Appena i suoi
occhi si abituarono al buio riuscì a distinguere un paio di figure, alte più di
due metri e abbastanza robuste davanti ad una porta blindata. La stanza in cui
si trovava le risultava assolutamente nuova ed era interamente vuota, neanche
un mobile o una finestra. Per la prima volta in vita sua, Anita soffrì di
claustrofobia e andò in iperventilazione. Uno dei due uomini appena si accorse
che era sveglia accese una debole luce e prese un cellulare iniziando a parlare
in un inglese poco chiaro, con un accento olandese e qualche spruzzo di
americano. Anita riuscì solo a capire che qualcuno stava per arrivare da lei.
Le faceva male tutto, ma soprattutto la pancia. Lo stomaco si era completamente
rivoltato e arrivò un primo conato di vomito, seguito a ruota da vero e proprio
vomito. Probabilmente era stato proprio quello a svegliarla. Adesso si sentiva
un po’ più sollevata, ma la puzza era terribile e non le permettevano di
sciacquarsi o ripulire, né persino di alzarsi. Anche col loro permesso, però,
non era sicura che ci sarebbe riuscita. Si spostò dalla puzza, appoggiando la
schiena al muro e facendo innervosire le guardie. Dopo essersi sistemata loro
si calmarono e così anche lei si calmò un po’ e cercò di essere razionale. Per
prima cosa ricollegò ciò che era successo, ricordandosi il fine serata e tutti
i colpi che aveva subito fino a svenire. Forse allora non era stato uno scherzo
telefonico, o era stata una coincidenza? Tante domande diverse iniziarono a
travolgerla, senza riuscire a trovare nessuna risposta. Perché era lì? Perché
l’avevano rapita? Cercavano soldi? Di certo no, perché nonostante non fosse
povera non era di certo in una famiglia ricchissima, se erano i soldi ciò che
volevano non avrebbe avuto molto senso prendere proprio lei. La spiegazione più
ragionevole che riuscì a trovare era, quindi, che avevano sbagliato persona.
Dopo di che arrivò al punto cruciale. Cosa ne avrebbero fatto di lei una volta
scoperto che avevano sbagliato? Di certo non si era mai sentito di una ragazza
rapita “per sbaglio” e riportata a casa dai genitori mentre i rapitori
dicevano: “Scusate, vostra figlia è la ragazza sbagliata!” La paura cominciò ad
attanagliarla. Implorò i due colossi di riportarla a casa fino alla svenimento,
fino ad urlare con tutto il fiato che aveva in corpo. Loro, però non
rispondevano, sembrava quasi che non l’ascoltassero. Provò quindi a parlare un
po’ in inglese, ma non la degnarono neanche di uno sguardo. Passarono un paio
di ore e Anita iniziava a disperarsi davvero. La solitudine in compagnia la
faceva uscire di testa e inoltre iniziava a chiedersi da quanto tempo mancava
ormai da casa, dato che non sapeva quanto tempo fosse rimasta priva di sensi,
ma soprattutto contava i minuti mancanti a quando loro avrebbero compreso il
malinteso e si sarebbero liberati di lei. Un brivido le percorse la schiena. Un
piccolo barlume di speranza ogni tanto si accendeva in lei quando l’uno o
l’altro dei due colossi la guardava. Pensava, o meglio sperava, che avessero
deciso di ascoltarla, ma guardandoli in viso era costretta a ricredersi. Il
loro sguardo sembrava vuoto, a volte spaventato. Chi poteva spaventare due
giganti come quelli doveva essere una persona molto potente. Avevano parlato
altre due volte al telefono ma non era riuscita a capire molto quello che
dicevano e ogni volta, anche se cercavano di non darlo a vedere, erano sempre
più terrorizzati. Passò un’altra oretta e infine la stanchezza ebbe la meglio
sulla paura, facendo sprofondare Anita in un sonno agitato e piuttosto scomodo.
Poi un grosso rumore metallico la svegliò, spaventandola. Aprì gli occhi
incerta, sperando che tutto fosse stato un semplice brutto sogno, nonostante il
suo corpo le diceva il contrario, e quel rumore non era per niente di buon
auspicio.
<
Cominciavo a seccarmi. Ben svegliata, dolcezza.> Un uomo brizzolato, sulla
cinquantina, alto, un po’ muscoloso e dai bei lineamenti le stava di fronte e
la scrutava con un paio di occhi blu dallo sguardo tanto spaventoso che fecero
tremare Anita al solo guardarli. Era completamente paralizzata, non riusciva
neanche a pensare, né tantomeno a parlare. I due colossi di prima si erano
raddoppiati e circondavano la porta da cui probabilmente era arrivato il rumore
che l’aveva svegliata, anche perché nella stanza continuava a non esserci
niente. Nell’aria l’atmosfera tesa era palpabile e Anita era ad un passo dallo
scoppiare in una crisi isterica, il che era abbastanza evidente. L’uomo
continuò a parlare, incurante dello stato d’animo di Anita.
< È stato
difficile trovarti. Immaginavo avessi cambiato nome e volto e così ho cercato
di seguire le vostre tracce, che però si rivelarono ben presto meri sviamenti.
Tu e il tuo caro papà siete stati molto furbi, eh? Sono passati sedici anni.
Sedici anni di disperate ricerche in cui ho tentato di allargarmi per essere
ovunque nel mondo e poterti prendere al minimo errore che avessi commesso. E
poi cosa trovo? Alla fine trovo una ragazzina superficiale che va a sbandierare
la sua tragica storia ai quattro venti. Ti immaginavo più scaltra, Anita.>
Il suo tono aveva degli alti e dei bassi, e sentendo pronunciare il suo nome
Anita ebbe un fremito e fu sul punto di scoppiare a piangere, ma non era ancora
in grado di parlare, così il suo interlocutore ricominciò il monologo per
essere subito interrotto da un uomo più giovane. Portava un lungo camice bianco
e in mano aveva una siringa, piena di un liquido nero. L’uomo brizzolato si
rivolse a lui chiamandolo dottore.
< Siamo
sicuri questa volta? Potrebbe essere l’ennesimo buco nell’acqua.> Disse il
dottore mentre si metteva dei guanti in lattice.
< Sono
piuttosto sicuro che sia lei, a meno che i nostri cari amici non sono più
spregevoli ed egoisti di come li avevamo immaginati e non abbiano ideato un
piano per distrarci con quest’altra ragazza.>
< Se così
fosse allora non avremmo nessuna possibilità di trovarla.>
< Fidati,
è lei.> In quel momento Anita si riprese dallo stato di shock per cadere in
una crisi senza dignità, con il sangue congelato dalla paura e le lacrime agli
occhi.
< Non sono
io! Chiunque voi stiate cercando, non sono io. Lo posso giurare, non sono io
chi voi state cercando, lasciatemi andare!> Le parole le erano uscire come
fulmini. Il terrore le saliva fino alle punte dei capelli. Il signore più
anziano le si avvicino e prendendole il volto dal mento la costrinse a
guardarlo negli occhi.
< Parli
come se sapessi chi noi stiamo cercando.>
< No,
ma…> Nel frattempo il dottore aveva finito di prepararsi. Anita tremava come
una foglia e aveva la fronte imperlata di sudore.
< E allora
ci spieghi il sogno di cui vai tanto vantandoti?>
<È… è solo
un sogno. Quante persone al mondo fanno sogni strani come quello?> Ormai la
poverina piangeva a dirotto.
< Come
quello?!> Il brizzolato scoppiò in una risata amara. < Nessuno, mia cara,
sogna la morte di tua madre, a parte te, e forse tuo padre, dato che nessun
altro presente quel giorno a parte noi tre è ancora vivo.> Un ghigno malefico gli dipinse la faccia.
Quindi voleva ucciderla? Era lì per farla fuori così come aveva fatto con gli
altri? Ma tutto ciò presupponeva il fatto che il sogno descriveva una fatto
realmente accaduto. Com’era possibile? Quella donna… non era sua madre.
< Non può
essere vero… non è vero. Ti stai sbagliando!> Un colpo da parte di uno dei
colossi, diritto allo stomaco, la buttò a terra dopo che con tanta fatica era
riuscita a trovare le forze per alzarsi in piedi.
< Con
gentilezza signori, su!> Questa volta era stato il dottore a parlare. Anita
imprecava sottovoce che la smettessero e il finto cavallerismo del dottore la
infastidiva parecchio.
< Quella ci fa saltare tutti in aria se non la
teniamo buona.> Era la prima volta che uno dei colossi parlava e ora Anita
capiva il perché. Avevano paura di lei,
non del tipo brizzolato e nemmeno di quello in camice dall’aria da scienziato
pazzo dato il tono usato rivolgendosi a loro. Ma perché?
< Quella come dici tu, non sarà in grado
di fare granché appena le avrò iniettato questo siero, perciò non ti
preoccupare e stai al tuo posto.> Lo scienziato pazzo aveva appena
dichiarato la morte di Anita, la cui mente si svuotò completamente, lasciando
spazio ad un solo pensiero: chiedere aiuto. Urlò quanto più forte poteva e
continuò anche dopo che i colossi l’avevano strattonata e poi colpita. Iniziò a
farle male la gola, ma continuò a dimenarsi e ad urlare perché era l’unica cosa
che poteva fare. Smise solo quando il brizzolato le diede uno schiaffo di
rovescio in piena faccia.
< Capo
anche lei non la colpisca, tanto non la può sentire nessuno. La lasci sfogare,
guardi com’è terrorizzata.>
< Mi dava
fastidio, è stato piuttosto istintivo.> Una volta arresasi, Anita sentiva
tutti i colpi ricevuti, e di sicuro l’ultimo le aveva rotto il naso. In quel
momento desiderò solo essere a casa e continuò a piangere.
< Dottor
Frederic, è pronto?> Il capo iniziava a spazientirsi e il dottor “Frederic”
iniziò subito quanto aveva da fare. Iniziò a parlare direttamente con lei solo
quando le tastò il braccio. Prima di quel momento l’aveva semplicemente
guardata con aria di grande disprezzo.
< Quanto
ti sto facendo è un semplice test. Se il siero ti creerà solo qualche fastidio
o al massimo un paio di spasmi, allora non sei davvero tu quella che cerchiamo.
Se invece dovesse farti talmente tanto male da non farti quasi respirare,
allora significa che sei tu.> Anita non aveva la forza di ribellarsi e
continuava a tremare. All’improvviso si sentirono deli spari e dei passi veloci
che si facevano sempre più vicini.
<
Dannazione a loro! Se sono venuti fin qui significa che è lei. Prendiamola e
andiamo!> Il brizzolato sembrava molto più nervoso di quanto dava a vedere.
< Non
senza averle fatto il test, ci aiuterà anche a capire come ragiona. Lo possiamo
fare solo qua, ci vorrebbero mesi prima di rendere un’altra stanza priva di
contaminazioni come abbiamo fatto con questa.>
< Non c’è
tempo, sono dentro la struttura!>
< E se non
fosse lei?>
<
Pazienza, la…> La porta si spalancò e sei uomini armati fino ai denti
entrarono nella stanza. Anita iniziò a gridare più forte che poteva, poi,
mentre tre dei quattro colossi si avventavano sui nuovi arrivati, il quarto la
prese al volo e cercò di portarla via. Uno sparo, una botta in testa e tutto si
fece buio.