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Autore: loryl84    14/05/2012    2 recensioni
Stava calando la sera.
Il cielo si andava tingendo di rosso. Tutto era immobile, statico.
In lontananza, il rumore di un ruscello che seguiva il suo corso...
Salve! sono nuova di questa sezione, ho deciso di postare anche qui questa storia, postata già in un altro sito. Spero davvero che possa piacere! A presto, Lory
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaori/Greta, Ryo Saeba/Hunter
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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Anni ’90 – Tokio, quartiere di Shinjuku



Il sole si ergeva forte e luminoso nel cielo sereno, senza l’ombra di una nuvola.

I passanti camminavano frettolosamente, ognuno intento a raggiungere il prima possibile la propria meta. Il traffico era intenso, vista l’ora.

Un uomo dai capelli neri, camminava svogliatamente sul marciapiede, le spalle ricurve, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni. Uno sbadiglio sfuggì al suo controllo.
Era rientrato stanco all’alba dopo una nottata di bagordi (al solo pensiero la sua faccia si trasformava in quella di un maniaco depravato) con il solo ed unico pensiero di andarsene a letto e rimanerci per tutto il giorno. Ma c’era chi, evidentemente, non la pensava come lui. Il suo socio, nonché migliore amico, lo aveva svegliato, senza tanta delicatezza per la verità, per ordinargli, senza molti giri di parole, di andare a controllare la lavagna, alla ricerca di qualche incarico.

Lui aveva mugugnato qualcosa di incomprensibile, ma il socio, che evidentemente lo conosceva bene, gli aveva risposto che non poteva andare lui, aveva qualcosa di urgente da sbrigare.

E così Ryo si era alzato di malavoglia, aveva fatto una scarsa colazione, ed era andato a controllare quella benedetta lavagna, solo per constatare, ancora una volta, che di lavoro, per quel giorno, neanche a parlarne.

Adesso si accingeva a rincasare, chiedendosi cosa diavolo avesse di così urgente da fare il suo amico, per lasciare a lui quella che di solito era una sua incombenza.

Guardò distrattamente una vetrina di elettrodomestici, dove erano esposti dei televisori. Alcuni trasmettevano delle pubblicità, sponsorizzate da donne formose che con sorrisi accattivanti, invitavano all’acquisto dei prodotti. La sua attenzione venne subito calamitata da quelle immagini, e si ritrovò così spiaccicato con la faccia nella vetrina, la bava alla bocca e i cuoricini negli occhi, mentre i passanti osservavano disgustati quella scena. Il gestore del negozio si ritrovò così costretto a rimuovere quell’enorme ventosa umana dalla sua vetrina, facendolo gentilmente sbattere con la faccia sull’asfalto.

Il tonfo gli causò un tremendo dolore, e mentre si rialzava faticosamente, il suo sguardo cadde sui restanti televisori, che stavano invece trasmettendo un tg. Più precisamente, ciò che catturò la sua attenzione fu l’enorme scritta posta dietro il cronista. 31 Marzo.

Il suo sguardo divenne serio e freddo, tutto d’un tratto.

Ecco spiegato il motivo della fretta di Makimura. Quello era il giorno. Adesso tutto aveva un senso.

Perso tra i suoi pensieri, si ritrovò davanti al palazzo in cui abitava. Si fermò, osservandolo come se lo vedesse per la prima volta. Poi entrò, salendo lentamente i gradini che lo portavano al suo appartamento.

Aprì la porta, sapendo già che il suo amico era all’interno. Aveva percepito la sua presenza dal momento stesso in cui aveva varcato la soglia del portone.

Chiuse la porta con uno scatto, ma il socio sembrò non accorgersi di niente.

Era seduto sul divano del soggiorno, il suo eterno impermeabile giaceva disordinatamente sulla spalliera, il nodo della cravatta era allentato. Gli enormi occhiali erano poggiati sul tavolino davanti a sé, si teneva la testa tra le mani.

Ryo immaginò che stesse piangendo, ma in realtà non era così. Ormai aveva versato tutte le sue lacrime, non sarebbe valso a niente continuare a commiserarsi.

Ryo avanzò piano al centro del salotto.

“Hide…” lo chiamò.

Makimura sembrò riprendersi, lo guardò come se vedesse un marziano, poi sorrise. Infilò nuovamente gli occhiali, guardando la foto che teneva tra le mani.

“Scusami” disse “Oggi era il suo compleanno. Avrebbe compiuto ventisei anni se fosse vissuta”

Ryo capì che alludeva alla sorella, venuta a mancare quando era piccola. Non sapeva esattamente come si erano svolti i fatti, Hideyuki non gliene aveva mai parlato apertamente, e lui non aveva mai chiesto niente al riguardo.

Si diresse verso il mobile-bar, versando un po’ di whisky in due bicchieri e porgendogliene uno.

Makimura sembrò sorpreso, ma accettò ugualmente il bicchiere.

“Non ti ho mai detto come si sono svolti i fatti” mormorò, facendo tintinnare il ghiaccio nel bicchiere.

“Non te l’ho mai chiesto” rispose semplicemente.

Maki si lasciò sfuggire un sorriso triste.

“E’ vero, ma avresti potuto. Sono vent’anni che non ci sono più, che mi porto dietro il dolore per la loro morte”

“Non è stata colpa tua”

Tipica frase che immaginava si dovesse dire in questi casi.

Makimura sospirò, alzandosi dal divano. Teneva sempre con sé la foto, come se fosse un appiglio a cui aggrapparsi.

“Non doveva andare così. Loro non c’entravano niente” cominciò. Altro sospiro.

“Sai che anche mio padre era un poliziotto? Era molto bravo nel suo lavoro. Un giorno il prefetto, suo amico, gli chiese un favore a cui non avrebbe potuto rifiutare. Doveva fare da scorta all’ambasciatore giapponese in Messico per una durata di due mesi. Mio padre, ovviamente, fu costretto ad accettare. In fondo non sembrava un incarico molto pericoloso e decise di portare con sé anche la sua famiglia. Mia madre amava viaggiare, sarebbe stato un piccolo regalo in vista del suo compleanno. Fu così deciso che saremmo partiti insieme. Ma, una settimana prima della partenza, mia sorella si ammalò. Mia madre era decisa a rinunciare al suo viaggio, ma mio padre non ne volle sapere. Allora si stabilì che io sarei partito con lui come era stato previsto, e mia madre e mia sorella sarebbero partite qualche giorno più tardi, non appena si fosse ripresa. Sembrava la soluzione più comoda per tutti. E così fu.”

Hideyuki si fermò, mentre una miriade di emozioni si scatenavano in lui. Sorseggiò un sorso del suo whisky. Il liquido ambrato scendeva giù velocemente, bruciandogli la gola.

“In quel periodo il Messico viveva in una guerra continua. Piccoli guerriglieri che si rivoltavano contro l’esercito governativo”

Lo sguardo di Ryo divenne duro e tagliente come l’acciaio.

“Purtroppo molti aerei venivano dirottati o fatti cadere. Le statistiche parlano chiaro. In quel periodo si verificò il più alto tasso di morti degli ultimi trent’anni. Mia madre e mia sorella viaggiavano su uno di quegli aerei” concluse, con voce roca.

Il cuore di Ryo tamburellava sempre più forte.

Immagini di un’altra vita gli passavano davanti, una vita che aveva cercato in tutti i modi di dimenticare, di confinare in un angolo remoto del suo cuore e della sua mente.

Makimura si voltò verso di lui, i lineamenti del volto tirati e sofferenti. Gli porse la fotografia che teneva stretta tra le mani.

Lui sembrò uscire da quello stato di torpore, lo guardò, poi afferrò la foto che gli tendeva. Fissò ancora un istante il suo volto disperato, poi chinò la testa e…

“Kaori aveva solo sei anni. Era solo una bambina, Cristo! Perché, perché?!?”

Il volto sorridente, i lunghi capelli ramati raccolti in due adorabili trecce, gli occhi grandi e profondi. La foto la ritraeva all’impiedi, accanto ad un ragazzetto alto e filiforme, che immaginò essere Hideyuki. Al loro fianco, una giovane donna seduta elegantemente, mentre un uomo bruno, con dei simpatici baffetti, li avvolgeva in un abbraccio.

Tum-tum-tum-tum

Il cuore di Ryo batteva all’impazzata, sembrava dovesse esplodere da un momento all’altro. Non riusciva a staccare lo sguardo da quello di quella bimba, Kaori. E allora, come per un segno involontario del destino, la sua mente ritornò indietro di vent’anni, al piccolo Sugar Boy che aveva trovato nella giungla. E, insieme a questo, il ricordo di una promessa fatta e dimenticata.

“Ti prometto che un giorno tornerò e ti porterò via di qui”

Quella frase… quella promessa….

“Ti prometto che un giorno tornerò e ti porterò via di qui”

Dio…cosa aveva fatto!... come aveva potuto!...

“Ti prometto che un giorno tornerò e ti porterò via di qui”

Signore, perché?! Perché?!

Nella sua mente, lo stesso interrogativo che si poneva Makimura, e a cui non sapeva dare una risposta.

  
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