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Autore: Beauty    12/05/2012    6 recensioni
Ciao a tutti! Questa storia è una mia personale rivisitazione de "La Bella e la Bestia", la mia favola preferita...
Catherine, diciottenne figlia di un mercante decaduto, per salvare il padre dalle grinfie di un misterioso essere incappucciato, accetta di prendere il suo posto. Ma quello che la ragazza non sa è che nelle vesti del lugubre e malvagio padrone di casa si cela un mostro, un ibrido mezzo uomo e mezzo animale. Col tempo, Catherine riuscirà a vedere oltre la mostruosità dell'essere che la tiene prigioniera, facendo breccia nel suo cuore...ma cosa succede se a turbare la felicità arrivano una matrigna crudele e un pretendente sadico e perverso?
Riuscirà il vero amore ad andare oltre le apparenze e a sconfiggere una maledizione del passato? E una bella fanciulla potrà davvero accettare l'amore di un mostro?
Genere: Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il mostro e la fanciulla'
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Quella notte, Catherine sognò di nuovo il giovane. Le sembrò più bello che mai, alto, attraente con quegli occhi azzurri così dolci e sensuali. Ballarono tutta notte.

Infine, la ragazza udì di nuovo quella voce femminile.

Catherine…

La udì sussurrare il suo nome, prima di aprire gli occhi.

Era distesa su di un fianco, coperta da delle lenzuola calde e morbidissime. Per un attimo ebbe la sensazione di trovarsi di nuovo a casa, nel suo letto, ma presto si rese conto che non era così. Era in una stanza che non aveva mai visto prima. Vedeva tutto appannato; si stropicciò gli occhi con le mani.

Alla fine, riuscì a mettere a fuoco. Si trovava in una stanza molto grande, distesa su di un morbido letto a baldacchino con le tende rosso fuoco e le lenzuola bianchissime. Era poco arredata, l’unica traccia di mobilio era costituita dal letto, un comodino, un grande tappeto persiano steso sul pavimento e un caminetto acceso in cui il fuoco scoppiettava allegramente, riscaldando l’ambiente.

Catherine si beò per un attimo del calduccio, fino a che, voltandosi, scorse una figura incappucciata seduta a pochi metri da lei.

Sobbalzò per lo spavento, tirandosi istintivamente le coperte fin sul naso.

- Ah, ti sei svegliata, finalmente…- fece il padrone con aria noncurante.

Catherine notò che indossava ancora il solito mantello nero e aveva il cappuccio sollevato, ma in modo che si potesse vedere il volto mostruoso. La ragazza abbassò lentamente le coperte, rimanendo però sulla difensiva.

- Come ti senti?- il tono era brusco, ma gentile.

Catherine non rispose, continuando a fissare diffidente il volto bestiale del padrone.

- Allora? Quei tagliagole ti hanno mozzato la lingua, per caso?- incalzò il padrone, già vagamente innervosito.

- Dove mi trovo?- trovò il coraggio di chiedere bruscamente Catherine, non avendo mai visto quella stanza prima di allora.

- Proprio nello stesso posto in cui ti trovavi prima di fare quella stupidaggine - ironizzò il mostro, con un ghigno che scoprì i denti aguzzi. Catherine distolse in fretta lo sguardo, stringendo i denti dalla rabbia.

Rimasero in silenzio per diversi minuti, finché il padrone non si alzò con un sospiro.

- Manderò Constance a cambiarti quelle bende - disse, con voce piatta.

Solo in quel momento, Catherine si rese conto di avere la mano destra fasciata. Si accorse di avere una benda anche intorno alla caviglia. Non indossava più i suoi abiti stracciati, ma una camicia da notte in seta bianca lunga fino ai piedi e con le spalline sottili che le lasciavano le braccia nude.

Il padrone si avvicinò al caminetto, gettandovi dentro due o tre ceppi di legna.

- Siete stato voi a salvarmi, ieri notte?- chiese infine Catherine.

- Sì, anche se avrei volentieri preferito lasciarti in mano a quei due - ringhiò il mostro.- Mi pareva di averti detto di non farmi scherzi, o sbaglio?- sibilò.

Sollevò improvvisamente una mano artigliata come per colpirla; Catherine alzò un braccio per difendersi, ritraendosi di scatto, ma alla fine il padrone non fece nulla. Riabbassò la mano, molto lentamente, senza smettere di fissarla.

- Prova a scappare un’altra volta e sei morta - sussurrò, minaccioso.

Catherine non rispose, ma si tirò le coperte ancora più addosso, rannicchiandosi sul materasso.

Non parlarono ancora per diverso tempo. Catherine continuava a sbirciare furtiva nella direzione del padrone. Teneva lo sguardo fisso sul pavimento, rabbioso, quasi rifiutandosi di guardarla. La ragazza ne scrutò attentamente il volto mostruoso. Cielo, ma come aveva potuto una creatura così orribile venire al mondo? Non era un uomo, ma nemmeno una bestia. Era l’uno e l’altro, un ibrido mostruoso, un orrendo scherzo della natura.

D’un tratto, quasi senza volerlo, Catherine allungò meccanicamente il braccio in direzione del padrone, scostandogli velocemente il cappuccio. Lui se lo rimise in una frazione di secondo.

- Ma è un vizio di famiglia, allora!- ruggì sommessamente.

- Scusatemi - si affrettò a dire Catherine, sicura di averlo fatto imbestialire ancora.

- Senti, ragazza, stai mettendo a dura prova la mia pazienza! Mi pareva di aver messo in chiaro che non devi toccare né me né tantomeno quello che indosso!

- Vi ho già visto in faccia, intanto, so come siete, che senso avrebbe nascondersi ancora?- ribatté Catherine, sporgendosi verso di lui.

- Ma senti! Sei proprio come tuo padre, fai i suoi stessi ragionamenti idioti! A te piace vedermi in faccia? Bene, allora io sono curioso di vedere te senza più neanche un capello in testa!- e le afferrò la chioma corvina alla radice, scuotendola con forza. Catherine gridò di dolore, ma lui la lasciò subito, tornando a sedersi.

La ragazza non disse più nulla, ma continuò ad osservare di sottecchi il volto di quel mostro, rabbiosa.

- Allora?- fece il padrone dopo qualche istante, di nuovo calmo.- Come ti senti?

- Non bene - bofonchiò Catherine, rifiutandosi di guardarlo negli occhi.

- Che cos’hai?

- Niente che v’interessi.

- E finiscila di fare la sostenuta! Dov’è che ti fa male?

- V’importa qualcosa?- sbottò Catherine.- Cosa ve ne importa? Avete paura che non possa più lavorare? Beh, in tal caso, qual è il problema, potete sempre ammazzarmi, no?

- Non usare quel tono con me, ragazza!

- Io ho un nome!- strillò Catherine, infuriata.- Mi chiamo Catherine Kingston, sono la figlia del mercante Kingston, e fareste bene a ricordarvelo!

- Zitta! Ti ordino di stare zitta!- il mostro scattò in piedi.

- L’unico modo che avrete per farmi tacere sarà chiudermi la bocca per sempre!

- Tu, ragazza…

- Catherine! Ho detto che mi chiamo Catherine!- gridò lei, fuori di sé.

Il padrone non rispose, ma sospirò innervosito, borbottando qualcosa di incomprensibile.

Alla fine, si alzò di nuovo, fece il giro del letto e afferrò le lenzuola, scaraventandole in fondo al materasso. Catherine si ritrasse di scatto, rannicchiandosi su se stessa.

- Cosa avete intenzione di fare?- chiese, quasi istericamente, stringendosi le gambe al petto.

- Niente di quello che stai pensando, mocciosa - la liquidò il padrone, con un gesto infastidito.- Alzati in piedi.

- Perché?- fece Catherine, diffidente.

- Hai preso una storta alla caviglia. Voglio vedere se riesci a camminare.

Catherine rimase un attimo immobile, indecisa sul da farsi. Alla fine, lentamente, si mise seduta sul bordo del letto. Provò a posare il piede a terra, ma la pressione sulla caviglia le fece male. Con una smorfia di dolore, si aggrappò al materasso, posando a terra il piede sinistro. Afferrò la testiera del letto, cercando di rimettersi in piedi in modo che il peso del suo corpo non gravasse troppo sulla caviglia dolorante, ma fu tutto inutile. Si rimise seduta strizzando gli occhi e serrando le mascelle per il dolore.

- Aspetta, ti aiuto - disse inaspettatamente il padrone.

Le tese una mano artigliata; Catherine la fissò per un momento, indecisa se accettare il suo aiuto o meno. Si trattava di abbassarsi a chiedere sostegno all’uomo che l’aveva imprigionata e schiavizzata, senza contare che quella mano bestiale le faceva un certo ribrezzo. Ma, dopotutto, ricordò improvvisamente, lui l’aveva salvata e, in un modo o nell’altro, doveva pur riuscire a rimettersi in piedi.

Prese titubante la mano del padrone, il quale serrò le dita intorno alla sua. Le passò l’altra mano intorno alla vita; Catherine rabbrividì un po’ a quel contatto, mentre il padrone la sollevava dal materasso, facendola mettere in piedi. Si ritrovarono l’una vicinissima all’altro e impossibilitata a staccarsi da lui, se non voleva finire lunga distesa per terra. Era parecchio più alto di lei, ma abbassò il volto mostruoso in modo da fissarla dritta negli occhi. Catherine si trovava estremamente a disagio, con il proprio viso a pochi centimetri da quello bestiale del padrone, con i suoi occhi puntati dritti in quelli glaciali e penetranti di lui.

- Appoggiati a me - le disse, anche stavolta inaspettatamente.

- Cosa?- fece Catherine, stralunata.

- Sappi che non sei una piuma, Catherine Kingston. E’ troppo chiedere un po’ di collaborazione da parte tua o sarò costretto a tenerti sollevata di peso per tutto il tempo?

Catherine esitò ancora un momento, quindi appoggiò le proprie mani sulle spalle del padrone, il quale la tenne saldamente per la vita.

- Prova a camminare, ora.

La ragazza posò cautamente la caviglia malandata sul pavimento, muovendo un piccolo passo. Ma il dolore fu ancora troppo forte, e la costrinse a piegarsi sulle ginocchia, rischiando di farle perdere l’equilibrio. Catherine si aggrappò disperatamente alle spalle del padrone, che le cinse i fianchi con le braccia e la strinse a sé per impedirle di cadere.

Catherine si ritrovò con il proprio petto premuto contro quello del mostro; emise un gemito di dolore.

- E va bene, ho capito - fece il padrone, aiutandola a rimettersi seduta sul materasso.- Tu per oggi non lavori. Riprenderai quando ti sentirai un po’ meglio.

Catherine inspirò brevemente, scostandosi una ciocca di capelli dagli occhi e guardandolo di sottecchi, sorpresa.

- Che hai da guardare? Mi sembra di aver messo in chiaro che non mi piace essere fissato! Forza, rimettiti a letto!- le intimò, bruscamente, anche se non le sembrava che fosse più tanto innervosito.

Catherine si distese sul materasso obbediente; il padrone afferrò le lenzuola e le sistemò sul corpo della ragazza, velocemente, con poca cura, quasi come avesse una gran fretta. Catherine si strinse nelle spalle, colpita da quel gesto brusco ma gentile; probabilmente intendeva rimboccarle le coperte, pensò, e, anche se non ci era riuscito molto bene, era stato cortese, da parte sua.

Il padrone si avviò velocemente in direzione della porta.

- Tra un paio d’ore verrà Constance a cambiarti le bende. Tu cerca di dormire un po’- disse, senza che la sua voce lasciasse trasparire alcuna emozione. Detto questo, uscì velocemente dalla stanza.

 

***

 

Constance entrò nella stanza spalancando la porta frettolosamente, con la sua solita aria affaccendata, seguita da Peter che le trotterellava alle spalle reggendo alcune bende in mano. Catherine si sollevò a sedere sul letto; non aveva dormito, come le aveva ordinato il padrone, ma era rimasta tutto il tempo distesa sul materasso a pancia all’aria, pensando a tutto e a niente.

- Ciao, Cathy!- salutò allegramente Peter.

- Ciao, Peter…

- Allora, come ti senti? Ma che ti è successo? Il padrone non ci ha voluto dire niente…

Constace scostò le coperte con fare sbrigativo, sollevando Catherine da sotto le ascelle in modo da farla mettere seduta.

- Peter, sta’ zitto e passami quei panni!- ordinò al figlio, esaminando accuratamente prima la mano poi la caviglia della ragazza.

- Constance - fece Catherine.- Constance, ma che…

- Ci hai fatto prendere un bello spavento, lo sai?- disse la donna, incrociando le braccia al petto e guardandola severa.- Si può sapere che diavolo ti è venuto in mente? Cosa credevi di fare?

- Volevo scappare…- ammise Catherine, un po’ vergognosa.- Beh, ci ho provato, almeno…

- Sì, come no! Scappare!- Constance la guardò con aria beffarda.- Scappare, dici? A notte fonda, nel bel mezzo di una foresta? Di’ un po’, ma lo sai che è pieno di lupi, lì dentro? Sei stata fortunata, ragazza mia. Per non parlare dei briganti…lo sai che il bosco pullula di banditi?

- Eccome se lo so…- bofonchiò Catherine, gettando un’occhiata truce alla propria caviglia.

Constance cominciò a srotolare la benda che fasciava la mano della ragazza.

- Sì, sei stata decisamente fortunata…Meno male che il padrone è intervenuto in tempo…

- Eri svenuta, lui ti teneva in braccio quando ti ha riportata qui - aggiunse Peter.- Ha ordinato di sistemarti in questa stanza…

- Come ha fatto a sapere dov’ero? Gliel’avete detto voi, per caso?- domandò Catherine.

- No - disse Constance, prendendo a fasciarle la mano con tanta forza da farle male.- Noi non c’entriamo niente, e nemmeno Ernest. Evidentemente il padrone ti stava osservando…

- Osservando?

- Quante volte te lo devo dire?! Lui sa sempre dove sei e quello che fai, nessuno sa come, ma è così.

Catherine non rispose, e attese che Constance finisse di cambiarle le bende.

- Quindi, deduco che tentare nuovamente la fuga sarebbe inutile…- bofonchiò alla fine, quasi parlando a sé stessa.

- Fossi in te, non ci riproverei - disse Peter, guardandola preoccupato.- Il padrone era così arrabbiato…per un attimo ho temuto che volesse ucciderti…

- Sì, ho avuto anch’io quest’impressione…- disse Catherine, rammentando le minacce.

Constance finì di fasciarle la caviglia, per poi sfregarsi le mani, soddisfatta.

- Ecco qui. E ora…Peter, hai portato il vestito?

- Vestito?- fece eco Catherine, mentre Constance prendeva dalle mani del ragazzino un abito di seta rosso e lo stendeva sul letto, lisciandone accuratamente le pieghe.

- Che significa?- domandò Catherine, senza smettere di fissare l’abito.

- E’ per stasera. Il padrone non te l’ha detto?

- Detto cosa?

- Vuole che ceni con lui, stasera.

Catherine strabuzzò gli occhi, incredula; per un attimo, credette che Constance la stesse prendendo in giro.

- Come…come sarebbe a dire?

- Sarebbe a dire esattamente quello che ho detto. Anche se non riesco proprio a capire il motivo di questa pretesa…

Catherine non riusciva a crederci; eppure Constance era seria. Ma non aveva alcuna logica: lei era una prigioniera, faceva la serva in quel maniero, per di più aveva appena tentato una fuga facendo infuriare il padrone di casa…non era possibile che lui ora volesse cenare con lei. Non aveva alcun senso!

- Credimi, Cathy, siamo sorpresi anche noi…- mormorò Peter.- Io vivo qui da quando sono nato, e ancora non riesco ad abituarmi alle stranezze del padrone…

- Io non cenerò con lui - dichiarò fermamente Catherine.

Che diamine, conservava pur sempre una propria dignità! Quel mostro l’aveva imprigionata e ridotta alla stregua della peggiore delle sguattere, e ora pretendeva anche che lei si piegasse a quelle che erano le sue mattane? Ma neanche per sogno!

- Non sfidarlo, Catherine - disse Constance. Santo cielo, sarà stata la milionesima volta che glielo ripeteva! Ma lei ora voleva sfidarlo, eccome.

- Perché dovrei accettare?- disse.- Dopo tutto quello che mi ha fatto, ora pretende anche che…

- In effetti, questa è una stranezza bella grossa, mamma - bisbigliò Peter.

- Lui è il padrone, e può permettersi di essere strano quanto vuole - dichiarò Constance.

- Ma non con me!- sbottò Catherine.- Non con me! Io non ho nessuna intenzione di sottostare ai suoi capricci!

- Sul serio, Catherine, non rifiutare - disse Constance, quasi implorandola.- Il padrone è stato fin troppo buono con te. Credimi. Se fosse stato chiunque altro di noi a tentare la fuga, lo avrebbe ucciso senza pensarci due volte. Ma invece, lui ha preferito salvarti la vita. Sarebbe il minimo accettare, se non per non farlo infuriare, almeno per ringraziarlo, non credi?

Catherine sbuffò, incrociando le braccia al petto.

- Ci penserò…- bofonchiò alla fine.

- Brava - mormorò Constance, abbozzando un sorriso.

Catherine non guardò, ma sentì madre e figlio uscire dalla stanza e chiudersi la porta alle spalle. Gettò un’occhiata all’abito scarlatto. Lo prese e se lo rigirò fra le mani, non sapendo proprio più che pensare.

 

***

 

Constance si ripresentò all’ora di cena, con l’intento di chiedere a Catherine se avesse deciso cosa fare o no. Ma non le pose nemmeno la domanda, non appena vide che la ragazza aveva indossato l’abito che il padrone le aveva preparato.

Alla fine, Catherine, seppur di malavoglia, si era decisa ad andare; anche se si rifiutava di ammetterlo, l’eventualità di far arrabbiare il padrone di casa la terrorizzava. Aveva indossato quell’abito scarlatto bordato d’oro che si allacciava intorno al collo, lasciandole le spalle scoperte. Aveva acconciato i capelli in uno chignon che le lasciava ricadere disordinatamente alcuni fili corvini sul collo e le orecchie e indossato le scarpette che Constance le aveva portato insieme al vestito. Si era preparata di tutto punto, ma era ben decisa a condurre le cose a modo suo. Avrebbe cenato con il padrone, ma per nessuna ragione al mondo si sarebbe mostrata gentile con lui. Il suo obiettivo era iniziare quella cena e terminarla il prima possibile senza incidenti.

Mai avrebbe stabilito un rapporto con quel mostro che le aveva rovinato la vita.

Tese una mano a Constance, perché l’aiutasse ad alzarsi. La caviglia continuava a farle un gran male, e Constance fu costretta a sostenerla per un braccio, mentre Catherine saltellava su una gamba sola, sentendosi infinitamente ridicola.

Ernest e Peter le stavano aspettando fuori dalla porta. Il ragazzino la guardò ammirato.

- Stai benissimo!- esclamò.

- Tu, a cuccia!- lo ammonì Constance.

Catherine rise; anche Ernest si aprì in un sorriso.

- Sei davvero molto elegante, Natalie - disse.

- Natalie?

Ancora quella Natalie, pensò Catherine.

- Cioè, volevo dire, Catherine…scusa…- mormorò Ernest, imbarazzato.

Constance proseguì, tirandosi dietro Catherine saltellante.

Raggiunsero la sala da pranzo; era tutto pronto, la tavola apparecchiata e il caminetto acceso, ma del padrone nessun traccia. Constance l’aiutò a sedersi, a sinistra del posto a capotavola. Catherine la guardò con aria preoccupata.

- Sta’ tranquilla. Andrà tutto bene - la rassicurò la donna.- Ora io devo andare…

Constance sgusciò via dalla stanza, lasciando Catherine sola.

La sua situazione era davvero assurda, pensò la ragazza. Se anche avesse voluto andarsene, la sua caviglia gliel’avrebbe impedito. Avrebbero potuto farle qualsiasi cosa, e lei non avrebbe potuto ribellarsi.

Sentì dei passi rimbombare in lontananza sulle piastrelle del pavimento, per poi farsi sempre più vicini. Catherine trattenne il fiato, quando la porta si spalancò lasciando entrare il padrone nella stanza. Indossava il solito mantello nero, ma il cappuccio era abbassato, lasciando vedere per intero il volto mostruoso il cui pelo e orecchie lupesche si confondevano con la pelle e i capelli umani.

Anche le mani erano priva di guanti, e gli artigli parvero a Catherine più lunghi e affilati che mai.

Il padrone non si degnò di salutarla, prendendo posto a capotavola, quasi come se lei non ci fosse. Catherine abbassò lo sguardo sul piatto vuoto, impaurita e imbarazzata insieme. Alla fine, lui si decise a parlare:

- Vedo che il vestito ti sta a pennello.

- Già. Grazie.

E silenzio.

La porta si aprì nuovamente, e Constance, Peter ed Ernest entrarono, ponendo frettolosamente le pietanze sul tavolo; Catherine provò a cercare lo sguardo di Peter che le stava versando dell’acqua nel bicchiere, ma il ragazzino teneva gli occhi bassi.

Uscirono, lasciando il padrone e Catherine di nuovo soli. La ragazza fissò quello che aveva nel piatto: pollo arrosto con contorno di patate e insalata.

- Mangia - ordinò il padrone, con uno sguardo che non ammetteva repliche.

- E voi?- fece Catherine, spaurita, e la voce le uscì stranamente flebile.

- Ti ho detto di mangiare. Non discutere.

Catherine prese titubante forchetta e coltello, e tagliò un piccolo pezzo di pollo. Solo quando se lo fu portato alla bocca ed ebbe iniziato a masticarlo, il padrone afferrò una coscia del proprio pollo arrosto con le mani artigliate, iniziando a divorarla con i denti aguzzi.

Catherine cercò di non farci caso, e ingoiò quello che aveva in bocca. Il padrone non s’ingozzava come un animale; pareva piuttosto uno di quei poveracci che si vedevano nelle bettole, quegli uomini che azzannano il cibo con le mani perché non si ricordavano più come si stava a tavola civilmente…perché erano stati soli troppo a lungo.

- La caviglia ti fa ancora male?- domandò il padrone all’improvviso, posando la coscia di pollo, facendola sobbalzare.

- Sì.

- E chi ti ha portata qui?

- Constance.

Il padrone afferrò la bottiglia di vino; fece per berne un sorso a canna, ma si bloccò, scoccando un’occhiata accigliata a Catherine. Le versò del vino nel bicchiere.

- Grazie.

Il padrone non rispose, versandosene a sua volta.

Catherine riprese a mangiare, lanciando di tanto in tanto delle occhiate di sottecchi al padrone. Il suo volto bestiale ne nascondeva parecchio l’età, ma Catherine si accorse che non era poi tanto vecchio, avrà avuto poco meno di trent’anni.

Il padrone continuò a mangiare in silenzio ancora per un po’, quindi si decise a parlare di nuovo:

- Hai detto di chiamarti Catherine Kingston, vero?

- Sì.

- E quanti anni hai?

- Diciotto.

- Ah, già, tuo padre l’aveva detto…

Catherine non rispose, continuando a mangiare, ma ogni boccone che mandava giù le pareva di volta in volta sempre più duro da inghiottire.

- Come ti trovi in quella stanza?- domandò il padrone.

- E’ molto comoda - rispose Catherine, cauta.

- Hai dormito bene?

- Abbastanza.

- D’ora in avanti quella sarà la tua camera.

Alla ragazza per poco non andò di traverso; riuscì a trangugiare un sorso d’acqua prima di mettersi convulsivamente a tossire.

- Che avete detto?- boccheggiò.

- Hai sentito benissimo, e a me non piace ripetermi - ringhiò il padrone, visibilmente innervosito.

- Ma perché?

- Perché l’ho detto io - il padrone la guardò negli occhi, scoprendo appena i denti aguzzi.

L’idea di avere una stanza per sé, comoda e calda, l’allettava non poco, ma Catherine si era ripromessa di non soccombere passivamente alle prepotenze del padrone. Era evidente che si trattava di un uomo – o piuttosto un essere… – abituato a spadroneggiare senza che nessuno lo contrastasse. Si fece coraggio e gli pose la domanda a cui aveva cercato invano di trovare una risposta.

- Perché avete voluto che cenassi con voi?

Lui la guardò infastidito.

- Ho bisogno di un motivo, forse?- sibilò.

- Pensavo che voleste qualcosa da me.

- Tu devi solo ubbidire a quello che ti dico, niente di più.

- Potevate anche chiedermi se ero d’accordo!- sbottò Catherine.

Il padrone la fissò per un istante, quindi scattò improvvisamente in piedi. La fissò come se volesse ucciderla; Catherine si ritrasse, appiattendosi contro lo schienale della sedia, ma non distolse lo sguardo. Il padrone ghignò.

- Abituatici, perché sarà così tutte le sere.

Si rimise a sedere, sotto lo sguardo stralunato di Catherine. Il padrone notò la sua espressione contrariata, e ghignò nuovamente.

- Che c’è, desideri forse tornare a patire la fame con gli altri domestici?

Catherine sentì montare dentro di sé la rabbia.

- Desidererei solo un po’ di rispetto!- strillò, dimenticando per un momento il suo terrore.

Il padrone non smise di guardarla, stranamente calmo.

- Rispetto?- disse.- Tu pretendi rispetto?

- Pretendo rispetto come lo pretende qualsiasi essere umano!

- Davvero?- disse il padrone.- E cosa vuoi? Non vuoi più lavorare? Non vuoi più stare qui?

- Se anche fosse così, voi siete talmente infame che non me lo concedereste mai!- gridò la ragazza, fuori di sé. - Non avete idea di cosa sia il rispetto, non sapete cosa significa essere al mio posto! Siete solo un mostro!

Il padrone le afferrò un braccio, stringendoglielo fino a farle male.

- Come osi?- sibilò, digrignando i denti.

Catherine si dimenò, cercando di divincolarsi.

- Lasciatemi!- urlò.

- Rimangiati subito quello che hai detto, o ti strappo la lingua!

- No!

- Bada che ti sbatto in cella!

- Non voglio più essere punita!- strillò Catherine.

Il padrone la guardò ancora per un attimo, quindi la lasciò.

- Allora è questo che vuoi…- disse, piano, mentre la ragazza si massaggiava il braccio, con una smorfia di dolore sulle labbra.- Non vuoi più tornare là dentro?

- No.

- E’ per questo che sei scappata, ieri notte?

- Sì, anche per questo…- mormorò Catherine, cercando di ricacciare indietro le lacrime.

- Avevi paura?

- Paura, no. Ma è orrendo lo stesso - mormorò la ragazza, ricordando il freddo della cella, il pagliericcio umido, le scorribande notturne dei topi.

Il padrone ammutolì.

- E va bene, allora - disse infine.- Non ti rinchiuderò più in quel posto.

La ragazza lo guardò, stupita.

- Se davvero è un supplizio così grande, per te, allora non lo farò più - ripeté il padrone.

Riprese a mangiare, in silenzio. Catherine rimase immobile per diversi minuti, fissando le proprie mani. Era sempre più assurdo; anche la mattina, nella stanza, prima le aveva strattonato i capelli, poi si era mostrato gentile. Che poteva pensare? No, non aveva davvero alcun senso.

- Che ti succede, ora?- le chiese il padrone, di nuovo infastidito.

- Niente…- mormorò la ragazza.

- Non ti ho portata qui perché tu faccia la statua di bronzo. Continua a mangiare.

- Non ho più fame.

- Come preferisci - fece spallucce.

Rimasero in silenzio ancora per qualche istante, finché il padrone non parlò di nuovo.

- Quel vestito ti sta molto bene.

- Grazie.

- Ti piace.

- Sì. E’ molto bello.

- Piaceva anche alla ragazza che ho sgozzato prima di te.

Catherine impallidì di colpo, puntando lo sguardo terrorizzato sul padrone. Il mostro ricambiò lo sguardo per qualche istante, quindi scoppiò in una sonora e beffarda risata.

- Che stupida…!- ghignò, scoprendo i denti aguzzi.

La ragazza si sentì avvampare.

Questo era veramente troppo!

Non sarebbe rimasta lì a farsi umiliare. Si alzò di scatto dalla sedia, ben intenzionata ad andarsene, ma la caviglia la tradì nuovamente. Il dolore era sempre acuto, e la ragazza si accasciò con un gemito, finendo inginocchiata sul pavimento.

- Maledizione!- imprecò a mezza voce, mentre lacrime di rabbia cominciavano a salirle agli occhi.

Sentì i passi del padrone che la raggiungevano.

- Ti sei fatta male?- chiese, osservandola dall’alto. Catherine non rispose, cercando di allontanare il dolore alla caviglia.

Il padrone s’inginocchiò accanto a lei.

Le prese una mano.

- Forza, ti aiuto ad alzarti.

- Non ho chiesto il vostro aiuto!- ringhiò Catherine.

- Ma ne hai bisogno.

Era vero, aveva ragione. Catherine rimase immobile, mentre il padrone le passava una mano artigliata intorno alla vita. La sollevò in braccio, portandola fuori dalla sala da pranzo. Catherine si lasciò trasportare, senza muoversi e senza guardarlo in faccia.

Entrò nella stanza in cui aveva dormito la notte precedente, e la depose delicatamente sul letto.

Catherine si abbracciò le ginocchia, raggomitolandosi su se stessa. Gettò un’occhiata al caminetto acceso; il fuoco scoppiettava caldo e allegro, e dei ceppi di legna erano posti accanto al muro.

- Che cosa guardi?- domandò il padrone.

Catherine spostò lo sguardo sul suo volto bestiale.

- Potreste dare quella legna agli altri domestici?- chiese, indicando i ceppi.- Fa freddo, nel dormitorio…

- Quella legna è tua - sospirò il padrone.- Ma sarai accontentata. Domattina ne darò un po’ anche a loro.

- Grazie.

Catherine tornò a fissare il caminetto; il padrone fece per uscire, ma si bloccò.

- Ascolta…mi dispiace, per prima - mormorò.- Era uno scherzo di cattivo gusto, me ne rendo conto. E’ solo che…credo di essermi dimenticato come si sta con le altre persone…

La ragazza non rispose, continuando a fissare il fuoco.

- Io non voglio esserti nemico, Catherine. E vorrei che fosse lo stesso anche per te.

Catherine non disse nulla; sentì il padrone uscire dalla sua stanza e chiudere la porta, quindi i suoi passi allontanarsi velocemente lungo il corridoio, fino a scomparire.

 

Angolo Autrice: Va bene, lo so, questo capitolo è di una noia mortale, ma non sono molto brava a descrivere innamoramenti e cose del genere…cercherò comunque di migliorare.

Nel prossimo capitolo continueremo a vedere come si evolverà il rapporto fra Catherine e il padrone di casa. Per Lord William e i suoi piani, dovrete aspettare ancora un pochino, ma non tarderà ad arrivare anche il suo turno. E nel frattempo…che altro combina Lady Julia?

Lo scopriremo nel prossimo capitolo!

Ringrazio tutti coloro che leggono, in particolare missballerinafb ed Ellyra per aver recensito.

Grazie a tutti, al prossimo capitolo. Ciao!

Bacio,

Dora93

  
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