce spegnersi alla fine della frase, mentre
prendeva
consapevolezza di quel che stava dicendo.
Cosa gli era venuto in
mente? Era impazzito del tutto?
Notò il tentennamento di Pepper,
che cercava forse di trovare una logica nelle sue azioni, senza
ovviamente trovarla. Ma era abituata a mantenere la sua
risolutezza anche nelle situazioni più tese, così
rispose, appena
un po' inquieta:
«Quando, esattamente?»
"Cambia
argomento," gli suggerì con fermezza la sua parte razionale.
La
sua bocca ignorò il consiglio, così come prima
aveva ignorato
quello di incontrare le labbra di Pepper, e continuò a
muoversi di
sua volontà:
«Sa... mentre aspettavamo Kyle e Ian. Nella sala
d'attesa,»
si trovò a
dire, anche se sentiva chiaramente che non era il momento adatto per
affrontare la questione.
Non era il momento adatto per parlare,
ecco tutto.
«Prima del processo? Mi sembra che non sia accaduto
nulla,»
rispose allora
lei con improvvisa naturalezza, facendo scivolare via il ginocchio
dalla sedia e recuperando una distanza ragionevole
tra loro.
Era estremamente risoluta. Forse era anche ferita, e
scorgeva una scintilla di delusione nei suoi occhi... come poteva
anche essere risentimento o sollievo. In quel momento la donna gli
era indecifrabile. L'unica cosa chiara era ciò che voleva
intendere con quelle parole: non ci voleva poi un genio come lui per
capirlo. Recuperò la sua solita, gioviale disinvoltura con
una
rapidità che non avrebbe creduto possibile:
«Oh. Ha
perfettamente ragione. Sa, questa è una delle molte
qualità che la
contraddistinguono: la perspicacia,»
buttò lì Tony, cercando di suonare indifferente
senza molto
successo.
Fece un sorriso un po' stentato, incrinato da un punta
di rammarico. Lei non ricambiò, ma il suo volto era
disteso. Fu
chiaro a entrambi che la questione era chiusa.
«È tutto, signor
Stark?»
Quelle poche,
precise trapassarono brutalmente le orecchie di Tony,
che si ritrovò disorientato per qualche secondo
nell'accorgersi che
Pepper era ora in piedi di fronte a lui, composta come sempre, con la
sua solita espressione neutra e cordiale. Inghiottì il nodo
alla
gola e rispose con altrettanta scioltezza:
«È tutto, signorina
Potts.»
Dentro di lui,
qualcosa si ribellò a quell'affermazione, ma non vi
badò. Sarebbe
scomparso tra poco, quel senso di incompletezza che l'aveva appena
pervaso, grazie alla quantità esagerata di antidolorifici
che
progettava di assumere di lì a pochi minuti per dormire,
finalmente.
Tutto pur di inibire qualsiasi dolore fisico, psicologico o
immaginario. Quei secondi di pesante silenzio furono interrotti da
lui stesso:
«Forse è il caso...»
«...
che vada a dormire,»
completò lei, con ferrea fermezza.
«Io... sì, forse ha
ragione,»
borbottò Tony,
preso alla sprovvista e accusando improvvisamente tutta la stanchezza
della giornata e il sonno arretrato.
Voleva dire tutt'altro, ma
si alzò comunque senza parlare, puntellandosi sulle
stampelle.
«Sarà
anche il caso che passi a farmi una doccia...»
aggiunse poi, scollandosi di dosso la maglietta ancora
bagnata,
indeciso se scherzarci sopra o meno.
Optò per il silenzio e
Pepper fece lo stesso. Si avviò verso l'uscita del
laboratorio,
seguito da Pepper, che lo scortò fino alla porta del bagno
per
evitare che se la squagliasse.
«Me la cavo da solo,»
la rassicurò lui, aprendo il getto della vasca.
«Al
massimo mi
addormento qui,»
aggiunse
in un tentativo di smorzare la tensione.
«Se le serve...»
cominciò Pepper, ma lui la interruppe, più
bruscamente di quanto
intendesse:
«C'è JARVIS. Non si preoccupi,»
aggiunse in tono più conciliante, sedendosi su uno sgabello
e iniziando a svestirsi.
«Buonanotte,»
le
augurò poi sottovoce, mentre lei già chiudeva la
porta.
Gli
sembrò di sentirla ricambiare, ma non ne fu certo e
fissò ancora
per qualche secondo la porta, come aspettandosi di vederla riaprirsi
per fugare il suo dubbio.
***
Pepper
rivolse un sguardo indecifrabile a Tony, che le augurò la
buonanotte, poi chiuse la porta e
si defilò nel corridoio senza voltarsi. Solo dopo
qualche passo realizzò di non avergli risposto, ma era
troppo tardi
per tornare indietro e adesso era probabilmente troppo occupato a
destreggiarsi tra vestiti e stampelle. Raggiunse in stato quasi
catatonico la sua stanza, si cambiò rapidamente il pigiama
macchiato
di caffè e collassò sul letto, abbandonandosi sul
materasso e rimandando la doccia al mattino dopo.
Lanciò un'occhiata all'orologio: erano le quattro del
mattino
passate. Emise un sospiro esausto prima di chiudere gli occhi senza
riuscire a dormire.
Si arrese infine al sonno, incapace togliere
dai suoi sogni confusi l'immagine traballante di un cerchietto
azzurrino che
fluttuava nel buio della sua camera.
***
12 Marzo, Villa Stark
Si
svegliò alle nove, decisamente distrutta, ma era almeno in
grado di
reggersi in piedi. Si alzò barcollando per il sonno,
infilandosi subito sotto la doccia.
Uscì dal bagno vestita di tutto punto, coi capelli ancora
leggermente umidi. Doveva
sbrigarsi: Kyle sarebbe arrivato entro le dieci. Avrebbe anche dovuto
avvertire Tony, perché l'aveva sicuramente dimenticato.
Esitò
sulla soglia della propria stanza, poi si ricordò la parola
d'ordine che si era
imposta
per quel giorno: normalità.
Diretta in salone, passò davanti
alla stanza dell'uomo e vide che era chiusa. Bene: stava ancora
dormendo, e aveva decisamente bisogno di recuperare il sonno
perso.
Scese in laboratorio, dove aveva lasciato le pratiche
legali, e si stupì nel vedere che in realtà Tony
era già in piedi
e lavorava vivacemente a un abbozzo della protesi della gamba, che
stava già assemblando sul banco da lavoro.
"Chissà a che
ora si è..." non completò il pensiero,
perché notò che la
protesi era un po' troppo complessa rispetto a quella notte per essere
stata costruita in breve
tempo.
Si arrestò sulle scale e, senza farsi vedere,
tornò di sopra avviandosi
verso la stanza di Tony. Aprì la porta con malcelata
angoscia e vide
esattamente ciò che si aspettava: il letto era intatto.
Sospirò,
delusa, e serrò le labbra in una linea tesa.
Non andava bene...
non andava affatto bene.
Revisione effettuata il 24/02/2018
Note delle Autrici:
Ora, gentili lettori, chiudete gli occhi, immergetevi nel vostro flusso di coscienza ed immaginate un sonoro... "C-O-G-L-I-O-N-E!" esplodere nei recessi della mente di Tony dopo la marea di stronzate che dice al momento sbagliato.
Sappiamo di aver dipinto così il vostro beneamato Tony, ma d'altronde lo è sempre, almeno un po'... giusto?
E adesso possiamo dire che iniziano i c***i, anche se ce n'erano già abbastanza in tutti i sensi :D
Ringraziamo immensamente chi continua a seguirci/resercinci e cioè: Rogue92, alliearthur, blackpearl_, Sherlock_Watson, Micchi.
See ya! ;P
Moon&Light
Edit 24/02/2018: La modifica più evidente a questo capitolo è la sostituzione dello schiaffo con una bella doccia di caffè. Questo perché, semplicemente, rileggendo il capitolo mi sono resa conto di quanto, quanto fosse OOC Pepper che agisce in quel modo. Anche qui sfioro l'OOC, ma vedo molto più plausibile che "sbrocchi" in questo modo, piuttosto che ricorrendo alla violenza fisica. Al massimo ci vedrei una Nataša, a reagire così.
Oltre al fatto che giustificare un gesto simile (come effettivamente accade nei capitoli successivi), è sbagliato a prescindere. Così come giustificare questo, sebbene più blando, perché si tratta comunque di un'umiliazione imposta a qualcuno in uno stato decisamente vulnerabile. Non sono una fan del politically correct, ma un conto è far agire i personaggi in un certo modo, un conto è condonargli tutto.
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