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Autore: sayuri_88    14/05/2012    5 recensioni
Se su una spiaggia mentre osservi il tramonto facessi un incontro speciale?
Ho pensato a come deve essere passare le vacanze estive per una persona che non può, per cause di forza maggiore, passare una giornata sotto il sole come fanno tutti ed è uscito questo...spero vi piaccia^^
Dal capitolo:
Sognavo che un giorno avrei potuto correre sotto il sole, andare alla spiaggia a nuotare e poi asciugarmi sulla sabbia, pranzare in un parco mentre i raggi del sole sfioravano la mia pelle come delle carezze. Un sole che mi era amico insomma. Ma la realtà era ben diversa.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Eccomi qui! Sarò breve, visto che vi ho già fatto aspettare tanto: ringrazio le ragazze che hanno messo tra le seguite preferite e ricordate la storia ma soprattutto quelle che hanno recensito lo scorso capitolo. Grazie 1000!!!
E' stato un parto questo capitolo, il tempo era poco e quando riuscivo a ritagliare un pò di tempo per scrivere, l'ispirazione andava a arsi un giretto e quello che scrivevo mi faceva schifo, forse è anche il periodo- sono un pò giù - e così riscrivevo tutto.
Le recensioni sono diminuite: poco tempo o vi sto annoiando?
Se volete contattarmi vi ricordo la mia pagina 
FB dove sono sempre a vostra disposizione.  

p.s: ho scritto una nuova storia "La musica nel cuore" finita se volete farci uns alto siete ben accette!!! Ecco un piccolo spoiler:

« Senta… » iniziai raccogliendo tutto il coraggio « io avrei un paio di gruppi che vorrei davvero lei sentisse » ma mi bloccai quando vidi il suo sguardo esasperato mentre poggiava la tazza di caffè sul tavolo di vetro. Il rintocco che ne seguì risuonò come una marcia funebre nella mia mente.
« Ho i postumi della sbornia, sette linee telefoniche che suonano e una ragazza che non capisce che è stata solo una questione di una notte… »
«Ho afferrato il concetto » lo interruppi incassando il colpo e dandogli le spalle feci per uscire dalla stanza.
« Swan, » mi richiamò e io mi voltai speranzosa. 
Il mio capo mi squadrò da capo a piedi prima di dire « sei carina » commentò facendomi arrossire, tanto da assomigliare a un peperone, a causa del complimento inatteso e soprattutto per l’inopportunità della cosa. « Slacciati un bottone e ti faccio partecipare alla scelta mattutina dei nomi ».
Lo guardai come se fosse pazzo e sperai con tutta me stessa di aver capito male.
« Un bottone e una canzone » ripeté confermando che avevo capito bene la sua richiesta.





 




 

 

... Verità ...



 

— … Per questo dichiariamo gli imputati colpevoli — quelle parole ebbero l’effetto di farmi scoppiare il cuore di gioia. Avevo passato un’ora in piena crisi, con i miei famigliari, mentre aspettavamo il verdetto. Ci siamo riusciti, pensai appena il giudice lesse la sentenza ma ancora non potevo crederci. Forse avevo capito male, forse avevo proiettato i miei desideri sulla realtà ma la reazione delle persone a me vicine mi suggeriva che no, c’eravamo riusciti.
— Ce l’abbiamo fatta! — esultò la voce di Reneé e subito dopo sentì le sue esili braccia cingermi in un abbraccio liberatore e pieno di calore.
— Già non posso crederci — dissi ricambiando con meno foga il suo abbraccio. Troppo era ancora lo stupore.
— Tesoro, un po' più di entusiasmo — esclamò gioiosa, allontanandosi per guardarmi.
— È che ancora non riesco a crederci — mormorai. Pensavo che anche quella volta avrebbero trovato una scorciatoia, un modo per farla franca ma non era successo.
Quando finalmente realizzai che Gabe e Fred avrebbero pagato per le loro azioni sul mio viso spuntò un sorriso che andava da un orecchio all’altro e quando anche papà venne ad abbracciarmi lo ricambia con calore.
L’incubo era finito.
Mentre noi uscivamo dalla sala del processo dalla porta principale, Fred e Gabe venivano portati fuori, in manette, dalla porta laterale sotto la sorveglianza di due agenti sotto lo sguardo allibito dei loro genitori.
 
Come aveva detto Edward la sera dell’aggressione, giovedì non ebbi il tempo per sentirlo. Mamma si era presa tutta la settimana per poter passare  più il tempo possibile con me e mi aveva praticamente fatto il terzo grado su quello che era successo a Forks: gli amici, il tempo,… tutto quello che non mi aveva chiesto mercoledì per via del processo e della tensione me lo chiese in quelle ventiquattro ore che si rivelarono molo intense ma tutto sommato furono piacevoli. Ci eravamo sentite solo per mail e brevi chiamate telefoniche e le cose da raccontarci erano molte.
Nel pomeriggio mi raggiunse anche Claudia che libera dalla scuola lo passò tutto con me e fu bello poterla rivedere e parlarci. Si fermò anche a cena e se ne andò solo alle dieci di sera e stanca com’ero, ebbi solo la forza di chiudere le tende e poi crollare sul letto ma la mia mente era così piena di Edward che lo sognai rendendo il mio risveglio dolce e amaro.
 
— Prenoto subito al Ritz. Questa vittoria deve essere festeggiata al meglio.
Eravamo usciti dal tribunale ed io avevo alzato il cappuccio per coprirmi meglio che potevo e camminavo lungo la zona d’ombra degli alberi che costeggiavano l’ingresso del tribunale mentre poco più avanti la mia famiglia parlava animatamente.
Faceva caldo, molto caldo, mi ero così abituata all’umidità e alle temperature polari di Forks che quel caldo mi stava dando alla testa, mi dava quasi fastidio, volevo solo tornare a casa e stare davanti all’aria condizionata.
— Phyl, non è necessario — tentai di dire. Lui si girò guardandomi come se avesse detto la peggiore delle bestemmie.
— Ma cosa dici! Certo che è necessario, non preoccuparti dei soldi — per lui era quello il problema poiché avevo sempre protestato quando spendevano tanti soldi per me, ma in quel momento non era quello il problema. Volevo avere la serata libera per vedere Edward e stare con lui. Forse era egoistico da parte mia voler passare del tempo con lui, e non con i miei famigliari che avevano sofferto con me per tutto quel tempo, ma la mia era una necessità viscerale.
— So che non ami le feste, questo lo hai preso da me — mi disse con un’occhiata divertita cui risposi con un sorriso complice — ma per questa volta puoi fare uno strappo.
E accettai con un sospiro rassegnato.
Stavo camminando a fianco di Reneè quando una macchina dai vetri oscurati attirò la mia attenzione. Una Mercedes, una delle ultime uscite nel mercato, dai vetri oscurati e perfettamente tirata a lucido era parcheggiata all’ombra di una grande palma. Il finestrino del passeggero si abbassò lentamente fino a fermarsi più o meno a metà e rimasi stupita di vedere chi fosse al suo interno. Alice con il capo coperto da un foulard colorato e con indosso un paio di occhiali da sole, che la facevano sembrare una grande mosca, mi salutava con la mano inguantata ma la persona che attirò la mia attenzione più della mia amica fu Edward che con un cenno del capo mi salutò. Era chinato leggermente in avanti, una mano poggiata sul volante mi guardava con un sorriso rilassato e felice. Felice come lo ero io, loro erano lì con me, per me, per sostenermi, certamente c’era anche Jasper che forse era seduto nei posti posteriori della macchina e nascosto dal vetro oscurato.
— Bella, andiamo! — mi richiamò Reneè che si era avvicinata alla macchina.
Un ultimo sguardo alla macchina, i vetri erano stati rialzati, e raggiunsi i miei genitori.
 
— Allora Bella che farai? Tornerai a Jacksonville? — così esordì Phyl appena il cameriere portò via il mio piatto ancora mezzo pieno di carne e verdure grigliate. Stavo bevendo un sorso d’acqua e quella mi andò di traverso per la domanda inattesa.
— C… cosa? — anche Charlie aveva avuto la mia stessa reazione.
— Beh… ora che non ci sono più difficoltà — giustificò la sua domanda con una scrollata di spalle.
— Bella non avrebbe una vita tranquilla. Qui tutti parleranno del processo, le famiglie di quei due ragazzi sono influenti e non si arrenderanno — protestò mio padre ed io non potevo dargli torto. Avevamo vinto il ricorso ma quella era gente che non si arrendeva al primo ostacolo.
Si accese una discussione tra i tre adulti e la cosa fastidiosa era che nessuno stava chiedendo il mio parere.
Se me lo avessero chiesto un mese fa avrei detto sì. Il sole, il tramonto, il mare,… ma a Forks avevo ricostruito una vita tranquilla e mi ero fatta molti amici e soprattutto non ero nel mirino di nessuno. Ma più di tutto avevo ritrovato qualcuno, la prima persona che fuori dal mio nucleo familiare mi aveva guardato come una persona normale e che non aveva fatto della mia malattia il principale argomento di discussione.
— Non voglio tornare — intervenni nella discussione e azzittendo i miei genitori e il mio patrigno. Charlie mi sorrideva raggiante, Phyl semplicemente alternava lo sguardo tra me e sua moglie la quale mi guardava con la bocca semiaperta egli occhi velati da cosi tanti sentimenti negativi, che mi fecero sentire in colpa. Dolore, tristezza, rabbia e tante accuse.
— Scusate — mormorò alzandosi dal tavolo con un sorriso mesto e uscì sul terrazzo che costeggiava il lato lungo della sala rivolto verso il mare.
— Scusatemi — dissi, poggiando il tovagliolo sul tavolo, e la seguì. Appena uscita il vento caldo che veniva dal mare mi fece riempire la pelle di brividi per il contrasto con la frescura dell’interno. Feci vagare lo sguardo fino a che non la vidi.
Si era appoggiata alla balaustra e guardava dinnanzi a se. Pareva non essersi accorta di me. Ad un certo punto il silenzio fu rotto da un singhiozzo.
— Mamma?
Reneè parve destarsi da un sonno e si affrettò ad asciugarsi le guance.
— Solo un momento,tesoro.
— Mamma, credi davvero che nonvoglia tornare qui? Mi manchi tantissimo e anche Jacksonville mi manca.
— Allora perché non torni? — mi chiese voltandosi verso di me.
Gli occhi lucidi e imploranti. Era straziante guardarla. Volevo abbracciarla e dirle che sarei rimasta, che non l'avrei abbandonata. Ma questi mesi a Forks mi avevano cambiato.
— Perché sono sempre stata in qualche modo dipesa da te e tu eri in qualche modo felice di ciò — confessai con tono comprensivo. — Non te ne faccio una colpa, una parte di me era felice che ti preoccupassi tanto per me ma dopo quello che è successo molte cose sono cambiate. A Forks ho iniziato una nuova vita, sto bene, come non lo sono mai stata qui. Certo il freddo e l’umido sono stati difficili da accettare — sdrammatizzai facendola ridere.
Reneè sospirò e si accomodò su una panchina invitandomi a imitarla. Mi sedetti e lei prese le mie mani nelle sue e le strinse.
—Prenderti cura di te mi faceva sentire utile, — ammise con un sorriso imbarazzato — sei la mia bambina e volevo difenderti da tutto e tutti.
— Lo so, probabilmente anch’io con mia figlia farò lo stesso, ma arriva un momento in cui dobbiamo lasciare il nido — dissi usando la metafora che Phyl era solito usare quando parlava dell'Università.
— Già, a quanto pare è inevitabile ma ho fatto un buon lavoro, no? — mi chiese con voce roca e trattenendo le lacrime dietro un sospiro profondo.
— Sì, sei stata la miglior mamma del mondo — mormorai con gli occhi lucidi. Reneè mi accarezzò i capelli e poi allargò le braccia in un chiaro invito ad abbracciarla. Io ero quella delle pacche sulla spalla e via, era mamma quella espansiva ma non gli negai quel gesto di affetto e la accontentai e rimanemmo così, strette in un abbraccio pieno di affetto, gioia, tristezza e qualche lacrima da parte di entrambe.
— La mia bambina — mormorò rafforzando la presa su di me prima di lasciarmi libera.
— Ogni volta che avrai bisogno di me, chiamami ed io sarò qui il prima possibile — gli promisi.
Ritornammo al tavolo dopo una veloce tappa bagno. "Mamma deve incipriarsi il naso" si giustificò con un sorriso divertito.
Nessuno disse nulla, a parte Charlie che mi lanciò un’occhiata nervosa, ma si rilassò al mio cenno di rassicurazione.
 
La mattina dopo, io e papà, eravamo all'imbarco per prendere l'aereo che ci avrebbe riportato a casa.
Mi guardavo attorno alla ricerca di una chioma rossiccia o di un folletto esuberante ma non vi era traccia, né dell'uno né dell'altro. Erano già tornati a Forks? Avevano prenotato su un altro aereo?
Con la fine del processo e la fase di festeggiamenti l'episodio dell'aggressione tornò prepotente nella mia mente. L’immagine di Edward, che come un leone a caccia troneggiava sul mio aguzzino, e le sue parole criptiche mi ronzavano nella mente come un immenso sciame di api.
"Nei loro pensieri non c’era traccia... "
Che voleva dire quella frase percepita tra lo stordimento che aveva seguito l'agguato?
"Ma ho visto quello che sarebbe potuto succedere"
E quell’affermazione di Alice?
Edward aveva promesso, una volta a casa mi avrebbe dovuto raccontare tutto.
 
" I passeggeri del volo 337AB... sono pregati di raggiungere il Gate 7 "
La voce metallica arrivò prepotente alle mie orecchie.
Recuperammo i nostri bagagli a mano e ci mettemmo in fila con i biglietti alla mano.
Era sera quando finalmente arrivammo a Forks. Le ore di viaggio iniziarono a pesare come macigni e quando mi sdraiai con l'intenzione di far riposare gli occhi per un paio di minuti, crollai in un sonno profondo da cui mi risvegliai la mattina successiva, quando erano appena passate le undici.
Quel giorno lo iniziai con il sorriso sulle labbra. Potevo dire di aver chiuso in capitolo della mia vita e di averne iniziato uno nuovo. Giustizia era stata fattae potevo lasciarmi alle spalle quel brutto episodio, anche se, a onor del vero, non lo avrei dimenticato del tutto. L'avrei chiuso in un cassetto nella zona più remota della mia mente sperando che non venisse più riaperto.
Cercando di non fare troppo rumore mi avvicinai alla porta di mio padre.
Charlie dormiva ancora ed era strano visto che lo sceriffo era famoso per le sue alzate mattutine,indifferente al fatto che avesse dormito solo per due ore. A quanto pareva, il processo e tutto il resto erano stati una prova molto dura per lui, nonostanteavesse mostrato sempreunatteggiamento calmo e sicurodi se.
Tornai in camera decisa a sfruttare quello che restava della mattina e il più silenziosamente possibile, rimisi a posto gli indumenti che non avevo usato e misi in lavatrice tutto il resto. Recuperai anche la valigia di papà e sistemai anche la sua.Feci partire la macchina e andai in cucina per preparare qualcosa per pranzo. Erano quasi le due del pomeriggio ma visto che non toccavo cibo dalla sera della cena al ristorante, non avrei avuto problemi a divorare un pollo intero e Charlie probabilmente non sarebbe stato da meno. Il padrone di casa scese nel preciso momento in cui l’orologio del forno suonò e le mie previsioni si avverarono. Nemmeno un pezzettino era sopravvissuto al passaggio di mio padre e al mio. Dieci minuti dopo se ne andò per raggiungere l’amico alla riserva per festeggiare con lui la vittoria al processo, cercò di convincere anche me ma per il pomeriggio avevo altri piani.
 
Una volta che tutto ebbi ripulito la cucina, recuperai il cellulare, digitati poche ma decise parole e inviai il messaggio.
Avevo bisogno di risposte e lui me le doveva. Lo aveva promesso ed io dovevo sapere quello che stava succedendo. Aveva paura che lo cacciassi dalla mia vita ma nemmeno scoprire che contrabbandava droga per qualche cartello mi avrebbe spinto fino a tanto.
Era qualcosa d’inconscio ma sapevo di volerlo nella mia vita. Per sempre.
 
Nemmeno cinque minuti che qualcuno bussò alla porta.
— Ciao — lo salutai con un sorriso.
— Ciao — lui sembrava agitato e se prima ero tranquilla, in quel momento iniziai a preoccuparmi. Quello però non m’impedì di perdermi a osservarlo affascinata. Indossava un giaccone grigio lungo fino ai fianchi, sotto un paio di jeans scuri e una camicia azzurro chiaro. Non mi accorsi del tempo che passò, almeno fino a che la sua voce cristallina mi riscosse dal mio torpore.
—Mi fai entrare? — disse tentando il suo sorriso sghembo ma che non ebbe l'effetto delle altre volte.
Arrossì e rapida mi spostai dall'ingresso per lasciarlo passare.
— Sì, scusa. Entra pure.
Fece tre passi verso l'interno e attese fino a che chiusi la porta prima di togliersi il cappottoe appenderlo all'attaccapanni.
— Posso offrirti qualcosa da bere?
La mia richiesta lo fece ridere.
—Dopo ti pentirai di avermelo chiesto — mi spiegò criptico, quando gli domandai il perché, sorridendo a mia volta, ipnotizzata dalle sue movenze. Ero come quelle prede, nei documentari su National Geografic, che ipnotizzate guardavano il serpente senza rendersi conto di guardare in faccia la propria morte.
  — Beh... Il salotto sai dov'è. Io vado un attimo in cucina —dissi riprendendo un po’ di contegno.
Bevvi un bicchiere di acqua nel tentativo di eliminare l'arsura che mi bruciava la gola ed esitai prima di tornare sui miei passi. Poggiai il bicchiere vuoto sul lavandino e con le mani saldamente ancorate al bordo del lavabo piegai la testa in avanti.
Era arrivato il momento ma l'atteggiamento di Edward aveva instillato il me il timore. Forse era meglio lasciar perdere, mi dissi pensando di essere ancora in tempo. Avrei potuto iniziare a parlargli del compito di letteratura o chiedere il suo parere su “ Dracula”.
— Bella?
Il suo richiamo mi ridestò dai miei pensieri e fece riemergere il desiderio di conoscenza. Avevo come la sensazione che da quella rivelazione molte cose sarebbero cambiate
— Arrivo! — esclamai e a passo deciso lo raggiunsi in salotto.
Edward era comodamente seduto sul divano. Un gomito sul bracciolo, nelle mani reggeva il libro di Stoker e lo guardava con un sorriso amaro.
— Eccomi — dissi per palesare la mia presenza. Edward alzò gli occhi e si sistemò meglio sul divano.
— Bene, allora oggi scoprirò il grande mistero — esordì con falso entusiasmo.
— Già ma promettimi una cosa?
— Cosa?
— Promettimi che mi lascerai il tempo di spiegarti per bene tutto. Non voglio che tu abbia paura di me, di noi. Noi non ti faremmo mai del male, così come a nessun altro.
— Edward…
— Prometti, Bella. Tutto sarà più chiaro dopo — m’interruppe. Non sapevo che dire quindi mi limitai ad annuire prima di promettere.
— Bene. Da dove inizio? — mi domandò con un sorriso falsissimo e un nervosismo malamente celato. Non lo avevo mai visto in quello stato.
— Che ne dici dall'inizio? — gli proposi e lui scosse la testa, si girò verso di me e prese la mia mano tra le sue. La strinse con forza, come a cercare l’energia, il coraggio per parlare, ricambiai la stretta e lo guardai negli occhi in cui mi sembrava di leggere speranza.
Sorrisi per incitarlo a continuare.
— Se parto dall'inizio, sarà una cosa lunga. Che dici di farmi le domande che t’interessano ed io risponderò nel modo più esauriente possibile?
— Va bene — dissi stordita dalla sua affermazione. — Allora perché eravate a Jacksonville?
— Sapevamo che saresti andata lì, intendo prima che tu ce lo dicessi.
Si affrettò ad aggiungere quando stavo per dire che era logico visto che li avevo informati io.
— Come?
— Alice.
Ho visto... — mormorai, ricordando alcuni loro frammenti di conversazione. Edward annuì solenne.
— E sapevamo che qualcuno avrebbe tentato di farti del male, Alice l’ha visto chiaramente. E se tutto andrà come spero, dovremmo discutere di alcune cose tu ed io — mi ammonì. Non badai alla sua minaccia, ero troppo sconcertata dalla sua rivelazione.
— Alice vede il futuro? E allora tu sai leggere nel pensiero? — continuai.
— Sì.
Avvampai, non poteva essere vero, era assurdo. Non era umanamente possibile. Forse mi stava leggendo nella mente anche in quel momento e allora sapeva quello che provavo nei suoi confronti e aveva visto tutti i pensieri che avevo fatto su di lui! Ma soprattutto lui aveva ascoltato tutto il mio ragionamento. Il viso però era impassibile.
— Che sto pensando? — chiesi per testarlo. Sorrise e lentamente alzò la mano libera per sfiorarmi la fronte. Mi lascia travolgere dalle miriadi di sensazioni che mi stavano travolgendo. Era incredibile come un gesto come quello, semplice, privo di malizia potesse provocarmi tutte quelle emozioni.
— Tu sembri l'unica immune alla mia capacità.
Sospirai di sollievo, ero salva ma poi un pensiero s’insinuò nella mia mente. Perché io no?
— È per questo che ho impiegato molto per trovarti.
Gli occhi erano una tempesta nera, che mi fecero tremare dalla paura. Edward sembrò accorgersene e i suoi occhi tornarono di quella calda sfumatura dorata di sempre.
— Che cosa ho che non va?
— Come? — chiese lui stupito.
— Che cosa ho che non va e che t’impedisce di leggermi la mente? Sono forse malata? Ho un tumore? Mamma una volta ha visto un film in cui la protagonista aveva un tumore o altro al cervello e questo la proteggeva dai tentativi alieni di controllarle la mente come tutti gli altri.
— Frena, Bella, tu stai bellissimo. Il tuo odore è normale.
— Il mio odore? — chiesi stranita.
— Sì, diciamo che noi abbiamo un ottimo olfatto.
— Noi? Intendi tu, Alice e Jasper? E gli altri che dicono, lo sanno?
— Bella, anche loro sono come me. Siamo tutti uguali — mi rivelò con voce calma e calcolata. Come se temesse di spaventarmi se avesse alzato anche solo d mezzo tono la voce.
— Cosa siete? Tu e Alice avete dei poteri, avete udito e olfatto finissimo per non parlare poi della pelle pallida, gli occhi che cambiano colore, siete freddi e le occhiaie... — a ogni parola Edward si irrigidì sempre di più — Se non fossi certe che non esistono direi che voi siete dei vampiri — dissi con tono scherzoso.
Ma lui non pareva trovarlo divertente perché si limitò a guardarmi serio per poi pronunciare le parole che avrebbero stravolto completamente e irrimediabilmente la mia vita.
— È quello che siamo Bella.
— Cosa? — chiesi come una sciocca.
— Vampiri, siamo vampiri. Tutti da Carlisle a me.
Lo osservavo a bocca aperta, il cuore che batteva all'impazzata e la mia mente che si rifiutava di credere alle sue parole.
Scoppiai a ridere di gusto tanto che gli occhi iniziarono a lacrimare e la pancia iniziò a dolermi.
— Bella? Ti senti bene?
— Vampiri? Davvero voi siete vampiri? Adesso mi dirai che i Quileutte sono davvero dei lupi mannari e che magari ci sono anche tante Buffy in giro per il mondo a cacciare.
— Per i cacciatori non so dirti se esistono ancora, anche se ai tempi di Carlisle sì, o almeno dei fanatici che si ritenevano tali. Per i Quileutte invece è vero ed è per questo che devi stare attenta con loro, qualcuno si è già trasformato.
Mi aspettavo che da un momento all’altro si mettesse a ridere dicendo: "Scherzavo! Dovresti vedere la tua faccia. È impagabile ". Ma non lo fece.
Rimase li, le mani strette alle mie, guardandomi serio. Dannatamente serio.
Vampiri, cacciatori, lupi mannari, erano cose cui non credevo e lui invece mi stava dicendo che sì, esistevano.
— Non è uno scherzo, Bella — e per la prima volta vidi un lampo d’impazienza nei suoi occhi. — È la verità.
Non so per quanto tempo rimasi ferma a guardarlo e nemmeno quando liberai le mie mani dalla stretta in cui erano chiuse, nemmeno mi resi conto del lampo di dolore che attraversò gli occhi del ragazzo.
Le sue parole stavano prendendo sempre più consistenza dentro di me, la mia mente era sopraffatta da quella rivelazione e come a difendersi rifiutava la verità preferendo rimanere entro i confini sicuri del mondo in cui era vissuta fino a quel momento.
Non reagì quando la bocca di Edward iniziò a muoversi emettendo parole silenziose e nemmeno quando con sguardo ferito si alzò e scomparve dalla mia vista a una velocità non umana. Rimasi in quello stato catatonico per un tempo indefinito almeno fino a che non arrivò Charlie.
La mia mente lavorava a briglia sciolta. Non stava mentendo, era tutto vero me lo avevano detto i suoi occhi. Ero amica di una famiglia di vampiri!
— Bells?
Sobbalzai per lo spavento e per una frazione di secondo m’immaginai Rosalie che mi attaccava alle spalle puntando alla mia giugulare. Portai una mano al collo nel vano tentativo di proteggermi.
— Bella? Che hai? Sei bianca come un cadavere?
Bianca come un cadavere, come un vampiro.
— Sto bene — biascicai con voce bassa e tremante. — Non mangio questa sera, non mi sento molto bene.
— Certo, non preoccuparti. C'è del pollo avanzato io mangerò quello. Tu riposati.
Annuì e come un automa mi alzai dal divano e raggiunsi la mia camera, mi sdraiai sul letto e portai all'altezza del viso il libro di Dracula e lo aprì al punto in cui ero arrivata per riprendere la lettura.
È quello che siamo, vampiri.
Quella frase emerse tra le tante che mi offuscavano la mente e ricomincia daccapo, quella volta leggendo con diversi occhi, con la consapevolezza che quello che era scritto rispecchiava la realtà. In quel modo si spiegavano i loro modi delle volte antiquati, il loro atteggiamento più maturo rispetto alla loro apparente età, il loro aspetto… tutto ed io ebbi paura.
 
Quella notte non dormì, lessi per tutto il tempo. Sembrava che Morfeo si fosse dimenticato di me e alle cinque e mezzo di mattina avevo ormai terminato il libro.
Edward, i Cullen erano dei vampiri, di quelli veri con zanne e sangue come dieta base. Nella mia mente m’immaginavo Edward, o la piccola Alice, chini sul collo della loro vittima di turno. Rabbrividì.
Quanti esseri umani avevano ucciso?
Stoker non c’era andato leggero con Dracula e avevo il terrore che quelle parole potessero corrispondere a verità.
Su quegli esseri soprannaturali sapevo poco o nulla così, lasciai il libro ormai terminato sul letto e accesi il computer. Pagine e pagine di blog, saggi, siti dedicati ai vampiri e al loro mondo. Tentare di trovare qualcosa di rassicurante in quell’accozzaglia di titoli era come cercare un ago in un pagliaio.
Cercai cosa comportasse il morso di un vampiro e anche lì, c'erano diverse versioni. Il vampiro si nutriva del necessario e poi lasciava andare la vittime cancellando loro la memoria, e per un momento mi chiesi se Edward o qualcun altro lo avesse fatto su di me ma era impossibile, non avevo buchi inspiegabili nella memoria e soprattutto nessun segno sul collo. Continuando a leggere scoprì che per trasformare qualcuno c'era bisogno che l’essere umano bevesse del sangue del vampiro ma secondo altri siti, un morso era abbastanza per trasformare in vampiro la vittima.
Non sapevo a chi credere. Quale versione era vera ma soprattutto c’era qualcosa di vero? Avevo vissuto con i Cullen per mesi e gli unici aggettivi che potevo attribuirgli erano: gentili, simpatici, altruisti, un po’ strani dovetti ammettere ma lo erano in senso buono.
Erano i vicini che tutti avrebbero voluto, non davano l’impressione di essere degli assetati di sangue, spietati e lussuriosi.
 Sconsolata spensi il computer e mi sdraiai sul letto. Mi coprì il viso con le mani e stropicciai gli occhi come se potessi cancellare dalla mente le ultime novità. Stanca, lasciai cadere le mani sul letto e senza nemmeno accorgermene scivolai nel sonno.
Quando riaprì gli occhi, l’orologio segnava le undici di mattina. La scuola in quel momento era l’ultimo dei miei problemi. Mi alzai e proprio quando stavo uscendo dalla camera, il mio cellulare emise una vibrazione, segno che era arrivato un messaggio.
Lo presi ma bloccai a mezz’aria il dito per aprire il messaggio. Era Alice. L’esitazione durò un momento perché poi mi decisi ad aprirlo.
Non credere a tutto quello che leggi — lessi a bassa voce. Che voleva dire? Come faceva a sapere quello che avevo letto?
Poi mi ricordati di quello che mi aveva detto Edward, vedeva il futuro e questo voleva dire che tutto quello che ho fatto, lei l’ha visto.
— Non c’è privacy a casa vostra — dissi e se Alice mi stava guardando, probabilmente, mi aveva visto dire ciò. Nemmeno il tempo di pensarlo che, la pseudo vampira, mi mandò un altro messaggio.
Ci si fa l’abitudine dopo cinquanta anni. Ora ti lascio o Edward mi stacca la testa a morsi.
— Cinquanta anni? E fate ancora il liceo! — gracchiai sconvolta.
Non ero sicura che fossero vampiri, insomma potevano fare quello che volevano e frequentavano il liceo? Se fossi una vampira, avrei tante cose che vorrei fare e il liceo sarebbe l’ultima della lista. Viaggiare, imparare nuove lingue, seguire i più svariati corsi nelle più svariate Università.
Il rumore del cellulare mi distrasse dalla lista sul “cosa fare se fossi immortale”.
Ricorda, non credere a tutto quello che leggi. Parlate.
 Il punto era se io volessi parlare con loro ancora o se invece volevo evitarli. Mamma mi aveva proposto di tornare a Jacksonville e per un secondo accarezzai l’idea di chiamarla e accettare.
No, per quanto la mia razionalità mi urlava di stare alla larga da loro, il mio cuore diceva di non temerli. Edward, Jasper e Alice mi avevano salvato da quell’aggressione. Esme e Carlisle mi avevano trattato come una figlia.
Non era colpa loro se qualcuno li aveva trasformati e obbligati a fare quella vita. Proprio non riuscivo a immaginarmeli mentre uccidevano gente. Non la dolce Esme e l’altruista Carlisle.
Dovevo ammettere che per Rose non avrei messo la mano sul fuoco visto le occhiate che mi lanciava ma ero certa che non avrebbe fatto nulla che avrebbe potuto mettere in pericolo la sua famiglia.
   Allora come facevano a nutrirsi? Si servivano di sangue di maiale che doveva essere abbastanza simile a quello umano o usavano le sacche comprate alle Banche del sangue?
Certo era che non avrei risolto nulla stando seduta sul mio divano facendomi mille più domande a cui non sapevo dare una risposta. Come diceva Alice dovevo parlare con loro. Dovevo parlare con Edward.
Edward… gli avevo promesso che lo avrei ascoltato fino alla fine, che gli avrei dato il tempo di spiegarsi ma non lo avevo fatto. Che pensava di me in quel momento?
Sapevo di non poterlo perdere, non volevo perderlo. Vampiro, licantropo, Yeti delle nevi, qualsiasi cosa fosse non m’interessava. Nonostante le rivelazioni, il mio sentimento per lui non era cambiato di una virgola.
Ero decisa e in poco tempo mi cambiai e mi vestì per raggiungere la tana del lupo. Ero sull’uscio di casa quando mi ricordai che loro erano a scuola e che avrei dovuto aspettare la fine delle lezioni.
Il cellulare vibrò per l’ennesima volta.
Edward è appena tornato a casa, va sicura sorellina.
— Grazie, Alice — dissi riconoscente e conscia che la ragazza mi avesse visto.
 
Coprì correndo i pochi metri che mi separavano dal pick-up cercando di non schizzarmi a causa delle pozzanghere che ricoprivano il viale e salì mettendo subito in moto.
Per l’ennesima volta percorsi il tortuoso sentiero che portava alla Villa nel bel mezzo del bosco. Il cuore iniziò a battere furioso quando iniziai a vedere la grande vetrata del salotto. Edward probabilmente mi aveva già sentito arrivare e, infatti, non mi stupì quando una volta scesa dalla macchina, lo vidi davanti alla porta osservarmi stupito.
— Ciao, Edward.
— Ciao — disse guardandomi come se fossi un fantasma.
— Mi fai entrare?
Accennai un sorriso perché quella scena sembrava molto simile a quella avvenuta il giorno prima davanti a casa mia. Sembrò riprendersi e si arrischiò a un sorriso.
— Sì, certo entra pure — disse facendomi spazio.
— Vuoi qualcosa da bere? Acqua, tè,… ? — mi propose mentre mi faceva strada verso il salotto.
— No, grazie — dissi — anche se non riesco a capire la funzione del cibo per voi. Insomma i vampiri non… insomma voi non mangiate — farfugliai. Non riuscivo a dire “bevete il sangue”, pronunciarla mi faceva venire in mente lui chino su una persona per succhiarne il liquido rosso.
— È per mantenere la facciata. La maggior parte del cibo la diamo in beneficenza. Anche i vestiti. Alice non ci permette di indossarli per due volte. Li fa sparireprima — confessa liberando una risata nervosa. Lo imitai e apprezzai il suo tentativo di alleggerire la tensione.
— Non mi è difficile immaginarlo, conoscendola.
—Non sei venuta questa mattina...
—Non mi sono svegliata. Ieri ho passato la notte in bianco.
—Ti ho visto.
—Come?
—Ero... in giro ieri notte e mi sono arrampicato sull'albero davanti alla tua finestra.
—Io non ti ho visto —mormorai. Dovevo sentirmi offesa o arrabbiata dal fatto che lui mi avesse spiato, ma non ci riuscivo. L’unica cosa che provavo era felicità. Nonostante il modo in cui lo avevo trattato non mi aveva abbandonato.
—Siamo molto silenziosi e dalla mia avevo un po’ di esperienza —confessò, lasciandomi interdetta. —Un paio di volte sono venuto a farti visita.
—Davvero? Qualche volta mi risvegliavo con la sensazione di aver avuto qualcuno al fianco —gli confessai con un po’ d’imbarazzo.
Edward sorrise mostrando i denti. Bianchi, perfetti e affilati. Quello mi ricordò il motivo che mi aveva portato lì.
—Ieri — iniziai, per introdurre l'argomento —ti avevo promesso che ti avrei ascoltato ma non l'ho fatto e ora sono qui.
—Credevo che non ti avrei più rivisto —disse con tono amaro.
—Ve ne sareste andati? —domandai con un nodo in gola.
—Sì, sarebbe stato troppo rischioso.
Annuì digerendo la notizia. Alla prospettiva di vederlo andare via, perderlo per la seconda volta, mi si straziava il cuore.
—Posso? —chiesi indicando il divano.
—Certo, scusa. Noi non abbiamo necessità di sederci e spesso mi dimentico delle necessità degli umani.
—Non fa nulla. Allora... Ti ascolto — dissi sedendomi. Gli rivolsi un sorriso tranquillo che lui ricambiò esitante.
Si sedette e parlò,svelandomi un mondo tutto nuovo.
—Sono nato a Chicago nel 1901 —strabuzzai gli occhi, scioccata dalla sua vera età.
—Quindi tu avresti 111 anni —lui annuì —li porti bene —dissi cercando di trovare qualcosa che non lo offendesse. La mia uscita lo fece scoppiare a ridere di gusto. La sua risata si diffuse nell'aria come musica aumentando le mie palpitazioni.
—Tu riesci a stupirmi sempre, Bella. Non fai mai quello che mi aspetto.
—Che avrei dovuto fare secondo te?
—Scappare urlando? Chiunque lo avrebbe fatto.
—Io non voglio scappare, voglio sapere per poterti stare vicina —affermai con tono serio, azzittendo la sua risata.
Allungò la mano sul divano con il palmo verso l'alto. In attesa di un mio gesto che non tardò ad arrivare.
Gliela strinsi e nemmeno due secondi dopo mi ritrovai abbracciata a lui. Il suo viso tra i miei capelli. Lo sentivo inspirare con forza e un sorriso a piegargli le labbra. Dopo il primo attimo di sorpresa ricambiai la stretta.
—Grazie —si limitò a dire. Lo strinsi con tutta la forza che avevo e sorrisi di riflesso a quelle parole.
—Sempre più facile —disse soffiando il suo alito freddo sulla mia testa.
—Cosa?
—Quando ti ho visto alla spiaggia a Jacksonville... —e fece una pausa come se temesse nel continuare —il primo istinto sarebbe stato quello di morderti —m’irrigidì alla sua rivelazione. Mi voleva mordere?
Più scioccante della sua rivelazione, fu la mia reazione alla notizia. Non avrei reagito, sarei stata felice di donargli il mio sangue se questo era in grado di nutrirlo. Un moto di fastidio si mosse dentro di me all'idea di altre donne che avevano potuto avere i miei stessi pensieri una volta capito chi era Edward.
Ignaro dei miei pensieri il vampiro continuò a narrare la sua storia. —Anche il giorno dopo, dovetti metterci tutta la mia forza di volontà ma riuscì a resistere... Il tuo profumo è buonissimo. Il più buono che io abbia mai sentito.
—Perché non lo hai fatto? —le parole uscirono dalla mia bocca come animate di vita propria. Edward mi scostò con impeto e mi osservò a occhi sbarrati, pieni di terrore.
—Bella, ti avrei ucciso! Non potevo farlo. Ho lottato anni contro la mia natura imponendomi di rinunciare al sangue umano.
—Come fai a nutrirti allora?
—Sangue animale.
—Quello dei maiali? —chiesi nella mia beata ignoranza. Avevo letto che in qualche film dove alcuni vampiri se ne nutrivano al posto di quello umano.
—Cosa? Beh anche… —disse impacciato —è successo, anche se preferisco quello di animali carnivori, sono più simili a quello umano...  ma credo di starti spaventando.
—No, insomma è che ieri notte ho fatto delle ricerche in internet e c'erano così tante informazioni, una che cozzavano con l'altra...
—Internet è sopravvalutato. Nulla è meglio dei cari e vecchi tomi —e bastava guardare la loro libreria per capirlo.
—Quindi voi vampiri non vi nutrite dagli umani?
—Sì, purtroppo sono pochi quelli che hanno fatto la scelta della mia famiglia. Scherzosamente ci definiamo vegetariani. In America sappiamo solo dei nostri cugini a Denali. Nel resto del mondo non saprei proprio.
—Sono felice della vostra scelta —dissi in tutta sincerità. Nella lunga notte insonne ero arrivata alla conclusione che non erano da condannare per il fatto di nutrirsi di sangue umano. Alla fine che faceva l'uomo? Anche lui poteva essere definito vampiro, forse gli animali ci chiamavano proprio così.
—Non è facile resistere, però —e il tono si fece amaro, —con la nostra scelta andiamo contro la nostra natura e anche una volta che siamo cibati non abbiamo quella sensazione di aver la pancia piena, per farti intendere. È una lotta lunga e difficile ma ci fa sentire meno mostri. Anche se lo siam...
—Non dirlo! —dissi mettendo la mano davanti alla sua bocca.
In un attimo vidi i suoi occhi scurirsi e nemmeno un secondo dopo, lui era dalla parte opposta della stanza. Davanti alla porta finestra aperta. Gli occhi chiusi, le mani chiese a pugno lungo i fianchi e il corpo teso.
—Scusami —mormorai temendo di averlo fatto arrabbiare. —Qualunque cosa abbia fatto…
—Non è colpa tua —mi bloccò rilassandosi, aprì gli occhi che erano tornati del loro usuale tono dorato e riuscì anche a sorridere, —lo spirito è forte ma la carne è debole —disse tornando a passo d’uomo al suo posto. Si sedette tenendo una certa distanza tra noi, come se avesse paura a starmi troppo vicino.
—Spiegami, almeno so come comportarmi. Che c’è? —gli chiesi quando una volta che si era seduto, si mise ad osservarmi con il suo sorriso sghembo.
—Mi stavo chiedendo che cosa ho mai fatto per incontrarti sul mio cammino. Ti ho appena detto che per poco non ti mordevo e tu… tu fai te stessa.
—Lo devo prendere come un complimento o… —onestamente non sapevo come prendere la sua affermazione.
—Decisamente.Non sai cosa significa per me tutto questo.
Si alzò e mi tese una mano.
—Vieni, voglio farti vedere il mio mondo.
Guardai quella mano tesa verso di me. Mi chiedeva fiducia, Edward cercava una possibilità ma io ero pronta per tutto quello? Stavo entrando in un mondo più grande del mio e la cosa mi terrorizzava nonostante il coraggio e la comprensione che avevo ostentato fino a quel momento. Quello che avevo scoperto quel giorno era solo la punta dell’iceberg e come insegnano a scuola, il più è nascosto sotto la superficie del mare.
Alzai lo sguardo e vidi il vampiro guardarmi speranzoso ma non riuscì a nascondere una nota di timore vedendo la mia esitazione.
Senza più pensarci presi la sua mano fredda e Edward come se fossi una piuma mi sollevò. Senza sciogliere le nostre mani mi portò davanti alla grande vetrata aprendola. L'aria fredda mi colpì in pieno viso facendomi rabbrividire. Uno sbuffo alla mia destra mi fece voltare di scatto ma quello che vidi era Edward con in mano il mio giaccone.
—Come… era appeso all’ingresso —farfugliai prima di darmi mentalmente della sciocca. Colpì la fronte con una mano.—Supervelocità, certo. Perché non ci ho pensato subito? —dissi piena d’ironia. Lui ridacchiò e mi aiutò a indossare la giacca per poi farmi una proposta che non mi sarei mai aspettata.
 
— Mi sento un koala —borbottai mentre mi tenevo stretta al suo collo. Non mi preoccupavo nemmeno di non stringere troppo, tanto lui non doveva respirare.
Edward mi fece fare un piccolo balzo per sistemarmi meglio sulla sua schiena e poi, senza preavviso, saltò sulla balaustra mantenendosi in perfetto equilibro e liberai un urletto quando lanciai un’occhiata verso il basso, facendolo ridere. Lui rideva ed io al contrario ero terrorizzata. Il cuore schizzava fuori dal petto e il sudore grondava dalla mia fronte.
Lui non poteva morire ma io sì!
—Non preoccuparti non cadrai —mi assicurò ma la fiducia scarseggiava in quel momento.
—Siamo a quattro metri dal suolo in bilico sulla balaustra e mi dici che non cadremo? Scusa ma mi è difficile convincermene — dissi aggrappandomi al corpo di Edward che vibrava dalle risate.
—Non c’è nulla da ridere —obbiettai picchiandolo sul petto ma questo al posto di zittirlo lo fece ridere ancora di più. Antipatico… pensai mentre poggiavo il mento sulla sua spalla.
—Scusami, —disse cercando di trattenersi —ora chiudi gli occhi — mormorò girando la testa verso di me.
In quel momento lo trovai bellissimo, più del solito s’intende. Con gli occhi che brillavano e un sorriso a trentadue denti a piegargli le labbra. Pensai a quanto fossi stata fortunata a incontrarlo sul mio cammino.
—Pronta? —mi chiese. Sentivo i suoi muscoli tendersi, pronti per il salto.
—No, ma va comunque —non sarei mai stata pronta quindi tanto valeva togliersi il pensiero. Via il dente, via il dolore.
Un altro mio urlo ci accompagnò per tutto il tempo. Sentivo l’aria sferzarmi i capelli e schiaffeggiarmi il viso. Sembrava passata un’infinità di tempo da quando aveva spiccato il salto e fu con sollievo che, un tempo indefinito dopo, toccò terra.
—Apri gli occhi ora —mi disse con voce che trasudava gioia da tutti i pori. Esitante aprì prima uno e poi l’altro occhio. La vetrata dava sul boschetto e da lì, a qualche centinaio di metri di distanza, si poteva vedere il corso del fiume e il fatto che noi ci trovassimo esattamente sulla sponda opposta mi fece sbarrare gli occhi dallo stupore, misto a terrore puro.
—Una volta allo Zoo di Phoenix ho visto un canguro fare un salto di nove metri.
—Con questo vorresti dire che sarei un canguro? —chiese il vampiro cercando di apparire offeso. Lo guardai e sorrisi sorniona.
—Anche loro, vivono per lo più di notte. Quindi siamo già a due elementi in comune.
Scosse la testa e poi si voltò verso il bosco.
—Ora ti faccio vedere come mi muovo. Se riesci cerca di tenere gli occhi aperti. Credimi ne varrà la pena —disse per poi sfrecciare a una velocità sorprendente tra gli alberi.
Il primo istinto fu quello di chiudere gli occhi e stringerli con forza ma Edward mi incitò ancora a tenerli aperti e così mi ritrovai con non poca paura a osservare il paesaggio che era diventato una massa di tutte le sfumature del verde e del marrone. Quando voltai lo sguardo per osservare il ragazzo, questi stava guardando me sorridendo, senza badare a dove stesse andando. Ci saremmo ammazzati così.
—Edward, guarda davanti a te! Ci… mi farai ammazzare —urlai spingendo con una mano il viso del ragazzo che non la smetteva di sorridere. Era pazzo, lui era immortale ma io ero di carne e ossa!
Tornai a guardarmi attorno usando la testa di Edward come protezione contro il vento e rimasi affascinata da quello che vedi.
Mi sentivo forte, onnipotente e invincibile. In quel momento avrei potuto fare qualsiasi cosa, anche sollevare una montagna senza nessuna fatica.
Ci fermammo dopo quelli che sembravano pochi minuti, in cima a una collinetta. In lontananza si vedevano le luci di una grande città. L’unica grande città della zona era…
—È Seattle quella? —gli chiesi stupita una volta scesa dalle sue spalle.
—Già.
—In macchina ci si mettono più di tre ore per raggiungerla e noi in pochi minuti siamo qui… —commentai più a me stessa che a lui. —Incredibile.
Abbassai lo sguardo, sporgendomi per vedere cosa ci fosse sotto di noi e subito la mano fredda del ragazzo si chiuse attorno al mio polso.
— Scusa ma con la tua fortuna rischieresti da cadere —spiegò il suo gesto mentre con l’altra mano mi cingeva la vita. Alzai gli occhi al cielo ma non risposi, alla fine non aveva tutti i torti.
—Possiamo andare la sotto? —gli chiesi, indicando la sponda dello Stretto di Pugert.
—Certo, salta su —rispose esultante. Avevo capito che Edward amava correre e saltare da un posto all’altro ma anche se mi aveva ampiamente dimostrato di essere affidabile e sicuro, io ero ancora molto restia a condividere con entusiasmo questo suo passatempo.
—Ecco, non potremmo scendere a piedi? —tentai inutilmente di fargli cambiare idea. Due secondi dopo ero aggrappata ancora alla sua schiena mentre sfrecciava tra gli alberi che avevano fatto guadagnare il soprannome di città di smeraldo a Seattle. Quella volta non ebbi nemmeno il tempo di chiudere gli occhi e di dire “ma” o anche solo rendermi conto che eravamo in movimento che Edward mi fece scendere dalle sue spalle sulla riva ghiaiosa dello stretto i cuisassolini scricchiolavano a ogni nostro movimento.
Edward dovette reggermi fino a che non mi fece sedere su un sasso perché il tutto era stato così veloce che la mia testa vorticava ancora e mi faceva camminare come un’ubriaca.
— Non ridere di me, è colpa tua. Vai troppo veloce.
— Scusa è che amo la velocità — non lo avrei mai detto, pensai mentre lentamente riprendevo contatto con il mondo circostante. — Va meglio? — mi chiese apprensivo mentre tirava indietro la massa di capelli che avevo in testa e che, a causa del vento, probabilmente sembrava un grande cespuglio di rovi.
— Sì, ora va meglio.
— Con un po' di pratica ti ci abituerai — disse senza sapere di scatenare in me una tempesta.
— No, io mi accontenterò della mia cara vecchia macchina che non supera gli ottanta chilometri orari.
— Eddai, Bella, non dire che non ti è piaciuto.
— Certo che mi è piaciuto. Solo che quando ero sulla tua schiena pregavo tutte le lingue del mondo perché non andassimo a schiantarci contro una roccia o un albero. Ho perso dieci anni di vita, Edward!— sembrava che il vampiro trovasse divertente vedermi dare di matto, forse perché credeva che io sarei scappata alle sue rivelazioni e vedermi invece ancora al suo fianco lo rendesse euforico, facendo uscire il suo lato più gioviale.
— Esagerata, non permetterei mai a un albero di venirti addosso.
Si sedette al mio fianco e mi diede una spinta scherzosa che ricambiai per poi poggiare la testa sulla sua spalla.
Rimanemmo in quella posizione per lungo tempo mentre Edward con la sua voce calma e profonda mi raccontava del suo mondo e per quello che poteva dei suoi famigliari.
Quando le gambe iniziarono a intorpidirsi, il vampiro mi accompagnò in una passeggiata lungo la sponda.
— Quindi voi non avete bisogno delle bare o di portarvi dietro la terra della Transilvania?— chiesi mentre cercavo di mantenere l'equilibrio su un sasso.
— No — rispose trattenendo le risate.
— L'aglio e l'acqua santa?
— Nessun effetto e le bare non ci servono, noi non dormiamo.
— Come non dormite? E come fate a riposare o sognare?
— Del primo non ne abbiamo bisogno del secondo immaginiamo. La nostra mente è più ampia della vostra. Ci permette di pensare e fare più cose contemporaneamente.
— Incredibile — mormorai e lui sogghignò.
— C'è qualcosa che non sapete fare? — continuai saltellando sul sasso successivo.
Tutto quello che avevo letto era stato più o meno sfatato dalle rivelazione di Edward anche se il suo mondo non aveva perso quella sfumatura tetra e pericolosa che aveva accompagnato tutte le mie ricerche.
 
Erano le sei di sera quando Edward mi riportò a casa sua dove mi attendeva il mio pick-up.
—Bella, il mio mondo è molto pericoloso ma ti prometto che non ti farò mai correre nessun rischio.
—Lo so, Edward ed io mi fido di te —dissi sorridendogli tranquilla. Il ragazzo alzò una mano con studiata lentezza e la posò sulla mia guancia. Mi lasciai andare al suo tocco e chinai la testa verso di essa.
—Hai paura? —mi chiese facendo aumentare il battito del mio cuore.
—Sì —gli confessai certa che l'onestà fosse il miglior modo per condividere la mia vita con lui.
—Di me? —la sua voce era nervosa, ansiosa.
—Sì... —dissi e come immaginavo i muscoli della sua mano, s’irrigidirono. Vi poggiai sopra la mia mano, alzai lo sguardo fissandolo nel suo in attesa e continuai —e nessun coraggio sarà bello come questa paura.
Quello era il mio posto. Non m’importava quello che erano, non m’importava se qualcuno mi avrebbe definito una pazza, o peggio, per la mia scelta. Avevo visto quello che gli esseri umani potevano fare, e i Cullen si erano dimostrati migliori di molti uomini che avevo conosciuto. Se loro erano dei mostri allora che cos’erano Fred e Greg o l’uomo che mi aveva assalito il giorno prima della sentenza?
—Ora è meglio che vada, Charlie tornerà tra poco e non ho ancora preparato la cena.
Il vampiro annuì, poi sorrise divertito.
— Qualcuno ha preparato dell'arrosto e le farebbe davvero piacere se lo accettassi —disse lasciandomi interdetta ma tutte le risposte ebbero risposta quando la porta si spalancò mostrando Alice che reggeva una grande pentola da cui fuoriusciva un profumo davvero invitante.
—Scusate, ragazzi —disse Esme comparendo a fianco della figlia, — ho provato a fermarla ma sapete com’è.
—Non fa nulla mamma.
—Quante storie —borbottò la tappetta —porto questa nella tua macchina e non provare a rifiutare, sai benissimo che nessuno qui lo mangerà — si affrettò ad aggiungere prevedendo la mia risposta.Mi lasciò un bacio sulla guancia e trotterellando raggiunse il pick-up.
—Grazie, Esme, non dovevi.
—O l'ho fatto con molto piacere. Amo cucinare —squittì tutta felice. Mi guardò commossa e mi abbracciò di slancio.
—Grazie bambina mia. Non sai cosa significhi per tutti noi —mormorò al mio orecchio. Non era la prima volta che me lo dicevano e quasi mi commossi per la gioia che mi trasmetteva.
 
— Allora, ci vediamo domani mattina —affermò Edward mentre mi chiudeva la porta dell'abitacolo.
—Certo. Buona notte o qualsiasi cosa facciate voi vampiri —lo salutai tenendo un tono scherzoso.
—Ultimamente caccio o vengo a farti visita.
—Verrai anche questa notte? —gli chiesi speranzosa. Sapere che lui era con me mi faceva sentire sicura.
—Se vuoi. Da adesso in poi voglio che sia tu a dettare i tempi.
—Pensi ancora di vedermi scappare urlando come un’isterica appena ti lasci sfuggire una parola di troppo?
Sogghignò ma non rispose. Mi lasciò un bacio sulla fronte e mi promise che ci saremmo rivisti quella notte, quando Charlie sarebbe andato a dormire.
 
Così, la prima cosa che feci quando tornai a casa fu sbloccare la finestra e dare una sistemata alla stanza che sembrava reduce dal passaggio di un tornado.
A mente fredda era un’operazione inutile visto che lui stesso aveva confermato di essere già stato nella mia stanza ma in quel momento non ci pensai. Nel riordinare mi resi conto che le pareti della mia stanza avevano bisogno di una ripassata di vernice e mi ripromisi che il primo giorno di sole mi sarei messa in opera.
Misi a scaldare l'arrosto, che scoprì essere accompagnato da saporite patate dorate. Quando arrivò mio padre, si stupì del pensiero della signora Cullen e mi raccomandò di ringraziarla almeno ogni boccone sì e l'altro pure.
Erano le otto e trenta quando finimmo di mangiare e speravo che lì da una mezz'ora se ne andasse a letto, insomma era sveglio dalle cinque di mattina e non era più tanto giovane, doveva riposare, ma per mia sfortuna quella sera c'era la partita della sua squadra preferita e certamente non si sarebbe schiodato dal divano almeno per le tre ore successive.
Indispettita per quel ritardo, corsi in camera mia e aprì la finestra.
Mentre aspettavo che mio padre andasse a dormire decisi di dare sfogo alla mia immaginazione e mi misi seduta alla scrivania, dove iniziai a disegnare le sensazioni provate mentre, stretta al collo di Edward, osservavo il fondersi dei colori della natura. Una volta terminato lo schizzo, indossai la camicia a scacchi di qualche taglia più grande e la salopette, già caduta vittima dei miei colori, raccolsi i capelli in un leggero chignon, fermai i capelli che mi cadevano sulla fronte con un paio di forcine e finalmente fui pronta per dedicarmi alla pittura. Accesi lo stereo e sul cavalletto sistemai una tela bianca che presto venne macchiata dal pennello.
—Da Debussy a questi? Bella, mi stupisci —disse una voce tra lo scioccato e il divertito.
Lanciai un urlo di spavento e mi cadde anche il pennello, prima sulla salopette e poi sul telo che proteggeva il pavimento.
—Edward, vuoi farmi morire? —dissi con ancora il cuore in gola.
Il vampiro era seduto sulla sedia a dondolo e mi guardava tranquillo.
—Tuo padre sta salendo —disse per poi scomparire come un prestigiatore. Un secondo prima c'era, quello dopo mi chiedevo se me lo fossi immaginato.
Charlie fece il suo ingresso con espressione preoccupata.
—Tutto bene, Bella? Ti ho sentito urlare.
—Ehi... Si scusa, tutto bene. Ho visto un ragno e mi sono spaventata.
L'espressione di mio padre si fece scettica e alzò vistosamente un sopracciglio come a chiedermi: " Hai fatto tutto questo trambusto per un ragnetto?"
—Era davvero grosso, nero e peloso. Sembrava il ragno di Hagrid —continuai tentando di convincerlo. —Ora è uscito dalla finestra, se n’è andato.
Papà borbottò qualcosa poi richiuse la porta e poco dopo sentì i gradini scricchiolare sotto il suo peso.
—Un ragno?
Questa volta sobbalzai solamente.
Quel ragazzo voleva farmi venire un infarto.
Girai lo sgabello verso la finestra da cui spuntava la testa sbarazzina di Edward e lo incitai a entrare.
—È stata la prima cosa a venirmi in mente. Comunque non avevi detto che saresti arrivato dopo che papà se ne fosse andato a dormire?
—Sì, ma ci stava mettendo troppo —rispose serafico, scrollando le spalle.
Da parte mia la cosa non poteva non farmi piacere, anche se, grazie alla collaborazione dello specchio alle spalle del ragazzo, realizzai che il mio aspetto era impresentabile. Ero piena di pittura, addirittura sui capelli, e con addosso abiti malconci.
Edward dovette accorgersi del mio disagio e cercò di rassicurarmi.
—Mi piace la tua divisa, segno di un genio al lavoro.
Lo ringraziai con lo sguardo, ovviamente arrossendo, e ritornai al mio sgabello.
—Ti spiace se finisco questo?
—Oh no. Fai pure ho sempre voluto rivederti all’opera —confessò per poi sedersi sul dondolo puntando i gomiti sulle ginocchia e fissando lo sguardo sulla tela. Lo ringraziai e gli diedi le spalle riprendendo il mio lavoro in religioso silenzio. Solo la musica che usciva dal lettore CD ci faceva compagnia.
Saperlo alle mie spalle intento a osservarmi mi metteva non poca agitazione. Aveva già manifestato il suo apprezzamento per i miei quadri e già a Jacksonville avevo dipinto con lui al mio fianco ma tutto aveva preso una sfumatura nuova.
—Hai mai conosciuto qualche artista famoso? —gli chiesi rompendo il silenzio. Feci girare lo sgabello su cui ero seduta e con la tavolozza in una mano e il pennello nell’altra gli rivolsi uno sguardo curioso. Edward poggiò la testa su una mano inclinandola e rispose:
—Solo Andy Warhol a New York, nel 1968, nella sua Factory. Carlisle era il medico che lo aveva salvato dopo che avevano sparato a lui e al suo compagno.
—Davvero?! —ero sinceramente stupita. L’attentato di Valerie Solanas aveva stravolto la vita del grande artista che aveva rischiato di morire e scoprire che Carlisle fosse stato uno degli uomini che lo aveva salvato, era scioccante. Avevano preso parte a un piccolo pezzo di storia: che sarebbe successo se Warhol fosse morto?
—Deve essere stato emozionante incontrarlo… quanto t’invidio.
Era uno dei miei artisti preferiti. Geniale, versatile con le sue opere aveva creato una nuova arte.
—Sì ma come tu invidi me io —disse sogghignando affettuosamente, —ho sempre invidiato Carlisle per aver avuto l’onore di incontrare Debussy —mi confessò.
—Hai conosciuto molti musicisti? —chiesi sapendo quanto era appassionato di musica. La prima volta che mi aveva fatto vedere la sua camera mi aveva stupito la grande parete piena di dischi, Cd e cassette. C’era anche un vecchio grammofono che funzionava ancora.
—Molti, alcuni sono diventati famosi altri invece non hanno avuto la stessa fortuna, anche se avevano un grandissimo talento.
Mentre riprendevo a dipingere mi raccontò degli incontri nei grandi locali e nelle bettole dei periferica, erano queste ultime che nascondevano i grandi talenti mi confessò.
Quando terminai il quadro, Edward mi aveva aggiornato su cinquant’anni di artisti dimenticati.
—È molto bello, cosa rappresenta? —chiese avvicinandosi e studiando attentamente la tela.
—Oggi —riassunsi ricevendo uno sguardo incuriosito, —tutto quello che mi hai raccontato e fatto provare è su questa tela.
Dopo la mia rivelazione, il suo sguardo si fece più attento e passò diversi minuti a osservare ogni centimetro di colore, ogni linea e pennellata, mentre io sfruttando quel momento mi concessi il tempo di osservarlo, o forse sarebbe meglio dire ammirarlo.
Indossava una semplice camicia nera come i jeans e ai piedi delle comode scarpe sportive. I capelli erano scompigliati come suo solito, forse di più per la corsa tra i boschi. Era incredibile come fosse impeccabile, senza una foglia tra i capelli, l’orlo sporco di terra o strappi provocati da rami appuntiti.
— Che c’è? — mi chiese sorridendo.
— Nulla — borbottai scrollando le spalle e iniziando a chiudere le boccette e metterle a posto.
— È frustrante non sapere quello che stai pensando…
— Una vera tragedia, come faranno le persone normali come me a sopravvivere? — gli domandai ironica.
Scosse la testa e poi iniziò a curiosare in giro per la stanza come se fosse la prima volta che ci mettesse piede.
— Vado a cambiarmi e darmi una sistemata — lo avvisai. Lui si girò e annuì.
Recuperai un cambio pulito e mi chiusi in bagno per venti minuti buoni ma finalmente quando uscì, ero pulita e profumata. Quando rientrai Edward era ancora intento a ispezionare l’alta fila di Cd musicali.
— Ma non eri già stato qui? — gli domandai inginocchiandomi al suo fianco.
— Sì, ma temevo di svegliarti e non ero molto a mio agio a spiare tra le tue cose senza il tuo permesso.
— Non ti ha fermato dall’entrare in camera mia quando dormivo — gli dissi trattenendo le risate per la sua logica contorta. — Comunque… data la tua longeva età ti sarà capitato di andare a qualche concerto dei Beatles o John Lennon…
— Sì, anche a qualcuno di Elvis per la verità — confessò e a mala pena trattenni una risata. Come non potevo non ridere immaginarlo con quel ciuffo gellato e agghindato come il re del rock,  il vestito pieno di lustrini e mantello abbinato, per non parlare delle enormi basette. Era impossibile non scoppiare a ridere.
— Scusa — bisbigliai — solo che immaginarti vestito come Elvis, insomma, non ti ci vedo proprio.
— Non ero così fanatico da emularlo, Bella. Apprezzavo le sue canzoni, anche se non sarei stato male vestito come il Re — si pavoneggiò. Alzai gli occhi al cielo e gli rubai i Cd che aveva in mano.
— Raccontami anche qualcosa d’altro, sul tuo passato. Mi hai raccontato di tutti — quella che più mi aveva colpito era la storia di Rose, Edward non era entrato in particolari ma potevo immaginare quello che fosse successo. Era stato deludente costatare come il mondo non fosse tanto cambiato nonostante i numerosi progressi di cui la razza umana si vantava. — Ma del tuo passato mi hai detto poco o nulla.
La sua espressione si fece dura e impassibile e presto sfuggì il mio sguardo per riprendere a vagare per la camera. Era chiaro come il sole che non ne volesse parlare, e nonostante era tanta la mia curiosità lasciai correre anche se diverse domande frullavano nella mia mente, prima tra tutte e quella che per me era più importante era: quante ragazze ha avuto?
Come potevo competere con tutte quelle donne che certamente ha avuto e i suoi centoundici anni di esperienza. Io ero una scolaretta delle elementari al confronto, anzi dell’asilo visto che non avevo nemmeno dato il mio primo bacio.
La porta si spalancò e comparve la figura di mio padre che mi augurava la buona notte.
Velocemente m’infilai sotto le coperte e scambiai qualche parola con papà per accordarci per il giorno dopo. Cercando di non darlo a vedere feci vagare lo sguardo sulla stanza. Edward era svanito ancora una volta, credetti che fosse uscito ancora dalla finestra invece, quando Charlie chiuse la porta, lo trovai a fissarmi. Se solo l’avesse aperta di più, lo avrebbe preso in pieno.
— Forse è meglio che vada è già mezzanotte — fu la prima cosa che disse dopo qualche minuto di silenzio in cui sentivamo i movimenti di mio padre per la sua stanza, il cigolio del letto e il fruscio delle coperte.
Guardai l’orologio e sfortunatamente il vampiro aveva ragione.
Perché quando stavo bene, il tempo passava troppo velocemente mentre quando seguivo le lezioni di algebra, queste non finivano mai?
 
La consapevolezza del tempo trascorso buttò su di me tutta la stanchezza della giornata e le palpebre iniziarono a diventare pesanti e le mie membra si assopirono.
— Te ne vai?— chiesi senza riuscire a nascondere la delusione. Non volevo vederlo andare via, la sua presenza stava diventando sempre più importante.
— Devi dormire, è tardi —disse lui rimboccandomi le coperte. Mi sembrava di essere tornata bambina quando mia madre veniva a darmi il bacio della buona notte.
— Non… non resti? — ero imbarazzata a fargli quella richiesta. Mi aveva confessato che lui mi aveva già visto dormire ma in quei momenti non sapevo che lui era lì.
— Solo se vuoi — rispose concorde con quello che mi aveva detto quel pomeriggio. Sarei stata io a dettare i tempi.
—Lo voglio —confessai e anche se era buio e l’unica illuminazione arrivava dai lampioni sulla strada vidi le labbra piegarsi nel suo sorriso sghembo che contagiò anche gli occhi.
— Forza, allora, a dormire che è tardi — mi raccomandò bonario.
— Sì, mammina — risposi mentre lui si alzava e andava a sedersi sulla seggiola a dondolo. Sistemai il cuscino e lo guardaiin attesa che il sonno mi cogliesse con la mente piena di lui ma diversamente dal solito non mi addormentai subito.
—Non riesci a dormire? —mi chiese alzandosi dalla sedia che iniziò a dondolare avanti e indietro con ritmo lento e cadenzato.
Il vampiro s’inginocchiò vicino alla mia testa e mi accarezzò i capelli iniziando a intonare una leggera litania.
Chiusi gli occhi lasciandomi cullare.
—Mi piace —mormorai, —chi è?
—L'ho composta io —rispose interrompendo la melodia per poi ricominciare subito. Sorrisi quando ormai, chiusi gli occhi, la mia mente aveva preso il largo per lidi onirici.
—Mi piace davvero tanto —borbottai con uno sbadiglio.
Il giorno dopo, mi svegliai pensando di aver vissuto un sogno, ancora mi sembrava di sentire le carezze lente e regolari di Edward sul mio capo ma il biglietto lasciato sul mio cuscino con una scritta inconfondibile mi confermò che lui era stato davvero con me tuta notte.
Volai letteralmente fuori dal letto e corsi in bagno preparandomi più in fretta possibile per raggiungere la scuola dove mi aspettava Edward.
 
—Parigi, sì andrei a Parigi.
—L’istruzione è importante.
—Sì ma stiamo parlando di cinquant’anni, Edward —obbiettai.
Eravamo seduti su una delle panchine vicino alla palestra. Sulla destra dei sempreverdi delimitavano il bosco e sulla sinistra il parcheggio ancora deserto.
Dopo le rivelazioni del giorno prima il vedere la scuola mi aveva riportato alla mente una domanda fondamentale che per lo stupore del momento avevo accantonato: Perché erano ancora al liceo dopo tutti quegli anni?
—Non abbiamo sempre frequentato il liceo, siamo andati in molte università sparse per il mondo e molti anni abbiamo fatto vita da nomadi, viaggiando e basta —confessò. I miei occhi s’illuminarono di curiosità. Quanto avrei voluto poter viaggiare anch’io e vedere quello che aveva visto lui. Purtroppo non avevo mai avuto la liquidità necessaria per potermi permettere il giro del mondo ma nemmeno una vita mi avrebbe permesso di vedere tutto.
—T’invidio per questo —confessai gelosa —anch’io vorrei vedere tutto quello che hai visto tu. Se fossi immortale, viaggerei sempre. Nonostante tutto quello che sappiamo, non si smette mai di imparare.
—Vero, centoundici anni e ogni giorno faccio una nuova scoperta ma ha anche i suoi lati… negativi —terminò con tono amaro che dichiarava concluso il discorso. Non doveva essere stato facile per lui vedere tutto scorrere mentre lui rimaneva immutato. Aveva visto gente morire per malattie, aveva visto l’odio nella sua massima e distruttiva forma.
Alzò lo sguardo e scrutò il cielo assorto. Lo imitai e rimanemmo così fino a che il rumore di alcune macchine mi avvisò che i primi studenti stavano arrivando.
 
Da quel giorno quel muro che sembrava dividermi dai Cullen, fatto di segreti e bugie era finalmente crollato, tutti erano più felici e rilassati, Edward in primis, l'unica non propriamente contenta era Rosalie ma in un certo senso potevo comprenderla.
Tutto quello che la mia mente catalogava assurdi e frutto della mia immaginazione avevano avuto una risposta e dopo una settimana Edward mi invitò nel suo posto speciale. Una radura dove mi aveva promesso di spiegarmi cosa succedeva loro quando si esponevano ai raggi del sole. Ero rimasta stupida nello scoprire che loro non bruciavano o non s’indebolivano ma non mi aveva voluto dire che cosa succedesse. “ È meglio che tu veda di persona” mi aveva detto.
Era sabato mattina e allo scoccare delle dieci Edward bussò alla porta di casa mia in tenuta da trekking pronto per la scampagnata, come l’aveva definita lui. Il cielo era completamente coperto di nuvole ma Alice aveva garantito che a mezzogiorno fino alle cinque di pomeriggio ci sarebbe stato il Sole, nemmeno una nuvola nel cielo. Dopo sette giorni avevo imparato a non scommettere mai contro Alice e le sue previsioni.
 
—Quanto è lontana ancora?
Stavamo camminando da quelle che mi sembravano ore fra tronchi caduti, muschio scivoloso e sassi che spuntavano a tradimento dal suolo e rami ad altezza della testa e se non stavo attenta avrei rischiato di andarci addosso. Era mezzo giorno passato e quindi il sole doveva essere già alto secondo quello che aveva detto Alice ma le fronde erano così fitte che non lasciavano passare nemmeno un raggio.
—Riesco a vedere la luce alla fine del sentiero, quasi cinquecento metri e siamo arrivati.
La sua affermazione mi lasciò stupita nonostante sapessi che avessero una vista migliore di quella di un falco.
—Magnifica… — riuscì a dire dopo diversi minuti di silenzio persa ad ammirare la radura per metà illuminata.
Era piena di fiori bianchi e viola che sembravano brillare ogni volta che erano colpiti dai raggi del sole. L’erba era di un verde brillante e acceso che sembrava uscito da un sogno. Da lontano arrivava il rumore dell’acqua che scrosciava placida nel suo letto e l’aria trasportava il canto di tanti uccellini.
—Tieni indossa questo.
Edward comparve nella mia visuale, in mano un passamontagna nero.
—Che dovrei farci con questo? —gli chiesi interdetta mentre mi rigiravo quel pezzo di stoffa tra le mani.
—Indossarlo per il sole. La felpa ti protegge le braccia e le mani se indossi questo, sei completamente coperta — terminò la sua arringa soddisfatto di se e io non potei che ridergli in faccia.
—Non è necessario, il cappuccio andrà più bene.
—Ma, il Sole…
—Edward ho vissuto a Phoenix e Jacksonville posso sopravvivere al sole di Forks —replicai divertita e anche felice che lui si fosse preoccupato a tal punto per me. Alzai il cappuccio e uscì dalla penombra. Subito sentì il calore del sole sulla mia testa, sulle braccia e lentamente su tutto il mio corpo. Mi girai sorridente credendo di trovare Edward alle mie spalle ma lui invece era ancora fermo nell’ombra e sembrava esitare.
Lo raggiunsi, presi le sue mani nelle mie e lo spinsi lentamente sotto il sole. Le prime a mostrare il grande segreto fu proprio questa parte del corpo che iniziò a brillare come tanti diamanti. Le braccia erano coperte dal giubbotto ma quando anche il viso uscì dall’ombra,risplendette creando quasi un arcobaleno.
Era lo stesso effetto dell'acqua del mare che rifletteva la luce del sole.
 Rimasi a osservarlo ammaliata mentre ne sfioravo la superficie liscia, quasi marmorea delle sue mani. Le rigiravo nelle mie ammirando i vari giochi di luce che creavano. Memore della reazione che aveva avuto una settimana prima, alzai esitante le mani verso il suo volto e solo al suo cenno di assenso mi feci più sicura.
Con la punta delle dita tracciai il contorno del suo viso, degli zigomi delle sopracciglia e mi allontanai di scatto quando un rumore soffuso.
—Erano delle fusa —chiesi incredula. Edward se ne fosse stato capace sarebbe arrossito e il vederlo in quell’insolita situazione, era sempre stato deciso e fiero come un condottiero in battaglia, mi fece sorridere intenerita.
—Sei incredibile —mormorai tornando a prestare attenzione a una delle sue mani. —Come ha fatto uno come te, e come Alice e gli altri, a interessarsi a una come me? —chiesi amaramente, consapevole della mia inadeguatezza.
—Tu sei tutto tranne che insignificante. Non sai per quanto tempo ti ho attesa —mi rivelò e spalancai gli occhi stupita senza però alzare lo sguardo. Edward fece scivolare via la sua mano dalla mia per chiuderle a coppa attorno al mio viso obbligandomi ad alzare lo sguardo.
—Da quando ti conosco quel pezzo che mi mancava e che non trovavo, ha finalmente preso il suo posto, —e ne parlare accarezzò le mie guance con i pollici. —Sono felice come non credevo di poterlo mai essere. Ora non invidio più i miei fratelli e tutto grazie a te. Bella io… —ed esitò chiudendo gli occhi. Il mio cuore che aveva iniziato ad accelerare il battito in quel momento sembrava voler uscire fuori dal petto. L’emozione era così tanta che le gambe avevano iniziato a tremare, sapevo che sarebbe successo qualcosa che avrebbe maggiormente mischiato le carte in tavola ed io fremevo nell’attesa.
Edward sospirò e poggiò la sua fronte fresca sulla mia. Fresco… era da un po' che non sentivo più il calore del sole sul giaccone e quando di sfuggita mi guardai attorno, con la coda dell’occhio, compresi che eravamo tornati all’ombra. La voce bassa e roca del vampiro catturarono ancora una volta la mia attenzione. Si staccò e poggio le sue labbra fredde e dure contro la mia fronte in un tenero baco affettuoso.
—Desidero così tanto questo momento che ho paura di affrettare le cose… e vedermi allontanato da te —e la sua voce trasmetteva tutta l’angoscia che provava a una eventualità simile. Per me era semplicemente assurdo quello che aveva appena detto.
—Sai che puoi dirmi tutto, insomma dopo che mi hai confessato che sei un vampiro non credo che possa esistere qualcosa di più scioccante —cercai di sdrammatizzare. In parte ci riuscì perché sogghignò aprendo gli occhi. Brillavano, sembravano avere una consistenza liquida. Era troppo bello, mi sentivo una stupida a pensarlo, sembravo una di quelle ragazzine che si lasciavano trasportare dai loro sentimenti per il ragazzo più carino della scuola, come succedeva nei film per adolescenti in voga negli anni novanta, e dovetti darmi della sciocca perché era proprio quello che ero. Un’adolescente innamorata del ragazzo più bello della scuola, che nel mio caso era anche un vampiro.
—Consideri scioccante l’essere corteggiata da un vampiro innamorato?
Il mio cuore aveva ufficialmente smesso di battere, potevano anche dichiararmi morta a causa di un infarto folgorante. Tutto quello che avevo desiderato, si era appena realizzato e mi sembrava di galleggiare tre metri sopra il cielo. Gli piacevo, credevo che non avrei mai sentito quelle parole uscire dalla sua bocca.
Il respiro si faceva sempre più corto mano a mano che lui scendeva sfiorando con le labbra il mio naso, terminando poi la sua discesa a pochi centimetri dalle mie labbra. Respiravo il suo respiro fresco e che sapeva di buono. Potevo essere definita ubriaca tanto ero assuefatta dal suo profumo.
 
In un film avevo sentito che il novanta percento di un bacio lo fa l’uomo e il dieci percento è lasciato alla ragazza, almeno il concetto era quello e in certo senso a pensarci dopo era uniforme alla decisone di Edward.
Non ci pensai due volte e mentre eliminavo le distanze, chiusi gli occhi assaporando il mio primo bacio.
 
 
 

   
 
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