Capitolo 5: L’Incontro con Mister
Nessuno
Era un’ora imprecisata del
pomeriggio, mi ricordo solo questo e dato che sono io
che scrivo vi dovrà per forza bastare. Non aveva ancora fatto buio nonostante
l’inverno fosse in agguato dietro l’angolo del ponte dei morti, scendendo le
scale pensavo a come avrei fallito nel tentativo di riprendermi la bicicletta,
ma soprattutto a come l’avrei trovata.
Dovevo escogitare un piano a
questo scopo, purtroppo non ero affatto bravo in
questo: l’ultima volta che avevo escogitato un piano era stato quando avevo
provato a raggiungere da Roma la mia ragazza che vive in Calabria senza pagare
il biglietto del treno. E’ difficile scordarselo perchè avevo
progettato di trascorrere le cinque ore di viaggio rannicchiato nello spazio
tra gli schienali dei sedili, spazio riservato ai bagagli più ingombranti… Un
piano perfetto. A Frosinone ero stato buttato fuori
con una multa di 102 Euro, mi ero tradito perché una simpatica signora aveva
dovuto inserire nel mio spazio una gabbietta con dentro un altrettanto
simpatico persiano bello pieno di acari. Il
controllore mi aveva trovato che ancora stavo
starnutendo come un assatanato.
Senza lasciarmi scoraggiare
dagli eventi passati iniziai a frustare la mia salamandra
gigante del Giappone che risiedeva nel mio cranio con lo scopo preciso
di mettere in funzione il mio cervello qualora gli venisse richiesto. Aspetta
qualche secondo, ma niente da fare: il cervello non ne voleva sapere di illuminazioni divine e anche questa volta fu la
salamandra a pensare per me. La sua idea, come sempre, mi piacque molto, cosi
mi avviai verso Piazza Guadalupe per metterla in
pratica.
Insieme alla grande e viscida
sapienza della salamandra c’era dalla mia parte anche la fortuna, infatti appena uscito di casa avevo subito visto l’autobus
correre verso il piazzale, avrebbe fatto la rotonda li e sarebbe tornato dalla
mia parte a prendermi per portarmi in qualche minuto dritto alla mia meta. Cosi
avevo raggiunto la fermata e in attesa mi ero dedicato
a dare un’occhiata alla gente che mi circondava, a quell’ora
del pomeriggio tutti i romani hanno appena finito il caffè
e si stanno dedicando alle fragole con la panna quindi non c’era quasi nessuno
alla fermata eccetto un uomo che non era vistosamente in grado di apprezzare
delle fragole con panna.
L’uomo guardava i bidoni
della spazzatura dall’altra parte della strada con l’aria fiera che una madre assumerebbe mentre dice “quello è mio figlio!” indicando un
giovanotto con un megafono che fomenta risse davanti scuola.
Aveva un grosso naso, di
quelli che somigliano a dei simpatici antistress, la faccia era tonda e
grossoccia, ma anche molto rugosa. I capelli erano circa tre, ma abilmente
pettinati per farli sembrare cinque, la bocca era semi aperta
a indicare stupore o stupidità, ma, a mio parere, c’era poco da essere stupiti
guardando i cassonetti.
L’uomo indossava un giubbotto
di pelle marrone vecchio e dei pantaloni in velluto verde marcio, coronati da
delle scarpe che sembravano uscite da una trattoria: scaciate
e gonfiate. [spiegazioni esaurienti: scaciate: scaciate significa più
o meno come sono delle scarpe uscite da una trattoria.]
Vuoi perché barcollava, vuoi perché puzzava di birra, l’uomo sembrava uscito da un
pub, peccato che l’unico pub del quartiere si chiama “la tana” e nel weekend è
chiuso per “mala frequentazione”.
Mentre osservavo la strana
figura l’autobus asprì velocemente le porte mentre
frenava verso la nostra fermata, cosi entrai con il mio compagno di viaggio, la
cosa inquietante è che nell’autobus c’eravamo solo io, lui e il conducente.
Mentre il bus sfrecciava alle velocità stratosferiche di 15
chilometri orari, l’individuo inquietante si voltò verso di me e mi guardò in
faccia sgranando gli occhi come se non mi vedesse bene. Dopo qualche istante apri lentamente la bocca mostrando i denti ingialliti dal
tempo e dal fumo…
“sei Lorenzo?”
“come lo sai?”